superava ogni altro nel tocco della lira.
Guidava giorno e notte Linceo con vista acuta
la sacra nave per scogli e per secche...
Solo uniti si può far fronte al rischio:
quando uno agisce, tutti gli altri approvano.
FAUST
E di Ercole non vuoi dire nulla?
CHIRONE
Ah! Non destare il mio rimpianto...
Io non avevo visto mai né Febo,
né Ares, Ermes, o come si chiamano;
ma allora vidi davanti agli occhi
ciò che tutti vantano divino.
Era nato per essere un re,
giovinetto stupendo a guardare,
obbediva al fratello maggiore,
obbediva alle donne più amabili.
Un secondo non può generarlo
Gea, né Ebe portarselo in cielo;
invano i canti si affaticano,
invano tormentano la pietra.
FAUST
Per quanto si affannino a scolpirlo,
mai ebbe un ritratto così splendido.
Hai parlato dell'uomo più bello,
parla della più bella delle donne!
CHIRONE
Oh!... Bellezza di donna non è nulla,
troppo spesso è una forma irrigidita;
posso lodare solo la creatura
da cui sgorga in letizia la gioia della vita.
La bella è beata di se stessa;
la grazia rende irresistibile,
come Elena, quando la portai.
FAUST
Tu la portasti?
CHIRONE
Sì, su questa groppa.
FAUST
Non sono già abbastanza turbato?
E anch'io ho la fortuna di sedervi!
CHIRONE
Mi afferrava la criniera
come fai tu.
FAUST
Adesso mi smarrisco
del tutto! Racconta, come fu?
È lei tutto il mio desiderio!
Ah, da dove e dove la portasti?
CHIRONE
Alla domanda è facile rispondere.
A quel tempo i Dioscuri strapparono
la piccola sorella ai rapitori.
Ma questi, non avvezzi a essere vinti,
rinfrancati si lanciarono a inseguirli.
Le paludi di Eleusi arrestarono
la rapida corsa dei fratelli;
i Dioscuri guadarono, io nuotai tra gli spruzzi;
lei balzò a terra, accarezzò la madida
criniera, lusinghiera disse grazie
con grazia scaltra e conscia di se stessa.
Era un incanto! Giovane, la delizia del vecchio!
FAUST
Dieci anni appena!...
CHIRONE
Vedo che i filologi
hanno ingannato te come se stessi.
È speciale la donna mitologica,
il poeta le dà l'aspetto che gli serve:
non è mai maggiorenne, non invecchia,
di forme sempre appetitose,
rapita in gioventù, donna fatta è contesa;
il tempo, insomma, non vincola il poeta.
FAUST
Neppure lei allora sia vincolata al tempo!
Non la trovò forse Achille a Fere,
fuori dal tempo? Rara felicità
conquistare l'amore a dispetto del fato!
Con la violenza del mio desiderio
non darò vita a quella forma unica?
Alla creatura eterna, pari a una dea,
maestosa e dolce, amabile e sublime?
Tu la vedesti allora; oggi io la vidi,
quanto bella e incantevole, tanto desiderata.
La mia mente, il mio essere ne sono prigionieri;
non posso vivere, se non posso averla.
CHIRONE
Straniero! Come uomo sei in estasi;
ma certo sembri pazzo tra gli spiriti.
E tuttavia oggi sei fortunato;
ogni anno infatti, per pochi momenti,
io uso comparire avanti a Manto,
la figlia di Esculapio; pregando silenziosa
essa implora che il padre, a proprio onore,
illuminando alfine le menti dei chirurghi,
li converta dai loro temerari omicidi...
Fra le Sibille lei mi è la più cara,
non scomposta nei gesti ma benefica e mite;
resta con lei un poco, e riuscirà
a guarirti del tutto per virtù di radici.
FAUST
Io non voglio guarire, sono sano di mente;
guarito sarei vile come gli altri.
CHIRONE
Non lasciarti sfuggire la salute
di quella fonte eletta! Giù, presto! Il posto è questo.
FAUST
Dimmi! A quale terra mi hai portato
per acque e ciottoli, in questa orrida notte?
CHIRONE
Qui Roma e la Grecia si sfidarono,
a destra c'è il Peneio, a sinistra l'Olimpo,
l'impero più grande si perde nella sabbia,
il re fugge, trionfa il cittadino.
Alza lo sguardo! Imponente e vicino,
qui sta l'eterno tempio, al lume della luna.
MANTO nel tempio, sognando
Di zoccoli di cavallo
suona la sacra soglia,
semidei si avvicinano.
CHIRONE
È così!
Ma apri gli occhi!
MANTO destandosi
Benvenuto! Vedo che non manchi.
CHIRONE
Come a te dura il tempio in cui dimori.
MANTO
E sempre vai errando infaticabile?
CHIRONE
Come tu nella pace e nel silenzio
sempre stai, così amo io girare.
MANTO
Io aspetto, il tempo gira intorno a me.
E costui?
CHIRONE
La malfamata notte
l'ha trascinato qui con il suo vortice.
Elena, con la mente sconvolta,
Elena vuole conquistare
e non sa come, dove cominciare;
merita più di altri le cure di Esculapio.
MANTO
Io lo amo, chi aspira all'impossibile.
CHIRONE è già molto lontano
MANTO
Entra, temerario, e rallegrati!
Quest'andito buio conduce a Persefone.
Essa nel piede cavo dell'Olimpo
segretamente spia il saluto proibito.
Da qui un tempo furtiva feci passare Orfeo;
usalo meglio! Ora fa' cuore! Avanti!
Scendono
[Lungo l'alto Peneio]
come prima
LE SIRENE
Giù nei flutti del Peneio!
Per nuotare tra gli spruzzi,
intonare canti e canti,
consolare gli infelici.
L'acqua sola dà salute!
Se in chiarissimo corteo
correremo al mare Egeo,
ogni gioia sarà nostra.
Terremoto
LE SIRENE
L'onda va indietro schiumando,
non scorre più nel suo letto;
trema il fondo, l'acqua sale,
le rive ghiaiose fumando
si fendono. Fuggiamo via tutte!
È un prodigio per tutti funesto.
Via, nobili ospiti gai,
alla festa gioconda del mare,
dove tremule onde scintillano,
gonfie appena, irrorando le rive;
dove Luna riluce due volte
e ci bagna di sacra rugiada!
Laggiù libera ferve la vita,
qui un terremoto atterrisce;
ne fugga veloce chi è saggio!
Il luogo è pieno d'orrore.
SISMO brontolando e rumoreggiando nel profondo
Ancora una spinta violenta,
inarcando le spalle di forza!
E apriremo il varco in alto,
dove tutto dovrà cederci.
LE SFINGI
Che sgradevole tremore,
che tuonare spaventevole!
Che sussulto, che percossa,
che ci scuote avanti e indietro!
Che fastidio intollerabile!
Noi però non ci muoviamo,
si scateni anche l'inferno.
Una volta ora s'innalza,
prodigiosa. È ancora lui,
il vecchio, da tempo canuto,
che per una partoriente
costruì l'isola di Delo,
spingendola su dalle onde.
Egli punta, preme, sforza,
braccia tese, schiena torta,
le sembianze come Atlante,
scalza suolo, terra, prato,
ghiaia e sassi e sabbia e argilla,
calmo letto delle rive,
lacerando di traverso
il quieto tetto della valle.
Mai provato dallo sforzo,
colossale cariatide,
regge una immensa mole,
fino al petto fitto al suolo;
ma più oltre non può andare,
poiché qui stanno le Sfingi.
SISMO
Tutto questo l'ho fatto io solo,
e alla fine lo dovranno ammettere:
senza i miei scrolloni e le mie scosse,
come sarebbe così bello il mondo? -
I vostri monti starebbero in alto
nello splendore del puro etere azzurro,
se io non li avessi spinti su,
visione radiosa e pittoresca?
Al cospetto degli avi supremi,
la Notte e il Caos, mostrai la mia forza,
quando in compagnia con i Titani
scagliammo come palle il Pelio e l'Ossa;
travolti da una foga giovanile
continuammo a impazzare finché, stufi,
gettammo quei due monti sul Parnaso
sfacciatamente, come un doppio casco...
Ora vi sta piacevolmente Apollo,
con il coro beato delle Muse.
Perfino a Giove ed alle sue tonanti
saette innalzai io l'alto seggio.
Adesso, con uno sforzo immane,
mi sono sollevato dall'abisso
e chiamo con fragore a nuova vita
i suoi giocondi abitatori.
LE SFINGI
Antichissimo si dovrebbe dire
ciò che è emerso e ora si erge qui,
se noi stesse non avessimo veduto
come fu vomitato dalla terra.
Una fitta foresta lo ricopre,
mentre le rocce ancora si urtano avanzando;
ma una Sfinge per questo non si volge,
né si lascia turbare nella sua sacra sede.
I GRIFONI
Oro a scaglie, paglie d'oro
tra le fessure vedo tremare.
Formiche, non lasciatevi rubare
il tesoro, su a raccoglierlo!
CORO DELLE FORMICHE
Poiché i giganti
l'han spinto fuori,
voi zampettanti
svelte su in alto!
Leste su e giù!
Nelle fessure
anche ogni briciola
ha il suo valore.
Anche la minima
è da scoprire
fulmineamente
in tutti gli angoli.
Ma il vostro alacre
brulichìo rechi
solo oro puro!
Senza le scorie.
I GRIFONI
Avanti, avanti! Dell'oro a mucchi!
Ci metteremo sopra gli artigli;
per catenaccio non c'è di meglio,
così è al sicuro il gran tesoro.
I PIGMEI
Non sappiamo come mai,
ma qui adesso stiamo noi.
Non chiedeteci da dove,
perché ormai ci siamo e basta!
Per campare allegramente,
ogni terra può servire;
dove appare una fessura
nella roccia, ecco già il nano.
Nano e nana, svelti all'opera,
un modello in ogni coppia;
non so se nel paradiso
già la vita era così.
Ma noi qui si sta benissimo,
grati alla nostra stella;
perché genera con gioia
madre Terra a oriente e a occaso.
I DATTILI
Se in una sola notte
fece nascere i Piccoli,
creerà i Piccolissimi,
e anche le loro simili.
I PIGMEI PIÙ ANZIANI
Correte a prendere
un posto comodo!
Veloci all'opera!
Non forti, rapidi!
C'è ancora pace;
alla fornace!
Armi e corazze
per le legioni.
E tu, formica,
gregge operoso,
tempra i metalli!
Dattili minimi,
voi a miriadi
rizzate, è un ordine,
legna a cataste!
Che poi covando
fiamme segrete
diano carbone.
IL GENERALISSIMO
Con arco e frecce
uscite in campo!
In quello stagno
caccia agli Aironi:
tronfi di spregio
nei nidi innumeri,
tutti abbatteteli
con una scarica!
Sugli elmi avremo
fregi di piume.
LE FORMICHE E I DATTILI
Noi chi ci salva?
Col nostro ferro
forgian catene.
Ma non è tempo
di liberarci,
restate docili.
LE GRU DI IBICO
Urla assassine, gemiti di morte!
Agitarsi di ali in angoscia!
Che lamenti, che sospiri
salgono alle nostre altezze!
Tutti sono stati uccisi,
il lago ne è rosso di sangue.
Pervertite brame strappano
all'airone le nobili penne,
che ora svettano sugli elmi
dei panciuti gambe-storte.
Voi, compagne d'armi, in file
migratrici d'oltremare,
vi chiamiamo alla vendetta
di una parentela stretta.
Non risparmiate forza né sangue,
a quella razza guerra in eterno!
Si disperdono in cielo gracchiando
MEFISTOFELE nella piana
Le streghe del Nord sapevo governarle,
ma non so come prendere questi spiriti insoliti.
Il Blocksberg resta sempre un posto comodo,
e dovunque si sia, ci si ritrova.
Sulla sua pietra veglia per noi la Ilse,
sulla sua vetta Enrico se la spassa,
i Russatori imprecano Miseria,
ma tutto è fatto per durar millenni.
Ma qui chi sa, dove si muova o stia,
se il terreno non gli si gonfia sotto?...
Cammino allegro per una valle liscia,
e di colpo mi spunta dietro un monte,
chiamarlo monte è troppo, eppure alto
quanto basta a isolarmi dalle Sfingi -
Giù nella valle ancora qualche fuoco
guizza e la fiamma invita all'avventura...
M'invita ancora e danza e volteggiando sfugge
e gioca malizioso il mio galante coro.
Avanti con cautela! Chi è avvezzo a piluccare
cerca di arraffare ovunque capita.
LE LAMIE tirandosi dietro Mefistofele
Svelte, più svelte!
Sempre più avanti!
Poi rallentate,
parlando fitto.
È divertente
tirarsi dietro
quel peccatore,
per penitenza.
Col piede rigido
dietro ci zoppica,
avanza e inciampa;
la gamba strascica,
mentre scappiamo,
dietro di noi!
MEFISTOFELE fermandosi
Sorte dannata! Maschi gabbati!
Da Adamo in poi menati per il naso!
Si invecchia senza mettere giudizio.
Non sei stato abbastanza preso in giro?
Si sa che quella razza non val niente,
corpi stretti nel busto e facce ridipinte.
Non han niente di sano a ripagarti,
dove le tocchi, tutte membra marce.
Si sa, si vede, lo si tocca, eppure
quelle carogne fischiano, e si balla!
LE LAMIE arrestandosi
Ferme! Riflette, esita, si blocca;
andate verso di lui, che non vi sfugga!
MEFISTOFELE riprendendo a camminare
Avanti! E non farti imprigionare
scioccamente dalle trame del dubbio;
perché se non ci fossero le streghe,
chi diavolo vorrebbe essere diavolo?
LE LAMIE con estrema grazia
Circondiamo questo eroe!
E l'amore del suo cuore
sarà offerto a una di noi.
MEFISTOFELE
Alla luce fioca, certo,
mi sembrate graziosissime,
quindi non vorrei offendervi.
EMPUSA facendosi avanti
Neanche me! Lo sono anch'io,
e perciò fatemi entrare.
LE LAMIE
È di troppo qui fra noi,
ci rovina sempre il gioco.
EMPUSA a Mefistofele
Saluti dalla cara cuginetta,
l'Empusa dal piede asinino!
Anche se hai solo un piede di cavallo,
tanti saluti a te, signor cugino!
MEFISTOFELE
Qui credevo tutti sconosciuti
e trovo, ahimè, parenti stretti;
è un vecchio libro da sfogliare:
dallo Harz all'Ellade sempre cugini!
EMPUSA
So agire subito, con decisione,
potrei mutarmi in molte forme;
ma questa volta in vostro onore
ho messo su la testolina d'asino.
MEFISTOFELE
A quanto vedo presso costoro
la parentela vuol dire molto;
eppure, capiti quello che capiti,
la testa d'asino la vorrei respingere.
LE LAMIE
Lascia quella schifosa, fa scappare
tutto ciò che sembra bello e amabile;
tutto ciò che sarebbe bello e amabile -
quando lei si avvicina, non lo è più!
MEFISTOFELE
Queste languide, soavi cuginette
mi sono sospette tutte quante;
dietro le rose delle guance
temo qualche metamorfosi.
LE LAMIE
Prova piuttosto! Noi siamo tante.
Allunga le mani! Se hai fortuna al gioco,
agguanterai la migliore di tutte.
A che pro questa nenia di lascivie?
Sei un libertino da strapazzo,
tutto impettito, pieno di boria! -
Ecco, si unisce alla nostra schiera;
toglietevi le maschere a una a una,
mostrate senza veli quel che siete.
MEFISTOFELE
Mi sono scelto la più bella...
Abbracciandola
Guai a me! Secca come una scopa!
Afferrandone un'altra
E questa?... Che ceffo infame!
LE LAMIE
Ti meriti di meglio? Non lo credere.
MEFISTOFELE
Vorrei metter le mani sulla piccola...
Mi sguscia via come una lucertola!
La treccia è liscia come una biscia.
Prendo al suo posto la spilungona...
Mi resta in mano un palo di tirso,
con una pigna per cucuzza!
Come andrà a finire?... Ecco una grassa,
forse con questa è la volta buona;
un ultimo azzardo, e così sia!
Gelatinosa e molle, gli orientali
quelle così le pagano assai care...
Maledizione! La vescica scoppia!
LE LAMIE
Dividetevi, volteggiategli attorno
come saette con un volo nero,
a quell'intruso figlio di strega!
Con insidiosi orridi cerchi!
Con ali tacite di pipistrelli!
Se la cava anche troppo a buon mercato.
MEFISTOFELE dibattendosi
Giudizio, a quanto pare, non l'ho messo;
qui assurdità, assurdità su al Nord,
spettri contorti qua come lassù,
insipida la gente ed i poeti.
È anche qui la mascherata solita,
il gran ballo dei sensi, come ovunque.
Ho allungato le mani su maschere leggiadre
e ho stretto corpi che mi han dato i brividi...
Mi lascerei ingannare con piacere,
se soltanto durasse un po' di più.
Perdendo la via fra le rocce
Dove sono finito? Dove ne verrò fuori?
Era un sentiero, adesso c'è una frana.
Ero venuto per una strada piana,
e mi trovo davanti uno sfasciume.
Inutilmente mi arrampico su e giù,
dove le ritrovo le mie Sfingi?
Non l'avrei immaginato un simile sconquasso,
una montagna sorta in una notte!
Bell'idea per un sabba, qui le streghe
il loro Blocksberg se lo portan dietro.
OREADE da una roccia naturale
Vieni quassù! Il mio monte è vecchio,
conserva la sua forma originaria.
Onora i ripidi pendii di roccia,
ultime propaggini del Pindo!
Mi ergevo già incrollabile
quando fuggendo mi varcò Pompeo.
L'illusoria immagine al mio fianco
già al canto del gallo svanirà.
Simili favole vedo spesso nascerne
e a un tratto di nuovo scomparire.
MEFISTOFELE
Onore a te, capo venerando,
cinto da fronde di querce alte e forti!
Il raggio di luna più splendente
non giunge dentro questa oscurità. -
Ma accanto ai cespugli sta passando
una luce che arde con modestia.
Come tutto deve ricongiungersi!
Davvero, è proprio Homunculus!
Di dove vieni, piccolo collega?
HOMUNCULUS
Fluttuo così da un posto all'altro
e vorrei nascere nel senso migliore,
molto impaziente di spezzare il vetro;
ma in ciò che ho visto fino ad ora
non oserei avventurarmi.
Insomma, per dirlo in confidenza:
son sulle tracce di due filosofi,
li ho intesi dire: Natura, Natura!
Non li lascerò più, perché di certo
conoscono l'essenza delle cose terrene;
e alla fine così verrò a sapere
dov'è più saggio che diriga i passi.
MEFISTOFELE
Per questo conta su te stesso.
Poiché dove si trovano i fantasmi,
anche il filosofo è il benvenuto.
Perché si apprezzi la sua fausta arte,
ne crea una dozzina nuovi subito.
Senza sbagliare, non potrai capire.
Se vuoi nascere, nasci da te stesso!
HOMUNCULUS
Un buon consiglio non è da disprezzare.
MEFISTOFELE
E vai! Vedremo come va a finire.
Si separano
ANASSAGORA a Talete
La tua mente caparbia non si vuole piegare;
cosa ci vuole ancora per convincerti?
TALETE
L'onda si piega docile a ogni vento,
ma sta lontana dalle rocce a picco.
ANASSAGORA
Questa roccia sta qui per vapori di fuoco.
TALETE
Ma nell'umido è nato ciò che vive.
HOMUNCULUS fra i due
Lasciatemi andare al vostro fianco.
Avrei voglia anch'io di nascere!
ANASSAGORA
Talete, hai mai estratto un monte simile
da sabbie umide in una sola notte?
TALETE
Nel suo vivo fluire mai Natura
fu costretta da giorni e notti e ore.
Essa dà forma e norma a ogni figura,
neppure in ciò che è grande c'è violenza.
ANASSAGORA
Ma qui ci fu! Truce plutonio fuoco,
con schianto immane di vapori eolici,
ruppe la vecchia crosta della piana,
e di colpo ne nacque un nuovo monte.
TALETE
E con questo che cosa si dimostra?
Il monte è qua, e questo in fondo è bene.
Con queste dispute si spreca solo il tempo,
menando per il naso il pubblico paziente.
ANASSAGORA
Già il monte è brulicante di Mirmídoni
svelti, nelle fessure delle rocce;
di Pigmei, Formiche, Pollicini
e altri piccoli esseri operosi.
A Homunculus
Non hai mai aspirato a cose grandi,
sei vissuto rinchiuso, da eremita;
se farai l'abitudine al comando,
ti farò incoronare loro re.
HOMUNCULUS
Che dice il mio Talete?
TALETE
Lo sconsiglia;
coi piccoli si fanno cose piccole,
con i grandi il piccolo grandeggia.
Guarda la nera nube delle gru!
Essa minaccia quel popolo ribelle,
minaccerebbe anche il loro re.
Con becchi affilati e zampe adunche,
calano su quei nani a lacerarli;
una sorte fatale già balena.
L'empietà fece strage di aironi,
intorno al pacifico stagno.
Ma la pioggia dei dardi assassini
scatena una vendetta sanguinosa,
eccita il furore dei parenti,
la sete di empio sangue dei Pigmei.
A che valgono elmi, scudi, lance?
A che giovano ai nani le piume luccicanti?
Dattili e Formiche si rintanano!
L'esercito vacilla, fugge, è in rotta.
ANASSAGORA dopo una pausa, in tono solenne
Se finora ho lodato gli dèi Inferi,
in questo caso mi rivolgo ai Superi...
O tu lassù, eternamente giovane,
dea di tre nomi e di tre forme,
te invoco nel dolore del mio popolo,
Diana, Luna, Ecate!
Tu che dilati il petto, che mediti in profondo,
tu di placido lume, di intima violenza,
squarcia il crudele abisso alle tue ombre,
senza magia si sveli la tua potenza antica!
Pausa
Troppo presto esaudito?
La mia preghiera
a quelle altezze
ha turbato l'ordine della Natura?
Sempre, sempre più grande si avvicina
il trono della dea dentro il suo cerchio,
spaventevole all'occhio, gigantesco!
Il suo fuoco si fa di rosso cupo...
Ferma, possente minaccioso cerchio!
Tu spazzi via noi, la terra, il mare!
Sarebbe vero che le donne tèssale
fiduciose in un'empia magia
coi canti ti han rapita alla tua via,
ti han carpito i poteri più nefasti?...
Lo scudo luminoso si è oscurato,
e di colpo si lacera e fulmina e scintilla!
Che sibili! Che scoppi!
Tuono, strepito di venti! -
Umiliatevi ai gradini del trono! -
Perdonatemi! Io ho evocato questo.
Si getta faccia a terra
TALETE
Che cosa non ha udito, non ha visto costui!
Non so bene come ci sia successo,
ma di quel che ha provato non ho avvertito nulla.
Ammettiamolo, sono ore di follia,
e la luna comoda si culla
al suo posto, proprio come prima.
HOMUNCULUS
Guardate dove stavano i Pigmei!
Il monte era rotondo, adesso è a punta.
Ho sentito uno schianto colossale,
la roccia era caduta dalla luna;
senza guardare amici né nemici,
con un colpo ha schiacciato, ucciso tutti.
E tuttavia devo lodare l'arte
creativa che in una sola notte,
lavorando dal basso e dall'alto,
ha dato forma alla montagna.
TALETE
Sta' tranquillo! Era solo nel pensiero.
Tanto peggio per quella razza orribile!
Buon per te che non ne fosti il re.
Via ora alla gaia festa del mare,
che attende e onora prodigiosi ospiti.
Si allontanano
MEFISTOFELE arrampicandosi dalla parte opposta
Mi tocca trascinarmi tra radici
secche di vecchie querce, e rupi impervie!
Nel mio Harz i vapori resinosi
sanno di pece, e questo è di mio gusto,
quasi come lo zolfo... Ma qui, fra questi Greci,
non se ne sente il più lontano odore;
chissà come faranno ad attizzare
le fiamme e i tormenti dell'Inferno.
UNA DRIADE
Sfoggia nel tuo paese la sapienza locale,
qui all'estero non ti sai comportare.
Non dovresti pensare a casa tua,
ma onorar la maestà di queste querce sacre.
MEFISTOFELE
Si pensa sempre a quel che si è lasciato;
dove si è abituati, là resta il Paradiso.
Dite: alla luce fioca, in quella grotta,
che sono le tre forme rannicchiate?
LA DRIADE
Le Forciadi! Avventurati fin là
e parla ad esse, se non ti fan ribrezzo.
MEFISTOFELE
Perché no! - Cosa vedo, con stupore!
Con tutto il mio orgoglio, devo ammetterlo:
non ho visto mai nulla di simile,
quelle son peggio della mandragora...
Persino i peccati capitali
chi potrà più trovarli appena brutti,
se vede questa triade mostruosa?
Noi non le ammetteremmo sulla soglia
del più raccapricciante degli Inferni.
Hanno radici qui, nella patria del bello,
e poi lo vantano come il mondo classico...
Si muovono, sembra che mi fiutino,
stridono e fischiano, pipistrelli-vampiri.
LE FORCIADI
Datemi l'occhio, sorelle, perché indaghi
chi osa avvicinarsi al nostro tempio.
MEFISTOFELE
Reverendissime! Permettete che mi accosti,
e riceva la vostra benedizione triplice.
Mi faccio avanti, sì, da sconosciuto,
ma, se non erro, parente alla lontana.
Ho visto tanti dèi antichi e degni,
mi sono prosternato a Ops e a Rea;
le stesse Parche, sorelle del Caos
e vostre, le ho viste ieri - o ieri l'altro;
ma di simile a voi nulla ho mai visto.
Incantato, resto senza parole.
LE FORCIADI
Sembra uno spirito pieno di giudizio.
MEFISTOFELE
Ma che nessun poeta vi elogi mi sorprende.
Ditemi: come fu, come ha potuto essere?
Non vi ho mai viste, degnissime, in ritratto;
su di voi si cimenti lo scalpello,
non su Giunone, Pallade, Venere e le altre.
LE FORCIADI
Assorte in solitudine e in silenziosa notte,
nessuna di noi tre ci ha mai pensato!
MEFISTOFELE
Come avreste potuto? Appartate dal mondo,
non vedete nessuno e nessuno vi scorge.
Dovreste vivere dove lo sfarzo e l'arte
siedono insieme sullo stesso trono,
dove ogni giorno un marmo ed un eroe
di slancio insieme nascono alla vita.
Dove -
LE FORCIADI
Taci, non crearci desideri!
Saperla lunga, a che ci gioverebbe?
Nate alla notte, siamo alla notte affini,
a tutti ignote, e quasi anche a noi stesse.
MEFISTOFELE
Nel nostro caso questo non vuol dire,
se ci si può trasfondere negli altri.
A voi tre basta un occhio, basta un dente;
e la mitologia consentirebbe
di compendiare in due l'essenza delle tre,
e prestarmi la forma della terza,
per breve tempo.
UNA
Che ne pensate? Sì?
LE ALTRE
Proviamo! - Ma senza l'occhio e il dente.
MEFISTOFELE
Così mi rifiutate proprio il meglio;
il ritratto non riuscirà perfetto!
UNA
Chiudi tu un occhio, è presto fatto,
metti in mostra uno dei denti adunchi,
e di profilo verrai a somigliarci
perfettamente, come una sorella.
MEFISTOFELE
Troppo onore! Sia!
LE FORCIADI
Sia!
MEFISTOFELE come Forciade, di profilo
Eccomi qua,
figlio dilettissimo del Caos!
LE FORCIADI
Figlie del Caos lo siamo, è incontestabile.
MEFISTOFELE
Che onta, mi diranno ermafrodito.
LE FORCIADI
Bellissime le tre nuove sorelle!
Adesso abbiamo due occhi e due denti.
MEFISTOFELE
Dovrò nascondermi davanti a tutti,
per spaventare i diavoli negli stagni d'Inferno.
Esce
BAIE ROCCIOSE DEL MARE EGEO
Luna immobile allo zenit
LE SIRENE adagiate qua e là sugli scogli, cantano e suonano flauti
Se altre volte in notti d'orrore
empiamente le tessale maghe
ti fecero scender dal cielo,
guarda adesso tranquilla dall'arco
della notte il diffuso splendore
che accarezza i flutti tremanti,
e illumina l'alto tumulto
che si leva su dalle onde!
Noi ti offriamo i nostri servigi,
sii benigna con noi, bella Luna!
LE NEREIDI E I TRITONI come mostri marini
Lanciate più acuti gli squilli,
trapassate l'ampiezza del mare,
per chiamare le genti dei baratri!
Dalle fauci crudeli in tempesta
noi fuggimmo nei fondi più quieti,
ora un canto leggiadro ci attira.
Guardate con quale tripudio
ci adorniamo di auree catene,
e uniamo a gioielli e corone
fermagli e preziose cinture!
Tutto questo a voi lo dobbiamo.
I tesori inghiottiti dei naufraghi
li attiraste a noi con il canto
voi, dèmoni della nostra baia.
LE SIRENE
Noi sappiamo che il pesce nel mare,
dondolandosi ad agio nel fresco,
vive e scivola senza dolore;
ma, o festose e mobili schiere,
oggi noi vorremmo vedere
che valete assai più dei pesci.
LE NEREIDI E I TRITONI
Prima ancora di giungere qui
ne avevamo già fermo proposito;
sorelle, fratelli, più svelti!
Oggi basta un minimo viaggio
per provare in modo perfetto
che valiamo assai più dei pesci.
Si allontanano
LE SIRENE
In un attimo sono lontani!
Dritti verso Samotracia,
svaniti col vento in favore.
Nel regno degli incliti Cábiri
che vanno pensando di fare?
Sono dèi! Ma a nessuno somigliano,
sempre riproducono se stessi
e non sanno mai che cosa sono.
Resta immobile in alto,
benigna, dolce Luna,
perché la notte duri,
e non ci scacci il giorno!
TALETE sulla riva, a Homunculus
Ti vorrei condurre al vecchio Nèreo;
la sua grotta ormai non è lontana,
ma ha la testa dura,
quell'intrattabile brontolone.
Per quel burbero l'intera umanità
non combina mai niente di buono.
Ma l'avvenire gli è dischiuso,
per questo tutti lo rispettano
e ne onorano l'ufficio;
a qualcuno ha fatto anche del bene.
HOMUNCULUS
Proviamo a bussare! Non ne andranno
subito perduti vetro e fiamma.
NEREO
Sono voci di uomini che arrivano al mio orecchio?
La rabbia già mi monta in fondo al cuore!
Sempre tesi a raggiungere gli dèi,
e condannati sempre a somigliarsi.
Da anni avrei goduto un riposo divino,
ma mi sentivo spinto a giovare ai migliori;
e alla fine era, a guardare i fatti,
come se non li avessi consigliati.
TALETE
Pure, vecchio del mare, si ha fiducia in te;
tu sei il saggio, non cacciarci via!
E guarda questa fiamma; simile all'uomo, è vero,
si affida interamente al tuo consiglio.
NEREO
Che consiglio! A che è mai valso agli uomini?
Una parola saggia in duro orecchio impietra.
Per quanto spesso un gesto crudelmente
da sé si biasimasse, rimangono ostinati.
Quanto ammonii paternamente Paride,
prima che seducesse lascivo una straniera.
Ardito stava sulla riva greca,
io gli annunciai quel che vedevo in spirito:
l'aria densa di fumo, il rosso che dilaga,
le travi ardenti, e sotto eccidio e morte:
il giudizio di Troia, fisso per sempre in ritmi,
nei millenni famoso e spaventevole.
La parola del vecchio parve un gioco al protervo,
seguì la sua lascivia, e Ilio cadde -
immenso corpo, immobile dopo lungo soffrire,
pasto grato alle aquile del Pindo.
Ulisse poi! Non gli predissi forse
le malizie di Circe, l'orrore dei Ciclopi?
I suoi tentennamenti, l'imprudenza dei suoi,
e tutto il resto! Ci ha forse guadagnato?
Assai tardi, ed a lungo sbalestrato dai flutti,
fu da un'onda propizia tratto a riva ospitale.
TALETE
Questo contegno fa soffrire il saggio;
ma l'uomo buono tenta un'altra volta.
Poca riconoscenza, a rallegrarlo,
pesa più di un'immensa ingratitudine.
Ciò di cui t'imploriamo non è cosa da poco:
questo ragazzo vuol saviamente nascere.
NEREO
Non guastate un umore più unico che raro!
Oggi da ben altro sono atteso:
ho qui chiamato tutte le mie figlie,
le Dóridi, le Cáriti del mare.
Né l'Olimpo né il vostro suolo portano
creature così belle, così leggiadre a muoversi.
Si lanciano con grazia impareggiabile
dai draghi acquatici ai cavalli marini,
così leggere e unite all'elemento,
che anche la schiuma sembra sollevarle.
La conchiglia di Venere, in gioco di colori,
porterà Galatea, la mia più bella,
che, da quando Cipríde ci ha lasciati,
è venerata a Pafo come dea.
Da tempo la benevola possiede, come erede,
la città sacra ed il cocchio regale.
Andate! In un'ora di gioia paterna
l'odio non giova al cuore, né il rimprovero al labbro.
Da Proteo andate! Domandate al mago
come si possa nascere e mutarsi.
Si allontana verso il mare
TALETE
Con questo passo non s'è ottenuto niente,
se trovi Proteo, si dilegua subito;
e anche se rimane, alla fine dà solo
risposte che sorprendono e confondono.
Ma se quello è il consiglio che ti serve,
tentiamo e proseguiamo nel cammino!
Si allontanano
LE SIRENE in alto sugli scogli
Che vediamo da lontano
scivolare sulle onde?
Come se spinte dal vento
vele bianche si accostassero,
luminose già risaltano
radiose donne marine.
Scendete giù dagli scogli,
sentite le voci vicine.
LE NEREIDI E I TRITONI
Ciò che noi portiamo in mano
sarà a tutti di conforto.
Il gran scudo di Chelone
raggia immagini severe:
sono dèi che noi rechiamo;
voi levate in alto i canti.
LE SIRENE
Piccoli di figura
e grandi di potere,
salvatori dei naufraghi,
dèi da sempre onorati.
LE NEREIDI E I TRITONI
Noi rechiamo i Cabiri
alla festa di pace;
dove essi sacri regnano,
Nettuno sarà amico.
LE SIRENE
A voi dobbiamo cedere;
se naufraga una nave,
con forza irresistibile
scampate l'equipaggio.
LE NEREIDI E I TRITONI
Ne abbiam portati tre,
il quarto non voleva;
diceva esser l'autentico,
che pensava per tutti.
LE SIRENE
Un dio di un altro dio
può certo farsi beffe.
Lodatene i favori,
e temetene i danni.
LE NEREIDI E I TRITONI
Ma in realtà sono sette.
LE SIRENE
Che ne è degli altri tre?
LE NEREIDI E I TRITONI
Non sapremmo che dire,
chiedetene in Olimpo,
dove c'è anche l'ottavo,
cui nessuno pensava!
Ci attendono benigni,
tutti però imperfetti.
Esseri incomparabili,
tendono sempre oltre,
affamati si struggono
dietro l'irraggiungibile.
LE SIRENE
Noi siamo abituate
dovunque ci sia un trono,
sul sole o sulla luna,
ad adorarlo; è utile.
LE NEREIDI E I TRITONI
Quale gloria altissima per noi
introdurre questa festa!
LE SIRENE
La gloria degli eroi
del mondo antico è vinta,
per quanto fosse alta,
il loro premio è stato il Vello d'oro,
il vostro i Cabiri.
Il canto di tutti ripete
Il loro premio è stato il Vello d'oro,
il nostro
i Cabiri
il vostro
Le Nereidi e i Tritoni vanno oltre
HOMUNCULUS
Io vedo degli esseri informi,
come vasi di coccio mal fatti,
i saggi ci danno di cozzo
e le teste dure si rompono.
TALETE
Ma appunto a questo si aspira:
il pregio della moneta è nella ruggine.
PROTEO non visto
Questo mi va, da vecchio favoliere!
Più è bizzarro, più è rispettabile.
TALETE
Proteo, dove sei?
PROTEO parlando come un ventriloquo, ora vicino, ora lontano
Qui! E qui!
TALETE
Ti perdono il vecchio scherzo;
ma a un amico niente parole vane!
Lo so che dove parli non ti trovi.
PROTEO come in lontananza
Addio!
TALETE piano, a Homunculus
È vicinissimo. Lancia una luce viva!
È curioso come un pesce;
dove e in che forma sia,
è attirato dalle fiamme.
HOMUNCULUS
Mando subito luce in quantità,
ma non tanta da rompere il cristallo.
PROTEO in forma di tartaruga gigante
Che cosa è questa graziosa luce?
TALETE coprendo Homunculus
Bene! Se vuoi vederla più da vicino, puoi.
Non ti incresca però una piccola fatica,
mostrati umanamente su due gambe.
Chi vuol guardare ciò che nascondiamo,
lo faccia con il nostro beneplacito.
PROTEO sotto nobile aspetto
Conosci ancora trucchi da filosofo.
TALETE
Tu godi ancora a mutare forma.
Scopre Homunculus
PROTEO con stupore
Un nanetto che luccica! Mai visto!
TALETE
Vorrebbe nascere e domanda consiglio.
Ho saputo da lui che è venuto al mondo
solo a metà, per caso straordinario.
Le doti spirituali non gli mancano,
ma del tutto le attive e le tangibili.
Solo il vetro per ora gli dà peso,
e vorrebbe al più presto incorporarsi.
PROTEO
Sei proprio il figlio della verginella,
non dovresti ancora, e sei già qui!
TALETE a bassa voce
E c'è, mi pare, un altro punto critico:
è, o così mi pare, ermafrodito.
PROTEO
Così si riuscirà più facilmente;
dovunque andrà a finire sarà a posto.
Qui non c'è molto da riflettere:
dal vasto mare aperto dovrai muovere!
Là da principio si comincia in piccolo,
si gode ad inghiottire i piccolissimi,
a poco a poco ci si fa più grandi
e ci si forma a più alti compimenti.
HOMUNCULUS
Qui spira un'aria soffice, si sente odor di verde
dopo la pioggia; il profumo mi piace!
PROTEO
Lo credo bene, carissimo ragazzo!
E dopo sarà ancora più piacevole,
su questa lingua di sottile spiaggia
il cerchio dei profumi ancora più ineffabile;
là vedremo abbastanza vicino
il corteo che si avanza fluttuando.
Venite con me laggiù!
TALETE
Vengo con te.
HOMUNCULUS
Che strano trio di spiriti in cammino!
Telchini di Rodi, su ippocampi e draghi marini, in pugno il tridente di Nettuno
CORO
Abbiamo forgiato a Nettuno il tridente
col quale egli placa le onde violente.
Se gonfie dispiega le nubi il Tonante,
all'orrido rombo Nettuno risponde;
e come dall'alto le folgori guizzano,
dal basso le onde su onde si avventano;
chi è preso nel mezzo in lotta angosciosa,
a lungo sbattuto lo inghiotte l'abisso;
per questo egli oggi ci porse lo scettro -
e lievi scorriamo, festosi e mansueti.
LE SIRENE
Salute a voi, sacri ad Elios,
benedetti dal giorno giocondo,
nell'ora commossa che incita
a rendere onore alla Luna!
I TELCHINI
O dea amatissima, al sommo dell'arco!
Tu ascolti felice le lodi al fratello.
Tu volgi l'orecchio a Rodi beata,
da cui a lui sale eterno un peana.
Cominci o concluda il corso del giorno,
ci guarda con raggi di fuoco il suo sguardo.
Montagne e città, le rive e le onde
se piacciono al dio sono chiare e ridenti.
Non c'è nebbia intorno, e se s'insinuasse,
un raggio, uno zefiro, e l'isola è sgombra!
Là il nume si ammira in cento figure,
grandioso e benigno, ragazzo e gigante.
Potenze divine, noi demmo per primi
a voi le sembianze di uomini degni.
PROTEO
Lascia che cantino, lascia che millantino!
Per i raggi del sole, santi e vivi,
le opere morte non sono che trastullo.
Instancabili fondono e modellano;
e quando poi hanno gettato il bronzo,
credono che sia chissà che cosa.
Ma tanto orgoglio dove va a finire?
Grandi si ergevano le statue degli dèi -
poi un terremoto le distrusse;
da molto tempo sono ormai rifuse.
Comunque affaccendarsi sulla terra
non è che fatica e patimento;
l'onda giova di più alla vita;
nelle acque eterne ti porterà
Proteo-Delfino.
Si trasforma
Ecco, è già fatto!
Là incontrerai una sorte bellissima:
ti prenderò sulla mia groppa,
ti mariterò all'Oceano.
TALETE
Cedi al lodevole proposito
di seguir la creazione dal principio!
Preparati ad agire con prontezza!
Ti muoverai, seguendo norme eterne,
attraverso le mille e mille forme,
tempo ne avrai per arrivare all'uomo.
Homunculus sale su Proteo-Delfino
PROTEO
Vieni spiritualmente sulle umide distese,
dove vivrai spaziando in lungo e in largo,
dove ti muoverai a piacimento;
ma non tendere agli ordini più alti:
perché una volta che sei fatto uomo,
per te sarà subito finita.
TALETE
Dipende dalle volte; è bello anche
essere, a suo tempo, un uomo in gamba.
PROTEO a Talete
Allora che sia uno del tuo stampo!
Così poi dura per un pezzo;
fra le pallide schiere degli spiriti
ti vedo già da centinaia d'anni.
LE SIRENE sulle rocce
Quale anello di piccole nuvole
arrotonda alla luna un ricco cerchio?
Sono colombe che ardono d'amore,
come la luce candide le ali.
Questa schiera di uccelli devoti
Pafo l'ha mandata qui;
la nostra festa è ormai perfetta,
voluttà piena, limpida e serena.
NEREO avvicinandosi a Talete
Un viandante notturno direbbe
che l'alone lunare è foschia;
ma siamo di un'altra opinione
e dell'unica giusta noi spiriti:
sono colombe, e accompagnano
mia figlia nel viaggio sul guscio,
singolare mirabile volo,
che appresero in tempi remoti.
TALETE
Anch'io ritengo che il meglio
sia ciò che piace al magnanimo,
se in un tacito, tiepido nido
tiene vivo qualcosa di sacro.
GLI PSILLI E I MARSI su tori, vitelli e arieti marini
A Cipro in cavi, scabri recessi,
che il dio del mare non colma,
che Sismo non giunge a sconvolgere,
che zefiri eterni circondano,
noi, come ai giorni più antichi,
in tacito assorto benessere
vegliamo sul carro di Cipride
e nel mormorio delle notti,
su un intreccio di onde amorose,
invisibili alle nuove stirpi,
portiamo la figlia amatissima.
Non temiamo, in silenzio operosi,
né l'aquila né il leone alato,
né croce né mezzaluna;
chiunque abiti e regni su in alto,
agitato in alterne vicende,
uccidendo, scacciando e scacciato,
annientando raccolti e città,
noi continuiamo per sempre
a portare l'amata regina.
LE SIRENE
Muovendo lievi, non troppo rapide,
intorno al carro, di cerchio in cerchio,
disegnando spirali congiunte,
serpeggiando in file distese,
accostatevi, svelte Nereidi,
donne rudi, scontrose e piacevoli,
e portate, voi tenere Doridi,
Galatea, che alla madre somiglia:
seria in volto come una dea,
degna di essere immortale,
ma incantevole di grazia
come amate donne umane.
LE DORIDI in coro passando davanti a Nereo, tutte su delfini
A noi, Luna, concedi luce ed ombra,
e il tuo sereno a quei fiorenti giovani!
Perché veniamo a presentare al padre
dei cari sposi, con una preghiera.
A Nereo
Sono ragazzi, che noi salvammo
dalle fauci crudeli dei frangenti,
che, coricati su muschio e giunchi,
riscaldammo e rendemmo alla luce;
adesso con i loro baci ardenti
e fedeli dovranno ripagarci;
guarda con favore i nostri amati!
NEREO
Doppio guadagno, molto apprezzabile,
unire compassione e godimento.
LE DORIDI
Se lodi, padre, il nostro gesto,
concedici il piacere meritato,
fa' che possiamo stringerli per sempre
al nostro petto eternamente giovane.
NEREO
Rallegratevi della bella preda,
fate un uomo di ogni giovinetto;
ma io non potrei mai attribuire
ciò che soltanto Zeus può garantire.
L'onda che vi spinge avanti e indietro
non permette all'amore di fermarsi,
quando il capriccio avrà esaurito i giochi,
deponeteli comodamente a riva.
LE DORIDI
Giovani amati, vi vogliamo bene,
ma con tristezza dobbiamo separarci;
volevamo un'eterna fedeltà,
ma gli dèi non la possono soffrire.
I GIOVINETTI
Oh, se continuaste a vezzeggiare
noi giovani provetti marinai;
così bene non siamo stati mai
e meglio non vorremmo stare.
Galatea si avvicina sul carro a conchiglia
NEREO
Sei tu, mia diletta!
GALATEA
O padre! Che gioia!
Delfini, indugiate! Lo sguardo mi avvince.
NEREO
Passano oltre, sono già passati
di slancio, muovendosi in cerchio;
che importa a loro dei moti del cuore!
Ah, se mi portassero con sé!
Ma il piacere di un unico sguardo
può valere per un anno intero.
TALETE
Evviva! Evviva! Evviva di nuovo!
Mi sento sbocciare alla gioia,
il bello, il vero mi inonda...
È dall'acqua che tutto scaturisce!!
È nell'acqua che tutto si conserva!
Oceano, dacci la tua azione eterna.
Se tu non mandassi le nuvole,
se tu non gonfiassi i ruscelli,
se tu non guidassi i torrenti,
se non portassi acqua ai grandi fiumi,
che sarebbero i monti, che le pianure e il mondo?
Sei tu che conservi la vita più florida.
L'ECO coro di tutti i cerchi
Sei tu da cui sgorga la vita più florida.
NEREO
Ritornano ondeggiando in lontananza,
non recano più sguardo a sguardo;
in spirali che si allungano,
obbediente al rito della festa,
la schiera innumerevole si avvolge.
Ma vedo un'altra volta, un'altra ancora
Galatea sul trono di conchiglia.
Brilla come una stella
tra la folla.
Ciò che si ama riluce nella massa!
Per lontano che sia,
risplende chiaro e limpido,
sempre vicino e vero.
HOMUNCULUS
Su queste acque benigne
tutto ciò che io illumino
è immensamente bello.
PROTEO
Su queste acque viventi
splende ora la tua luce
con un suono magnifico.
NEREO
Che nuovo segreto in mezzo alle schiere
vorrà ora svelarsi agli occhi incantati?
Che cosa fiammeggia di Galatea ai piedi?
Divampa ora forte, ora tenero e dolce,
e come lo muovano impulsi d'amore.
TALETE
Homunculus è, da Proteo sedotto...
I sintomi sono di un fervido anelito,
immagino il gemito, lo schianto d'angoscia;
già corre ad infrangersi sul trono splendente;
un lampo, una fiamma, ed ecco è già sparso.
LE SIRENE
Che ardente prodigio rischiara le onde,
che brillano e cozzano le une sulle altre?
Risplende e si libra e lontano riluce:
ne ardono i corpi nel viaggio notturno,
intorno è dovunque un gran cerchio di fiamme;
così regni Eros, che tutto comincia!
Viva il mare! Viva l'onda,
cinta da una sacra fiamma!
Viva l'acqua! Viva il fuoco!
Viva l'avventura rara!
TUTTI IN CORO!
Vivano i venti che soffiano miti!
Vivan le grotte ricche di misteri!
Che tutto intorno si alzi alta la lode
a tutti voi quattro elementi!
ATTO TERZO
DAVANTI AL PALAZZO DI MENELAO A SPARTA
Elena si fa avanti con il coro delle prigioniere troiane
Pantalide corifea
ELENA
Ammirata molto e molto insultata io, Elena,
giungo qui dalle sponde dove or ora approdammo,
stordita ancora dal mobile dondolìo dei flutti
che ci portarono, dai piatti campi di Frigia,
sull'alto dorso irsuto, con il favore di Posidone
e la forza di Euro, alle baie della patria.
Laggiù adesso Menelao, il re, si allieta
del ritorno, con i suoi guerrieri più prodi.
Ma tu dammi il benvenuto, alta magione,
che Tindaro, mio padre, costruì al suo ritorno
per sé, presso il pendio dell'altura di Pallade,
e, mentre io crescevo, sorella a Clitennestra,
e giocavo gioiosa con Castore e con Polluce,
più di tutte le case di Sparta rendeva magnifica.
Salute a voi, battenti della porta di bronzo!
Spalancandovi un giorno in invito ospitale
voi concedeste a Menelao, fra molti eletto,
di raggiare incontro a me in figura di sposo.
Apritevi di nuovo perché, come si addice alla sposa,
io adempia fedelmente l'ordine urgente del re.
Lasciatemi entrare! E resti alle mie spalle
tutto ciò che fin qui fatalmente mi turbinò intorno.
Poiché da quando lasciai spensierata la soglia
per rendermi al tempio di Cìtera, sacro dovere,
e là mi afferrò un rapitore, uomo di Frigia,
molto successe, che in lungo e in largo gli uomini
amano tanto narrare, e non ama ascoltare colui
la cui vicenda, crescendo, si fece leggenda.
CORO
Non disdegnare, donna magnifica,
l'onore e il possesso del bene supremo!
Tu sola avesti in dono la fortuna più grande,
la gloria della bellezza, che sopra tutte si leva.
Risuona il suo nome davanti all'eroe,
ed egli ne incede superbo;
ma subito anche l'uomo più caparbio
si sottomette alla bellezza che tutto doma.
ELENA
Non più! Qui giunsi per nave con il mio consorte,
che nella sua città ora mi manda a precederlo;
ma quale proposito covi, io non lo indovino.
Vengo come consorte? Vengo come regina?
O vengo come vittima per l'amaro dolore del principe
e per la sorte contraria a lungo patita dai Greci?
Conquistata lo sono; se prigioniera, non so.
Poiché gli immortali a me destinarono fama
e destino ambigui, compagni sospetti alla bella
figura; e anche qui, accanto alla soglia,
mi stanno accanto, sinistra e minacciosa presenza.
Poiché già nella concava nave il consorte di rado
mi volse lo sguardo, e mai disse parola di aiuto.
Come se meditasse sventure sedeva di fronte.
Ma non appena, raggiunta la costa profonda
della baia d'Eurota, i rostri delle prime navi
salutarono terra, parlò come mosso da un dio:
"Qui scendano i miei guerrieri, fila per fila,
li passerò in rivista, schierati lungo la spiaggia;
tu invece prosegui, tu continua a seguire
le sponde del sacro Eurota, ricche di frutti,
guidando i destrieri sul fasto degli umidi prati,
fino a che tu giungerai alla bella pianura
dove Lacedemone, campo già vasto e fecondo,
cinta da presso da monti severi si erige.
Entra poi nella casa regale, dalle alte torri,
e passa in rassegna le ancelle che io vi lasciai,
insieme alla vecchia, saggia governante.
Là essa ti mostri l'accolta dei ricchi tesori,
quali tuo padre lasciò e che io stesso
in guerra e in pace, accrescendoli sempre, ammucchiai.
Troverai ogni cosa disposta in bell'ordine; infatti
è privilegio del principe che ritornando
fedelmente tutto ritrovi nella sua casa,
ed ogni cosa al suo posto, come lui la lasciò.
Perché nulla può il servo mutare secondo il suo arbitrio".
CORO
Ristora dunque al magnifico tesoro,
in perpetuo accresciuto, gli occhi e il cuore!
Monili adorni, gioielli di corone
riposano là fieri, credendosi gran cosa;
ma entra tu e lancia la tua sfida,
prenderanno subito le armi.
Mi rallegra veder la bellezza contendere
contro oro e perle e nobili pietre.
ELENA
Ma continuava il signore con imperiose parole:
"Quando avrai controllato ogni cosa secondo il suo ordine,
prendi allora dei tripodi, quanti crederai necessari,
e i vasi di varia forma che il sacrificante
desidera a mano nel compiere il sacro rito solenne.
E il paiolo, e le coppe, e il piatto tagliere rotondo;
nelle alte anfore vi sia l'acqua più pura
della fonte sacra; poi tieni là pronta
la legna asciutta, che rapidamente s'infiamma;
e per finire non manchi un ben affilato coltello;
ma ogni altra cosa io alla tua cura commetto".
Così parlò facendomi fretta al congedo; ma nulla
egli ordinando indicava, che viva e respiri,
che voglia immolare in onore agli dei dell'Olimpo.
Questo dà da pensare; ma non mi preoccupo oltre,
e tutto rimanga affidato alle mani dei Superi,
che sempre vanno compiendo quel che la mente gli detta,
sia che esso sia ritenuto dagli uomini un bene
oppure un male; a noi tocca, mortali, subire.
Più volte levò il sacerdote offerente la scure pesante
alla nuca dell'animale piegata giù al suolo
e non poté terminare, perché lo impediva
improvviso l'arrivo del nemico vicino o di un dio.
CORO
Quel che avverrà non saprai penetrarlo;
regina, fatti avanti
di buon animo!
Inatteso agli uomini
giunge il bene ed il male;
anche annunciato, noi non lo crediamo.
Bruciò pure Troia, e vedemmo davanti
agli occhi la morte, una morte infamante;
e non siamo qui ora con te
pronte a servirti con gioia,
non guardiamo nel cielo il sole accecante
e sulla terra ciò che vi è di più bello,
te, a noi fortunate benigna?
ELENA
Sia come sia! Qualunque cosa incomba, si addice
a me senza indugio salire alla casa regale,
che, a lungo rimpianta e assai sospirata e quasi per mia
colpa perduta, di nuovo mi sta avanti agli occhi,
come, non so. Ma esitanti i piedi mi portano
sugli alti gradini che io saltavo bambina.
Esce
CORO
Gettate lontano, sorelle,
ogni dolore, voi
tristi prigioniere;
unitevi alla felicità della sovrana,
unitevi alla felicità di Elena,
che al focolare paterno,
certo con piede tardivo,
ma per questo più saldo,
gioiosamente si accosta.
Lodate i sacri dei,
che la felicità ridonano
e riportano in patria!
Chi è sciolto dai vincoli
si libra come su ali
sui luoghi più aspri, e invano
il prigioniero si strugge
di nostalgia e oltre le mura
del carcere tende le braccia.
Ma lei fu afferrata da un dio,
l'esiliata;
e dalle macerie di Ilio
qui la ricondusse,
nell'antica, a nuovo adornata
casa del padre,
dopo indicibili
gioie e tormenti,
a ravvivar la memoria
della prima gioventù.
PANTALIDE come corifea
Lasciate ora i giocondi sentieri del canto
e volgete lo sguardo ai battenti della porta!
Che cosa vedo, sorelle? Non torna la regina
verso di noi con un moto impetuoso nel passo?
Che cos'è, gran regina, che cosa ha potuto
nelle sale della tua casa, invece del saluto dei tuoi,
venirti incontro a turbarti? Tu non lo nascondi;
poiché vedo contrarietà sulla tua fronte,
un nobile corruccio, che lotta con lo stupore.
ELENA esce agitata, lasciando aperti i battenti
Alla figlia di Zeus non si addice volgare paura,
né la tocca la mano fuggente e tacita dello spavento;
ma l'orrore che sale dal grembo della Notte antica
dai primi inizi del mondo, e in molteplici forme,
come dall'abisso di fuoco del monte nuvole ardenti,
in alto si svolge, anche all'eroe turba il petto.
Di tale raccapriccio oggi gli dei dello Stige
mi han segnato l'ingresso alla casa, che io volentieri
dalla soglia tante volte percorsa e a lungo desiderata,
come un ospite messo alla porta, andrei lontana.
Ma no! Fin qui alla luce mi sono ritirata, ma oltre
non mi caccerete, potenze, chiunque voi siate.
Al rito voglio pensare; purificata, la fiamma
del focolare darà il benvenuto alla padrona e al signore.
CORIFEA
Svela, nobile signora, alle tue ancelle,
che ti stanno a fianco devote, che è mai accaduto.
ELENA
Quello che ho visto vedrete voi stesse con gli occhi,
se la sua creatura non ha già richiamato e inghiottito
l'antica Notte nel fondo del grembo suo prodigioso.
Ma affinché lo sappiate, ve lo dirò con parole:
quando con passo solenne mi addentrai nell'austera
casa regale, pensando al dovere imminente,
mi stupiva il silenzio degli anditi deserti.
L'eco di passi solerti non incontrava l'orecchio,
né l'occhio un fervore di rapido affaccendarsi,
nessuna ancella mi apparve, né governante,
che sempre saluto amichevole porgono a ogni straniero.
Ma quando mi avvicinai al grembo del focolare,
là vidi, ai tiepidi resti di cenere che si consumava,
al suolo sedere una grande figura di donna velata,
che non pareva dormisse, piuttosto che meditasse.
Con imperiose parole io allora la chiamo al lavoro,
credendo sia lei la custode che previdente
forse il consorte lasciava a badare a quel compito;
ma lei immobile siede, in pieghe ravvolta;
solo alla fine, poiché la minaccio, solleva la destra,
quasi a spingermi via dalla sala e dal fuoco.
Irata le volgo le spalle e di corsa mi affretto
verso i gradini sui quali il talamo adorno
alto si erge, e vicina la stanza del tesoro;
ed ecco improvviso il prodigio si leva dal suolo,
imperioso mi sbarra la via e si mostra
di alta magrezza, cavo e fosco di sangue lo sguardo,
strana figura che l'occhio confonde e la mente.
Ma parlo ai venti; poiché la parola si sforza
invano a costruire e creare le forme.
Là vedete lei stessa! E osa uscire alla luce!
Qui nostro è il governo, finché il re e padrone non giunge.
E l'amico della bellezza Febo ricaccia
negli antri gli orribili parti della Notte, o li doma.
Forciade avanza sulla soglia tra gli stipiti della porta
CORO
Molto ho vissuto, benché giovanili
i riccioli ondeggino intorno alle tempie!
Molte ho veduto cose terribili,
lo strazio di guerra, la notte di Ilio,
quando cadde.
Nel tumulto di nubi di polvere
dei guerrieri all'assalto ho udito gli dei
spaventosi gridare, ho udito Discordia
con voce di bronzo tuonare dal campo,
verso le mura.
Ah! Stavano ancora di Ilio
le mura, ma la vampa di fiamme
correva ormai da una casa
all'altra, di qui, di là si allargava
al soffio della stessa sua tempesta
sulla città nella notte.
Fuggendo ho visto tra il fumo e le braci
e le lingue di fuoco avvampanti
i numi irati orribili appressarsi,
incedere figure prodigiose,
gigantesche, attraverso il fumo spesso
e nero illuminato dalle fiamme.
Lo vidi davvero quel caos,
o la mente recinta di angoscia
a me lo fingeva? Rispondere
non saprò mai, ma che ora io guardi
un simile orrore con gli occhi,
questo lo so con certezza;
e persino potrei con le mani
toccarlo, se dal pericolo
non mi tenesse via la paura.
Quale delle figlie
di Forcide sei tu?
Poiché ti assomiglio
a quella progenie.
Sei forse tu di quelle Graie
nate canute, che a vicenda si prestano
l'unico occhio ed il dente,
qui una venuta?
E tu osi, mostro,
mostrarti allo sguardo
conoscitore di Febo
accanto alla bellezza?
Ma continua pure a farti avanti;
poiché egli non guarda ciò che è brutto,
come il sacro suo occhio
non vide mai l'ombra.
Ma noi mortali, ah, purtroppo una triste
sorte malvagia costringe
all'indicibile pena per gli occhi
che il ripugnante, l'infausto per sempre
infligge a chi ama bellezza.
E ascolta allora, se tu insolente
ci vieni incontro, ascolta che maledice
e ogni sorta d'ingiuria minaccia la bocca
maleaugurante delle felici creature
formate a somiglianza degli dei.
FORCIADE
Antico è il detto, ma sempre alto e vero ne è il senso,
mai verecondia e bellezza insieme per mano
camminano lungo il verde sentiero della terra.
Odio antico e di profonde radici
le abita, così che dovunque si incontrino,
ognuna volta la schiena alla nemica.
A gara precipitose poi si allontanano,
la verecondia turbata, sfrontata la bellezza,
finché alla fine le abbraccia la notte cava dell'Orco,
se già prima l'età non le abbia domate.
E trovo voi, sfrontate, da una terra straniera
qui riversarvi con tracotanza, simili al corteo
delle gru dalle strida forti e roche, che sul nostro capo
in lunga nube gracchiano, così che lo strepito
attira il tranquillo viandante a sollevare
in alto lo sguardo; ma esse proseguono il loro cammino
ed egli il suo, e così sarà di noi.
Chi siete, da poter schiamazzare come ubriache
intorno all'alto palazzo regale con frenesia di Mènadi?
Chi siete, da ululare incontro alla custode
della casa, come alla luna la muta dei cani?
Immaginate che la vostra schiatta nascosta mi sia,
giovane covata nata in guerra, allevata alla strage?
Tu di maschi avida, sedotta e seduttrice,
che snervi la forza al guerriero come al cittadino!
Vedendovi là in mucchio, mi sembra che uno sciame
di cavallette cali a coprire i verdi campi.
Divoratrici della fatica altrui! Golose
annientatrici di ogni prosperità che sbocci!
Tu merce di scambio, conquistata e venduta al mercato!
ELENA
Chi insulta le ancelle davanti alla padrona
attenta temerario al suo diritto sulla casa;
poiché spetta a lei sola lodare ciò che è degno
di lode, come punire ciò che è riprovevole.
Inoltre io sono soddisfatta dei servigi
che esse mi prestarono quando l'alta forza di Ilio
fu cinta d'assedio e poi cadde e giacque, e non meno
quando soffrimmo l'alterno errare penoso del viaggio,
quando per solito ognuno è aiuto solo a se stesso.
E qui dalla schiera vivace mi aspetto altrettanto;
il signore non chiede chi sia il servo, ma come egli serva.
Perciò taci e cessa di sogghignare guardandole.
Se hai ben custodito fin qui la casa del re
in vece della padrona, ne avrai buona fama;
ma adesso viene lei stessa, e tu fatti indietro,
perché non diventi un castigo il meritato compenso!
FORCIADE
Minacciare i domestici resta un grande diritto
che l'alta consorte di un re benedetto dal dio
con i lunghi anni che savia dispose ha ben meritato.
Poiché tu, ora riconosciuta, di nuovo ti insedi
al posto antico, regina e padrona della casa,
afferra le redini da tempo allentate e governa,
prendi possesso del tesoro e di noi tutte quante.
Ma soprattutto proteggi me, la più vecchia,
da queste, che accanto al cigno della tua bellezza
non sono che oche mal pennute e starnazzanti.
CORIFEA
Come accanto alla bellezza brutta appare la bruttezza.
FORCIADE
Come stolta stoltezza accanto al senno.
Da qui in poi le coretidi rispondono uscendo a una a una dal coro
PRIMA CORETIDE
Dicci del padre Erebo, di tua madre la Notte.
FORCIADE
Tu parlaci di Scilla, tua sorella carnale.
SECONDA CORETIDE
Sull'albero degli avi hai mostri appollaiati!
FORCIADE
Vai giù all'Orco a cercarti gli antenati!
TERZA CORETIDE
Chi abita laggiù per te è troppo giovane.
FORCIADE
Tiresia, il vecchio, vai a sbaciucchiarti.
QUARTA CORETIDE
La nutrice di Orione era tua pronipote.
FORCIADE
Le Arpie, se non mi sbaglio, t'han nutrita a rifiuti.
QUINTA CORETIDE
Di che nutri le ossa di cui hai tanta cura?
FORCIADE
Non di sangue, di cui sei così avida.
SESTA CORETIDE
Tu, ingorda di carogne e schifoso cadavere!
FORCIADE
Hai denti di vampiro nella bocca impudente.
CORIFEA
Ti tapperei la tua, se dicessi chi sei.
FORCIADE
Allora di' il tuo nome, e l'enigma è risolto.
ELENA
Non corrucciata, ma triste io m'intrometto fra voi,
vietando gli eccessi della scambievole disputa!
Poiché non c'è danno maggiore che tocchi al signore e padrone
di un bubbone segreto di lite fra i servi fedeli.
L'eco dei suoi comandi allora più non gli torna
con l'accordo intonato dell'azione presto compiuta,
ma intorno a lui rintrona con arbitrario clamore,
ed egli stesso confuso invano lancia rimproveri.
Né solo questo. Ma avete nell'ira senza decoro
evocato tremende figure di immagini infauste,
che mi premono intorno, così che io stessa mi sento
trascinata all'Orco, a dispetto del patrio mio suolo.
È rimembranza? O un'illusione mi afferra?
Lo sono stata davvero, lo sono, sarò in avvenire
l'immagine orrenda di sogno della donna che annienta città?
Le fanciulle rabbrividiscono, ma tu, la più vecchia,
resti tranquilla; parla a me con parole assennate.
FORCIADE
Colui che a lunghi anni di varia fortuna ripensa
a lui sembra un sogno alla fine il più alto favore divino.
Ma tu, di favore colmata oltre segno e misura,
non vedevi nel corso degli anni che accesi d'amore,
infiammati subito a osare le audaci imprese più varie.
Già ti ghermiva assai presto, eccitato da brama, Tesèo,
forte come Eracle, uomo bello e di forme superbe.
ELENA
Mi rapiva snella cerbiatta di appena dieci anni,
e mi chiudeva la rocca di Afidno nell'Attica.
FORCIADE
Presto liberata da Castore e da Polluce, poi,
un'eletta schiera di eroi ti chiedeva in sposa.
ELENA
Ma il tacito favore, mi è grato confessarlo,
più di tutti andò a Patroclo, ritratto del Pelíde.
FORCIADE
Ma il volere paterno ti affidò a Menelao,
audace a far preda sul mare, e buon custode di casa.
ELENA
A lui diede la figlia, diede il governo del regno.
Dal connubio nuziale nasceva quindi Ermione.
FORCIADE
Ma quando lontano lottava per il retaggio di Creta,
l'audace, a te, sola, apparve un ospite di troppa bellezza.
ELENA
Perché rammenti quando io fui quasi vedova,
e quale orrenda rovina da quello mi nacque?
FORCIADE
Quel viaggio anche a me, nata libera a Creta,
portava prigionia, lunga schiavitù.
ELENA
Custode qui tuttavia ti fece subito, e ti affidava
molto, la rocca e i tesori audacemente predati.
FORCIADE
Che tu abbandonavi, volgendoti alla città di Ilio,
cinta di torri, e alle inesauste gioie d'amore.
ELENA
Non rammentare le gioie! Troppo amaro infinito
dolore si rovesciava sul petto e sul capo.
FORCIADE
Ma si dice che tu apparissi in duplice forma,
veduta a Ilio e anche veduta in Egitto.
ELENA
Non smarrire del tutto la mente che già confusa
vacilla. Quale io sia, neppure ora lo so.
FORCIADE
Dicono poi che salendo dal cavo reame
delle ombre anche Achille si unì a te con passione,
lui che già prima ti amava contro ogni decreto del fato.
ELENA
Io come simulacro a lui simulacro mi avvinsi.
Fu un sogno, le parole stesse lo dicono.
Io vengo meno e divengo simulacro a me stessa.
Cade nelle braccia del semicoro |[continua]|
|[DAVANTI AL PALAZZO DI MENELAO A SPARTA, 2]|
CORO
Taci, taci!
Tu bieca di sguardi, bieca di lingua!
Dalle labbra orrende che un unico
dente racchiudono, dalle spaventose
fauci di abominio che cosa esali!
Poiché il malvagio che appare benefico,
rabbia di lupo sotto un vello lanoso
di agnello, assai più mi atterrisce
della gola del cane a tre teste.
Qui noi stiamo tendendo angosciate l'orecchio:
quando, come, dove tornerà a vomitare
i suoi inganni
quel mostro in agguato?
Invece di amiche parole consolatrici,
dispensatrici di Lete, soavi e benigne,
da tutto il passato sommuovi
il pessimo assai più del buono,
e insieme rabbui lo splendore
di questo presente
e la luce mite della speranza
che irraggia il futuro.
Taci, taci!
Affinché l'anima della regina,
già pronta a fuggire,
si preservi, e conservi
la forma di tutte le forme,
la sola che illuminò il sole.
Elena si è riavuta e sta di nuovo al centro della scena
FORCIADE
Sorse dalle nubi in fuga alto il sol di questo giorno,
che velato già incantava, ora acceca e regna splendido.
Il tuo dolce sguardo vede come il mondo a te si spiega.
Come brutta esse mi insultano, ma so bene cos'è il bello.
ELENA
Vacillante esco dal vuoto che in vertigine mi avvolse,
e vorrei nuovo riposo, perché il corpo è così stanco:
ma si addice alle regine e si addice ad ogni uomo
dominarsi, essere forti, se minacce ci sovrastano.
FORCIADE
Grande e bella adesso stai, ecco, tu di fronte a noi,
il tuo sguardo esprime un ordine; dicci quale ordine sia.
ELENA
Al ritardo rimediate del vostro impudente alterco;
svelte a prendere una vittima, come il re mi comandò.
FORCIADE
Tutto è pronto in casa, coppa, tripode, affilata scure,
l'aspersorio, l'incensiere; mostra quale sia la vittima!
ELENA
Non l'ha designata il re.
FORCIADE
No? Parola che mi strazia!
ELENA
Quale strazio ti colpisce?
FORCIADE
Tu, regina, sei la vittima!
ELENA
Io?
FORCIADE
E quelle.
CORO
Pena e strazio!
FORCIADE
Tu cadrai sotto la scure.
ELENA
Sorte orrenda, ma prevista. O sventura!
FORCIADE
È inevitabile.
CORO
Ah! E a noi che toccherà?
FORCIADE
Lei morrà di morte nobile;
sotto il timpano del tetto, dentro, all'alta trave appese
come tordi all'uccellaia voi sgambetterete in fila.
Elena e il coro restano immobili, stupite e atterrite, in gruppo espressivo e ben disposto
FORCIADE
Spettri! - Voi state qui come forme irrigidite,
temete di separarvi dal giorno che non vi appartiene.
Anche gli uomini, spettri come voi tutti quanti,
mal volentieri rinunciano al raggio sublime del sole;
ma nessuno intercede o dalla fine li salva;
tutti lo sanno, ma a pochi soltanto ciò piace.