CAPITOLO 3.
Al risveglio, Tsili aveva la memoria svuotata, alleggerita da ogni fardello. Si alzò e lasciò il campo di granturco, dirigendosi verso il margine del bosco. Un'altra visione, anch'essa degli ultimi giorni, la braccava, a mo' di sfida. Il fratello più piccolo aveva voluto a tutti i costi che gli comprassero una bicicletta. Tutti i suoi amici, anche i più poveri, ne avevano una. Le suppliche della madre non erano servite a niente: non poteva permetterselo. Il denaro che aveva non sarebbe bastato. Il padre aveva bisogno di medicine. Il fratello, diciassettenne, aveva fatto il diavolo a quattro in bottega, tanto che erano arrivati degli estranei a zittirlo. La madre piangeva per la rabbia. La sorella maggiore, quella che non staccava gli occhi dai quaderni, urlava che solo per colpa di questa casa lei sarebbe stata bocciata. Tsili si ricordò, con estrema chiarezza, la mano bianca della sorella maggiore che s'agitava disperatamente, come se la ragazza fosse in procinto di annegare.
Il giorno trascorreva e lo stordimento, le allucinazioni e la fame non la tormentavano più. Ora vedeva quel che vedevano i suoi occhi: un bosco rado, la quiete di fine estate. Tutto ciò che aveva passato in quegli ultimi giorni non era più così minaccioso. Si lasciò trasportare dal flusso di luce, senza sentirlo. Anche quando immerse il viso nell'acqua, non provò alcun senso di estraneità. Come se fosse stata un'abitudine quotidiana. Mentre era ancora ferma, nel campo si udì un rumore.
All'inizio pensò che fosse il fruscio delle foglie, ma capì subito di essersi sbagliata: sentì odore di sudore. Non aveva ancora fatto in tempo a realizzare, che vide accanto a sé, sul poggio, un uomo seduto.
«Chi è là?» chiese l'uomo senza alzare la voce. «Io» rispose Tsili, come sempre. «Di chi sei figlia?» chiese costui nel modo in cui si domandava in campagna. Visto che lei non si sbrigava a rispondere, alzò la testa e aggiunse: «Che ci fai qui?» Quando Tsili si rese conto che quell'uomo era cieco, si sentì sollevata e rispose. Sono venuta a vedere se il granturco è già buono per la mietitura. Questa frase l'aveva sentita qualche volta in bottega. Visto che veniva ripetuta a ogni stagione, lei l'aveva tenuta a mente. «Il granturco è venuto su bene quest'anno» commentò il cieco toccandosi la tunica, «se non mi sbaglio.» «No, padre, non vi sbagliate.» «Quanto è alto?» «Come un uomo, forse persino di più.» «Le piogge sono state abbondanti, quest'anno» disse il cieco leccandosi le labbra. Il suo viso cieco si chiuse un po' in se stesso, lui tacque. «Dove sta il giorno?» «A mezzodì, padre.» Indossava una spessa tunica di lino, era scalzo e sembrava tranquillo. Gli anni di duro lavoro erano impressi nelle spalle robuste. Ora stava cercando di pronunciare una parola che sembrava rifiutarsi di uscire. Si leccò di nuovo le labbra. «Sei figlia di Maria, non è così?» disse il vecchio ridacchiando. «In effetti» rispose lei, evasiva. «Allora ci conosciamo, noi» disse nello stile contadino. Maria era un nome noto nella zona.
Aveva molte figlie, tutte bastarde. Visto che erano belle come la loro madre, non finivano nei guai. Giovani e anziani avevano bisogno di loro.
Anche gli ebrei, che capitavano nei paraggi con la stagione estiva. A casa di Tsili si parlava di Maria in termini misteriosi. Alcuni anni prima un suo fratello si era messo nei pasticci con una delle figlie di Maria. Maria si era presentata in bottega, ed era stato uno scandalo.
Per molti giorni in casa si era confabulato; alla fine erano stati costretti a pagare una somma considerevole. La madre, sfinita dal lavoro faticoso, non aveva mai perdonato il figlio e di tanto in tanto gli rammentava quella colpa. Tsili aveva capito che si trattava di una faccenda oscura, di cui era proibito parlare apertamente. «Siediti» disse il cieco, «che fretta hai?» Lei si avvicinò e senza dire nulla gli si sedette accanto. Era avvezza ai ciechi. Venivano dalle campagne e restavano per ore seduti sulla soglia della bottega. La madre ogni tanto usciva e dava loro una pagnotta, quelli la benedicevano a gran voce. Per lo più se ne stavano quieti, ma di tanto in tanto deliravano e litigavano fra loro. Il padre allora usciva e riportava l'ordine. Tsili stava seduta a guardarli. Quei visi muti, tesi verso l'alto, le sembravano in preghiera. Il cieco ora parve riscuotersi, si toccò la saccoccia, ne tirò fuori una pera e disse: «Prendi». Tsili la prese e affondò subito i denti nel frutto. «Ho anche della carne affumicata, mangia.» «Mangio.» Con la grossa mano le porse un panino casereccio.
Tsili guardò quella grossa mano pallida e lo prese. «Le figlie di Maria sono tutte belle» disse lui e ridacchiò. Ora che aveva drizzato il busto, sembrava molto forte. «Non mi va di mangiare da solo, mangiare da solo mi mette tristezza» confessò. Masticava adagio, come fanno i ciechi, che sono prudenti anche con il cibo. Mangiando disse: Uccidono gli ebrei, li uccidono. E' un brutto affare. Conviene che vadano in America. Ma non sembrava che la faccenda lo turbasse più di tanto.
L'imminente mietitura lo coinvolgeva ben di più.
«Perché te ne stai zitta?» s'interruppe a un tratto. «Cosa c'è da dire...» «Sono furbe, le figlie di Maria» ridacchiò. Tsili non capiva il significato di quella risata. Tutti i suoi sensi erano concentrati sul panino casereccio che il cieco le aveva offerto. Ogni tanto Maria veniva in bottega a fare compere. Era bella e vestiva con eleganza, usava un frasario di città. Dicevano che Maria avesse un rapporto particolare con gli ebrei, il che non migliorava affatto la sua reputazione. Anche le sue figlie avevano ereditato da lei un debole per gli ebrei. In effetti d'estate, quando arrivavano i villeggianti ebrei, Maria sapeva bene come coccolarli. A Tsili tornò ora in mente la greve scia di profumo che Maria si lasciava dietro in bottega. A lei piaceva inspirare quel profumo. Il cieco disse, così, soprappensiero: Le figlie di Maria amano gli ebrei, che il Signore abbia pietà di loro. Di nuovo ridacchiò fra sé, poi si mise comodo, come se ruminasse. Non si sentiva nessun rumore, solo gli uccellini e le foglie che stormivano, ma anch'essi sottovoce.
Il viso stanco del cieco si sporse verso il sole, e lui sembrò sul punto di appisolarsi. Poi d'improvviso chiese: «C'è qualcuno nel campo?» «No.»
«E da dove sei venuta, tu?» E tutto il suo viso sorrise. «Dalla piazza.»
«E non c'è nessuno nel campo?» chiese come se volesse ascoltare anche la propria voce. «No.» All'udire la risposta di Tsili le posò una mano sulla spalla. La spalla di Tsili cedette sotto quel peso. «Come mai sei così magra...» disse il cieco avendo evidentemente tastato le sue scapole ossute. «Quanti anni hai?» «Tredici.» «Sei grande dunque, ma così magra.» E subito l'afferrò anche con l'altra mano. Tsili fu spaventata dalla forza di quella presa: il villano, senza esitare, l'abbrancò e la buttò in terra. A Tsili sfuggì di bocca un grido. Il cieco, evidentemente, non si aspettava una reazione del genere, fece subito per tapparle la bocca, ma la mano mancò la presa e finì sul collo di lei. Il suo corpo si dibatté brevemente sotto le mani forti del cieco. «Zitta» tentò di calmarla come fosse stata una bestia selvatica.
Ma lei emise un grido stridulo. Cercò di divincolarsi dal peso. «Cosa ti dà da mangiare tua mamma, che squittisci così?» Poi il cieco mollò la presa, immaginando che lei fosse stordita. Tsili si riscosse e fuggì via lesta. «Dove sei?» disse lui levando le braccia. Tsili si allontanò carponi. «Dove sei?» ripeté quello tastando il suolo. E visto che non ebbe risposta cominciò ad agitare le braccia e a imprecare. La sua voce, che solo un attimo prima era suonata gentile, ora si fece grave e rabbiosa. Tsili, chissà perché, non fuggì. Strisciò carponi fino al granturco. Calò la sera, e lei si accoccolò. Le mani forti del cieco erano ancora impresse sulle sue spalle.
Più tardi arrivò il figlio, a prendere il cieco. Quando il giovane si avvicinò, il padre prese a imprecare. Il figlio raccontò che mentre era per strada si era rotta la stanga del carretto, così era stato costretto a tornare in paese a prenderne un altro. La scusa non convinse il cieco.
Disse: «E a piedi non potevi venire?» «E' vero, padre, non ci ho pensato, non ho avuto testa di pensarci.» «Ma per le ragazze la testa ce l'hai.» «Io non ho niente a che fare con le ragazze» disse facendo il finto tonto. «Che tu sia maledetto» disse il cieco e sputò.