CAPITOLO 18.

Si allontanò rapidamente e dopo pochi istanti sparì. Lei rimase seduta immobile, e più restava così più sentiva che il silenzio intorno a lei l'assediava. Il cielo scurì, e sui vasti pendii passò un fremito. Lei si alzò ed entrò nel rifugio. Era buio e caldo, lo zaino in un angolo.

Negli ultimi giorni Marek aveva completamente ignorato la casamatta.

L'uomo non è mica una talpa, questa vita sottoterra è infamante. Usava molto la parola «infamante», che pronunciava con un accento strano, a quanto pare tedesco. Le ore del giorno passavano lentamente, i pensieri di Tsili si concentrarono sul cammino di Marek. Davanti ai suoi occhi lui saliva e scendeva per la stessa strada che aveva percorso lei, lo vedeva pure passare davanti a quella baracca dove aveva scambiato un vestito con della salsiccia. Era così nitida quell'immagine, che le parve di trovarsi lì, accanto a lui. Nel pomeriggio accese il fuoco dicendo: Preparerò una tisana per Marek. Lui ama la tisana. Marek tardava a tornare. Non preoccuparti tornerà, le sovvenne questa frase che aveva sentito a casa. Ma quando calò il crepuscolo e Marek non era ancora tornato, si alzò spaventata dal suo giaciglio. Scese al fiume e lavò le scodelle. L'acqua fredda scacciò via per un attimo l'ansia.

Tsili stese uno straccio per terra. Calò il buio. I giorni passati insieme a Marek avevano attenuato le paure della notte. Ora era di nuovo sola. Percepì la voce di Marek e udì: l'uomo non è un insetto. La morte non è così terribile come vorrebbe dare a vedere. Le parole avevano un andamento da marcia militare. Come quand'era piccola, nel giorno dell'indipendenza, quando l'esercito sfilava in parata e la banda suonava le fanfare. Quei suoni stentorei le infusero una qualche sicurezza. Marek tardava a tornare. Ora lei si accorse che il consueto odore di quel luogo era svanito; un'aria limpida, impregnata di gelo, ne prese il posto. Pensò che se avesse messo fuori lo zaino e steso i vestiti per terra, sarebbero tornati quegli odori familiari e anche Marek forse li avrebbe sentiti. Lo fece immediatamente. Dai vestiti variopinti, stropicciati e umidi, salì odore di muffa. S'è perduto, di sicuro si sarà perduto. Si aggrappò a questa frase come se fosse stata un'ancora. Si lasciò cadere davanti ai vestiti. Erano abiti da bambino, ristretti e raggrinziti dall'umidità, sporchi di pappa e laceri sui bordi. Si scostò per udire il brusio degli oggetti inanimati. Non si sentiva nulla. Dalle capanne in lontananza, disseminate nelle paludi, arrivò l'eco di latrati. Dopo mezzanotte cominciò a piovere, e lei ripose gli oggetti nel deposito della legna. Quel lavoro le rinfocolò la memoria. Si ricordò dei giorni prima della casamatta, quando lei gli portava il tabacco e lui arrotolava le foglie trinciate in carta di giornale. Di quando era tornato quello di prima ed era cessato il tremito alle mani. Smise di piovere, ma il vento aumentò: piegava gli alberi in ampi ondeggiamenti. Tsili entrò nel rifugio. Era caldo e impregnato di odore di tabacco. Fiutò quell'odore. Si sedette al buio a pensare alla moglie di Marek. Marek non ne parlava molto. Una volta lei aveva captato anche un rimprovero nei suoi riguardi. Chissà perché la immaginava alta e magra, intenta a coprire i suoi figli con un cappotto.

La sentiva vicina.