con le sue centomila pagliacciate

            è tutto quanto un solo grande matto.

 

LE GIARDINIERE canto accompagnato da mandolini

            Per strappare il vostro applauso

            noi, le belle fiorentine,

            questa notte ci agghindiamo

            come usa in questa corte.

 

            Intrecciamo ai ricci bruni

            fiori gai per ornamento;

            ma di seta, in fili, in fiocchi,

            sono i petali e le foglie.

 

            E crediamo meritarci

            ogni lode: i nostri fiori,

            sfavillanti e artificiali,

            san fiorire tutto l'anno.

 

            Son ritagli variopinti

            in sapiente simmetria;

            forse ad uno ad uno spiacciono,

            ma l'insieme è una malia.

 

            Le fioraie seducenti

            son graziose da guardare;

            la natura nelle donne

            è parente all'artificio.

 

L'ARALDO

            Su, mostrate i ricchi cesti

            che portate sopra il capo,

            che straripano dal braccio;

            scelga ognuno quel che piace.

 

            Svelte, sotto i pergolati

            cresca rapido un giardino!

            Sono degne di un assalto

            venditrici e mercanzia.

 

LE GIARDINIERE

            Fate offerte in allegria,

            solo, non mercanteggiate!

            Con un motto breve e denso

            dica ognuno quel che ha.

 

UN RAMO D'OLIVO CON FRUTTI

            Non invidio fiore alcuno,

            schivo sempre ogni contesa;

            è contraria al mio carattere:

            sono il nerbo dei poderi,

            simbolo e sicuro pegno

            della pace di ogni campo.

            Spero qui d'incoronare,

            oggi, un capo bello e degno.

 

UNA GHIRLANDA DI SPIGHE d'oro

            Adornandovi i doni di Cerere

            si faranno leggiadri e soavi:

            i più ambiti perché utili,

            siano belli su di voi.

 

UNA GHIRLANDA DI FANTASIA

            Variegati come malve

            che trapuntano dal muschio!

            Fiori ignoti alla Natura,

            ma inventati dalla Moda.

 

UN MAZZO DI FANTASIA

            Nominarci ad uno ad uno

            non saprebbe Teofrasto;

            ma speriamo, se non tutte,

            d'incantare una fanciulla,

            ed a lei vorremmo darci,

            se ai capelli ci intrecciasse,

            o volesse addirittura

            farci un posto sul suo cuore.

 

BOCCIOLI DI ROSA Sfida

            Fiorite, variopinte fantasie

            di una moda passeggera,

            strane forme stravaganti

            che Natura mai dispiega;

            steli verdi, bulbi d'oro,

            occhieggiate dietro i riccioli! -

            Noi - restiamo qui nascosti:

            fortunato chi ci scopre.

            Quando vien l'estate e freschi

            ecco i boccioli si accendono,

            chi rinuncia a questa gioia?

            Il dono che noi promettiamo

            incanta nel regno di Flora

            lo sguardo ed i sensi ed il cuore.

 

Le giardiniere dispongono graziosamente la loro mercanzia sotto verdi pergole

 

I GIARDINIERI canto accompagnato da tiorbe

            Vedete aprirsi lentamente i fiori

            che vi cingono il capo in leggiadria;

            i frutti non vogliono sedurre,

            bisogna assaggiarli per goderne.

 

            Pesche, ciliegie, prugne reali

            vi offrono facce abbronzate,

            compratele! L'occhio non giudica

            come la lingua e il palato.

 

            Venite, concedetevi il piacere

            di mangiare la frutta più matura!

            Sulle rose si fanno poesie,

            ma le mele vanno addentate.

 

            Permetteteci di unirci

            a voi, fior di gioventù,

            e di alzare al vostro fianco

            i trofei dei nostri frutti.

 

            Sotto ilari festoni,

            sotto pergole fiorite

            si potrà trovare tutto:

            boccio, foglia, fiore e frutto.

 

Fra canti alterni, accompagnati da chitarre e da tiorbe, i due cori continuano a disporre in bella mostra su piani sempre più alti e ad offrire le loro merci

 

Madre e figlia

 

LA MADRE

            Cara, quando tu nascesti,

            io ti misi una cuffietta;

            il tuo viso era un amore,

            il tuo corpo delicato.

            Ti vedevo fidanzata

            al più ricco del paese,

            ai miei occhi eri già sposa.

 

            Ah! E adesso, quanti anni

            sono già trascorsi invano,

            son spariti in un baleno

            i più vari pretendenti.

            Con uno piroettavi

            agilmente nei balli,

            ad un altro accennavi con il gomito.

 

            Ne pensammo delle feste,

            tutte quante inutilmente,

            porta pegno, mosca cieca,

            e non s'è acchiappato niente;

            ma oggi i matti vanno in giro,

            tira giù la scollatura,

            l'uno o l'altro ci resta appiccicato.

 

Sopraggiungono altre compagne di gioco, giovani e belle, sale un familiare chiacchierio

 

Si fanno avanti pescatori e uccellatori, con reti, ami, panie e altri arnesi del mestiere, e si uniscono alle belle giovani. Tentativi reciproci di raggiungersi, afferrarsi, sottrarsi e trattenersi danno pretesto a piacevoli dialoghi

 

GLI SPACCALEGNA entrando con impeto e modi grossolani

            Fateci largo!

            Ci serve spazio,

            tagliamo i tronchi,

            van giù di schianto;

            li trasciniamo

            fra scosse e tonfi.

            A nostra lode

            va messo in chiaro:

            senza noi rozzi

            a lavorare,

            cosa potrebbero,

            per quanto accorti,

            i raffinati?

            Non lo scordate!

            Voi gelereste,

            se non sudassimo.

 

I PULCINELLA goffi, quasi ridicoli

            Voi siete i matti,

            nati già curvi.

            Noi siamo i furbi,

            sgombra la groppa;

            giacche e cappucci

            che noi portiamo

            sono leggeri;

            oziamo sempre,

            comodamente,

            stiamo in pantofole,

            andiamo a zonzo

            per i mercati,

            a bocca aperta;

            e litighiamo

            fra gli schiamazzi,

            anguilleggiando

            nel pigia pigia,

            balliamo insieme,

            facciam gazzarra.

            Se ci lodate

            o ci sgridate,

            ci fa lo stesso.

 

I PARASSITI melliflui e avidi

            Robusti spaccalegna,

            e voi stirpe gemella,

            cugini carbonai,

            siete fatti per noi.

            Altrimenti piegarsi,

            dire di sì,

            forbire frasi,

            soffiare doppio,

            o caldo o freddo,

            secondo i casi,

            sarebbe inutile.

            Anche il fuoco dal cielo

            con immenso prodigio

            cadrebbe invano,

            senza i bei ciocchi,

            senza i carboni accesi

            per tutto il focolare.

            Dove fan rosolare

            gli arrosti e gli stufati,

            gli intingoli ed i lessi.

            Il buongustaio,

            il leccapiatti,

            fiuta l'arrosto,

            annusa il pesce;

            e fa prodezze

            al tavolo imbandito.

 

UN UBRIACO quasi incosciente

            Oggi, nulla mi trattenga!

            Io mi sento sciolto e libero;

            allegria, canzoni gaie,

            sono io che le ho portate.

            E io bevo, bevo e bevo!

            Su, toccate quei bicchieri!

            Tu, là dietro, fatti avanti!

            Su coi brindisi, così!

 

            La mia donna mi strapazza

            pel giubbetto colorato,

            più mi gonfio a petto tronfio,

            più mi grida: Spelacchiato!

            Ma io bevo, bevo e bevo!

            Come squillano i bicchieri!

            Spelacchiati, su, brindate!

            Su, che squillino, così!

 

            Non mi dite fuori posto,

            sono dove fa per me.

            E se l'oste non fa credito

            me lo fa l'ostessa, oppure

            la fantesca. Intanto bevo!

            Su voialtri, coi bicchieri!

            Tutti in giro, avanti, in ronda!

            Va benissimo così.

 

            Come e dove me la spasso

            fa lo stesso, pur che sia;

            ma lasciatemi qui steso,

            perché in piedi non sto più.

 

CORO

            Su fratello, bevi e bevi!

            Tutti toc chino i bicchieri!

            E attaccatevi alle panche!

            Sotto il tavolo è finita.

L'araldo annuncia diversi poeti: poeti della natura, poeti di corte e poeti cavallereschi, alcuni teneri, altri entusiasti. Nella ressa dei concorrenti d'ogni sorta, nessuno permette all'altro di farsi sentire. Uno passa furtivo, dicendo poche parole

 

IL POETA SATIRICO

            Sapete voi che cosa piacerebbe

            al poeta che c'è in me?

            Cantando in versi dire

            ciò che nessuno mai vorrebbe udire.

 

I poeti della notte e dei sepolcri mandano le loro scuse, perché al momento sono impegnati in una conversazione quanto mai interessante con un vampiro nato di fresco, dalla quale potrebbe forse nascere un nuovo genere letterario. L'araldo deve fare buon viso, e intanto fa venire avanti la Mitologia greca, che neppure dietro le maschere moderne ha perso nulla del suo carattere e del suo fascino

 

Le Grazie

 

AGLAIA

            Noi portiamo la grazia nella vita;

            voi mettete la grazia nel donare.

 

EGEMONE

            Sappiate anche ricevere con grazia,

            è bello appagare i desideri.

 

EUFROSINE

            E nella quiete di giorni appartati

            pieno di grazia sia il ringraziamento.

 

Le Parche

 

ATROPO

            Questa volta la più vecchia

            l'han chiamata per filare;

            tenue filo della vita,

            quanto dài da meditare.

 

            Perché fosse flessibile e morbido,

            scelsi il lino migliore di tutti;

            perché fosse uniforme e sottile,

            l'ho lisciato con dita sapienti.

 

            Se volete scatenarvi

            nelle danze e nel piacere,

            state attenti! Il filo ha un limite,

            si potrebbe poi spezzare.

 

CLOTO

            A me in questi ultimi giorni

            affidarono le forbici;

            la nostra vecchia non si comportava,

            dicevano, in modo edificante.

 

            Tirava in lungo all'aria ed alla luce

            fili che non servivano a nessuno,

            e gettava recise nella tomba

            le speranze di splendidi successi.

 

            Anch'io nella mia foga giovanile

            centinaia di volte mi sbagliai;

            oggi, per non fare passi falsi,

            le forbici le ho chiuse nell'astuccio.

 

            È un vincolo che accetto volentieri,

            e guardo questo luogo come amica;

            voi in queste ore senza rischi

            datevi pure alla pazza gioia.

 

LACHESI

            A me, sola ragionevole,

            è toccato di far ordine;

            il mio aspo, sempre all'opera,

            mai è corso troppo in fretta.

            Arrivano i fili, si avvolgono,

            a ognuno io traccio la via,

            non lascio che alcuno s'imbrogli,

            ciascuno si adatta al suo corso.

 

            Se mancassi una volta soltanto,

            tremerei per le sorti del mondo;

            contar le ore, misurare gli anni,

            la matassa la prende il Tessitore.

 

L'ARALDO

            Queste qui non sapreste ravvisarle,

            per quanto esperti negli scritti antichi;

            a vederle, le gran devastatrici,

            le chiamereste ospiti gradite.

 

            Sono le Furie. Chi lo crederebbe?

            Ben fatte, giovani, gentili ed attraenti;

            ma provate a parlarci e le colombe,

            vedrete, morderanno come serpi.

 

            Sono insidiose, certo, eppure oggi,

            quando ogni sciocco celebra i suoi vizi,

            non si atteggiano ad angeli e confessano

            di tormentare i campi e le città.

 

Le Furie

 

ALETTO

            Parole inutili! Di noi vi fiderete,

            gattine attraenti e lusinghiere;

            se uno qui tra voi ha un grande amore,

            gli faremo le fusa nelle orecchie,

 

            finché potremo dirgli, occhi negli occhi,

            che lei fa la civetta con questo e con quell'altro,

            che zoppica, che è gobba, che è una sciocca,

            e come moglie poi non vale niente.

 

            E assedieremo anche la fidanzata:

            il suo ragazzo, poco tempo fa,

            ha sparlato di lei con quella tale! -

            Faranno pace, ma qualcosa resta.

 

MEGERA

            Questo è uno scherzo! Appena sono sposi,

            tocca a me: la felicità più bella

            diventa fiele a furia di capricci.

            L'uomo è incostante, incostanti le ore.

 

            Ognuno, benché stringa ciò che desiderava,

            volge le spalle, stolto, alla felicità

            consueta, insegue altri desideri;

            fugge il sole e pretende di riscaldare il gelo.

 

            Allora so che cosa devo fare,

            chiamo al momento giusto il fido Asmòdeo,

            per seminar zizzania, e a due per volta

            io rovino così il genere umano.

 

TISIFONE

            Io non affilo lingue ma pugnali,

            e mescolo veleni ai traditori;

            se ami un'altra donna, prima o poi

            dovrai andare incontro alla rovina.

 

            Il più dolce dei momenti

            muterà il suo gusto in fiele!

            Qui non si viene a patti, non si tratta -

            per ogni atto qui si paga il fio.

 

            Nessuno intoni canti di perdono!

            Alle rupi io grido la mia accusa;

            odi l'eco rispondere: Vendetta!

            L'infedele in amore morirà.

 

L'ARALDO

            Non vi dispiaccia farvi un po' da parte,

            chi arriva adesso non è un vostro pari.

            Guardate, si avvicina una montagna,

            drappi sgargianti sui superbi fianchi,

            la testa ha lunghi denti e una proboscide;

            è un segreto, ma ve ne do la chiave.

            Una donna leggiadra gli siede sulla nuca,

            lo guida dritto con un bastoncello;

            l'altra, in piedi, maestosa, è circonfusa

            da un augusto splendore che mi abbaglia.

            Ai lati ha due matrone incatenate,

            una trepida in volto, l'altra lieta;

            una vorrebbe essere, l'altra si sente libera.

            Entrambe adesso dicano chi sono.

 

LA PAURA

            Fumose torce, lampade offuscate

            balenano in questa confusione;

            e la catena, ah! mi tiene avvinta

            in mezzo a questi volti ingannatori.

 

            Andate via, ridicoli irrisori!

            Il vostro ghigno suscita sospetto;

            tutti quanti i miei nemici

            questa notte mi perseguitano.

 

            Ho scorto qui un amico che ha tradito,

            la sua maschera l'ho riconosciuta;

            e quello, che voleva assassinarmi,

            sguscia via perché l'ho smascherato.

 

            Vorrei fuggire non importa dove,

            via nel mondo, via da qui;

            ma laggiù la morte incombe,

            e mi trattiene tra fumo e orrore.

 

LA SPERANZA

            Vi saluto, mie care sorelle!

            Voi vi siete divertite,

            ieri e oggi, a travestirvi,

            ma lo so, vi svelerete

            tutte quante già domani.

            E se a noi pare sinistro

            il bagliore delle torce,

            poi verranno giorni lieti

            e potremo a piacer nostro,

            ora insieme ed ora sole,

            correr libere nei prati,

            riposare o lavorare,

            come garba, senza affanni,

            non mancare mai di nulla,

            appagare i desideri,

            sempre e ovunque benvenute;

            certo anche il sommo bene,

            qua o là, lo troveremo.

 

LA PRUDENZA

            Due dei massimi flagelli,

            la Paura e la Speranza,

            ho isolato e incatenato;

            fate largo! Siete salvi.

 

            Guido il colosso vivo

            che s'inerpica instancabile

            per i ripidi sentieri,

            con la torre sulle spalle.

 

            E sui merli della torre

            c'è una dea con grandi ali,

            sempre agili e protese

            al successo, ovunque sia.

 

            Un nimbo di gloria la cinge

            e irraggia dovunque lontano;

            il suo nome è la Vittoria,

            dea di ogni attività.

 

ZOILO-TERSITE

            Uhu! Càpito a proposito,

            per sgridarvi tutti quanti!

            E ho già scelto il mio bersaglio,

            è, lassù, Monna Vittoria.

            Con quel suo paio di bianche ali

            s'è messa in testa d'essere un'aquila,

            convinta che, dovunque si rigiri,

            i popoli e i paesi siano suoi;

            se un'impresa gloriosa riesce,

            non posso sopportarlo, vado in bestia.

            E una cosa soltanto mi guarisce,

            vedere in alto il basso, il basso in alto,

            lo storto farsi dritto, il dritto storcersi;

            così vorrei che fosse tutto il mondo.

 

L'ARALDO

            Così ti colga, cane svergognato,

            il colpo benedetto del mio scettro!

            Piega la schiena, torciti per terra! -

            Ma come, in un baleno il doppio nano

            è ridotto a un ammasso disgustoso! -

            Questo - prodigio! - si trasforma in uovo,

            che si gonfia e poi si spezza in due.

            Ne sbuca una coppia di gemelli,

            una vipera con un pipistrello;

            una sta già strisciando nella polvere,

            l'altro, nero, già vola sul soffitto.

            Corrono a ricongiungersi là fuori;

            non mi vorrei trovare in mezzo a loro.

 

MORMORIO

            Su! Là dietro già si balla -

            Vorrei essere lontano -

            E non senti che ci avvolge

            la masnada dei fantasmi? -

            Sui capelli come un sibilo -

            C'è qualcosa sul mio piede -

            No, nessuno s'è ferito -

            Ma per tutti che spavento -

            Guasto ogni divertimento -

            Era quel che volevano le bestie.

 

L'ARALDO

            Da quando l'ufficio di araldo

            mi fu affidato nei cortei di maschere,

            veglio alla porta con severità

            che nulla s'intrometta di dannoso

            per voi in questo luogo d'allegria,

            e non vacillo, non cedo il passo.

            Ma temo che aerei fantasmi

            entrino dalle finestre,

            e da spettri ed incantesimi

            non saprei come salvarvi.

            Già il nano era sospetto, ora laggiù

            una forza con impeto si avanza.

            Vorrei per dovere d'ufficio

            illustrare il senso delle immagini.

            Ma la mente non afferra,

            cosa mai potrei spiegare?

            Aiutatemi tutti a capire! -

            Vedete la folla ondeggiare?

            Ecco una magnifica quadriga

            trascinata in piena calca;

            eppure non divide in due la folla,

            non vedo la gente che si pigia.

            Bagliori colorati in lontananza

            e stelle variopinte che si agitano,

            come nella lanterna magica;

            sbuffa con una furia d'uragano.

            Fate largo! Io tremo!

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

                                    Ferma!

            Corsieri, frenate le ali,

            sentite le briglie a voi note,

            dominatevi come vi domino,

            slanciatevi quando vi incito -

            Sia reso onore a queste sale!

            Guardate intorno, gli ammiratori

            crescono sempre, di cerchio in cerchio.

            Araldo, fatti avanti! E come sai,

            prima che noi fuggiamo via,

            prova a descriverci, a nominarci;

            poiché siamo allegorie,

            e dovresti riconoscerci.

 

L'ARALDO

            Non saprei dire il tuo nome;

            ma potrei forse descriverti.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Prova dunque!

 

L'ARALDO

                                    Bisogna convenirne:

            innanzitutto sei giovane e bello.

            Appena adolescente; ma le donne

            vorrebbero vederti uomo fatto.

            Tu mi sembri un futuro rubacuori,

            un seduttore nato e rifinito.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Non c'è male! Adesso vai avanti,

            trova la lieta chiave dell'enigma.

 

L'ARALDO

            Negli occhi un lampo nero, un nastro ingioiellato

            rasserena la notte dei tuoi riccioli!

            Scende giù dalle spalle fino ai sandali

            una veste leggiadra, luccicante

            ed orlata di porpora! Un maligno

            direbbe che sei una fanciulla;

            tuttavia, per il bene e per il male,

            con le fanciulle te la caveresti,

            t'insegnerebbero loro l'abicì.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            E l'uomo che troneggia sul mio carro,

            immagine vivente dello sfarzo?

 

L'ARALDO

            Sembra un re ricco e benevolo,

            beato chi ottiene il suo favore!

            Nulla gli resta da desiderare,

            il suo sguardo si appunta dove qualcosa manca,

            e più della ricchezza, della felicità

            è grande la sua gioia di donare.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Non ti è concesso fermarti qui,

            devi descriverlo esattamente.

 

L'ARALDO

            La dignità non la si può descrivere.

            Ma il volto è sano come una luna piena,

            le labbra sono turgide, le guance

            rigogliose, sotto il turbante adorno;

            l'agio del ricco nella veste a pieghe!

            Del suo decoro cosa potrò dire?

            Credo di riconoscere un sovrano.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Si chiama Pluto, dio della ricchezza!

            È lui che si avvicina in pompa magna,

            assai gradito al sommo imperatore.

 

L'ARALDO

            Adesso svela tutto anche di te!

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            La prodigalità io sono, la poesia;

            sono il poeta, che si fa compiuto

            se prodiga i suoi beni più segreti.

            Padrone di tesori smisurati

            anch'io, mi sento pari a Pluto;

            io gli adorno, gli animo le danze ed i conviti,

            distribuendo quello che a lui manca.

 

L'ARALDO

            Sembri fatto apposta per vantarti,

            ma facci vedere le tue arti.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Un piccolo schiocco di dita,

            tutto brilla e scintilla intorno al carro.

            Ed appare già un filo di perle!

Continuando a schioccare le dita

            Su, prendete orecchini e fibbie d'oro,

            pettini e diademi senza mende,

            anelli con gioielli preziosissimi;

            di tanto in tanto lancio una fiammella

            e attendo che divampi, se potrà.

 

L'ARALDO

            Come allunga le mani, come arraffa

            la folla! Quasi schiaccia il donatore.

            Lui schiocca ed ecco gemme, come in sogno,

            e nella grande sala tutti arraffano.

            Eppure adesso assisto a nuovi trucchi:

            quel che afferravano con tanta foga

            non si rivela un gran guadagno,

            volano via quei doni, tra le mani.

            Le perle si sgranano dal filo

            e resta un brulichio di maggiolini,

            uno li butta via, povero illuso,

            e gli ronzano tutti attorno al muso.

            Altri invece di solidi monili

            acchiappano farfalle impertinenti.

            Quante cose promette l'intrigante,

            e dà soltanto il luccichio dell'oro!

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Sei bravo, vedo, a presentare maschere,

            ma giungere all'essenza, oltre la scorza,

            un araldo di corte non sa farlo;

            ci vorrebbe una vista assai più acuta.

            Ma cerco di evitare le polemiche;

            ed a te mi rivolgo, mio signore.

Volgendosi a Pluto

            Non mi affidasti tu forse

            il turbine della quadriga?

            Non la dirigo dritta dove additi?

            Non sono là dovunque tu mi voglia?

            Non seppi conquistare a te la palma

            lottando sulle ali del coraggio?

            Tutte le volte che discesi in lizza

            per te, sempre mi arrise la fortuna:

            questo alloro che adorna la tua fronte

            non l'ho intrecciato io col senno e con la mano?

 

PLUTO

            Volentieri ti rendo testimonio,

            se occorre, e ti proclamo spirito del mio spirito.

            Tu agisci sempre secondo i miei intenti,

            la tua ricchezza supera la mia.

            Io apprezzo, grato per i tuoi servigi,

            la verde fronda più d'ogni corona.

            A tutti annuncio questa verità:

            in te, figlio diletto, io mi compiaccio.   |[continua]|

 

 

|[GRAN SALONE CON STANZE ATTIGUE, 2]|

 

L'AURIGA ADOLESCENTE alla folla

            Guardate, come ho sparso tutto intorno

            i doni più preziosi che possiedo.

            Ora su questo capo, ora su quello

            si libra una fiammella da me accesa;

            salta dall'uno all'altro, a volte indugia

            più a lungo su di uno, a volte fugge,

            ma è assai raro che fiammeggi alta

            e risplenda fugace come un lampo;

            a molti, prima che la riconoscano,

            si spegne, tristemente consumata.

 

CICALECCIO DI DONNE

            L'uomo sulla quadriga

            di certo è un ciarlatano;

            ha dietro accovacciato quel villano

            consunto dalla fame e dalla sete,

            smunto come nessuno fu mai visto;

            nemmeno sentirebbe i pizzicotti.

 

LO SMAGRITO

            Scostatevi da me, femmine disgustose!

            Lo so che a voi non sono mai piaciuto. -

            Quando ancora la donna badava al focolare,

            mi chiamavo Avarizia; allora sì

            che prosperava l'economia domestica:

            entrava molto e non usciva niente!

            Ero io a provvedere ai bauli e allo scrigno;

            e dicevano anche che era un vizio.

            Ma da quando negli anni recentissimi

            le donne hanno perso l'abitudine

            di risparmiare e, come gli insolventi,

            han meno talleri che desideri,

            per il marito sono guai notevoli,

            e dovunque si guardi, vede debiti.

            Spende per farsi bella, o per l'amante,

            quel che riesce a mettere da parte;

            mangia a quattro palmenti e beve meglio,

            con il suo esercito di cicisbei;

            questo aumenta per me il fascino dell'oro:

            io cambio sesso, e divento l'Avaro!

 

LA CAPORIONA

            Mostro, faccia coi mostri lo spilorcio;

            è tutta un'impostura, ecco cos'è!

            Ci viene ad aizzare contro gli uomini,

            non fossero già scomodi abbastanza.

 

LE DONNE IN MASSA

            Spaventapasseri! Dagli un ceffone!

            Cosa minaccia quel crocifisso?

            Dovremmo aver paura del suo ceffo!

            I draghi sono fatti di cartone,

            diamogli addosso di buzzo buono!

 

L'ARALDO

            Per il mio scettro! Un po' di calma! -

            Ma del mio aiuto non c'è bisogno;

            guardate come i mostri furibondi

            in un baleno si fanno spazio,

            spiegando tese le doppie ali.

            Rabbiose le fauci squamose dei draghi

            si agitano, rigurgitano fiamme;

            la folla fugge, piazza pulita.

 

Pluto scende dal carro

 

L'ARALDO

            Con che maestà ne scende!

            Egli fa un cenno, e i draghi

            si muovono, depongono dal carro

            il baule con l'oro e con l'Avaro;

            adesso è là ai suoi piedi:

            come han fatto, è un prodigio.

 

PLUTO all'Auriga

            Ora sei sollevato dal peso più gravoso,

            sei libero e leggero, ritorna alla tua sfera!

            Non è qui, dove immagini caotiche,

            smorfie bieche e violente ci circondano.

            Ma è dove tu vedi chiaro come il tuo sguardo,

            dove tu ti appartieni e confidi in te solo,

            dove si ama soltanto il Bello e il Bene,

            in solitudine! - Crea laggiù il tuo mondo.

 

L'AURIGA ADOLESCENTE

            Io mi sento il tuo nobile inviato,

            ti amo però come un parente stretto.

            Tu rechi l'abbondanza; e io ad ognuno

            il senso di uno splendido guadagno.

            Ma l'uomo oscilla spesso tra vite contrastanti:

            è a te che deve darsi oppure a me?

            Ai tuoi certo è concesso stare in ozio,

            chi segue me avrà sempre da fare.

            Io non compio in segreto le mie imprese,

            respiro appena, e sono già tradito.

            Addio! Tu mi concedi la mia felicità;

            ma bisbiglia soltanto, ed io sarò da te.

Si allontana com'è venuto

 

PLUTO

            È tempo ormai di sciogliere i tesori!

            Io tocco i serramenti col bastone di araldo.

            Il forziere si apre! Guardate! Un sangue d'oro

            si genera, trabocca da pentole di bronzo,

            insieme alle corone, a collane, gioie, anelli;

            gonfia e minaccia d'inghiottirli e fonderli.

 

GRIDA ALTERNE DELLA FOLLA

            Guarda come sgorga in abbondanza

            e riempie il baule fino all'orlo! -

            Si fondono i vasellami d'oro,

            rotoli di monete si disfanno. -

            Come alla zecca saltano i ducati,

            oh, come si agita il mio petto -

            Io vedo tutto quello che più bramo

            rotolarmi davanti sul terreno! -

            È tutto gratis, approfittatene,

            basta chinarsi e siete ricchi. -

            E noi, veloci come saette,

            ci prenderemo tutta la cassa.

 

L'ARALDO

            Che fate, pazzi? Che vi salta in testa?

            È uno scherzo di maschere e nient'altro.

            Basta desiderare, questa sera;

            credete che vi diano oro zecchino?

            In questo gioco per gente come voi

            sarebbero di troppo anche i gettoni.

            Citrulli! Un'apparenza delicata

            dev'esser subito la grezza verità.

            E della verità che ve ne fate? -

            Da ogni lembo afferrate un'opaca illusione. -

            Pluto in costume, eroe da mascherata,

            fammi piazza pulita di costoro.

 

PLUTO

            A questo scopo c'è il tuo bastone,

            prestalo a me per breve tempo. -

            Lo intingo rapido nel liquido rovente. -

            Adesso, maschere, badate a voi!

            Che lampi, che scoppi, che scintille!

            Ecco che lo scettro è arroventato.

            Chi vuole spingersi troppo vicino

            sarà scottato senza pietà. -

            Adesso incomincio la mia ronda.

 

GRIDA E PARAPIGLIA

            Poveri noi! Siamo perduti. -

            Se la dia a gambe chi ce la fa! -

            Indietro, indietro, tu non mi spingere! -

            Le scintille mi scottano la faccia. -

            Mi schiaccia il peso dello scettro ardente -

            È la fine per tutti fino all'ultimo -

            Indietro, indietro, marea di maschere!

            Indietro, indietro, torma insensata! -

            Avessi le ali, volerei via.

 

PLUTO

            Il cerchio è andato indietro

            e nessuno, mi pare, si è scottato.

            La folla, intimorita,

            ha ceduto terreno. -

            A garanzia dell'ordine ottenuto

            traccerò un'invisibile barriera.

 

L'ARALDO

            Hai compiuto una splendida impresa,

            ne ringrazio il tuo savio potere!

 

PLUTO

            Nobile amico, ci vuole ancor pazienza;

            nuovi tumulti minacciosi incombono.

 

L'AVARO

            Così si può osservare, se si vuole,

            gradevolmente il cerchio della gente;

            le donne sono sempre in prima fila,

            se c'è da curiosare o piluccare.

            Non sono poi del tutto arrugginito!

            Una bella donna è sempre bella;

            dato che oggi non mi costa nulla,

            farò il galante senza complimenti.

            Ma poiché in una sala così zeppa

            non tutte le parole raggiungono ogni orecchio,

            cercherò d'ingegnarmi, e spero mi riesca

            di esprimermi più chiaro in pantomima.

            Mani e piedi e la mimica non bastano,

            devo farmi venire una trovata.

            Userò l'oro come argilla umida,

            poiché l'oro si muta in ogni cosa.

 

L'ARALDO

            A cosa mette mano quel matto scheletrito?

            Quell'affamato è anche spiritoso?

            L'oro gli si fa molle tra le dita,

            ora lo impasta tutto come creta;

            ma per quanto lo prema e lo arrotondi,

            non riesce a dargli alcuna forma.

            Ora si volta verso le donne,

            urlano tutte, vorrebbero fuggire,

            fanno gesti di grande raccapriccio;

            il burlone si mostra malizioso.

            Temo che oltraggiare la decenza

            sia per lui un gran divertimento.

            Non mi è concesso assistere in silenzio,

            dammi il bastone per cacciarlo via.

 

PLUTO

            Non sa che una minaccia ci sovrasta

            dall'esterno; lascialo impazzare!

            Per le sue farse non avrà più spazio;

            più della legge può necessità.

 

TUMULTO E CANTO

            Irrompe l'armata selvaggia

            dalle vette, da valli boscose;

            avanzano con forza irresistibile,

            festeggiano il loro grande Pan.

            Sanno quello che nessuno sa,

            si fanno avanti nel cerchio vuoto.

 

PLUTO

            Conosco voi e il vostro grande Pan!

            È un passo audace quel che fate uniti.

            E poiché so quel che non tutti sanno,

            apro lo stretto cerchio, è mio dovere.

            Possa una sorte fausta accompagnarli!

            I prodigi più strani si preparano;

            non sanno a che cosa vanno incontro,

            non hanno preso precauzione alcuna.

 

CANTO SELVAGGIO

            Gente ben messa, lustra di orpelli!

            Giungono i rustici, giungono i rozzi,

            a grandi balzi, in corsa rapida,

            si fanno avanti spavaldi e ruvidi.

 

I FAUNI

            La torma dei fauni,

            allegra nei balli,

            ha fronde di quercia

            tra irsuti capelli;

            aguzze orecchie sottili

            sovrastano il capo ricciuto;

            naso schiacciato, faccia rotonda,

            tutto ciò con le donne non guasta:

            quando il fauno le porge la zampa,

            neppur la più bella rifiuta la danza.

 

UN SATIRO

            Dietro di loro saltella il satiro,

            piede caprino, secche le gambe,

            che devono essere magre e nervose;

            come il camoscio dagli alti monti

            si guarda intorno allegramente.

            Corroborato dall'aria libera,

            burla i fanciulli, le donne e gli uomini,

            che nella valle, nel fumo spesso,

            credono vita la vita comoda,

            mentre lui solitario e indisturbato

            è il padrone del mondo di lassù.

 

GLI GNOMI

            Entra trottando la schiera piccola

            a cui non piace marciare in coppia;

            vesti, di muschio, lumini accesi,

            vanno veloci, alla rinfusa,

            ognuno traffica per conto suo,

            è un brulicare indaffarato,

            come formiche luminescenti,

            un incrociarsi senza fermarsi.

 

            Parenti prossimi dei folletti benigni

            e famosi chirurghi delle rupi,

            noi salassiamo le montagne impervie,

            attingendo alle loro vene turgide;

            ammassiamo i metalli, salutandoci

            al grido fiducioso di: Buona risalita!

            Facciamo tutto quanto a fin di bene,

            siamo amici degli uomini perbene.

            E tuttavia con l'oro che scaviamo

            alimentiamo i ladri ed i ruffiani,

            e procuriamo il ferro a quel superbo

            che inventò l'assassinio universale.

            Chi disprezza quei tre comandamenti

            sa fare anche senza gli altri sette.

            Ma tutto questo non è colpa nostra;

            e perciò come noi, siate pazienti.

 

I GIGANTI

            Assai noti sui monti dello Harz,

            siamo chiamati uomini feroci;

            e nudi, forza intatta di Natura,

            veniamo tutti insieme, giganteschi.

            Con un tronco d'abete nella destra

            e una spessa cintura intorno ai fianchi,

            rozzo grembiale di frondosi rami,

            siamo una guardia come non l'ha il papa.

 

LE NINFE IN CORO circondano il grande Pan

            Anch'egli giunge! -

            Il mondo intero

            si rappresenta

            nel grande Pan.

            Su circondatelo, voi, le più gaie,

            ed avvolgetelo di piroette:

            egli, che è serio e insieme buono,

            vuole che siamo tutti sereni.

            Lui vorrebbe restare sempre sveglio,

            anche quando la volta è più turchina;

            ma i ruscelli gli scorrono vicino,

            soavemente lo cullano gli zefiri.

            Quando egli dorme verso mezzodì,

            la foglia non si muove più sul ramo;

            il balsamo di piante salutari

            pervade l'aria ferma e silenziosa,

            alla ninfa è vietata l'allegria,

            e dovunque si trovi s'addormenta.

            Ma quando la sua voce inaspettata

            risuona con violenza, come il rombo

            del tuono, come il mare che ruggisce,

            nessuno sa dove trovare scampo,

            si dissolve sul campo il prode esercito,

            e a quel fragore trema anche l'eroe.

            Onore a chi merita onore,

            lunga vita a colui che ci ha condotti qui!

 

DEPUTAZIONE DEGLI GNOMI al grande Pan

            Il metallo luccicante

            scorre in vene fra gli abissi,

            solo il saggio rabdomante

            ne conosce i labirinti;

 

            noi viviamo in cripte oscure

            sotto volte trogloditiche,

            alla pura aria del giorno

            tu spartisci i tuoi tesori.

 

            Noi scoprimmo qui vicino

            una fonte prodigiosa,

            che promette agevolmente

            quello che era irraggiungibile.

 

            Questa impresa tu puoi compierla,

            tu proteggila, signore:

            in tua mano ogni tesoro

            fa del bene a tutto il mondo.

 

PLUTO all'Araldo

            Dobbiamo fare forte il nostro spirito

            e assistere sereni, qualunque cosa accada;

            tu sei, del resto, pieno di coraggio.

            Gli occhi nostri vedranno fatti orribili,

            che i presenti ed i posteri caparbi negheranno:

            tu mettili a verbale fedelmente.

 

L'ARALDO afferrando il bastone che Pluto tiene ancora in mano

            Passo passo i nani hanno condotto

            il grande Pan alla fontana ardente;

            il liquido infuocato viene su

            dal gorgo più profondo, poi ricade

            nel fondo, e la bocca spalancata

            resta buia; poi torna a ribollire,

            il grande Pan, di buon umore,

            si rallegra di quella meraviglia,

            schizza qua e là una spuma di perle.

            Può fidarsi di un elemento simile?

            Ecco, si china per guardarci dentro. -

            E gli cade la barba nell'intruglio! -

            Chi potrà essere quel mento glabro?

            La mano lo nasconde al nostro sguardo. -

            Ma si produce una calamità:

            la barba prende fuoco, torna su,

            infiamma la corona, il capo, il petto,

            il piacere si muta in sofferenza. -

            Tutti accorrono a spegnere l'incendio,

            ma nessuno si salva dalle fiamme,

            e per quanto le battano e si scuotano,

            suscitano soltanto nuove vampe;

            invischiato nel fluido incandescente

            tutto un mucchio di maschere divampa.

 

            Ma cosa sento, quale nuova passa

            di bocca in bocca, da un orecchio all'altro!