CAPITOLO 22.

Quelli stavano andando a sud. I contadini fermi sul ciglio delle strade vendevano pane, vodka e carne affumicata. La gente passava loro davanti, ma non acquistava né contrattava. Gli anni di fame li avevano affrancati dal cibo. Ma Tsili sì che era affamata. Vendette un vestito e in cambio ebbe pane e carne affumicata. Vedete, lei mangia, disse uno degli scampati. Allora lei li studiò da vicino: magri, introversi e senza parole. Erano ancora segnati dal terrore. Il sole scaldava e la crosta della terra si asciugò. Sui pendii vicini alla pianura apparvero i primi lavoratori. Nessuna nube scuriva il cielo, solo alberi e calma. La gente camminava adagio, assorta, o per lo più dormiva. Di parole non se ne udivano quasi. Del segreto che serbavano in volto Tsili aveva più paura che della tenebra notturna. Non lontano, alcuni prigionieri venivano condotti in catene. Ogni tanto un soldato sparava al di sopra delle loro teste e loro si curvavano di colpo. Nessuno li guardò. La gente era tutta presa da se stessa. Un uomo si avvicinò a lei e le chiese: Di dove sei? Non era lui a domandare, bensì qualcosa che proveniva da dentro di lui, come da un incubo. Gli occhi di Tsili si aprirono. Udì parole che non aveva udito per anni, che le carezzarono con un bisbiglio le orecchie. Se incontro la mamma, che cosa le dico? Lei non sapeva quel che tutti ormai sapevano: a parte quello sparuto gruppo di sopravvissuti, non c'erano più ebrei. Il sole tramontò. La gente stese i vestiti umidi e si coricò a dormire sulle rive del fiume. I lunghi e umidi anni di guerra evaporavano dai corpi rinsecchiti. Nemmeno quella notte l'odore svanì. Solo Tsili non dormiva. Il sonno degli altri la riempiva di meraviglia. Un venticello caldo spirava sul loro sonno profondo. Staranno bene?, si chiese Tsili. Dormivano insieme, nella loro nudità, corpi che il terrore aveva improvvisamente abbandonato. Anche l'indomani nessuno si svegliò. Cosa fanno nel sonno?, si domandò lei senza una ragione precisa. Me ne andrò, si disse, nessuno noterà la mia assenza. Lavorerò dai contadini, come ho già fatto. Se lavorerò alacremente mi daranno del pane, di più non mi serve. Per tutti gli anni di guerra, nei boschi e per le strade, persino insieme a Marek, non ci aveva pensato. Ora, i pensieri le uscivano da soli. Stava per alzarsi e abbandonare i dormienti per tornare sul monte dove aveva incontrato Marek. Il monte, invero, era sparito alla vista, ma le paludi si vedevano ancora. Brillavano lustre come specchi. La nostalgia era forte e prepotente, la attirava come un magnete, ma quando si alzò in piedi sentì che il corpo aveva perso la sua leggerezza, le gambe erano gonfie, le cosce tornite che l'avevano trasportata come il vento erano pesanti.

Ora si rese conto che non sarebbe mai più tornata sul monte incantato, e tutto quello che era successo lassù sarebbe rimasto impresso dentro di lei. Vagò da un luogo all'altro, ma lassù non tornò più. Il suo destino sarebbe stato quello dei profughi che stavano dormendo. Aveva voglia di piangere, ma il pianto le restò dentro. Si sedette immobile e sentì che il sonno dei dormienti pervadeva anche lei.