CAPITOLO 10.

Al suo risveglio era già giorno fatto. Dai campi saliva un vapore profumato. Mentre era ancora lì seduta arrivò un uomo: sembrava sorto dalla terra. Per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Tsili capì subito che non era un contadino. Aveva abiti logori, ma da città, e un viso stanco. «Chi sei?» disse nel gergo del posto. La voce era fioca, ma chiara. «Io?» chiese Tsili spaventata, di rimando. «Donde vieni?» «Dal villaggio.» Questa risposta lo lasciò perplesso. Si voltò per vedere se non ci fosse qualcuno. Non c'era nessuno. Alle narici di Tsili arrivò l'odore dei suoi vestiti umidicci. «Che ci fai qui?» Si alzò un po' sulle braccia e rispose: «Niente». L'uomo fece un gesto con la mano, come se stesse per andarsene. «E quando torni al villaggio?» «Io?» La conversazione a quanto pareva lo lasciava piuttosto perplesso. Ma non si rassegnava. Si toccò il cappotto. Avrà avuto una quarantina d'anni, le mani erano di un bianco grigiastro, mani che probabilmente non vedevano un tetto da molto tempo. Tsili si alzò in piedi. L'uomo non le metteva paura, le ispirava solo disgusto quella sua mollezza. «Non hai del pane?» chiese l'uomo. «No.» «Nemmeno una salsiccia?» «No.» «Peccato, ti avrei dato del denaro in cambio» disse facendo per andare, ma subito ci ripensò e scandendo le parole chiese: «I genitori li hai?» Questa domanda, evidentemente, la colpì. Si fece un po' indietro e con un filo di voce rispose: No. La risposta scosse lo sconosciuto da quella sua indifferenza; con una nuova vivacità chiese: Cosa racconti?, e un abbozzo di sorriso affiorò su quel viso grigio: Dunque sei dei nostri.

Aveva un che di disgustoso quel sorriso, di repellente. Il corpo di lei ebbe uno spasmo, si ritrasse. Dimmi un po', la incalzò senza muoversi da dov'era: Sei dei nostri, eh tu? Tsili stava per dire di no e scappare, ma sentì che le gambe non la reggevano. «E così, sei dei nostri, tu» disse quello facendo qualche passo verso di lei. «Non avere paura. Mi chiamo Marek, e tu come ti chiami?» Si levò il cappello, come se volesse con quel gesto dimostrare non solo affidabilità, ma anche umiltà. La sua testa calva non era diversa dal viso: era pallida e grigia. «Da quanto tempo sei qui?» La bocca di Tsili era cucita. «Io ho perduto tutto, stanotte desideravo morire.» Anche questa frase, pronunciata con molta emozione, non la colpì affatto. Era paralizzata, come dentro un incubo.

«E tu, di dove sei? E molto tempo che vaghi così?» continuò a chiedere con affanno l'uomo, nella lingua che si parlava a casa di Tsili, tedesco mescolato allo yiddish, e con lo stesso accento, anche. «Mi chiamo Tsili» rispose lei. L'uomo rimase di sasso, si mise in ginocchio e disse: «Sono felice. Sono molto felice. Vieni con me, ho ancora un poco di pane». Calò la sera; sulle montagne coperte di alberi da frutta brillava ancora qualche luce. Nel bosco invece già dimorava l'oscurità.

«Sono arrivato qui un mese fa» si riprese l'uomo, «da allora non ho più visto nessuno. Tu conosci qualcuno?» Parlava concitatamente, mangiandosi le parole, dopo tanti giorni freddi di solitudine. Lei non capiva gran parte di quel che lui diceva. Una cosa comprese: che di ebrei in tutta la zona non ce n'erano più. «E i tuoi genitori?» chiese lui. Lei tremando disse: «Non so, io non so. Perché me lo chiedi?» Lo sconosciuto tacque e non disse più nulla. Saltò fuori che nel suo nascondiglio aveva degli avanzi di pane, un po' di acquavite. «Prendi» disse porgendole un tozzo di pane. Tsili lo prese e lo addentò subito. Lo sconosciuto la guardò a lungo e il suo volto si distese in un sorriso sghembo. Si sedette a gambe incrociate. Poi disse: «Stento a credere che tu sia ebrea. Che cos'hai fatto per cambiare così?» «Niente.» «Niente, ma che dici... Io» disse lui «non cambierò mai più. Sono troppo vecchio per cambiare. A dire la verità non so nemmeno se ne avrei voglia.» Poi chiese: «Perché stai zitta?» Lei tremò, al sentire quella domanda. Le vecchie frasi, così familiari, le aveva perdute; non era mai stata di molte parole, e il tempo trascorso dai contadini le aveva estirpato le radici dei vocaboli; tuttavia lo sconosciuto, che aveva riportato ai suoi sensi il profumo di casa, la turbava più che spaventarla. Quando calò il buio lui accese un fuoco. Spiegò: La zona è tutta circondata di paludi. Ora che le nevi si sciolgono saremo più protetti. Meno male che l'inverno è finito. Che senso pratico c'era nella sua voce. Come se dal suo viso la sofferenza se ne fosse andata, lasciando il posto alle preoccupazioni del momento. Nella sua voce non c'era una sola nota di stupore né di collera. Il calore del fuoco e le parole dimenticate penetrarono liberamente l'animo di Tsili, che si addormentò.