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INNSBRUCK, 1485
«Che ti venga un accidente su quel tuo maledetto cranio!»
«Che ti venga un accidente su quel tuo maledetto cranio!» Sembra impossibile che con queste parole, un giorno d’agosto del 1485, una ragazza di Innsbruck insultasse nientemento che uno dei due autori del Malleus, l’autorevole teologo Heinrich Krämer, detto Institor o Institoris, in persona. Audacia ancora più ammirevole – e temeraria – considerando che l’evento accadde nella cattedrale della cittadina austriaca, gremita di popolo e di nobili. Helen Scheuberin seduta fra la folla gettò lì queste parole nel bel mezzo di una delle prediche di Institor. Bianco e nero nella sua veste di domenicano e con l’aria di essere stato calato sul pulpito direttamente dal Cielo, il futuro autore del Malleus stava informando la popolazione al completo delle malefatte delle streghe, del loro patto con il Demonio, della malvagità delle donne facitrici di malie perverse e serve del Demonio. E invitava alla delazione, che lo agevolasse a procedere in quello che sarebbe divenuto uno dei più famosi processi contro le streghe del Tirolo.
Val davvero la pena di riportare la frase per esteso poiché – da non pochi udita – essa fu testualmente: «Che ti venga un accidente su quel tuo cranio calvo e che il Diavolo ti porti all’inferno!».
Detto ciò, la bella Helen si alzò dal banco e a testa alta se ne uscì dalla chiesa. Bastava e avanzava per far capire a tutti, Institor compreso, là in alto, che le diavolerie snocciolate dal domenicano per lei valevano meno di un’accozzaglia di baggianate.
Non sapeva ancora, la bella Helen, damigella alla corte dell’arciduca Sigismondo, che poche settimane più tardi lei stessa, fra le altre, sarebbe stata arrestata come strega e interrogata dallo stesso Institor, voglioso più che mai di spedirla sul rogo.
Di questo processo che si svolse nel giro di pochi mesi, a Innsbruck, dall’agosto fino al novembre del 1485, nulla avremmo saputo se un frate agostiniano di inesausta pazienza e meticolosità, nella seconda metà del 1800, non si fosse prefisso di riordinare e schedare lo sterminato archivio del Palazzo vescovile di Bressanone, nei settori in cui nessuno metteva più il naso da quattrocento anni.
Negli scaffali ricoperti, e non certo metaforicamente, dalla polvere dei secoli, il frate trovò un pacchetto sigillato. Conteneva gli atti di un processo tenuto a Innsbruck nel 1485, di cui nessuno prima di allora aveva avuto notizia. In questo processo Institor coinvolse gente del popolo, personaggi della borghesia, su su fino ai nobili appartenenti alla corte di Sigismondo arciduca del Tirolo.
Di questo processo straordinario si parlerà qui adesso, avendo conosciuto i tormenti delle donne di Triora e di quelle della val di Non, piccola schiera fra le innumerevoli arse da giudici che tenevano in tasca il Malleus, vero e universale corpus iuris che avrebbe regolamentato lo sterminio delle streghe.
In questo processo vediamo protagonista questa volta il giudice, quell’Institor che stava all’epoca finendo di scrivere il Malleus, e che a Innsbruck perse clamorosamente una battaglia. Ma non la guerra, come dovevano dimostrare la demoniaca diffusione che il suo manuale ebbe non appena stampato e la sua funzione determinante nella cattura, negli interrogatori, nella tortura e nella condanna al rogo di tante donne.
Il fascicolo scovato dal frate agostiniano racconta soprattutto la determinazione con cui Institor si ingegnò a stravolgere ogni norma giuridica fino allora rispettata anche nei processi per stregoneria, così da riuscire ad avere mano libera nella sua opera di devastazione di tutto un mondo femminile.
Il frate pubblicò nel 1890 gli atti del processo che vide l’inquisitore Institor protagonista, sulla rivista «Zeitschrift des Ferdinandeums für Tirol und Vorarlber» di Innsbruck.
Irresistibile ascesa di due teologi
Parliamo dunque dell’inquisitore, questa volta. Tanto per capire, almeno per quella minima parte che ci consente la storia, che razza di uomo fosse il teologo Institor e quale la sua carriera di esperto in faccende demoniache. Heinrich Krämer era il suo nome, ma si fece chiamare Institor o Institoris, forma latinizzata del suo cognome che in tedesco significa “venditore ambulante”. Uno sperduto paesino austriaco ebbe il vanto di essere il suo luogo di nascita nel 1432, e la cattedrale di Salisburgo quello di averlo come lettore. Da qui il domenicano se ne andò a Venezia, ormai teologo dotto in questioni riguardanti l’Eucarestia. Continuò la sua folgorante scalata al potere sotto papa Sisto IV, che lo nominò inquisitore in Germania.
Dal canto suo Jacob Sprenger, con Institor futuro coautore del Malleus, introduceva in Germania nel 1475 la Confraternita del Rosario che, capeggiata dallo stesso Sprenger, riuscì a salvare la città di Colonia dall’assedio di Carlo il Temerario, duca di Borgogna. E questo non certo – Dio ce ne scampi! – ricorrendo alle armi, ma rivolgendo ininterrotte preghiere alla Vergine, tutti in ginocchio quelli della Confraternita e Sprenger giorno e notte nella cattedrale e davanti all’immagine di Maria Santissima. E se, dopo che il duca di Borgogna levò le tende, qualcuno sospettò Sprenger di stregoneria – poiché non si è mai vista una preghiera respingere un esercito se non forse nella Bibbia –, se ne stette di certo ben zitto, dato che quest’ultimo, oltre che cultore del Rosario, era anche e soprattutto famoso inquisitore, e ben sapeva come spedire chicchessia diritto al rogo.
Come si fossero conosciuti i due teologi non viene detto. Quanto alla stesura del Malleus rimane da scoprire se fosse opera di entrambi o soprattutto di Institor.
Ma la storia narrata nel fascicolo ritrovato a Bressanone e che porta Institor a condurre il processo alle streghe di Innsbruck procede lungo due fronti entrambi da indagare per comprendere a fondo la qualità della vicenda: il primo fronte riguarda il potere ecclesiastico e l’altro quello temporale.
Il papa e il Diavolo
Si parli del papa, innanzitutto. Che il potere ecclesiastico in queste vicende orrifiche di caccia alle streghe ebbe, a dir poco, il suo bel peso. Innocenzo VIII, pressato dai due teologi di cui sopra, ma già di suo preoccupatissimo per la calata di streghe e malefizi – e quindi di guerre pestilenze carestie e quant’altro –, il 5 dicembre 1484 si rimboccò le maniche e di filato mise nero su bianco la bolla Summis desiderantes affectibus.
Nella bolla Sua Santità si premura di specificare che dalla Germania, e cioè da province, città, terre, borgate e diocesi in cui – sarà un caso? – i nostri due esperti di streghe erano inquisitori, gli arrivano agghiaccianti notizie: qui le streghe si concedono ai diavoli, mediante incantesimi procurano morte, grandinate, devastazioni, malattie, distruzione dei prodotti della terra, filtri mortali e non, e via dicendo. Il papa puntò infine il tremolante dito sul patto che Satana stringe con i suoi accoliti, decisi a distruggere il genere umano. Con paterna preoccupazione Innocenzo VIII si dichiarò deciso a sferrare un micidiale attacco al Demonio. A chi mai affiderà il compito di mettere in atto questa bella operazione di pulizia? A Sprenger e Institor.
Dichiarati dal pontefice diletti figli suoi e suoi campioni nella lotta alle streghe, Institor e Sprenger davanti alla cristianità intera videro il loro potere andare alle stelle.
Sprenger avrebbe dedicato le sue cure alla Germania settentrionale. Institor venne nominato dal papa nientemeno che inquisitore per le diocesi di Magonza, Colonia, Treviri, Salisburgo e Brema. Mezza Germania, insomma, tutta la parte meridionale. Un bell’avanzamento, non c’è che dire, sostanziale e non formale, rispetto alla precedente e già ragguardevole posizione di praedicator generalis. Ben contento, Institor, a questo punto, di farla finalmente pagare ai magistrati delle diocesi in cui era inquisitore. Costoro, infatti, lo ritenevano un pazzoide ossessionato dal Demonio, e si ingegnavano, a ogni processo, a mettergli i bastoni fra le ruote. Adesso, forte della bolla papale, il potere del teologo divenne strapotere: per volontà del papa – e quindi di Dio – Institor potrà operare nella caccia alle streghe «come il sarchiello di un accorto agricoltore», e sia ben chiaro a tutti che chi avesse osato alzare il becco rifiutandogli qualsivoglia appoggio sarebbe stato giudicato colpevole di disubbidienza al papa stesso.
Forte della nomina pontificia, Institor puntò diritto sul Tirolo. Avrebbe proseguito qui la sua opera di gran disinfestatore di streghe. Si installò a Innsbruck dove avrebbe elaborato un prontuario sui procedimenti da seguire nell’interrogatorio degli imputati per stregoneria. E si prefiggeva di raccogliere illuminanti esempi di malefici con cui corredare la sua opera: il Malleus maleficarum.
La bolla papale e il Malleus congiuntamente si sarebbero ben presto assunti la responsabilità di una persecuzione che avrebbe aperto la strada all’età moderna.
Institor e le donne
Perché Innsbruck? Qui all’epoca non si era ancora diffusa l’ossessione delle streghe e Satana non aveva ancora fatto la sua comparsa. C’erano stati ben pochi processi: nel 1296 e nel 1433 due processi contro streghe e stregoni si erano conclusi con alcune condanne al rogo; un terzo processo nel 1436 aveva mandato gli imputati assolti.
Ma Institor sapeva che molte donne sospettate di pratiche malefiche, per sfuggire alla caccia e sperando di farla franca, avevano pensato bene di rifugiarsi proprio nel mite Tirolo. Provenivano da zone più o meno limitrofe dove la persecuzione contro le streghe si era fatta violenta: nella Lombardia settentrionale, a Como, l’inquisitore Antonio da Casale aveva mandato al rogo, in quegli stessi anni, quattrocento streghe e altre ne stava mandando, con una media di oltre cento roghi all’anno. Altre donne erano fuggite dalle persecuzioni in Valtellina, Canton Ticino, e nei Grigioni, dove gli svizzeri si stavano dimostrando particolarmente accaniti.
Institor aveva saputo di queste fughe in massa. Aveva individuato che il rifugio delle maledette donne era il Tirolo. Era suo preciso compito inseguire le streghe, snidarle, distruggerle.
Che la donna per Institor fosse inevitabilmente immonda e strega è dichiarato nel suo Malleus, concentrato di misoginia che a sostegno della propria ferocia tira in ballo il Padreterno stesso. Non aveva forse dimostrato il Creatore, cavando una costola ad Adamo, che la donna non poteva che essere inferiore all’uomo provenendo da una sua frattaglia o giù di lì? Per Institor la donna, essere imperfetto per natura, non può che portar sciagure. Vedi Elena di Troia, Cleopatra e tutte le altre disgraziate che agendo sessualmente corruppero l’uomo inducendolo alle peggiori bassezze. Nessuna difficoltà a dimostrare la insita perversa stupidità femminile: tutta una schiera di saggi, da Seneca ai grandi dottori della Chiesa, san Girolamo in testa e san Tommaso e sant’Agostino e via elencando, si ingegnarono a dimostrare che la donna è peggio della morte, perché l’opera della Grande Falciatrice è manifesta, mentre la donna subdolamente agisce per rovinare l’uomo nell’anima e nel corpo, essendo essa – Eva docet – complice e vassalla di Satana.
Institor, grande esperto del mondo femminile, specifica più avanti che fra le donne giovani e belle le streghe sono legioni. Costoro, sedotte da uomini che poi non le sposano – perché mai sposare una donna se non è più vergine –, si vendicano diventando amanti di Satana con cui compiono innumerevoli lussurie e da cui apprendono come nuocere ai loro antichi amanti, alle loro spose e al mondo intero. Ricorrono alla polvere di serpente per rendere gli uomini impotenti; nulla, assicura Institor, è più efficace del serpente cucinato in qualsivoglia maniera per far perdere vigore al membro.
Nel Malleus gli autori ringraziano il Creatore per averli fatti nascere maschi: la peggior disgrazia che poteva capitare loro sarebbe stata quella di nascere femmina. E quindi di indole cattiva, cervello incapace di distillare una sia pur minima riflessione, lingua sfrenata, curiosità morbosa, inaffidabilità totale e soprattutto lussuria. I nati maschi, pur minacciati dal costante pericolo di venir rovinati da una donna, grazie al loro naturale ingegno e al privilegiato rapporto con il Signore, possono essere santi, asceti, guerrieri, imperatori, papi, teologi, filosofi, artisti. Le donne no, come tutti sanno.
Che si fugga la donna, dunque: se è povera bisogna mantenerla, se è ricca ti rinfaccia il suo danaro, se è bella devi custodirla perché tutti le corrono dietro, se è brutta piombi nella noia più mortale.
Disinvoltamente l’illustre teologo sovrappone alla propria misoginia il bagliore di innumerevoli roghi, invocando a liceità della punizione della donna il patto fra la strega e Satana. Nulla si sa della vita intima di Institor, ed è forse scorretto insinuare che nei roghi l’inquisitore simboleggia la catarsi dai propri peccati.
Impossibile qui riassumere le dense pagine del Malleus che illustrano la nefandezza femminile. Ma se vogliamo conoscere ancora meglio questo Institor, si potrebbe ritenere che non fosse uno stinco di santo. Successivamente alle vicende di Innsbruck, infatti, fu coinvolto in malefatte di svariato genere, incluse fra queste numerose estorsioni di danari e gioielli.
Possiede indiscutibili abilità: sa accattivarsi il favore dei papi, da Sisto IV ad Alessandro VI, il Borgia. Sa sfruttare la loro protezione. Altrettanto abile sarà nel procurarsi una molto discutibile – se non falsa – Approbatio al Malleus da parte della facoltà di Teologia di Colonia, che, inserita come prefazione, darà grande spinta alla diffusione del manuale.
Il fronte storico
Chiediamoci ora in quale contesto storico si muovesse il nostro Institor. Fra Austria e Germania egli viaggiava entro i confini del Sacro Romano Impero di cui all’epoca, nel 1485, era imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Il Sacro Romano Impero, sia detto per inciso, fu lo scenario più spettacolare della caccia alle streghe: qui, più che in altre regioni dell’Europa occidentale, le persecuzioni furono violentissime.
Il territorio dell’Impero era costituito da feudi, e dai feudatari veniva eletto l’imperatore. A quelli più estesi altri feudi sottostavano, in scala decrescente d’importanza e di ampiezza di territorio.
Fra questi la contea del Tirolo, retta dall’arciduca Sigismondo soprannominato per intuibili motivi “il Danaroso”. La contea del Tirolo si era costituita nel XIII secolo con l’annessione dei vescovati di Trento e Bressanone ai possedimenti austriaci, ma tra la vicina Baviera e gli Asburgo erano ancora vive le contese per il possesso di questo importantissimo territorio.
Georg Golser, principe-vescovo di Bressanone, governava la parte meridionale della regione.
Sigismondo e Golser erano legati da una solida alleanza politica. Alla morte del vescovo Nicola Cusano, Sigismondo aveva appoggiato l’elezione di Golser a principe-vescovo di Bressanone, opponendosi sia al papa sia all’Imperatore, che non riuscirono a imporre il proprio candidato.
Questa premessa svela quanto fossero complessi i rapporti con il potere ecclesiastico e con quello temporale alla corte di Sigismondo a Innsbruck, città che l’arciduca scelse come capitale del Tirolo, spostandola da Merano.
Innsbruck era una città ricca. Qui confluivano le principali vie di comunicazione dell’Impero, che si diramavano verso Vienna, Augusta, Milano, Anversa. Le miniere di ferro, d’oro e di rame fruttavano bene; Sigismondo aveva posto le basi di quell’industria delle armi che sarà una delle fonti di ricchezza del paese, e aveva coniato una nuova moneta, il tallero. La popolazione era ricca di nobili e borghesi, colti e poco bigotti, interessati alle arti, alla musica e alla circolazione dei primi libri a stampa.
Ma degli abitanti della capitale del Tirolo, Institor dette questo giudizio che leggiamo nel Malleus:
...Poiché questa contrada abbonda di scudieri e di cavalieri, e l’ozio genera i vizi, essi talora corteggiavano le donne e quando decidevano di lasciare le loro amanti per unirsi ad altre donne oneste in matrimonio, raramente ciò accadde senza una stregoneria scagliata dalla sedotta contro l’uomo o contro la sua sposa.
La congiura della stufa
Poco prima dell’arrivo dell’inquisitore inviato da Roma, in uno scenario quasi da operetta, a Innsbruck era già stato istituito un processo per stregoneria.
L’arciduca Sigismondo, malgrado il soprannome, si era indebitato con Albrecht di Baviera, ipotecando le miniere e altri beni. Sigismondo non era più giovane, aveva quasi cinquantaquattro anni, ed era senza eredi. Il suo balivo e consigliere preferito, Gaudenz von Matsch, conduceva alle spalle dell’arciduca una segreta intesa con i signori di Baviera: alla morte di Sigismondo, von Matsch si sarebbe impegnato a consegnare nelle loro mani il Tirolo, sottraendolo agli Asburgo. Del complotto antiasburgico e pro-bavarese facevano parte molti nobili della corte.
Quando ecco la sorpresa: nel 1484 l’arciduca, rimasto vedovo, sposa una graziosa sedicenne, Caterina di Sassonia. Un matrimonio felice, come sostengono alcuni studiosi: Sigismondo passa il suo tempo con Caterina e tutto preso dalla sposa manca poco che non butti fuori dalla corte il balivo von Matsch. Forse per volontà della stessa Caterina.
Marito e moglie trascorrono le serate davanti al camino nella grande sala sovrastante le cucine del palazzo. Con loro, qualche damigella di corte e l’onnipresente Else, governante di Sigismondo. Si aspetta l’arrivo di un erede.
Foraggiato dalla corte di Baviera, il balivo non demorde. Si allea con Anna Spiess, dama di corte dell’arciduca e attiva nel complotto contro gli Asburgo. I due decidono di far passare Caterina come strega. Tolta di mezzo la petulante sposina, von Matsch avrebbe così potuto riprendere il suo posto accanto all’arciduca.
Il piano architettato fu semplice e ingegnoso. Anna Spiess ordinò ad alcune sue cameriere di infilarsi a turno nel camino della cucina del palazzo. Qui rannicchiate avrebbero dovuto a gran voce accusare di complotto i personaggi della corte più vicini all’arciduca. Ma specialmente ululare che Caterina è una strega, e ha già tentato di avvelenare il marito.
Proprio nella sala in cui i due sposi amano trascorrere le loro serate, salendo lungo la canna fumaria, le parole delle serventi uscivano dal camino trasformate in diaboliche voci. Rimbombavano cupe e orride.
Terrorizzato ma innamorato, l’arciduca non si sognò di credere che la sua giovane sposa potesse essere strega e avesse tentato di mettergli il veleno per i topi nei knödel. Balivo e Anna Spiess sbagliarono di grosso a fare i conti, il loro piano fallì in pieno: Sigismondo sospettò tutta la corte. Ordinò indagini. La “congiura della stufa” finì nelle mani dei giudici civili di Innsbruck.
Il processo si concluse con alcune condanne per magia e complotto. I colpevoli furono condannati a salate multe e all’esilio.
Ma alla corte – di per sé densa di beghe, per non parlare degli intrighi di Asburgo e Baviera – si formarono nel frattempo due fazioni violentemente contrapposte: una sosteneva Caterina ed era capeggiata dalla fidatissima Else e dalle dame di corte Barbara Hufeisen e Helen Scheuberin. L’altra, con Barbara Röslin, Barbara Pfieglin e Jos Molerin, si era prefissa di scalzare l’arciduchessa.
A questo punto ecco avanzare Institor.
Largo al factotum
È il 23 luglio del 1485. Il principe-vescovo Golser, riceve a Bressanone la bolla papale Summis desiderantes affectibus. Si affretta a diffonderla promettendo quaranta giorni di indulgenza a chi avesse collaborato per stanare le malefiche. Faccenda, questa delle indulgenze, su cui trent’anni più tardi tale Martin Lutero avrebbe avuto non poco da ridire.
Anche Golser, da buon pastore della sua diocesi, dimostrò di volersi opporre alla diffusione del flagello stregonesco secondo la volontà del pontefice. Ma non era ossessionato dalle streghe e soprattutto diffidava di quell’Institor già fin troppo famoso come uomo di fiducia di Innocenzo VIII. Golser conosceva la spregiudicatezza di questo papa italiano, eletto fra sanguinose congiure, e padre di molti figli. Il principe-vescovo Golser aveva certe sue idee molto personali su Innocenzo VIII, nonostante fosse un papa mecenate, che proteggeva e favoriva artisti come Mantegna, Pinturicchio, Perugino, Filippino Lippi, facendo di Roma uno dei centri dell’arte rinascimentale. Papa però di ben poche iniziative ecclesiastiche, non fosse per la bolla contro le streghe e la condanna dell’ingegno di Pico della Mirandola.
Ma il papa è il papa e a Golser non rimase altro che accogliere benevolmente Institor, inviato in quello stesso luglio da Roma in Tirolo per debellare Satana.
Institor prima di raggiungere Innsbruck si fermò a Wilten, in un convento retto dal priore Niklas. Anche a Wilten argomento del giorno erano le aggrovigliate vicende della corte di cui il domenicano venne prontamente informato.
Arrivato nella capitale del Tirolo in piena bagarre, Institor si presentò a Sigismondo. Ostentò con sicurezza le sue capacità e competenze, elencando i papi con cui aveva collaborato, i processi contro le streghe di cui si era occupato nella sua più che ventennale attività. A lui che aveva convinto papi, figurarsi se non fu facile convincere un qualsiasi arciduca che era tempo di grandi pulizie. Assediato da mille paure, avendo letto e riletto l’ormai famosa bolla papale, Sigismondo arciduca non poté far altro che approvare la disinfestazione proposta da Institor.
Seguendo la ben nota procedura che vedeva le indagini per stregoneria precedute da una clamorosa predica, Institor si installò dunque sul pulpito della cattedrale di Innsbruck. Fu qui – come si diceva – che Helen Scheuberin uscì infuriata dalla chiesa dopo aver augurato al domenicano di finir diritto filato all’inferno: fra gli artigli di Satana avrebbe dovuto scontare gli insulti rivolti alle donne, e che rimbombavano sotto le gotiche volte della cattedrale.
Mancava un secolo ancora ai grandi roghi di massa, un secolo circa per giungere a processi in tutto simili a quello della val di Non, in Svizzera, Italia, e poi nella Francia dell’inquisitore Remy, nella Germania, fra 1500 e 1600, dove lo sterminio fu così sistematico e magistralmente organizzato che in certe cittadine e nei villaggi non trovavi più una donna neanche a piangere. E in Spagna, Paesi Baschi, Inghilterra e poi su su fin nei paesi scandinavi, ovunque arrivasse la Croce, fosse essa impugnata da cattolici, calvinisti, luterani, anglicani; tutti in gara per spazzar via la femmina nefasta dalla faccia della terra. E gli inquisitori responsabili di queste stragi tenevano il Malleus a portata di mano. Il testo diventò il corpus iuris, il vangelo che insegnava a ogni giudice quali fossero le strategie delle streghe spalleggiate dal Diavolo, e il metodo per stanarle e combatterle. Da notare che molte edizioni del Malleus vennero stampate in diciottesimo, formato davvero inusuale ma che permetteva ai giudici di portarsi l’eccellente manuale in tasca.
Mancava un secolo più o meno a questi orrori. Alla bella Helen doveva esser giunta notizia delle poche streghe bruciate ad Amburgo e a Heidelberg, e forse anche il caso delle streghe di Colonia accusate nel 1456 di aver provocato, e proprio nel mese di maggio – il mese di Maria Vergine oltretutto –, una gelata che aveva distrutto tutti gli alberi da frutta. E vennero bruciate vive.
In Tirolo, per Helen Scheuberin, come per tanti altri, donna e strega non erano certo sinonimi, il Diavolo se ne stava all’inferno pronto ad accogliere stolidi inquisitori. E la mentalità comune era ancora tanto disinvolta da permettere a una qualsiasi dama di corte di piantare in asso la predica di un domenicano, uscire da sola dalla cattedrale per tornarsene a casa indignata.
Institor, dal pulpito, prese nota. E agì.
L’indignazione esplode a Innsbruck
Ben facevano i papi a riporre la propria fiducia nell’Institor. Lo zelo di costui fu pari all’alta considerazione che egli aveva di sé e delle proprie capacità di individuare a colpo d’occhio il Male. A lui si deve il bel processo di Costanza che mandò al rogo cinquanta streghe e altri rinomati interventi contro l’«eretica pravità». Institor fiutava la presenza del Diavolo dove altri miopi inquisitori non riuscivano a scorgere che pettegolezzi di stupide donnette o tutt’al più eresie da liquidare con gli abituali criteri.
E qui a Innsbruck Diavolo e streghe – di cui i cittadini fingevano, come Helen, di non sapere nulla – avrebbero fornito a Institor abbondantissimo pane per i suoi denti.
Il domenicano, uomo d’azione, si sistema nella casa di un ricco mercante e dal 9 agosto al 30 settembre convoca testimoni e dà il via agli interrogatori. In trentatré sedute riesce a raccogliere una cinquantina di testimonianze non giurate e tenute rigorosamente anonime, contrariamente alla norma giuridica che voleva resi pubblici e noti agli accusati i nomi dei testimoni contro.
Institor stava infatti apportando gravissime innovazioni nella procedura dei processi per stregoneria, e fra queste: aveva diritto di rimanere anonimo chi informasse l’inquisitore della presenza di streghe, fornendo nomi e indicando malefici. In tal modo una denuncia veniva trasformata in delazione, con tutto quel che ne consegue sul piano etico. Ma dell’etica Institor, a quanto pare, si faceva gran beffe.
Introducendo questa nuova norma il domenicano, che stupido non era, sapeva infatti come concimare quel paludoso terreno dell’indole umana in cui prospera la velenosa pianta della delazione. Nella certezza che la propria accusa rimanga segreta, non ci si pensa due volte a far fuori coloro che si odiano, compresi padri, madri, figli, mogli, amanti, vicini di casa e via elencando, nell’intento di vendicarsi per qualche offesa o per disfarsene.
La innovativa norma che Institor sperimentò per la prima volta a Innsbruck ebbe ahimè strepitoso successo: nella rete dell’inquisitore caddero, in seguito alle delazioni, nientedimeno che quarantotto donne e due uomini di ogni ceto sociale, nobiltà compresa. Ognuno di costoro ignorava chi l’avesse denunciato come colpevole di intesa con il Demonio e malefici.
Institor si rende conto di aver bisogno di aiuto. Si rivolge ai suoi confratelli, e scrive a Utrecht e a Friburgo che mandino alcuni domenicani istruiti nel trattare con le malefiche donne e con il Demonio. Non bada alla reazione della corte di Sigismondo per tutto ciò che stava combinando, trascura di prendere in considerazione il processo civile che aveva già fatto piazza pulita – e in modo incruento – di streghe e stregoni. Scrive all’arciduca per domandargli il sostegno del potere temporale. Contemporaneamente invia a Golser una lettera: agli imputati di colpe più lievi avrebbe inflitto una pena pecuniaria, per i casi gravi il rogo.
Da questo momento lo scambio di lettere si fa frenetico. Sigismondo, a dir poco turbato per la disinvoltura con cui si stava muovendo Institor e per l’indignazione dei nobili, si affretta a rispedire direttamente a Golser la lettera che Institor gli ha inviato: il vescovo è lui, che si dia da fare per tener tranquillo questo troppo efficiente inviato del papa.
Golser a questo punto si trova fra le mani una bella gatta da pelare. Chiaro che, nel caso ci fossero, è suo desiderio spazzar via le streghe dal Tirolo, ma la quantità e il ceto degli imputati arrestati dall’inquisitore lo convincono che il domenicano sia un fanatico. Certo, visto che ha il papa alle spalle, bisogna andare cauti.
Golser si affretta a rassicurare Sigismondo: necessario essere severi in materia di stregoneria, ma le colpe meritevoli di rogo saranno solo la lesa maestà divina e la morte procurata con arti magiche. Tutte da dimostrare!
Lo stesso 21 settembre il principe-vescovo scrive anche a Institor. Inizia prudentemente con qualche obliquo complimento: «Apprezziamo innanzitutto la sollecitudine con cui la Paternità vostra laboriosamente e servendosi della vecchia e della nuova legislazione magistralmente sta istruendo l’indagine inquisitoriale...». Fra le righe Golser lascia emergere il proprio biasimo per quell’inquisitore che in realtà sta applicando soltanto la nuova procedura, cioè quella che lui stesso stava definendo. «È bene» ammonisce infatti Golser nelle righe seguenti «che l’inquisitore segua quanto è stato stabilito dalla costituzione di Clemente V e di Bonifacio VIII: i nomi dei testimoni devono essere notificati agli imputati e il processo deve avvenire in presenza di un notaio». Inoltre, perché l’inquisitore non ricorre alla saggia opinione di alcuni dotti consiglieri dell’arciduca invece di rivolgersi a domenicani provenienti da altre località?
Per tutta risposta Institor, ai primi di ottobre, fa incarcerare sette donne, le più sospette. E comincia a elaborare il preludio della sua grande opera.
E se le streghe non esistessero?
È interessante a questo punto confrontare le teorie stregonesche di Institor con quelle di Ulrich von Müller detto Molitor, dottore in diritto canonico e procuratore presso la curia episcopale di Costanza. Uomo di sterminata cultura, e stimatissimo. Costui, amico di Sigismondo, nel suo De lamiis et pythonicis mulieribus, del 1489, illustrò all’arciduca quale fosse l’atteggiamento da tenere nei confronti delle streghe.
L’opera è strutturata come dialogo fra tre interlocutori, uno dei quali è l’arciduca Sigismondo. Molitor è convinto dell’esistenza della stregoneria – e chi non lo era a quell’epoca e non solo in quella? –, ma tutto l’impianto logico del trattato è controllato e razionale, e mette in discussione l’operato delle malefiche donne. Sigismondo, che nel dialogo ha il ruolo dello scettico, anche se la questione rimane controversa e non risolta, dovrà alla fine accettare di condannare al rogo le streghe per un’unica squisita ragione: non è ammesso contrastare la volontà del pontefice.
Forse non era questa la risposta che Sigismondo desiderava. Alla conclusione dei fatti di Innsbruck, e successivamente alla definitiva partenza di Institor, l’arciduca aveva dato a Molitor l’incarico di studiare il problema per chiarire se le streghe esistessero o no, e quali poteri avessero. Il metodo processuale di Institor aveva irritato al massimo i suoi sudditi. Nella Dieta tirolese di Hall del 16 agosto 1487, Sigismondo era stato messo alle strette: doveva giustificare l’incriminazione di persone innocenti, arrestate da Institor, interrogate e torturate solo in base a calunnie e intrighi di corte. E per ben rispondere del proprio operato, Sigismondo chiese aiuto a Molitor. Gli ci vollero due anni.
Ricorrendo all’artificio del dialogo, Molitor nella sua opera mise in bocca al personaggio Sigismondo queste parole, a proposito della capacità delle streghe di scatenare tempeste: «Una considerazione mi spinge ad affermare che le lamie e le donne malefiche non sanno nulla di nulla: se queste maledette femmine conoscessero come operare quei malefici e potessero compierli, non sarebbe necessario per i principi assoldare in tempo di guerra mercenari per invadere i territori nemici... sarebbe sufficiente chiamare una di codeste lamie... d’altra parte la fede ci insegna che solo Dio governa le sfere e gli elementi e impone leggi agli astri...».
Si narrava infatti che il comandante di un certo battaglione dell’esercito di Sassonia, temendo di soccombere al nemico – ben sapendo quante streghe circolassero e quante per i loro poteri venissero mandate al rogo –, decise di rivolgersi a una strega. In cambio di un bel mucchio di danaro, la malefica gli promise la vittoria. A una come lei, assicurò la donna, abituata a sottomettere venti e grandine per scatenare tempeste, non sarebbe stato certo difficile mettere in fuga quattro uomini armati. Il battaglione sassone perse rovinosamente. Il comandante, insieme a qualche soldato sopravvissuto alla sanguinosa disfatta, riuscì a rintracciare la strega e a impiccarla.
«Chi predica eresie siete voi!»
Ma torniamo all’inquisitore, che sulle streghe non aveva alcun dubbio e a riprova della loro esistenza avrebbe riversato i fatti di Innsbruck nel suo Malleus.
Nell’ottobre 1485 iniziano gli interrogatori. Viene applicata la tortura.
Helen Scheuberin è la prima imputata. Le testimonianze contro di lei sono gravi. L’inquisitore, cui il papa aveva delegato l’incarico di spazzar via la stregoneria dalla Germania meridionale, aveva raccolto – e in chiesa – una frase assolutamente offensiva, che ormai girava per tutta Innsbruck.
Appena condotta davanti a Institor, Helen ha l’audacia di giustificarsi con queste parole: «Ho detto quel che ho detto perché io non sono un’eretica. Chi predica eresie siete voi, quando dal pulpito predicate contro le streghe».
Helen aveva molti nemici. Fra questi Agnes Schneiderin, come Helen imputata di stregoneria. È Agnes a riferire all’inquisitore la famosa frase. Ma anche un’altra donna testimonia contro Helen e racconta a Institor che la Scheuberin era stata a servizio dal cavalier Jorg Spiess, e ne era diventata l’amante. L’uomo era talmente preso dalla passione per Helen, che aveva continuato a frequentarla malgrado la sua fama di strega. Inutilmente un medico italiano, cui il cavaliere si era rivolto per certi dolori al ventre, lo aveva messo in guardia: i suoi mali provenivano da qualche fattura. In una sera di carnevale il cavaliere andò a cena dalla bella Helen. Tornò a casa e cominciò a torcersi dai dolori. Mandò di corsa un ragazzo dallo speziale a comprare della torriaca per sollievo. Quando quello ritornò, il cavaliere era già morto.
Anche un amico del defunto cavaliere era stato stregato da Helen, che era diventata la sua gelosissima amante. La sua ira si scatenò al massimo quando l’uomo la piantò in asso per sposare un’altra.
Così nel Malleus Institor racconta la deposizione dell’uomo:
Al tempo della mia giovinezza mi ero invaghito di una ragazza che continuamente insisteva perché mi unissi con lei in matrimonio. Io, disprezzandola, presi in moglie un’altra donna di un’altra regione. Tuttavia, volendo farle cosa grata, per l’amicizia che le dovevo, l’invitai alle nozze. Ella venne, ma, mentre le altre donne oneste ci presentavano i loro auguri e i loro regali, lei, che era stata invitata, alzando una mano disse rivolgendosi alla mia sposa e davanti alle altre donne che si trovavano lì: «Avrai pochi giorni di salute dopo questo matrimonio». La sposa atterrita, non conoscendola, perché, come ho premesso, era nativa di un’altra regione, chiedeva ai presenti chi mai fosse quella ragazza che le aveva rivolto simili minacce. Le altre dicevano che si trattava di una donna leggera e dissoluta: tuttavia nondimeno si avverarono le cose che aveva predetto. Infatti dopo pochi giorni la mia sposa fu così stregata e privata dell’uso di tutte le membra, che ancor oggi, dopo dieci anni, si scorge sul suo corpo la stregoneria.
Prosegue il Malleus: Se si dovessero inserire qui tutti i fatti che si sono trovati anche nella sola Innsbruck, si riempirebbe un libro intero.
Institor non ha alcun dubbio che i testimoni possano mentire e inventarsi chissà quali baggianate. Ogni parola che esce dalle loro labbra viene diligentemente annotata come corrispondente a verità e inserita nel Malleus, come esempio di malia stregonesca. E servirà da metro per le generazioni future.
Streghe di corte
Tra dame di corte e nobili, gli intrighi amorosi, i tradimenti, le passioni si sprecavano.
Agnes Schneiderin, testimone contro Helen, viene arrestata e accusata anch’essa di maleficio contro i suoi amanti. Il 16 ottobre Hans Portner dichiara di aver avuto rapporti carnali con Agnes, ma di essersi rifiutato di sposarla, perché aveva deciso di sposare un’altra donna. Tra i due amanti si era svolto il seguente colloquio.
AGNES: Hai davvero deciso di prendere quella in moglie?
HANS: Chi?
AGNES: Quella sgualdrina!
HANS: Cosa ti interessa? Voglio sposare lei.
AGNES: Poiché mi hai tradito, sta certo che tu e tua moglie non avrete più un giorno di salute. Io questo non sono capace di procurarlo, ma andrò da chi lo sa fare.
La persona a cui Agnes si rivolse sapeva il fatto suo, perché dopo le nozze Hans si ammalò e non recuperò più la salute.
Sua moglie, donna improvvida, non aveva capito quali fossero i trascorsi dei due, perché ad Agnes non fu difficile diventare sua amica. Un giorno l’invitò a casa sua a fare un bel bagno in una tinozza d’acqua calda. La moglie di Hans arrivò portando con sé polveri di bellezza e creme con cui curare viso e corpo dopo il bagno. Ma non poté goderne. Quando tornò a casa infatti si ritrovò paralizzata e stregata nella mente, cioè impazzita. Come era logico – anche se grave peccato – venne consultata un’indovina, l’unica in cui si poteva ragionevolmente porre una speranza di guarigione. Non erano certo i medici a dare fiducia. L’indovina consigliò di cercare tra le creme e le polveri di bellezza, e qui fu ritrovato uno straccio in cui erano avvolti ben diciotto pezzetti di stoffa. Il malefico involto venne bruciato e la moglie di Hans recuperò la sua abituale lucidità di mente, non eccelsa considerando la sua dabbenaggine. Ma per tutta la vita rimase malaticcia.
Considerando il lungo elenco di mali che colpivano le vittime delle streghe, verrebbe da chiedersi di che genere fossero queste strane malattie, che – se non suscitate da maleficio – non potevano essere solo frutto di suggestione. In questo caso, ad esempio, si può riflettere sulla qualità delle polveri di bellezza dell’epoca, il cui contenuto era spesso tossico. Che cosa avranno contenuto le creme e le polveri della moglie di Hans? Da quanto tempo le usava? Quale può essere stato l’effetto della mescolanza, quasi certa, con le creme e le polveri di Agnes? Alcune sostanze usate allora nei belletti, ad esempio il piombo, provocavano alterazione mentale e disturbi del sistema neurovegetativo.
Altre streghe
Davanti a Institor viene condotta anche Barbara Pfieglin, altra dama di corte di Sigismondo. L’inquisitore non è certo povero di strumenti per far confessare qualsiasi maleficio. E Barbara confessa. Nessun dubbio che sia strega.
Barbara era accusata di malefici gravi: si diceva anche – ma il testimone che la accusava si dimostrò incerto – che avesse partecipato a un complotto contro l’arciduca.
La stessa Barbara Pfieglin, a causa di una fattura, era stata colpita un giorno da un fortissimo mal di testa. Un’altra Barbara, Barbara Hufeisen, si era offerta di indagare se fosse stata stregata e volle curarla. Versò dell’acqua calda da una brocca in una scodella, che pose sulla testa della malata. Nella scodella era stato messo un fuso trapassato da un ago. L’acqua ritornò dalla scodella alla brocca e il mal di testa sembrò migliorare. Ma poi i dolori ripresero violenti per diversi giorni, con grande disperazione del marito di Barbara, Franz Pfieglin. Per fortuna Franz trovò nella stalla il solito straccio ripiegato a involto, contenente un miscuglio di capelli, chicchi, e polvere di feci di neonato. Lo bruciò e la moglie guarì.
Quanto a un’altra imputata, Barbara Hufeisen di cui sopra – denunciata dalla Pfieglin –, oltre che occuparsi di mali di testa, sapeva insegnare alle ragazze come farsi amare, o far ammalare chi si rifiutava di amarle. Osservando il digiuno per tre domeniche di fila, e pensando intensamente alla persona da maleficare, Barbara riusciva anche a farla morire. La donna che testimoniò contro di lei confidò a Institor che, quando suo marito finì in carcere per stregoneria, Barbara si era offerta di farlo evadere. Le aveva suggerito un malefico rimedio, via di fuga per la libertà. Bastava avere quattro fili di un suo vestito con cui tessere una magia: una volta scappato dal carcere, con quella malia addosso nessuno l’avrebbe più riacciuffato. Ci si poteva poi liberare da accuse di qualsiasi genere solo stringendo il pollice tra le altre dita. Queste malie dovevano essere davvero molto significative ed efficaci, se Institor le riportò pari pari nel Malleus a dimostrazione di quanto Innsbruck pullulasse di streghe.
La terza Barbara
Una terza Barbara, la Selachin, venne accusata di saper compiere malefici mortali. Dopo un violento litigio infatti, la sua vicina di casa, tale Gertud Rötlin, si era ammalata.
Questa è la sua testimonianza riportata nel Malleus:
Avevo dolori di ventre e acutissime contorsioni a partire dal fianco sinistro verso il destro e viceversa, come se due spade o due coltelli fossero piantati nel mio petto. Così per un giorno e una notte disturbai tutti gli altri vicini con le mie grida. Venivano da varie parti a casa mia per confortarmi. Venne in tal modo per rendermi visita anche un vasaio che aveva un vergognoso rapporto adulterino con una sua vicina strega. Il vasaio compatendo la mia sofferenza se ne andò dopo parole di consolazione. Il giorno dopo egli ritornò e tra le altre parole di conforto disse: «Farò un esperimento per sapere se la vostra malattia deriva da una stregoneria; se risulterà così vi restituirò la salute». Prendendo allora del piombo fuso, mentre io giacevo nel letto, versò il piombo in una bacinella piena d’acqua appoggiata sul mio corpo; e apparvero l’immagine e le figure di diverse cose nel piombo raffreddato. Il vasaio dichiarò che la malattia era dovuta a una fattura e che una parte degli strumenti della stregoneria era nascosta sotto la soglia di casa. Mio marito e il vasaio andarono insieme a togliere la stregoneria e il vasaio, sollevando la soglia, ordinò a mio marito di mettere la mano nella fossa sottostante e di estrarre ciò che trovava. Venne trovata un’immagine di cera lunga un palmo, forata da una parte e dall’altra, che aveva due aghi, da destra a sinistra e viceversa, proprio messi nel modo in cui sentivo le mie fitte dal fianco sinistro al destro. Egli li estrasse.
Ma sotto la soglia c’erano anche due sacchetti di stoffa che contenevano semi e schegge di legno staccate da un patibolo, e capelli umani, fili di tovaglia d’altare, ossa di piedi di bambini non battezzati. Ci si potrebbe aspettare una domanda da parte dell’inquisitore: come è stato possibile capire che il legno era patibolare, e le ossa erano proprio di bambini non battezzati? Ma Institor no, di questo non si preoccupa, insiste invece per avere altri dettagli sulle figurine di piombo.
La testimone contro la Selachin risponde: «(Tutte le figurine) vennero gettate allo stesso modo nel fuoco. Io cominciai a stare meglio, ma non completamente. Infatti, sebbene le torture o le punture fossero cessate e l’appetito tornato del tutto, tuttavia solo in minima parte ho ritrovato la salute di prima».
Malefici involti di stoffa
Barbara Selachin – donna dai potenti rancori – venne inoltre accusata di avere, per vendetta, fatto gonfiare Elisabeth Maister Thommanin, tanto da sembrare incinta all’ultimo mese. E si gonfiarono anche gli occhi del marito di lei, che per vederci doveva tenerli aperti con le dita. Gli immancabili involti di stoffa trovati nel cuscino contenevano semi, ossa spezzate di neonati non battezzati e ossa di stambecco.
Covo di vipere
Institor riuscì a far confessare alle indagate di aver operato magie contro la corte, e addirittura contro l’arciduca. L’andamento del processo tenuto dal domenicano giustifica a quanto sembrerebbe i timori che Sigismondo aveva per la propria vita: l’ambiente di corte si rivelava un vero e proprio covo di vipere, infuocato da rancori, complotti, gelosie.
Hans Jorg, fedele aiutante dell’arciduca, e una donna di corte, confermano le accuse di tale Dorothea Büchenmeister: un’ebrea battezzata, Barbara Röslin, avrebbe avvelenato una pezza di stoffa immergendola in un intruglio bianco come il sale. La pezza era quella con cui il marito di Dorothea avrebbe dovuto confezionare un abito per l’arciduca. Un abito che appena indossato si sarebbe trasformato in sudario. Barbara Röslin e il marito di Dorothea avevano deciso di vendicarsi: erano stati allontanati dalla corte perché in odore di stregoneria. La governante Else – che capeggiava la fazione favorevole all’arciduchessa – avrebbe confermato questa accusa.
Inoltre Barbara aveva dichiarato di aver tentato di sgattaiolare di notte nella stanza dell’arciduca. Gli si sarebbe avvicinata mentre dormiva, cauta cauta, e gli avrebbe sistemato sul petto un topo morto. Con questa malia sarebbe riuscita a sottomettere la volontà di Sigismondo e si sarebbe fatta accogliere di nuovo a corte.
Come se non bastasse, venne anche accusata di aver bestemmiato sul crocefisso trafiggendolo con aghi maledetti.
Streghe e uomini
Il polverone sollevato dal primo processo contro le streghe di corte si stava dimostrando meno di un bruscolo, se paragonato al massiccio operato di Institor.
Institor non aveva tenuto conto, nella propria arroganza, che in una città viva e dinamica come Innsbruck il pensiero giuridico classico non era stato ancora scardinato.
L’uomo del pontefice stava preparando un processo senza garanzie per le imputate e con la minaccia di condanne atroci. Sigismondo era sconvolto. Doveva assolutamente riportare la tranquillità nel suo regno. Preoccupatissimo inviò una lettera a Golser, chiedendogli l’appoggio di un suo commissario. Golser riteneva che si dovesse concedere alle imputate la possibilità di pentirsi e ritornare in seno alla chiesa dopo una giusta ma umana punizione, come si era fatto fino allora. Bisognava usare indulgenza. Bisognava soprattutto attenersi alla costituzione di Bonifacio VIII. Il metodo inquisitorio di Institor era inammissibile.
Sta dunque per esplodere una guerra aperta tra l’inquisitore protetto dal papa e l’arciduca alleato del vescovo di Bressanone.
Institor, inarrestabile, circondato dalla schiera dei domenicani che ha chiamato al proprio fianco come collaboratori, ha concluso gli interrogatori. Sa già quale sarà la sentenza, ancora prima di aprire il processo: Helen Scheuberin, Barbara Hufeisen e Barbara Selachin dovranno essere condannate a morte.
Il processo
L’arciduca e vescovo erano del tutto contrari che in sede processuale l’interrogatorio delle imputate fosse condotto solo dai confratelli del fanatico Institor.
Entrambi non avevano però certo dimenticato che l’elezione di Golser a principe-vescovo era avvenuta contro la volontà del pontefice. Bisognava andare con i piedi di piombo.
Continua quindi lo scambio di lettere. Sigismondo chiede a Golser di inviare immediatamente un suo commissario a Innsbruck. Era necessario che costui assistesse al processo per obbligare l’inquisitore a «trattare (le sette imputate) in modo corretto e secondo le leggi».
Il vescovo decide di mandare nella capitale, come suo incaricato, Sigmund Samer, parroco di Axams, cui raccomanda indulgenza verso le imputate. E che le si riconduca in seno alla Chiesa. «Insolita» scrive Golser «è l’inquisizione in questa terra... Noi riteniamo che questa questione non possa esser sopita in modo giusto senza oculato discernimento nell’impiego della legge... non possiamo far altro se non vigilare consigliando l’impiego della legge...»
Il 29 ottobre inizia il processo. Il «cranio pelato» di Institor, come era stato definito dalla bella Helen, sfolgora in aula fra quelli dei domenicani, sette in tutto, giunti dalla Germania. Il vescovo è rappresentato dal Samer e dal commissario generale della Chiesa di Bressanone, Christian Turner. Due notai seguono le sedute.
Presidente della giuria e giudice accusatore è Institor.
La prima interrogata è Helen Scheuberin.
Le domande che Institor le rivolge in sede processuale sono davvero anomale e pruriginose, testimoniano la sua misoginia e l’opinione che l’inquisitore si era fatto di quella città di peccatori e di lussuriosi. Quando ha perso la verginità ? Quali sono le sue abitudini sessuali? Secondo il predicatore, Helen non è che una donnaccia che, come tutte le donne, pensa solo al piacere dei sensi, disposta per questo a darsi a Satana.
Turner salta su immediatamente e si oppone con violenza. Quando mai in un processo si chiede all’imputata se è vergine? Quando mai si indaga sulle sue abitudini sessuali? Non è tollerabile la mancanza di rispetto di ogni norma con cui Institor sta svolgendo l’interrogatorio. Le proteste di Turner sono così vibrate che la seduta è sospesa. Riprenderà fra poco.
Durante questo breve intervallo, Turner si attiva e manda a chiamare John Mervais von Wendingen, medico e dottore in diritto canonico. Famoso per la sua tenacia e la sua abilità. Appena Mervais piomba in tribunale, Turner gli chiede di assumersi la difesa delle imputate. Mervais accetta immediatamente.
Quando la seduta riprende, Institor si trova davanti, in aula, un difensore delle maledette donne. È deciso a scalzarlo.
Obietta che il difensore non è stato nominato secondo una procedura regolare.
L’ostacolo viene superato con prontezza da Turner e Mervais: il notaio Hagen, presente in aula, regolarizza la posizione di Mervais.
Si dà lettura di un documento ineccepibile in cui tutte le imputate dichiarano di aver eletto Mervais come difensore.
Mervais non esita a scardinare tutto il sistema processuale di Institor, mettendone in rilievo le irregolarità e i difetti di procedura. Un elenco non da poco:
– Il notaio Kantor, alla cui presenza sono stati interrogati i testimoni, non è un notaio pubblico.
– Gli argomenti su cui si sono svolti gli interrogatori non sono quelli previsti dalla bolla Summis desiderantes affectibus.
– Non è stato predisposto il regolare questionario delle domande da rivolgere alle imputate.
– Agli interrogatori che hanno preceduto il processo non era presente un notaio pubblico, ed era assente anche il rappresentante del vescovo, Sigmund Samer.
– Le donne erano state arrestate e imprigionate e torturate prima che iniziasse il processo formale a loro carico.
Grande scontro in aula
Una gragnola di accuse investe dunque Institor e i suoi domenicani. Turner e Mervais sono ferratissimi in materia giuridica, veri mastini determinati a non permettere che Institor, fosse pure il protetto del papa, stravolgesse la legge. E proprio a Innsbruck!
Ma i punti citati da Mervais erano esattamente quelli che Institor intendeva modificare per poter più facilmente arrivare alla condanna di ogni sospetta strega.
In aula si scatena la guerra. Le imputate siedono mute e allibite sui loro banchi, mentre davanti a loro teologi e avvocati sono pronti a scannarsi.
Il grande inquisitore sta per fare cilecca, al fanatismo religioso non ha congiunto l’accortezza. La presunzione dell’appoggio papale ha soffocato ogni cautela giuridica.
Starnazza in piedi nel suo scranno tentando di mettere a tacere Mervais.
Mervais non si fa intimorire. Accusa il grande inquisitore di abuso di potere. Chiede che venga arrestato. Esige che il processo venga annullato.
Turner, dal canto suo, invita le imputate a non rispondere più all’inquisitore. Le donne sono tutte perfettamente d’accordo nell’ubbidirgli. Turner chiede anche che vengano subito scarcerate.
Possiamo immaginare la furia di Institor. L’inquisitore si agita tentando di aggrapparsi a ogni minimo appiglio procedurale: esige di avere nelle proprie mani l’originale delle argomentazioni di Mervais, e che agli altri ne venga consegnata solo una copia. Tuona di aver legalmente diritto a ciò essendo la persona più importante in aula, ottiene subito l’originale.
Con quel foglio del tutto inutile fra le mani, Institor si mette a urlare sostenendo la perfetta legittimità del suo modo di condurre il processo. Turner e Mervais gli danno addosso. Mervais, avvocato con i controfiocchi, insiste: se il processo non fosse stato annullato dal commissario del vescovo, lo si sarebbe dovuto portare a Roma. E qui sarebbe stato esaminato direttamente dal papa. Si scatena una rissa. Il processo è sospeso per due giorni.
Quando riprende, il 31 ottobre, le posizioni non si sono sostanzialmente modificate.
Institor però si è reso conto che non gli conviene ricorrere al papa. Sua Santità avrebbe mandato davvero a quel paese e davanti alla cristianità intera certe procedure giuridiche consolidate dal tempo dei tempi? Institor ne dubitava: meglio procedere per vie oblique allo scopo di imporre il suo del tutto personale corpus iuris.
Viene quindi stabilito di esaminare minuziosamente la procedura usata dall’inquisitore, e di stendere un’accurata relazione.
Con ammirevole rapidità, in un solo giorno, venne stesa la relazione.
Il 1º novembre 1486 il processo fu annullato.
Le imputate furono immediatamente scarcerate. Avrebbero dovuto essere ancora indagate, e accettare la sorveglianza di una persona retta che si facesse garante del loro buon comportamento.
E le spese processuali? Essendo nullo il processo, non potevano certo essere addebitate alle imputate. Sigismondo, ora che tutta la faccenda era andata a buon fine, si offrì di provvedere personalmente. Solo per questa volta, però.
Vattene, Institor!
Malgrado la vistosa sconfitta, Institor restò in città, fermamente deciso a ripulirla dalle streghe. Si diede da fare per istituire un ulteriore processo.
Intervenne Golser, altrettanto deciso a sbarazzarsi una volta per tutte dell’inquisitore.
La stima che il principe-vescovo aveva di Institor emerge dalla lettera che Golser inviò al commissario Samer: «Questo monaco procura grandi fastidi nella mia diocesi. Trovo nella bolla papale che egli è stato in passato inquisitore. Mi pare però che l’età lo abbia ridotto come un bambino: la debolezza del suo cervello si dimostra in ciò che fa. Nel processo ha dimostrato la sua stupidità perché ha creduto vere cose niente affatto provate».
Institor si dibatte, non vuole mollare l’osso. Ma riceve due lettere da Golser.
Nella prima il principe-vescovo gli scrive: «Giacché ho avuto modo di osservare che gli animi di molti sono esasperati contro Vostra Paternità, mi sembra opportuno mettere sull’avviso Vostra Paternità sulla necessità della Vostra partenza da questi luoghi e quanto prima sarà tanto meglio è. Molti sono stanchi di Voi e stimano inconsueto il processo condotto da Vostra Paternità e non lo tollerano... avverto la Paternità Vostra di tornare nel luogo dove risiede di consueto. È indispensabile».
Institor continua a fare orecchie da mercante.
Golser gli invia allora la seconda lettera: «Venerabile Dottore, mi meraviglio molto che Vi ostiniate a rimanere nella mia diocesi... l’arciduca molto graziosamente Vi ha ricompensato onorevolmente perché ve ne andiate in pace... si teme che i mariti o gli amici delle donne processate possano recare offesa alla Paternità Vostra... non arrecate ulteriori fastidi alle persone con la Vostra presenza».
Institor se ne va
A questo punto, l’ostinato domenicano si arrende. Non gli piace proprio la prospettiva di finire accoltellato o giù di lì. A quel punto, forse qualcuno non avrebbe esitato a ucciderlo.
In questo caso – chissà – il Malleus non sarebbe stato scritto. E forse migliaia di roghi non sarebbero stati accesi.
In tutta fretta Institor ripone nel suo baule tutti i documenti raccolti e che gli serviranno per concludere la sua massiccia opera, quel suo straordinario Malleus maleficarum.
Lasciò Innsbruck la sera stessa.
Ma per una di quelle inspiegabili vicende della storia, sarebbe riuscito in seguito a far trionfare lo stravolgimento giuridico a cui con tanta durezza si erano opposti i teologi di Innsbruck.
Il Malleus indicherà la procedura in base alla quale i giudici non solo di Germania ma di tutta Europa spediranno le streghe sul rogo.
Il vescovo Golser, il commissario generale Christian Turner e infine lo strepitoso teologo John Mervais rimangono nel nostro ricordo, non tanto perché schierati dalla parte delle streghe, ma quali estremi difensori del diritto.