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IL SOPRANNATURALE E IL DIABOLICO
Viveva laggiù, al limite del deserto e in tempi antichi. La chiamavano maga di Endor. Si era rifugiata in una caverna per sfuggire alla persecuzione ordinata da re Saul, che aveva sterminato streghe, maghi, indovini. Segretamente, quando il Signore non rispondeva a preghiere e suppliche, il popolo ricorreva a lei, la maga di Endor.
Lo scontro fra Davide e Saul stava per concludersi. I Filistei, presso cui si era rifugiato Davide, stavano per dar battaglia a Saul. Avevano riunito i loro eserciti e si erano accampati poco distante dalle truppe di Saul. Quando Saul vide l’estensione dell’accampamento dei Filistei ebbe paura, scrive la Bibbia, e il suo cuore tremò. Di chi sarebbe stata la vittoria, il giorno seguente? Sarebbe egli riuscito a vincere i Filistei, fra i quali c’era l’amato e odiato Davide, il cui valore come guerriero era tale da essere ormai leggenda? Sarebbe riuscito a salvare se stesso, i suoi figli e Israele? Oppresso dalla paura, Saul si rivolse al Signore, che aveva le sue buone ragioni per non rispondergli, non inviargli sogni rivelatori e neppure spiriti consiglieri.
Il profeta Samuele era morto da poco, a Rama, ed era stato appena sepolto. Non c’erano altri profeti, in Israele, che Saul potesse consultare. Disperato, si rivolse ai suoi servitori e disse loro di cercargli una donna che sapesse evocare gli spiriti, così da poter andare da lei e consultarla.
Mi chiedo perché Saul pretese una maga. Non un negromante. Non un uomo. La Bibbia non spiega la ragione di questa scelta, e non risulta che altri siano riusciti a distillare dalla mente una logica spiegazione del perché avrebbe dovuto essere di femmina, e non di maschio, la voce profetica capace di trarre il re dalla sua angoscia e predirgli l’esito della battaglia. Anzi, i dotti che studiarono la Bibbia non si posero, così pare, il dilemma. Eppure, che Saul avesse preferito rivolgersi a una donna sapiente, non a un mago, dovrebbe pur avere un qualche suo senso profondo.
Comunque sia, i servitori risposero: «A Endor c’è una donna che evoca gli spiriti». Saul si spogliò delle vesti regali, si travestì con abiti dimessi, avvolse il capo in un mantello e partì accompagnato da due servitori. Era notte, quando giunsero dalla maga. La maga taceva guardando Saul: non basta il mantello che tenti di celare un volto per disorientare lo sguardo di chi sa vedere.
Saul le disse: «Dimmi l’avvenire, ti prego, evoca uno spirito, fammi salire colui che ti dirò». La donna gli rispose: «Tu sai quello che Saul ha fatto, sai come ha sterminato dal Paese gli evocatori di spiriti e gli indovini [...] perché mi tendi un tranello per farmi condannare a morte?». Saul giurò sul Signore che nessuna punizione le sarebbe toccata. La donna disse: «Che spirito devo farti salire?». Saul rispose: “Fammi salire il profeta Samuele».
Quando apparve l’appena defunto Samuele, la maga si rivolse a Saul gridando: «Perché mi hai ingannata? Tu sei Saul». Il re le disse: «Non preoccuparti [...] che cosa vedi?». E la donna: «Vedo un essere soprannaturale che esce da sotto terra». E Saul: «Che forma ha?». Lei rispose: «È un vecchio che sale ed è avvolto in un mantello». Allora Saul comprese che lo spirito era Samuele, e si prostrò davanti a lui.
Samuele disse al re: «Perché mi hai disturbato facendomi salire?». Saul rispose: «Sono in grande angoscia [...] i Filistei mi fanno guerra [...] Dio si è ritirato da me [...] ti ho chiamato perché tu mi faccia sapere che cosa devo fare». Samuele rispose: « [...] il Signore ti strapperà di mano il regno e lo darà a Davide, perché non hai ubbidito alla voce del Signore [...] il Signore darà anche Israele nelle mani dei Filistei e domani tu e i tuoi figli sarete con me».
Saul cadde lungo disteso per terra spaventato da quelle parole. Era inoltre senza forze, non avendo mangiato da due giorni. La maga gli si avvicinò, lo vide atterrito e gli disse: «Ho fatto quello che volevi, ti ho ubbidito [...] ora ascolta tu la voce della tua serva e permettimi di metterti davanti del cibo». Non si vendicò, la maga, della ferocia con cui Saul aveva perseguitato maghi e indovine, ma aggiunse pietosa: «Mangia per prendere forza se vuoi rimetterti in viaggio». Aggrappato alla terra Saul ripeteva: «Non mangerò». La donna uccise uno dei suoi vitelli, impastò la farina, fece dei pani senza lievito e mise carne e pane davanti a Saul e ai suoi servitori. Saul non rifiutò più il cibo. Dopo aver mangiato i tre uomini ripartirono quella stessa notte.
La maga di Endor sedette davanti alla grotta in cui abitava e seguì con lo sguardo il re. Lo vide sparire sotto le stelle, verso Ghilboa. Sapeva, lei, maga sfuggita alla persecuzione, lei che aveva tratto dal mondo dei morti il profeta Samuele, sapeva non solo che il giorno seguente i Filistei avrebbero sterminato l’esercito di Saul e avrebbero ucciso i suoi figli. Sapeva che Saul avrebbe chiesto allo scudiero di colpirlo diritto al cuore per evitargli di cadere nelle mani degli incirconcisi. Sapeva anche che lo scudiero avrebbe rifiutato l’ordine e Saul si sarebbe gettato sulla propria spada, trafiggendosi. I Filistei avrebbero trovato il cadavere del re, lo avrebbero decapitato e appeso alle mura di Bet-San. Ma uomini valorosi, la notte successiva, sarebbero riusciti a togliere il cadavere del re dalle mura. Lo avrebbero bruciato. Lo avrebbero sepolto sotto le tamerici, alberi da cui cade la manna, alberi che ospitano il sacro vischio, alberi profetici poiché è stringendo fra le dita un rametto di tamerice che si profetizza, e fu tamerice l’albero piantato da Abramo quando concluse l’alleanza con Abimelech. Tamerice è l’albero sotto le cui fronde dai fiori rosa come nuvole ci si addormenta per essere visitati da sogni premonitori. Tamerici profetiche erano gli alberi che crescevano accanto alla grotta della maga di Endor.
Quanti uomini, nei tempi successivi, si aggirarono intorno alla maga di Endor? Il suo volto indefinibile, la sua femminile enigmatica figura di cui appena si intuisce il gesto – magico e terribile, perché capace di evocare i defunti – percorse i secoli della cristianità torturando la mente e la fede dei Padri della Chiesa, di vescovi, teologi, dotti, santi, inquisitori, obbligati dalla cristiana fede a chinar la fronte davanti alle Sacre Scritture, non per questo persuasi che a una donna fosse lecito aver potere sul mondo dei morti.
Se una donna possedeva tali doti soprannaturali, al punto da venir celebrata dalle Sacre Scritture – e non stiamo parlando di quisquilie ma del libro del Signore – non sarebbe forse accaduto di conseguenza e per tutti i secoli a venire che a tutte le donne e soprattutto a quelle del popolo, veggenti, maghe, streghe ed evocatrici di spiriti, si dovesse rispetto, se non, peggio ancora, venerazione?
Non ci si riduceva, si chiedevano costernati i Padri della Chiesa, alla stregua di quelle popolazioni pagane che mettevano su un piedistallo le loro inquietanti sacerdotesse? Non erano forse pagane quelle popolazioni che alla donna sapiente – frequentatrice di magie, di farmaci, di spiriti e di defunti, padrone della vita e della morte – conferivano un indiscusso potere, tenendo in grande stima la mente e il corpo femminile, il mistero del femmineo grembo fonte del piacere e fonte della vita e fonte del peccato della lussuria? Così si interrogavano i Padri della Chiesa, chini sulle Sacre Scritture.
La maga di Endor con il suo sguardo oscuro sfidava dal fondo del deserto la cristianità, che considerava la donna essere inferiore, lussuriosa, tentatrice dei sensi, terrigna, oscenamente sanguinante ogni mese. Come dimenticare che fu alleata del Serpente, Satana nel giardino dell’Eden?
A peggiorare il dilemma, riflettevano i Padri della Chiesa, ci si mettevano anche i dotti ebrei, che sul passo biblico non si ruppero la testa, infedeli già di loro, i circoncisi ebrei, per niente contrari che fosse cosa del tutto possibile evocare i morti; e pazienza se a farlo è una donna.
Nel corso dei secoli, fra i dotti uomini della cristianità si scatenò una discussione violenta intorno a questo passo biblico. Per aggirarne il senso e la contraddizione con la cultura della Chiesa, non rimaneva che coltivare il terreno ambiguo dell’interpretazione.
Il dottissimo esegeta Origene, vissuto nel I secolo d.C., campione della neonata cristianità – tanto entusiasta della virtù della castità da autocastrarsi – lesse e rilesse il passo in questione, indignato che a una profetessa pagana il Signore Iddio avesse concesso la capacità non solo di evocare i defunti, ma addirittura un profeta quale fu Samuele. Non restava, concluse suo malgrado Origene, che accettare la realtà come viene esposta dalle Sacre Scritture: una donna aveva saputo evocare un defunto. Si potevano quindi evocare i defunti ed erano in grado di farlo anche le donne.
Violentemente contrario a questa tesi fu, due secoli dopo, il vescovo di Antiochia sant’Eustazio, che accusò Origene di aver voluto subdolamente introdurre la negromanzia nella Chiesa. Secondo sant’Eustazio, la stregoneria è arte demoniaca: detto ciò, è chiaro che il passo biblico suggerisce che Saul credette alle parole della maga che gli descriveva la propria visione, profetizzando, ma è altrettanto chiaro che Saul venne ingannato dal Demonio e che la maga era una povera ossessa.
La maga di Endor nel IV secolo d.C. tormentò anche sant’Agostino, che nel suo trattato Ad Simplicianum la descrisse come una donna posseduta dal Demonio e sostenne la teoria dell’inganno diabolico, pur non respingendo la possibilità di evocare gli spiriti se Dio lo permette. In breve: si esclude che una strega abbia il potere di sottomettere le anime ordinando loro di apparire, tanto meno quelle dei santi e dei profeti. Samuele non era in realtà altro che un inganno del Diavolo, demonio travestito da Samuele. Non si poteva però escludere del tutto che il profeta defunto avesse potuto apparire a Saul.
In un succedersi di dotte e inquiete interpretazioni del passo biblico, la cristianità giunse a stabilire un rapporto diretto fra potere diabolico e magia, e con questo gli sciamani, le sacerdotesse, i veggenti, i visionari di tutto il mondo pagano e soprattutto le streghe, ricevettero dalle sante mani dei Padri della Chiesa la patente di creature di Satana. San Tommaso d’Aquino, teologo e filosofo vissuto nel 1200, definì diabolica ogni arte divinatoria, esclusa la rivelazione profetica. Detto in parole povere: solo all’interno della cristianità – santi, beati, uomini di fede, eremiti, delle donne neanche parlarne – sono possibili visioni profetiche. Ogni altra forma divinatoria è frutto malefico di un patto con il Diavolo.
La strega dunque non è che una povera donna posseduta da Satana, afferma la Chiesa. Come tale la maga di Endor viene consegnata al Medioevo e con lei tutte le streghe, vale a dire tutte le veggenti, tutte quelle che parlavano con i defunti, tutte quelle capaci di mettersi in contatto con gli spiriti di qualsiasi natura essi fossero. Per i dotti della cristianità, la profetessa, l’evocatrice di morti, non è donna che abbia un qualche potere magico, indipendente dalla Chiesa, autonomo. Altro non è che creatura posseduta da Satana, il dio del Male. È un’ossessa e non ha alcun potere sugli spiriti. Di conseguenza la donna che afferma di aver rapporto con gli spettri è posseduta dal Diavolo, quindi strega.
La maga di Endor sorride misteriosa fra sé e inorridisce presagendo la sorte delle donne dei secoli dei roghi.
Nel 1510 il medico e alchimista tedesco Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim pubblicò il suo trattato De occulta philosophia, in cui sosteneva che l’anima dei morti per morte violenta o privi di sepoltura vaga intorno al proprio corpo e rimane legata alla realtà terrena al punto da poter essere evocata da un negromante.
Agrippa affermava che quando si muore di morte violenta e improvvisa, dopo aver amato eccessivamente la vita, la passione di vita rimane in qualche modo pulsante nell’anima del defunto. L’anima rifiuta di allontanarsi dal mondo dei vivi. Il poeta latino Virgilio, l’apologeta cristiano Tertulliano, del I secolo d.C., e infine il filosofo neoplatonico greco Porfirio già conoscevano questa teoria che appartiene all’antichità.
Agrippa riprese in mano le Sacre Scritture per incontrare lo sguardo della maga di Endor. Perché mai, si chiese Agrippa, proibire la negromanzia se fosse solo una stupidaggine da donne pazze? Se la Chiesa vieta la negromanzia, significa che la negromanzia è possibile e potente, di una potenza esterna alla cristianità e per la cristianità pericolosa in quanto non soggetta ma ricca di una carica culturale eversiva. I negromanti, affermò Agrippa, servendosi di spiriti tutto possono.
Agrippa aggiunse che anche i morti insepolti non si staccano dai luoghi in cui sono vissuti e comunque, nel caso vengano seppelliti, continuano a girarci intorno per tutto un anno, dopo la sepoltura. In definitiva, chi muore sembra non avere alcuna intenzione di imboccare la strada dell’aldilà con passo spedito, anzi: rimane nel luogo di sempre, invisibile fra i vivi, pronto a un cenno per riapparire, non dissimile, mi pare, dai defunti di cui ci parlarono Bessie Dunlop e tante altre “streghe” di tutti i tempi, defunti che amano stazionare in quel territorio del soprannaturale abitato anche dalle fate e dagli esseri elementari.
Agrippa concluse: poiché Samuele era appena morto, poiché non era trascorso un anno dalla sua sepoltura, ma pochi giorni, non fu difficile per la maga di Endor richiamarlo e farlo apparire. Va da sé che i luoghi più indicati per evocare i morti sono i cimiteri. Un’incisione del XVII secolo – alle soglie dell’Illuminismo – raffigura il negromante inglese John Dee al centro di un cerchio magico, in un cimitero, mentre fra croci e lapidi con le sue arti sta richiamando i defunti.
In pieno Rinascimento ecco dunque che la maga di Endor si vede restituire i suoi poteri: altro che povera ossessa, altro che invasata dal Demonio! È maga, negromante o strega, a tutti gli effetti. La si chiami come si vuole: essa possiede quindi anche il dominio sulle anime dei defunti, profeti inclusi. Non a caso le Sacre Scritture, sottolineò Agrippa, tanto egregiamente celebrano e tramandano la vicenda della maga alle successive generazioni, e specialmente alle donne.
La maga di Endor tornava così a ergersi dal fondo del deserto, femminile figura minacciosa per la cristianità. I teologi dell’epoca prontamente reagirono e partirono all’attacco: stabilirono una volta per tutte che la negromanzia è diabolica, e chi la esercita non creda di esser bravo di suo. Sono i demoni ad aiutarlo, a ispirarlo, a dominarlo. Sia ben chiaro a tutti, dichiararono i teologi, che la maga di Endor non è padrona e dominatrice di demoni, ma sono i demoni a far di lei il loro strumento.
Si illuse, la maga, di richiamare Samuele. In realtà giunse a lei un Diavolo con le sembianze di Samuele. La strega non è padrona, ma serva di Satana. Se la profezia che avvertiva Saul della sua prossima morte e di quella dei suoi figli e della disfatta di Israele corrispose alla realtà è perché, argomentavano i teologi, non si esclude che il Diavolo sapesse quello che il profeta Samuele avrebbe potuto dire a Saul.
Gareggiavano, i signori teologi, in sottigliezze, astuzie dialettiche, speculazioni ardite, labirintiche disquisizioni, pur di escludere che oltre agli uomini della Chiesa altri potessero rivolgersi al mondo dell’invisibile.
Alla disputa si unì fra gli altri il filosofo Tommaso Campanella, istruito di magia e astrologia, sopravvissuto con straordinaria tenacia ai 28 anni di carcere e alle torture con cui la Chiesa tentò di stroncarlo, liberandolo infine nel 1626. Lo stesso Campanella, che alla filosofia naturalistica rinascimentale tentava di unire il pensiero cattolico, nel XIV libro della sua opera Theologica definì l’apparizione di Samuele nient’altro che illusione diabolica.
Che si bruci la strega, quindi. Che si riduca in cenere lo strumento del Demonio. Che finiscano al rogo quelle donne che si illudono di riuscire a colloquiare con i defunti.
Fu la strage.
Le donne processate dagli inquisitori ammettevano di essere in contatto con il soprannaturale e quindi anche con il mondo dei morti; la Chiesa argomentava che non di morti si trattava, nel loro caso, ma di demoni che assumono le forme mortali del defunto in questione. Non Thomas Reid apparve a Bessie Dunlop – affermarono gli inquisitori – ma Satana travestito da Thomas Reid.
La vicenda della maga di Endor – non si parla di quella narrata dalle Scritture, bensì della disputa teologica di cui l’enigmatica maga fu oggetto – poco per volta tracciò un duplice itinerario che da una parte si sarebbe concluso davanti ai roghi e dall’altra avrebbe affidato esclusivamente alla Chiesa il potere di rapportarsi con il mondo dei defunti e con qualsivoglia spettro.
Vicenda significativa, questa della maga: in essa il regno delle antiche credenze precristiane e dei poteri sciamanici di donne – e uomini – in contatto con il soprannaturale, viene duramente attaccato e sconfitto dal mondo della cristianità che imponeva il proprio ordine, il proprio dio, la propria cultura, il proprio potere, rifiutando e demonizzando i diversi.
La discussione teologica del passo biblico della maga di Endor fu un pretesto. L’esito della discussione fu la vittoria della Chiesa e la definizione della figura della strega.
La conseguenza della discussione fu la persecuzione delle donne accusate di stregoneria e l’integrazione degli spiriti nel sistema religioso ufficiale.
Che ne sapevano le donne sapienti, le guaritrici, quelle che evocavano gli spiriti recitando formule magiche, che ne sapevano le donne di montagna e delle lande, le raccoglitrici di erbe, le levatrici, le donne sapienti dei più sperduti villaggi, che ne sapevano della disputa teologica esplosa fra gli uomini dotti della Chiesa e della cultura cristiana, ognuno dei quali deciso a imporre la propria definizione della maga di Endor e del suo potere? Che ne sapevano che la disputa secolare si sarebbe conclusa stabilendo che la maga di Endor fu strega e con lei per estensione strega ogni donna che intrattiene rapporti con il mondo soprasensibile? Che ne sapevano, le donne, che solo la Chiesa e non altri ha ricevuto da Dio il lasciapassare per il mondo della profezia, dei defunti, della visione? Che ne sapevano, le donne, della indole santa degli uomini di chiesa, unici autorizzati a godere del rapporto con i defunti, e della propria indole diabolica?
Come credere, inoltre, ai signori inquisitori che avevano trasformato gli spiriti dei defunti in Satana e nei suoi demoni, dato che tutto il mondo intorno a Bessie credeva nel ritorno dei morti che venivano sognati, visti, ascoltati?
Eppure, realtà straziante, le parole che i signori inquisitori esigevano dalle “streghe” sottoposte a tortura erano pressappoco queste: «Certo che si trattava del Diavolo... lo sapevo ma ho mentito... ho mentito dicendo che quello che ho visto era lo spirito di mio marito... del vicino di casa...». Noi streghe alla fine le dicevamo eccome, quelle parole, sperando così di por fine alla tortura, sperando di scamparla, di evitare rogo o forca.
Gli atti dei processi vergati dai notai che affiancavano gli inquisitori, riportano puntualmente dichiarazioni di questo genere: l’imputata tal dei tali dopo aver sostenuto di parlare con i defunti, e quindi di essere in grado di evocarli, finisce con l’ammettere di aver parlato non con un defunto ma con Satana. Colpevole. Giustiziata.
Fosse stato almeno che i signori inquisitori calvinisti – almeno loro che tanto ci tenevano a distinguersi dai cattolici – fosse almeno stato che dopo aver depennato l’esistenza di quella terra di mezzo che è il Purgatorio, fossero stati più rispettosi di quello spazio fra cielo e terra che le credenze precristiane assegnavano ai defunti e alle fate. Nossignore. Martin Lutero scrisse nel suo Commento alle Lettere ai Galati, del 1535, che noi tutti viviamo avvolti da spiriti diabolici che ci volteggiano intorno. Quanto ai defunti, quelli che continuano ad apparirci, sono tutti spiriti demoniaci. Per Lutero, Satana – micidiale elemento inquinante – si insinua nel pane che mangiamo, nelle bevande che beviamo, l’acqua ne è ammorbata già di suo, figuriamoci il vino. Satana, che è secondo Lutero signore della terra, pervade i tessuti che indossiamo, l’aria che respiriamo. Si attacca ai nostri capelli, scivola nelle nostre impronte. Conduce i nostri gesti, deforma le nostre parole. In breve, è ovunque. Massimamente nelle azioni delle streghe, le donne da lui possedute.
Anche Giovanni Calvino, grande esperto di roghi delle “streghe”, non perse l’occasione per dir la sua, demonizzando la maga di Endor. Non per niente la Svizzera si distinse in persecuzioni. La Riforma al completo, trasformati in demoni gli spiriti, con impegno ancora maggiore dei cattolici si accanì contro le donne che vedevano i defunti, e questo in un’epoca e in una cultura – e in luoghi che comprendevano anche Inghilterra, Scozia, Irlanda – in cui le apparizioni dei morti erano per ognuno parte della quotidianità. Fossero state almeno avvertite, le donne giustiziate come streghe, che la religione cattolica e riformata avevano deciso che se vedi un morto quello è Satana. Allora sì che noi chiamate streghe avremmo tenuto la bocca ben chiusa a proposito dei morti che tornano, anche se non era certo questa la sola imputazione che ci definiva colpevoli di stregoneria.
Che farsene però di tutti i racconti di spiriti che dai tempi antichi venivano tramandati di generazione in generazione, a parte l’esperienza personale? Non sono invenzioni nostre, sostenevano le donne accusate di stregoneria, bastava andarsene in giro per scoprire che agli spettri credono tutti, bastava uscire una buona volta da quest’aula tetra del tribunale, fuori verso la luce delle campagne, verso il silenzio ombroso dei boschi e nelle montagne di tutta Europa, per ascoltare quello che raccontano gli abitanti dei loro sogni, delle loro visioni, dei loro dialoghi con i defunti che tornano.
Di tutto questo parlare di defunti che tornano ne sapevano qualcosa i predicatori, i quali dal pulpito si dovevano impegnare per convincere l’allibita folla dei fedeli che la vera natura dei fantasmi era diabolica: si trattava cioè di Satana e i suoi diavoli; essi ci appaiono davanti agli occhi o nei sogni, travestiti da spiriti defunti. Si usciva dopo la predica dalla chiesa portandosi a casa la paura. A meno di ignorare il senso della predica e, sperando di evitare il rogo, continuare a trattare devotamente con gli spiriti dei morti, a imbandire per loro una piccola mensa, a sperare nei loro consigli, poiché i defunti tutto sanno e tutto vedono, anche il nostro futuro. Come si farebbe se no, senza di loro, a far profezie?
Tornano quelli che abbiamo amato o odiato, il vicino di casa o l’innamorata annegata nel fiume lavando i panni, il marito scomparso in guerra e il figlio morto poche ore dopo la nascita. Tornano quelli che non ne vogliono sapere di andarsene per sempre dall’aldiqua. Sono questi gli spettri che tornano a visitarci. Donne come Anna detta la Rossa, processata nel 1581 dall’inquisitore di Aquileia, portavano ai vivi messaggi e raccomandazioni dei parenti defunti con cui avevano parlato. Donne come la Seelenmutter, denunciata nel 1573 e arsa sul rogo nel cantone di Schwitz, erano tanto capaci di evocare i defunti da saper insegnare questa dote ad altri. Donne come Florinda Basili, processata in Friuli nel settembre del 1599, affermavano di andare in processione con i morti, salvo poi smentirsi per paura del rogo.
La morte, dalle nostre parti – sussurravano fra di loro le donne sapienti di tutti i tempi e di tutti i villaggi dei Paesi europei – è cosa familiare, ed è chiaro che il suo mistero possa far paura, ma tutti sanno che gli esseri soprannaturali non sono un’invenzione e ci stanno vicini, a un passo, anche se invisibili a tanti. Buoni o malvagi che siano – e che il male esista chi lo nega, dato che ne vengono corrosi anche i defunti – buoni o malvagi che siano, quindi, gli spiriti esistono e hanno i loro bravi poteri. E aggiungiamo pure che tornano anche quelli che sono morti di morte violenta e prematura, le donne che se ne vanno dando alla luce un figlio, i bambini schiacciati dai cavalli, i suicidi, gli assassinati, gli annegati, i morti in battaglia, tutti quelli che sono trapassati in un batter d’occhio, a cui aggiungiamo – era questo che credevano le donne dei villaggi e delle montagne – chi non ha goduto di un rito funebre acconcio e di decente sepoltura.
Si sa che il tema del ritorno dei morti fa parte di ogni cultura, dalle antichissime culture nordeuropee a quelle greco-romane, per non parlare delle culture di ogni altro Paese e ogni altra epoca, in qualsivoglia latitudine di questo benedetto mondo, in cui puntualmente i morti sono presenze percepite e con cui si intrattengono rapporti.
Evangelizzando con i suoi missionari l’Europa pagana, la cristianità ebbe i suoi grattacapi non solo per spazzar via divinità e spiriti della Natura. Anche questa potente credenza pagana negli spiriti dei defunti andava affrontata di petto.
Alla concezione pagana della morte che toglieva la vita per rigenerarla nel ciclo cosmico della Grande Dea, la cristianità sostituì la propria: la morte cristiana che la Chiesa, puntando totalmente sulla salvezza dell’anima, rivestì con la paura dell’aldilà, abbigliò con una morale religiosa centrata sulla nozione del peccato da scontare dopo aver lasciato questa vita, imbellettò con la promessa del Paradiso a patto che padri, figli, mariti, mogli e congiunti del defunto operassero per la salvezza dell’anima del caro estinto. Vale a dire facendo dire messe per i defunti e versando elemosine alla Chiesa. In questo modo, ammonivano i predicatori, sarebbe stato possibile scantonare dall’Inferno, accorciare i tempi della penitenza in Purgatorio e favorire l’ingresso in Paradiso dell’anima del defunto. Che se poi questi fosse stato definitivamente destinato all’Inferno, nessuno avrebbe potuto farci più niente, ma, ammoniva la Chiesa, mai disperare del Signore. A sentire i predicatori della cristianità si poteva andare tutti in Purgatorio, da qui bastava sollecitare ai parenti in vita messe e lasciti funebri per liberarsi dei peccati e poi via, per il Regno dei cieli.
Che si organizzi la morte in rito, dunque, che si separi il vivo dal morto e si distruggano le antiche credenze pagane. Che si enfatizzi la credenza nei morti che ritornano, sì, ma esclusivamente per implorare da noi messe e preghiere e farci correre con i soldi in mano alla chiesa più vicina a ordinare messe di suffragio ogni tre giorni, ogni sette giorni, ogni mese, ogni anno e poi via, nel dimenticatoio, per far posto a nuovi morti, nuove apparizioni, nuove implorazioni di aiuto ai vivi che aiutino i defunti a saldare più in fretta possibile i conti per i loro peccati.
Gli avari, quelli a cui neanche un morto riesce a far scucire una moneta; gli smemorati, quelli che dei parenti si dimenticano in un batter d’occhio quando sono vivi, e figuriamoci da morti; i vendicativi, che per certe morti hanno gioito; tutti quanti costoro potevano mettere una mano sul fuoco: i loro congiunti deceduti, se privati delle preghiere, avrebbero continuato ad aggirarsi tormentati in casa, di notte e magari anche di giorno, implorando concreto aiuto per salvar l’anima. Dal pulpito i predicatori ammonivano: chi non si preoccupa dell’anima dei propri congiunti imboccherà la strada dell’Inferno.
Come non tremare allora e non affrettarsi a metter mano alla borsa, a rinfrescare la memoria, a cancellare annosi rancori?
Magistrale fu in questo senso l’opera di convincimento degli abati, quelli di Cluny in testa, capaci di istituire intorno alla morte liturgie imponenti e dispendiosissime per i vivi. Ma l’anima glorificata con paramenti e preghiere e coro dei monaci ne avrebbe avuto grande sollievo. Unitamente alle casse dell’abbazia in questione.
Se il primo Cristianesimo si era dimostrato ostile alle antiche credenze pagane circa il ritorno degli spiriti dei defunti, dal Medioevo la Chiesa tornò ad alimentare la credenza nelle apparizioni dei morti, ma rivisitandone il senso. Gestendo in esclusiva la comunicazione fra il regno dei vivi e quello dei morti, la Chiesa rafforzava il suo potere sulla società cristiana, otteneva l’efficace scopo di propagandare la liturgia dei defunti e lo sviluppo della pietà, di favorire le donazioni alle parrocchie in nome dei parenti estinti, di presiedere alle trasmissioni delle eredità, di imporre norme morali e sociali.
Le donne capaci di entrare in contatto con i defunti divennero streghe, e demoni i morti che a esse apparivano.
Agli antichi culti funebri, alle antiche credenze sulle apparizioni dei defunti e sulle visioni, si sovrapposero le apparizioni regolate dalla cristianità: i santi, i beati, i monaci, vennero autorizzati ad apparire. Non i morti senza arte né parte, per così dire, a meno di non apparire per implorare preghiere e suffragi.
Ci si poteva stendere sul sepolcro di un santo in attesa che comparisse, ma non su quello di un morto qualsiasi. Nel primo caso l’eventuale apparizione rientrava nei canoni religiosi della Chiesa; nel secondo andava ascritta a illusione pagana e quindi diabolica.
I culti funebri tramandati dalle antiche credenze precristiane furono vietati. Proseguirono nella clandestinità. Di nascosto si continuarono a imbandire banchetti in onore del defunto, bevendo tutti insieme sulla sua tomba e facendo festa nei cimiteri.
I morti funesti, quelli i cui influssi maligni venivano placati nella cultura romana con un lancio di fave nere oltre la spalla sinistra, vennero dichiarati decaduti dalla Chiesa insieme ai Mani, spiriti benevoli di parenti e affini, a cui nelle dimore della romanità veniva edificato un piccolo altare.
Certe antiche saghe nordiche – raccolte nell’Edda, testo anonimo che risale all’anno Mille – narravano di combattimenti fra morti che ritornano, muniti di un vero e proprio corpo, impazienti di avventarsi sui vivi cercando di divorarli, vampireschi e terrificanti. Spettri agghiaccianti si aggiravano nelle regioni settentrionali, a detta dei cronisti cristiani.
A sbaragliare gli spiriti di questi defunti, pagani e quindi malvagi, ecco avanzare la schiera degli spiriti dei santi defunti, con in testa san Martino, l’eroe del cristianesimo, che torna dopo la morte per liberare le contrade delle Gallie dallo spirito di un altro defunto, definito un «vero brigante» dall’agiografo Sulpicio Severo, le cui apparizioni venivano venerate con culti pagani e devozione dalle genti di quelle terre, non ancora evangelizzate.
Il cristianesimo si ingegnava a confondere i morti funesti del paganesimo con spiriti demoniaci responsabili delle sventure della comunità. I morti pagani, i morti malefici, quando tornavano venivano spruzzati dal prete esorcista con l’acqua benedetta: non è così che si fa con i demoni, per scacciarli? Accogliamo con gioia invece, dichiaravano predicatori monaci, le apparizioni dei santi e dei beati, diamo forza al loro culto, ascoltiamo le loro parole che ci mettono in guardia contro il peccato e ci invitano a prepararci alla morte.
A guardar bene, paragonata a questi santi e beati, quanto più luminosa fu l’apparizione di Thomas Reid nella cucina di Bessie Dunlop! Thomas Reid si presentò dopo morto per proteggere Bessie, per farle conoscere le fate dotandola della seconda vista, per insegnarle i segreti dell’arte medica e della guarigione. Thomas parlava di vita. Venne definito Satana.
Generazioni di donne simili a Bessie Dunlop vivevano immerse in una loro quotidianità percorsa da spiriti, benevoli o malevoli che fossero, ma senza dubbio familiari. Con l’arrivo del Cristianesimo vennero travolte da una miriade di racconti edificanti e moralmente istruttivi e ammonitori, opera dei monaci cronisti, che ignoravano i morti comuni per esaltare le cristiane apparizioni, puntualmente divulgate fin nei più lontani villaggi.
È nel libro IV dei Dialoghi di Gregorio Magno, vissuto intorno alla metà del primo millennio, la vicenda di un prete che spesso si immergeva nelle salutari acque di Tauriana, servito da uno sconosciuto silenzioso e di grande gentilezza. Un giorno il prete gli regalò due corone d’offerte, vale a dire due pani destinati al sacrificio dell’Eucarestia. Subito l’uomo uscì dal suo riserbo e, trattenendo i singhiozzi, rivelò di essere un defunto, già stato in vita padrone dei bagni di Tauriana, e che doveva espiare i peccati nel luogo dove aveva vissuto. Supplicò il prete di offrire il dono a Dio e scomparve.
I cronisti medioevali della cristianità ignoravano forse che proprio presso le sorgenti – nelle antiche credenze precristiane – fosse facile incontrare lo spirito di un defunto? Forse no, se il diacono Pascasio, morto da qualche tempo, appare alle terme di Angulum a Germano, vescovo di Capua, che lì si trovava. Lo spettro del diacono supplica il vescovo di pregare per lui, aiutandolo nell’espiazione dei propri peccati per permettergli di imboccare la strada del Regno dei Cieli. Germano esegue e il diacono da quelle preghiere prende la spinta per filarsela purificato in Paradiso.
Matteuccia Francisci, processata a Todi nel 1428, dichiarò di aver placato con le sue formule e allontanato gli spettri da cui era tormentato un tale di Perugia, che si era addormentato sulla tomba di un defunto di oscure origini.
Ignoro quanto si sia fatta pagare Matteuccia, bruciata come strega, per aver avuto a che fare con gli spiriti che infestavano il perugino, ma leggo nei documenti che, per placare gli spiriti dei defunti, la liturgia funebre gestita dalla Chiesa raccomandava ai moribondi di dividere i propri averi fra la Chiesa e gli eredi, esortando questi ultimi a far dire messe per l’anima dell’agonizzante.
I monaci usavano abitualmente dei lasciti in parte pregando per l’anima del defunto e in parte assistendo i poveri. L’elemosina serve ulteriormente ad agevolare al defunto la via per il Paradiso. C’è da ringraziare il cielo che in tutte le epoche si trascinino per le strade veri e propri eserciti di mendicanti, tanto efficaci, se accettano un piatto della nostra zuppa, nel promuovere la salvezza dell’anima di cari congiunti.
Feroci racconti religiosi, che venivano tramandati nei secoli, ammonivano coloro che facevano sparire nelle proprie tasche i beni che il defunto aveva destinato al monastero. In una notte dell’anno 837 i monaci defunti del monastero di Fulda si avventarono tutti insieme sul confratello Adelardo, che si era appropriato di una notevole somma destinata ai poveri. Gli spiriti dei morti fecero a pezzi il monaco ladrone. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Nonostante il divieto c’era chi ancora frequentava di notte i cimiteri per mettersi in contatto con i defunti, pratica abituale delle antiche credenze come quella di far festa nei cimiteri, se non addirittura in chiesa, bevendo e ballando e mangiando sulle tombe dei defunti sepolti nel pavimento o appoggiandosi – fra una chiacchiera e l’altra, fra una risata e l’altra – ai sarcofaghi in pietra disposti lungo le pareti: fra vivi e morti continuava a scorrere quel colloquio che la Chiesa faticava a troncare.
Per distogliere i vivi dalle loro pratiche funebri pagane e nell’intento di demonizzare i poveri defunti, a quanto pare per niente contrari a partecipare alla baldoria generale, il vescovo Ditmaro di Merseburgo fece divulgare la notizia della tragica fine di quel prete che, intorno all’anno Mille, si era intestardito a mescolarsi con certe piccole luci che volavano a mezz’aria nel cimitero, di notte, e che si erano rivelate essere spiriti di defunti monaci. Gli spettri scacciarono un paio di volte l’intruso. Il prete tornò di nuovo, questa volta munito di acqua benedetta e di reliquie sante e di svariato potere. Inferociti per la stolta cocciutaggine con cui l’ecclesiastico si ostinava a disturbarli, gli spiriti dei defunti lo afferrarono, lo distesero sull’altare e lo bruciarono vivo.
Il vescovo della città, Baldrico di Utrecht, ordinò ai fedeli un digiuno di tre giorni per salvare l’anima del perturbatore della quiete funebre. Brigitta, nipote di Baldrico e santa badessa del monastero di Saint Laurent, commentò devotamente l’episodio: «Il giorno appartiene ai vivi e la notte ai morti». Traggano da racconti di questo genere la debita lezione morale i fedeli, casomai avessero ancora la tentazione di frequentare di nascosto cimiteri e chiese, come si usava una volta. E di uscire di casa durante la notte.
Mentre le donne sapienti continuavano a raccogliere le loro erbe, a guarire, a far nascere figli, a farsi consigliare e aiutare dagli spiriti soprannaturali e dai loro personali defunti, in tutta Europa si moltiplicavano, dopo l’anno Mille, ben altre apparizioni di defunti, promosse dal diffondersi dei monasteri. Apparizioni sante, questa volta, anche esse capaci di generare guarigioni, ma non basta: dalla guarigione si passava ai miracoli, se non alla risurrezione di un morto.
Le donne si muovevano libere nei boschi e nei campi, nei villaggi e sulle montagne, parlando con i defunti. I monaci, rinchiusi fra alte mura nelle comunità delle abbazie, dal nord d’Europa all’Italia meridionale, riflettevano sui defunti. Le prime, ignare che i loro saperi tramandati di madre in figlia avrebbero portato al rogo e alla forca future generazioni di donne, i secondi intenti a trascrivere racconti di santi spettri che avrebbero contribuito a definire nuovi culti e con essi la mentalità degli inquisitori.
L’abate Roberto di Mozat era tutto affaccendato a seguire la costruzione della basilica di Clermont e la fabbricazione di una statua innovativa che avrebbe dovuto contenere delle reliquie. La statua rappresentava la Vergine con il Bambino. Si noti che le chiese non offrivano ancora, al culto dei fedeli, statue della Madonna o dei santi, simulacri che troppo da vicino avrebbero ricordato pratiche pagane di idolatria. Fatto sta che l’abate Roberto vede apparirgli in sogno il suo vescovo, Stefano II di Clermont – all’epoca vivo e vegeto – accompagnato dallo spirito del defunto Drucberto di Mozat, famoso predecessore di Roberto. Il defunto si informa stupito, vedendo la statua della Vergine: dove la collocherete? Drucberto, in effetti, aveva tutte le sue ragioni per essere sbalordito, in quanto non aveva mai visto prima un’immagine sacra tridimensionale e in oro raffigurante la Madonna: fino a quando era vivo, Vergine e santi venivano rappresentati solo in bassorilievo o dipinti, per evitare il peccato di idolatria. Per Drucberto, uomo di una generazione precedente, era del tutto inammissibile che una statua potesse essere oggetto di culto. Quindi domanda ancora: dove collocherete questa statua? Il vescovo Stefano e l’abate Roberto rispondono: come sarebbe a dire, dove la mettiamo? Ma ovviamente nella basilica che stiamo costruendo! Il defunto Drucberto approva e benedice il diffondersi di un nuovo tipo di devozione. Vescovo e abate si affrettano a divulgare il sogno e il suo senso: da questo momento le statue possono lecitamente entrare nelle chiese, essere poste sugli altari, ricevere voti e preghiere. Non solo: la parola di un defunto che abbia fatto parte delle gerarchie ecclesiastiche legittima l’azione umana.
Le donne sapienti – valgano per tutte Bessie Dunlop con il suo Thomas Reid, o Benedetta Mangialoca di Reggio Emilia con i suoi spiriti aiutanti – che avrebbero con ingenuo orgoglio dichiarato ai signori inquisitori di avere al fianco uno spirito che approvava e aiutava le loro azioni di guaritrici, sarebbero stato condannate in quattro e quattr’otto come streghe colpevoli di esser guidate dai demoni. I loro defunti non erano certo san Benedetto che, dopo morto, contornato da una schiera di abati defunti come lui, moltiplicava le sue apparizioni nei monasteri di Fleury-sur-Loire o Montecassino, alternativamente o in contemporanea, per ammonire sulle atrocità dell’Inferno e le delizie paradisiache.
Sfuggiva, alle nostre donne sapienti, il lacerante contrasto fra le loro visioni e quelle delle gerarchie ecclesiastiche, fra la propria collocazione sociale e quella di chi si muoveva all’interno del territorio autorevole della Chiesa, dove si è preti, monaci, badesse, detentori di cultura, mediatori con il divino e dove soprattutto si era capaci di scrivere, leggere e predicare.
Erano forse state legittimate le donne, nel loro parlar con gli spiriti, da un Pier Damiani, il santo camaldolese della metà del secolo XI, il severo eremita di Fonte Avellana poi vescovo di Ostia, gran diffusore del culto della Vergine ed estensore autorevole di scritti sulle apparizioni degli spiriti di defunti esemplari? Qui sì, negli Opuscula di Pier Damiani, qui sì che i defunti per apparire avevano i loro sacrosanti motivi. Marozia, una donna di Roma, appare alla sua madrina e le annuncia che la Vergine in persona l’ha salvata dal Purgatorio. Un morto appare al suo compare di nozze e lo conduce, in sogno, a un’assemblea di santi che circondano la Vergine intenta a giudicare e assolvere le anime. Un marito defunto appare alla moglie sollecitando messe in suffragio della sua anima ed elemosine da elargire allo stesso scopo. Un monaco di Camaldoli, gran peccatore, chiede a un altro monaco, suo amico, di dividere con lui preghiere e digiuni per accelerare l’espiazione dei propri peccati; costui accetta e si impegna con una promessa a collaborare alla pesante penitenza. Il peccatore muore improvvisamente e l’amico si affretta a sospendere preghiere e digiuni. Ecco apparirgli lo spirito del defunto, furibondo, che lo rimprovera aspramente: cosa gli è venuto in mente di venir meno alla promessa per avventarsi sul cibo e lasciar perdere le preghiere? Ora lui, povero spirito dalla coscienza ancora sporca, è costretto chissà fino a quando a espiare in Purgatorio, dove le fiamme, si badi bene, bruciano sul serio.
Non lo sapevano, le donne veggenti che parlavano con i defunti, non lo sapevano che su loro e sulle apparizioni che le riguardavano Pier Damiani non scrisse una sola riga? In compenso fu entusiasta sostenitore dell’innovazione liturgica voluta dall’abate Odilone di Cluny, che nel 1030 istituì la Festa dei Morti il 2 novembre, giorno successivo a Ognissanti, guarda caso proprio in coincidenza e sovrapposizione con le feste pagane di Trinox Samoni. Nella Vita di sant’Odilone, Pier Damiani racconta che il venerabile abate Odilone ricevette le confidenze di un eremita siciliano, il quale si era stabilito sulle falde dell’Etna – notoriamente abitato dagli spiriti elementari, gnomi o salamandre, descritti da Paracelso. L’eremita raccontò dunque a Odilone che le fiamme dell’Etna sono dimora dei diavoli, altro che spiriti elementari! E che questi diavoli, non accorgendosi della sua presenza, protestavano sfogandosi uno con l’altro, amareggiati perché le preghiere dei monaci cluniacensi riuscivano a strappare dalle loro grinfie un’anima dopo l’altra, per spedirla in Paradiso. Fu dopo questo racconto che Odilone decise di dedicare ai defunti un giorno particolare, una festa tutta per loro e il 2 novembre gli parve la data più adatta. Dopo aver istituito tale festa, sovrapponendola alle feste pagane, Odilone ricevette la visita dello spirito di papa Benedetto XI, che lo lodò per l’iniziativa, appoggiandola incondizionatamente.
Le donne sapienti non avevano neppure alle spalle un Pietro il Venerabile, dal 1122 nono abate di Cluny, la formidabile abbazia benedettina, centro di miracoli, visioni, apparizioni, sogni profetici. Autore di ben due volumi di racconti su apparizioni e miracoli, dal titolo De miraculis, Pietro stesso venne visitato da apparizioni davvero significative. Prima di partire da Cluny per un viaggio a Roma, Pietro venne a sapere della morte del priore di Charlieu, tale Guglielmo. Pietro sospettò che fosse stato avvelenato dai suoi stessi monaci, furibondi per essere obbligati a piegarsi a una disciplina troppo severa. Quando Pietro fu a Roma, ecco che Guglielmo gli apparve in sogno, confermando i suoi sospetti e indicandogli l’assassino. Il sogno si ripeté ben due volte, a conferma indiscutibile della sua veridicità. Pietro tornò a Cluny e da qui si recò a Charlieu, fece convocare il colpevole e lo condannò al bando.
Nei racconti di Pietro il Venerabile i defunti apparivano ai vivi prodigandosi in morali consigli, annunciando morti imminenti, quindi facendo profezie, esortando a pregare, a dir messe per l’anima dei defunti, a non compiere omicidi, a non rubare, a non varcare i recinti dei cimiteri, a proteggere i poveri, a non opprimere i deboli. Spiriti, questi, capaci di progettare l’edificazione di una società civile profondamente religiosa, spiriti straordinari. Ben diversi dagli spiriti di soldati straccioni, in vita attaccabrighe e giocatori di golf, come un qualsiasi Thomas Reid, apparsi a donne ignoranti di campagna come una qualsiasi Bessie Dunlop. Spiriti preoccupati – figuriamoci – di insegnare i saperi delle fate.
Se ci venisse poi il sospetto che in nome degli spiriti defunti certi monaci disonesti e avidi si approprino di non pochi denari ricevuti da vedove e parenti dei defunti per messe in suffragio o per elemosine, autorevoli racconti ci informano che quand’anche si verificassero tali deplorevoli eventi, non bisogna assolutamente aver paura: l’anima da salvare infila in ogni caso la strada per il Paradiso. Un marito defunto appare alla vedova e la ringrazia di aver versato grosse cifre in elemosina per salvargli l’anima, informandola che il prete a cui la donna aveva consegnato il denaro si era però ben guardato di beneficiare i mendicanti, ma aveva intascato la somma. Lo spirito rassicura la costernata consorte: è bastato il gesto generoso per salvarlo dall’Inferno, non si preoccupi quindi della destinazione del denaro.
Protestassero pure le donne sotto processo per stregoneria, colpevoli di evocare gli spiriti su richiesta dei parenti dei defunti, dichiarando di accettare in cambio della funzione di “messaggere delle anime” solo modestissime somme di denaro, un po’ di pane e qualche bicchiere di vino.
Non capivano che non tanto l’entità della cifra ottenuta per i propri inganni diabolici le rendeva streghe, bensì la loro disinvoltura pagana nel trattare con i demoni? Credevano forse di essere pari ai monaci? O ai santi? O alle sante? Chi le autorizzava a evocare spiriti dei morti non solo per se stesse ma addirittura anche per conto terzi?
Tutto il villaggio di Montaillou, nella contea di Foix in Francia, al principio del Trecento finì nelle mani dell’inquisitore Jacques Fournier, che sarebbe diventato papa Benedetto XII a Avignone, implacabile ricercatore di eresie. Catari, albigesi, valdesi avevano già infestato quelle regioni, in cui Jacques Fournier imperversò istituendo processi lunghi e puntigliosi.
Facendo ricorso, pare moderatamente, alla tortura, riservava agli imputati catena alla caviglia, digiuni a pane nero e acqua, celle strettissime che avevano già ospitato certi lebbrosi accusati dall’inquisitore di avere avvelenato le sorgenti e i corsi d’acqua con polvere di rospo, per contaminare la popolazione intera diffondendo l’orrido morbo.
Villaggio straordinario, questo di Montaillou, situato lungo la valle dell’Ariège. Non si può non ricordare che in questo stesso fatato territorio, nell’Ariège, sulle pareti della Caverne des Trois Frères fu ritrovato un dipinto che risale al tardo paleolitico e rappresenta una uomo danzante, mascherato da cervo, il capo ornato da lunghe corna palcate. Non si danzava forse travestiti da cervo – il Dio della Vegetazione – durante le feste stagionali delle antiche credenze precristiane? Non era forse pratica tanto diffusa, quella di mascherarsi il volto con le sembianze dell’antico dio, da venire espressamente vietata dalla Chiesa?
Comunque sia, nello stesso territorio dell’Ariège visitato dagli inquisitori, compreso il villaggio di Montaillou, evocare spiriti era cosa di tutti i giorni, praticata comunemente da donne e uomini.
Arnaud Gèlis di Montaillou, che si guadagnava da vivere come domestico di un canonico, dichiarò all’inquisitore di aver trattato con almeno una ventina di spiriti di defunti, e non in sogno. Gli spiriti gli apparivano quando era ben sveglio, lo incaricavano di far dire messe per le loro anime, di concludere in loro nome affari lasciati in sospeso, di intervenire perché i loro parenti, se in lite, si riconciliassero, o per rimediare in loro nome a qualche torto.
Anche le donne di Montaillou, si legge negli atti dei processi, parlavano con i morti e li vedevano spesso. Raimonde, figlia di Pons Hugon, dichiarò fra l’altro di andarsene in giro insieme ai morti, anche per vari giorni. Al ritorno aveva il suo daffare dato che i morti l’avevano incaricata di una serie di commissioni: saldare vecchi debiti, far qualche regalo che i defunti non hanno fatto in tempo a donare, visitare certi vecchi amici. Con Raimonde, “messaggera delle anime”, lo spirito di una contadina defunta si lamenta perché i figli prima di chiudere la bara le avevano tolto di testa il velo che la ricopriva. Rivuole quel velo, a cui è affezionata. Raimonde si affretta a recuperare il velo sottratto e a regalarlo a un mendicante: il dono al povero indirizzerà il velo nella giusta direzione.
Nelle vallate intorno a Montaillou non c’è un solo contadino che dubiti della presenza dei morti fra i vivi: i morti vanno e vengono, circolano liberamente nelle case, nei prati e nelle campagne, e sono così tanti che bisogna stare attenti a non far gesti bruschi per non urtarli. Che li si veda o no, che si parli con loro o no, gli spiriti dei defunti sono presenti, a un passo, a condividere la quotidianità con gli abitanti delle vallate, anche se preferiscono vagare per i cimiteri e nella chiesa, attirati dalle lampade votive.
Tutti stupiti, a Montaillou – come in ogni altro luogo e in ogni epoca delle persecuzioni contro le streghe – che i signori inquisitori ritenessero che quei morti fossero demoni e che sostituissero al vasto orizzonte dei defunti una verticalità gerarchica: secondo gli inquisitori appena l’anima sguscia dal corpo va o in giù, o in su. Transitando eventualmente per il Purgatorio.
Qui da noi a Montaillou, affermano i contadini, la faccenda non sta in questi termini. Basta chiederlo ai “messaggeri d’anime”, a quelli che vedono i morti e parlano con loro.
I “messaggeri delle anime” raccontarono all’inquisitore che le ricche dame che se ne andavano in giro in carrozza, dopo morte le si può veder scorrazzare sulla carretta dei morti, tirata da diavoli, e al posto delle sete che avvolgevano le loro belle braccia ora ci sono fiamme che bruciano. I medici che lavoravano nel lebbrosario dopo morti continuano a vagare lì intorno e i monaci defunti non riescono a staccarsi dalle mura del monastero.
I “messaggeri delle anime” raccontarono anche all’inquisitore vescovo Fournier che gli alti prelati come lui, avidi nell’ammassare beni in vita, dopo morti se la passano male: li si può vedere correre inseguiti e sbranati senza sosta da grossi cani demoniaci, o tormentati da demoni. Fra i vivi passeggiano i morti che non hanno conti in sospeso con la Divina Provvidenza, e si tengono per mano, visitando le chiese, e le donne morte vanno avanti e indietro, abbracciate, alcune sono incinte, altre hanno, non si sa perché, la veste bucata.
A Montaillou si trattava con morti di solida consistenza – se così posso esprimermi – come Thomas Reid apparso a Bessie Dunlop ben due secoli più tardi, testimoniando con la sua apparizione che nonostante gli annosi sforzi compiuti dalla Chiesa cattolica e da quella riformata, gli spiriti dei defunti sfuggivano fra le maglie della religione dominante e continuavano a visitare per conto loro i comuni mortali.
I morti hanno freddo, di notte vengono a riscaldarsi nelle case, non mangiano ma bevono vino e del migliore. I morti amano le case belle pulite, proprio come le amavano le fate, che insieme alla loro Regina di notte vanno a visitare le case dei mortali, prediligendo quelle linde e ben tenute. A differenza delle fate, i morti, affermano i “messaggeri delle anime” di Montaillou, non possono avere rapporti sessuali; in compenso corrono avanti e indietro, corrono in chiesa – non i defunti ebrei, ovviamente – corrono anche in pellegrinaggio a San Giacomo di Compostela, per cinque giorni di fila. Quelli costretti a correre più degli altri sono gli spiriti dei defunti avari e usurai, che in vita prestarono denaro a interesse superiore al 10%. Moltitudini.
Nessuno di questi morti parla ai “messaggeri delle anime” di Inferno o di Purgatorio, tanto simili ancora una volta a Thomas Reid che a Bessie Dunlop non domandò preghiere o messe, non parlò di Inferno o Paradiso, non parlò di salvezza dell’anima né di peccati da scontare. Parlò di fate.
I “messaggeri delle anime” procurarono non pochi problemi agli inquisitori di Francia. A toglierli di mezzo spedendoli sul rogo come stregoni, si rischiava che la popolazione al completo, non avendo più intermediari con l’aldilà, si mettesse direttamente in contatto con i defunti, cosa non impossibile a queste genti dai poteri sconcertanti. La popolazione si sarebbe così sottratta del tutto al controllo della Chiesa, come accadeva in tante altre parti d’Europa, in Bretagna e più su a nord, dove persistevano tenaci le antiche credenze celtiche.
La tradizione orale, fra l’altro, tramandava da una generazione all’altra racconti di spettri come quello in cui certi cavalieri si levano una notte dal loro sepolcro e impugnano la spada e vanno a trafiggere chi se lo merita; dame muoiono consunte da un qualche orribile morbo e si ripresentano, fascinoso fantasma, all’amato in lacrime per gettarsi fra le sue braccia o, alternativamente, per trascinarlo con sé nell’altro mondo. O la vicenda del cavaliere misterioso che appare a un torneo interamente coperto dalla corazza, con il volto nascosto dall’elmo, saldo in sella sul suo nero cavallo, cavaliere di coraggio straordinario, che vince tutti e quando infine stramazza a terra, chi gli alza la celata per scoprire il suo volto, nulla vede: era uno spettro ad animare la corazza.
Nell’orizzonte di questi racconti, in cui il soprannaturale irrompe in continuazione nella quotidianità, vivevano Bessie Dunlop e tutte le altre donne che, come lei, sapevano che i defunti possono tornare ad apparire. Orizzonte molto simile, questo, a quello in cui si svolgono i racconti delle fate. Non furono monaci, ma ancora una volta i mondani chierici di corte, come i già citati Walter Map, Gervasio di Tilbury e altri a raccogliere dal popolo i racconti del meraviglioso funebre.
I sogni diventavano occasione di rivelazioni cruciali, come quella del poeta Simonide che venne visitato dallo spirito di un annegato, che il poeta aveva tratto dal fiume per seppellirlo. Lo spirito lo avvertì di non mettersi in mare, il giorno seguente, se si fosse imbarcato, sarebbe stato inghiottito da una tempesta. Il chierico Giraldo di Barri scrisse che il proprio fratellastro, Gualtiero di Barri, ebbe un sogno, il giorno prima di partire per la conquista dell’Irlanda.
Nel sogno gli appare la madre di Giraldo che gli raccomanda di non partire. Gualtiero scioccamente non dà retta all’avvertimento della matrigna defunta. Parte. Sarà uno dei primi a cadere in battaglia.
Come dimenticare poi la vicenda del marito defunto tornato a uccidere la moglie e che faceva parte della contea di Arles? Ben sapevano tutti che i defunti seppelliti negli Aliscamps – cimitero antichissimo di Arles – hanno il privilegio di non essere mai, nel caso apparissero, illusioni procurate dai demoni. Se appaiono, non hanno nulla a che fare con Satana. Nella contea di Arles, dunque, un innamoratissimo marito sta per morire. Si fa giurare dalla moglie che non si sarebbe mai risposata: «Non devi appartenere a nessun altro».
Detto fra le righe, questo genere di giuramento supponeva un legame indissolubile ed eterno fra marito e moglie, a beneficio del sacramento del matrimonio come definito dalla Chiesa. Il marito dunque muore, la vedova si dispera, per anni e anni ben si guarda dal frequentare uomini e men che meno pensa a risposarsi. Subdoli parenti intervengono: è ancora giovane e bella, perché rinunciare alla vita?
La vedova finisce per farsi convincere, sceglie un nuovo sposo. Il giorno delle nozze, al ritorno dalla chiesa, tutti sono seduti in cucina, per il banchetto nuziale. All’improvviso la sposa si fa terrea: in fondo alla cucina le appare il marito morto che lancia sguardi di odio a lei e al novello consorte che le sta seduto al fianco. La sposa si rende subito conto che lei sola è in grado di vedere l’apparizione, come già accadde a Bessie Dunlop quando scorse in fondo alla cucina il mite Thomas Reid. I commensali della sposa vedono però con spavento il mortaio all’improvviso sollevarsi – come impugnato da una mano invisibile – e abbattersi subito sul cranio della sposa, fracassandolo.
Nei racconti di spiriti, l’immagine dei defunti tornati per apparire ai vivi assume via via contorni terrificanti, a contrastare la benevolenza di quelle analoghe apparizioni descritte ai signori inquisitori da tante donne – e uomini – finiti sul rogo o sulla forca. Da una parte apparivano spiriti buoni come quello di Thomas Reid, dall’altra fioccavano racconti in cui il morto che ritorna è larva terrorizzante se non vampiro, creatura infernale. Racconti in cui ognuno avverte un pesante ammonimento, una minaccia, una condanna.
Dopo aver bevuto un bicchiere di troppo all’osteria, un tale attraversa di notte un cimitero, inciampa in un teschio e insulta il morto che ha rischiato di farlo cadere. Gli salta il ticchio di invitarlo a cena, con frasi derisorie. Poco dopo, quando è finalmente arrivato a casa tastando i muri come ogni ubriaco che si rispetti, il tale sente bussare alla porta: è il morto, in avanzato stato di decomposizione, che con arroganza omicida viene a reclamare il piatto di minestra promesso.
Un ricco prevosto della cattedrale di Basilea ammassa denaro, si dà ai bagordi con cibi e vini squisiti e, come se non bastasse, passa da un’amante all’altra; muore senza pentirsi dei suoi indecenti peccati, ed ecco che pochi giorni dopo la sua morte il guardiano della cattedrale lo vede quale povero spirito, incatenato a una colonna e torturato orrendamente da una schiera di diavoli.
Appaiono ai vivi con sempre maggior frequenza spiriti di suicidi, omicidi, ladroni, briganti di ogni risma, donne di malaffare, spergiuri, usurai, grassatori, bari, sottrattori di eredità, spiriti di chi ha avuto commercio carnale al di fuori del matrimonio, vale a dire amanti clandestini e concubini. Non si dimentichino gli spiriti degli scomunicati, capaci di inseguirti per ventiquattro miglia e se ti afferrano ti buttano nei fossi. E se dopo morti gli scomunicati ti tirano questo bello scherzo, non è più prudente evitare di frequentarli da vivi? Isolarli, escluderli, emarginarli?
Appaiono naturalmente gli spiriti dei morti senza battesimo, e quanti bambini fra questi, visto che le guaritrici non si fanno nessuno scrupolo nel procurare aborti, costringendo queste creaturine non battezzate a seguire le schiere volanti dei morti, a caderti ai piedi, magari infilati nella calza dove li ha cacciati alla bell’e meglio la levatrice che ha procurato l’aborto. Richard Rountre, in pellegrinaggio a Saint-Jacques, si ritrova accanto un simile fagottino, apre la calza, ne toglie un piccolo spirito che gli pigola di esser suo figlio, nascostamente abortito. Richard lo avvolge nella sua camicia, lo battezza e il piccolo se ne vola via tutto felice, verso il Paradiso.
Sempre più spesso spiriti di defunti inferociti per esser morti si alzano dalle tombe, sciamano fuori dai cimiteri, invadono le campagne, assaltano i viandanti o i contadini assorti nelle loro faccende, aggrediscono, mordono, accoltellano, tentano di uccidere. Diventavano vendicativi, i defunti, e ai vivi con funesta invidia volevano far scontare la fortuna d’essere ancora vivi.
La morte, un tempo sorella e compagna della vita, costretta ad assumere lei stessa un volto terrificante, rivestiva con la maschera del terrore le apparizioni degli spiriti dei defunti. Come, a questo punto, non sentirsi rizzare i capelli in testa al solo pensiero di morti che tornano e ti appaiono? E il primo ti caccia un punteruolo nella schiena e il secondo ti brucia una mano toccandola con la sua, cadaverica ma incandescente perché appena tolta dalle fiamme dell’Inferno. C’è quello che ti afferra alla caviglia e ti trascina di sotto se passi vicino a un cimitero, e quell’altro che ti cade sulle spalle, come fanno le streghe, succhiandoti il sangue se rasenti certi alberi. A parte il lugubre tasso, pianta dei defunti.
Come non bastassero le disgrazie che ci procurano i viventi per renderci la vita un inferno in terra, ci si mettono anche i morti, adesso? Dove sono andati a finire quei bravi defunti, a cui bastava accendere quattro candele sull’altarino per ottenere una benedizione per sé e per i propri figli? Ora, se accendi in loro nome la candela votiva, per ben che ti vada la fiammella ti incendia i capelli o dà fuoco alla casa intera. Meglio accendere i ceri in chiesa.
Gli inquisitori se la ridono sotto i baffi, loro: non avevano avvertito, sguinzagliando predicatori a destra e manca, che gli spiriti dei defunti, quando appaiono a chicchessia, sono in realtà diavolacci?
Che fare quindi, per liberarsi da una quotidianità divenuta ricettacolo di spiriti di defunti malvagi, se non precipitarsi dal prete più vicino, implorare l’assoluzione per i propri peccati pagando qualsiasi cifra e sottoponendosi a qualsiasi penitenza, pur di mettersi al riparo da certe orripilanti visioni? Affrettiamoci soprattutto a denunciare come strega la vicina di casa che ti guarda di traverso dopo averci raccontato certe faccende di spiriti l’altra notte a filò, spiriti con cui lei se la intende, e denunciamo quella che da sempre ci ha curati e che vive in fondo al villaggio ma insieme al suo gattaccio nero, e quelle altre due che ogni notte escono per andarsene chissà dove passando chissà perché vicino al cimitero, e soprattutto quelle che certe apparizioni le vedevano abitualmente, anzi di più: le coagulavano per così dire intorno alla propria persona.
E infine quelle – ma chi se le dimentica! – quelle come la nonna di Bessie Dunlop, che di notte se ne andavano nei cimiteri, a dissotterrare i morti per studiare come fosse fatto il corpo umano. Se non erano streghe quelle, capaci di maneggiar cadaveri alla faccia dei medici laureati, alla faccia della Chiesa, chi lo era, strega?
Nella Germania della persecuzione contro le streghe interi villaggi, percorsi dai racconti di spettri diabolici e popolati di guaritrici e di inquisitori, rimasero senza una donna, tante furono le denuncie anonime contro le streghe e tanti i roghi.
Stragi analoghe nei Paesi Baschi, nella cerchia alpina d’Italia, in molte regioni francesi, in Savoia; o nelle lande inglesi, che lì di spettri se ne incontrano davvero a ogni passo. E quindi di forche.
Ai defunti della quotidianità, come già accadde alle fate, l’Illuminismo sferrò, dopo la Chiesa, l’ultimo colpo. Svilì nella superstizione la credenza nelle apparizioni dei morti. Trasformò i “messaggeri delle anime” in spiritisti.
La maga di Endor, legittimata dalle Sacre Scritture quale evocatrice di morti, demonizzata dalle gerarchie ecclesiastiche della cristianità quale strega, dal fondo del deserto dove si era rifugiata continua a fissare su di noi quel suo sguardo insondabile.