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FRANCIA, 1530 E 1679
«Vedi, questo è il segno!»
Se vogliamo, i teologi come Institor e il suo illustre collega Sprenger vissero, forse senza rendersene conto, una sorprendente contraddizione.
Con la disinvoltura dei competenti, i due domenicani analizzarono nel Malleus sortilegi, malefici e magie di vario genere. Secondo la mentalità dell’epoca non dubitavano dell’esistenza delle streghe e tanto meno dei loro poteri.
Il mondo palpitava allora di esseri invisibili, i fantasmi avevano vita facile e in tutta tranquillità apparivano anche di giorno. Elfi, gnomi e fate popolavano boschi e alberi. Folletti facevano cagliare il latte e tormentavano gli umani con mille dispetti. E c’erano soprattutto le streghe, e con loro il Diavolo. Martin Lutero riteneva – e lo scrive nel capitolo terzo del suo commento alla Lettera ai Galati – che tutto ciò che ci circonda pullulasse di demoni. Dal pane che mangiamo all’aria che respiriamo, con un infernale inquinamento Satana impregna il mondo. È lui che attraverso il suo braccio militare – la strega – compie malefici, procura grandine e tempeste, devasta raccolti, rende impotenti gli uomini e via elencando.
È perfettamente convinto, frate Martino, che la strega voli e che sia capace di trasformarsi in animale. E di metamorfosare qualsiasi essere umano.
Magia e legge
Poiché la strega perdeva i suoi poteri solo nell’istante in cui veniva divorata dalle fiamme del rogo, perché non ricorreva a un gesto magico, per liberarsi dalla tortura? Perché non folgorava i giudici con una delle sue occhiate, la più malefica, per trasformarli tutti in topi e lei uscirsene tranquilla dall’aula del tribunale? E com’è che il Diavolo, che andava a trovarla in carcere, non si decideva mai ad aprirle un’eccellente via di fuga, trasformandola in mosca e portandosela via in un orecchio, come faceva abitualmente quando si trattava di orge sabbatiche?
Nonostante le capacità stregonesche di sovvertire l’universo mondo, i grandi giuristi dell’epoca, con Sprenger e Institor e con il francese Jean Bodin, sono arciconvinti di poter controllare l’elemento magico mediante la legge.
La contraddizione di cui si diceva risiede qui. Nel ritenere che una legge accortamente applicata valesse come eccellente strumento per contrastare Satana e cacciarlo dal mondo. Questa convinzione potrebbe parere pateticamente ingenua se non avesse avuto effetti tanto devastanti.
E se alla potenza della legge credevano i grandi inquisitori, perché non avrebbero dovuto credere nei suoi salvifici effetti anche i modesti giudici di campagna? Simili a coloro che condannarono donne come Péronne Goguillon e Catherine Les Hermes? Giustamente costoro accettarono come verità le confessioni delle due donne, e a distanza di un secolo e mezzo una dall’altra. Se a Catherine, nel 1530, venne offerta una possibilità di difesa, parvenza di un diritto dell’imputata, a Péronne nessuno si sognò di offrire un avvocato difensore.
A parte la diversa condanna, questa è la significativa differenza che distingue i due processi.
Pare opportuno, per rendere l’idea di quanto fossero sorprendenti nella loro ripetitività, dar qui lettura quasi integrale delle risposte che portarono Péronne e Catherine alla condanna per stregoneria.
Non liberate la strega
Gran tumulto quel 16 maggio del 1679 a Bouvines, paese delle Fiandre a pochi chilometri da Douai, nel nord della Francia. Péronne Goguillon, arrestata sotto accusa di stregoneria, sta per essere scarcerata.
L’indignazione esplode con la notizia che Péronne ha avuto l’arroganza di querelare per calunnia il suo principale accusatore. È costui un cittadino di Marchiennes dove, per competenza, deve aver luogo il processo per querela. I magistrati di Marchiennes rifiutano infatti di far comparire in giudizio a Bouvines il loro concittadino. I giudici di Bouvines decidono allora di liberare Péronne per permetterle di perseguire il suo accusatore presso il tribunale del baliato di Marchiennes. Questa è stata comunque la decisione presa, il 16 maggio 1679, dal Consiglio superiore di Douai al quale le parti in causa si sono rivolte per un arbitrato. È ovvio che, se l’accusa di stregoneria risulterà fondata, si potrà istruire a Bouvines un processo penale nei confronti di Péronne Goguillon. Di conseguenza soprassedere al procedimento civile per calunnia, in corso a Marchiennes, nei confronti del querelato.
Prima che le porte della prigione si aprano per lasciare uscire Péronne, quel 16 maggio una folla vociante si accalca indignata davanti ai funzionari di Bouvines. Tutti a Bouvines sono stati vittime dei malefici di Péronne, in passato e di recente. Se la si lascerà libera, il paese al completo farà ricorso presso monsignore il procuratore del re a Douai o addirittura al Consiglio superiore di Tournai.
Un pericoloso ricatto per questi giudici di paese, di origine contadina e poco esperti in faccende diaboliche, ma nominati magistrati direttamente da Luigi XIV, il Re Sole.
Bibbia e streghe
Questa parte delle Fiandre è francese da poco, Luigi XIV l’ha strappata agli spagnoli dopo un solo anno di guerra, la cosiddetta “guerra di devoluzione”. Mentre ovunque in Francia si bruciavano streghe, alla fastosa corte del Re Sole il cardinale Mazzarino aveva pochi anni prima architettato un lungimirante contratto di matrimonio fra Luigi XIV e Maria Teresa, figlia di primo letto del re di Spagna, Filippo IV. Mazzarino impose alla sposa spagnola di rinunciare alla successione al trono di Spagna a patto che le venisse versata una dote di 500.000 scudi d’oro. Danari che, come Mazzarino aveva astutamente calcolato, non furono mai pagati. Alla morte di Filippo IV, poiché la Spagna non aveva onorato il debito, Luigi XIV sostenne il diritto di sua moglie – “i diritti della regina” – a succedere al trono al posto del fratellastro Carlo II, figlio di secondo letto di Filippo IV. La pretesa è avanzata avvalendosi di un cavillo giuridico, scovato da Mazzarino: una norma del diritto del Bramante – peraltro non pubblico, ma privato – imponeva che i beni dei genitori spettassero ai figli di primo letto. Insieme alla Francia, Luigi XIV e Maria Teresa avrebbero quindi dovuto governare anche la Spagna.
Gli spagnoli si guardarono bene dal chinare la testa davanti a un cavillo giuridico. Reazione, anche questa, prevista da Mazzarino.
La guerra, accuratamente preparata dal ministro Louvois e dal visconte di Turenne, iniziò nel 1667 per concludersi l’anno seguente con la vittoria della Francia. La pace di Aquisgrana assegnò alla Francia, tra l’altro, dodici città ai confini dei Paesi Bassi spagnoli. Tra queste, Douai è particolarmente cara al sovrano: insieme con Henri de Turenne, egli stesso l’aveva occupata alla testa delle sue truppe; a Douai, strategicamente importante, il re aveva fatto costruire una piazzaforte dal famoso ingegnere militare Vauban, suo inseparabile compagno in quasi tutte le imprese belliche.
Douai è una città cattolicissima delle cattolicissime Fiandre. Qui, nel 1610, era stata stampata la traduzione inglese della Bibbia, detta “Bibbia di Douai”. In città non si è ancora spenta la produzione di drappi e arazzi – belli da far concorrenza a quelli di Aubusson – intorno alla quale si formò una ricca borghesia.
Questa è dunque la città – esperta in processi di stregoneria – a cui fecero riferimento i giudici di Péronne, incerti sulle procedure ma determinati a farsi valere.
Luoghi di caccia alle streghe
A Bouvines, dunque, l’idea che Péronne la strega possa venire scarcerata scatena l’ira della popolazione. Si preannuncia una tempesta che potrebbe scatenarsi sul fragile potere delle autorità del paese.
Mandando libera Péronne i giudici si vedrebbero oltretutto sfuggire la loro grande occasione: un processo per stregoneria non meno importante di quello da poco tenutosi nel vicino villaggio di Coutiches, concluso con la condanna al rogo del sellaio Antoine Devauchelle. Si affidi dunque al governo di Douai la giusta valutazione delle testimonianze raccolte contro Péronne.
Come tutte le zone lontane dal potere centrale – il Labourd ad esempio – anche le Fiandre sono abbarbicate a una lunga tradizione di turbolenza indipendentista che, in molti casi, aveva persino portato alla concessione di determinati privilegi a cui nessuno intende rinunciare. Nelle Fiandre, di rivolte ormai non si parla più: Luigi XIV ha il pugno di ferro, ma in quella zona di frontiera non riesce a scalzare il modo di concepire vita, religione e, soprattutto, stregoneria. Qui, nelle Fiandre, i tribunali sono davvero liberi di incriminare, far torturare, accendere roghi. Gli accusati sono privi di ogni protezione giuridica.
Qui ciclicamente si erano scatenate feroci cacce alle streghe: tra il 1590 e il 1620 erano state bruciate novantotto persone, quattordici uomini e ottantaquattro donne, un’umanità spesso condannata da giudici subalterni, scabini ignoranti di paese o ufficiali del baliato o balivi. Funzionari quasi sempre di modesta estrazione esibivano poteri giudiziari esorbitanti.
Una seconda ondata si rovesciò sulle Fiandre nel 1640 con una rovente impennata nel 1660, anno in cui compare l’ultimo placard, o editto reale, contro la stregoneria. A distanza di quasi vent’anni, come una tragica, mortale epidemia silente, nella provincia di Douai la persecuzione riesplode in tutta la sua violenza.
Lettera di istruzioni
Il 18 maggio 1679, a due soli giorni dalla rivolta popolare contro la Péronne, i magistrati di Douai convinti della veridicità delle testimonianze sottoposte al loro giudizio, accettano la richiesta di istruire un processo penale a carico della strega.
Prendono in considerazione la probabile insipienza dei giudici di Bouvines. Forniscono dunque puntigliose istruzioni di carattere demonologico per quanto riguarda l’istruttoria.
Vale a dire: informarsi su quanto l’accusata ha confidato all’ufficiale giudiziario di Bouvines, Michel Delestré; informarsi presso i giudici di Coutiches sulla possibilità che Antoine Devauchelle abbia denunciato Péronne Goguillon come sua complice; sorvegliare il comportamento dell’accusata e in particolare se e quante volte piange, impallidisce o arrossisce; controllare se nel suo rosario sia inserita la croce o una medaglietta.
Tentativo di corruzione
Testimonianza determinante contro Péronne è quella dunque di Michel Delestré. Al momento della notifica dell’arresto, Péronne aveva tentato di evitare il carcere vociando di essere solo una povera donna, ingiustamente calunniata, e di essere del tutto priva di ogni potere occulto.
Tuttavia – racconta Delestré ai giudici – il giorno 16, e in presenza di Andrieu Dufosset, marito della Péronne, la strega aveva rivelato di essere stata morsa sul collo da una femmina di ratto. Aggiungendo, rivolta al marito: «Vedi, questo è il segno!». Poco dopo, Péronne riferisce che durante la notte un gatto con le corna, entrato da una finestrella, le è saltato addosso.
Il giorno 17, Péronne confida a Delestré la sua paura di venir torturata e giustiziata. Anche al marito, ritornato per rincuorarla, grida la propria paura. Il marito intuisce che questa ammissione potrebbe sembrare una confessione di colpevolezza. Spaventato esorta la moglie: inutile aver paura adesso, bisognava pensarci prima a non cacciarsi in questi guai! Sagge parole, a cui il buon Andrieu aggiunge che se Péronne continua ad agitarsi lui non verrà più a trovarla in carcere. Che faccia la brava, insomma.
Il giorno 18, Péronne tenta di corrompere Delestré, il suo carceriere: se la lascerà fuggire, lei gli regalerà una giovenca e tutta la segale che sta nel cassone. Delestré potrà prendersi tutto quanto la sera stessa, quando lei scapperà attraversando il ponte sul retro, a piedi nudi per non far rumore. E poi via lungo il parco. Se ne andrà lontano, con le sue figlie, ad almeno cinquanta leghe da Bouvines. Anche suo marito andrà con loro.
Delestré si guarda bene dall’acconsentire alle implorazioni di Péronne: la faccenda del topo e del gatto con le corna, per Delestré e per i giudici, è un’inequivocabile dimostrazione della presenza di Satana.
Un diavolo di nome Fréquette
Portata il 20 maggio davanti ai giudici per il primo interrogatorio, Péronne mostra il suo rosario che porta una sola croce e nessuna medaglietta.
Verrà interrogata a proposito delle denunce a suo carico raccolte dai giudici il 16 e 17 maggio. E sono accuse relative a malefici cause di malattie, morte di persone e di animali, magici furti di burro perpetrati ai danni di un vicino, invasioni di topi il giorno della festa per la dedicazione della chiesa di Templeuve, e altro ancora.
Péronne è un caso sotto molti punti di vista insolito: non è una mendicante o una vagabonda o una pellegrina o una vecchia stracciona. Non appartiene a quella categoria di poveri cronici, uomini e donne, che vivono di espedienti, socialmente pericolosi agli occhi delle autorità. Non è una donna senza marito perché vedova, o abbandonata con o senza figli e quindi sospetta agli occhi delle piccole comunità bigotte.
Péronne ha casa, bestiame, due figlie, un marito che va a visitarla in prigione, una famiglia a cui si dimostra affezionata e che non ha tentato di fuggire alle prime avvisaglie di pericolo.
Provata da una lunga settimana di prigionia, terrorizzata dall’inflessibilità del carceriere e dalla prospettiva della tortura, Péronne si illude di salvarsi dimostrandosi collaborativa. Fa la brava, come le aveva imposto il marito. E, follemente, straparla.
Spontaneamente, senza essere stata sottoposta a tortura, confessa che il suo amante, un diavolo che si chiama Fréquette, per fare i malefici le ha regalato una polvere magica. Dopo ogni maleficio Fréquette la ricompensa adeguatamente non con danaro francese ma con la moneta che corre in Fiandra, e precisamente con tre patars.
Le si domanda se durante la settimana Fréquette le abbia fatto visita in carcere: sì, la notte scorsa, è entrato dalla finestra sotto forma di cagnolino per dirle che oggi stesso sarebbe uscita di prigione. Prima di andarsene le ha dato una tremenda botta sulla testa.
Le si domanda se abbia avuto a che fare con il sellaio Antoine Devauchelle: sì, è andata al sabba con lui; al sabba lui suonava il violino.
Un uomo nero a cavallo
Péronne dichiara di essere una strega e di esserlo da quindici o sedici anni. Da quando, cioè, dovendo consegnare della tela a Flines, incontrò un giorno per strada un uomo grande, grosso e nero. L’uomo le chiese un suo capello. Lei glielo diede e lui le disse che d’ora in poi doveva stare bene attenta a ciò che avrebbe fatto. Il giorno dopo, a Brut, dove si era recata per consegnare altra tela, sul ponte Maurice incontrò nuovamente quello stesso uomo, bello e aitante, che le promise di farla partecipare a un ballo. La festa si sarebbe tenuta lungo la via maestra che dalla piazza di Brut porta a Douai, su una vasta radura brulla, dove l’immagine di una Madonna è stata posta vicino alla palude di Loeu. L’uomo le diede un bastoncino di legno lungo un’auna e mezzo, un metro e mezzo circa. E una polverina magica. Le assicurò che con il bastoncino sarebbe potuta volare al ballo, e cioè al sabba, e in qualsiasi altro posto le fosse piaciuto andare. Questo bastoncino lei lo teneva nel saccone del suo letto.
Péronne continua ormai a ruota libera descrivendo il suo amante, Fréquette. È un bel giovane, sempre vestito di nero, di ventuno o forse ventidue anni; lei lo vede una volta alla settimana, al sabba, sempre di giovedì, perciò fanno l’amore solo una volta alla settimana buttandosi dietro a un cespuglio. Al sabba si balla sempre all’indietro al suono del violino, chi lo suona, questa volta, è un uomo che si chiama Minon; le danze le dirige, con il grado di colonnello, uno di Flines, Andrieu Fischel. Tutti sono costretti a baciargli il sedere. Al termine delle danze si banchetta, ma solo a base di gazze arrosto, cucinate dal cuoco, un tale di nome Marmiton.
La confessione viene messa agli atti dal cancelliere André Delerue. Benché il processo sia condotto da un tribunale di paese, composto da funzionari inesperti in faccende di streghe, l’accusa di stregoneria viene debitamente formulata.
Il governo di Douai esige che questi giudici di campagna, subalterni e ignoranti, si attengano scrupolosamente a un modello demonologico che verrà loro inviato. Soltanto in base a questo modello si potrà stabilire se l’accusata sia realmente una strega. Di conseguenza potrà essere accusata di lesa maestà divina, crimine che invoca la pena di morte.
Bouvines, 24 maggio: secondo interrogatorio di Péronne
I giudici riprendono l’interrogatorio seguendo punto per punto il modello ricevuto da Douai. Alle domande riportate nel modello, Péronne risponde prontamente. Non la si potrà accusare di reticenza e farla torturare perché parli.
– Si chiama Péronne Goguillon di più o meno quarantasei anni, nata a Bouvines come i suoi genitori.
– Suo padre non era uno stregone e sua madre non era una strega. I suo genitori erano buoni cristiani.
– Ammette di essere una strega e di esserlo dall’anno prima di sposarsi, circa ventitré anni fa. Quando e perché è diventata una strega lo ha dichiarato durante l’interrogatorio del 20 maggio.
– Ha rinnegato la cresima, il battesimo e Dio. Come ricompensa per aver rinnegato Dio, la Santa Vergine, la cresima, il battesimo e i sacramenti, il Diavolo le ha promesso che non le farà mai mancare nulla e che le darà il potere di andare dovunque vorrà.
– Il Diavolo l’ha marchiata con il suo segno sulla fronte e sulla schiena, a sinistra, fra le reni e la spalla. Lo ha fatto mordendola con il suo unico dente.
– Sapeva di commettere un crimine abominevole dandosi al Diavolo, ma la sua fede era debole, non ha saputo resistere.
– Il Diavolo, pur odiando le preghiere rivolte a Dio, non le ha mai impedito di tenere con sé il rosario, e lei non vi ha mai rinunciato per non sembrare diversa dagli altri compaesani.
– Anche dopo essere diventata una strega ha continuato a confessarsi e a fare la comunione. Non ha mai fatto un uso sacrilego della sacra ostia, si comunicava sperando di mettersi in pari con la sua coscienza. Al confessore non ha mai rivelato i suoi malefici.
– Al sabba andava solo una volta alla settimana nella notte tra il giovedì e il venerdì, fra le dieci e le undici, per essere di ritorno a mezzanotte. Il suo amante la portava al sabba in volo. Ce la portava assumendo la forma di un cagnolino nero senza coda. La trasportava tenendola nel suo orecchio. Veniva a prenderla mentre lei era a letto, accanto a suo marito che dormiva e non si sarebbe risvegliato fino al suo ritorno.
– Il Diavolo le ha dato un bastoncino di cui lei si serviva per andare al sabba; senza non ci sarebbe potuta andare. Il bastoncino le serviva per appoggiarsi al cavallo del suo amante.
– Il Diavolo le ha dato una polvere magica perché lei se ne servisse per farne ciò che voleva, fare ammalare o far morire uomini, bambini, animali quali cavalli, vacche o altri ancora.
– Quando faceva morire un uomo o un bambino, come ricompensa il Maligno le prometteva tutti i beni di questo mondo, però questa promessa purtroppo non l’aveva mai mantenuta. Per far morire un cavallo, una vacca, un vitello eccetera, il Diavolo le dava tre patars.
– Con la polvere magica non ha mai impedito che un neonato venisse battezzato, però ha fatto abortire Liévine Facon, antipatica e litigiosa.
Sabba sopraffino
– L’ora in cui ha inizio la danza, e la durata del sabba, sono quelle riferite nel precedente interrogatorio. Una volta arrivati al sabba, si incomincia subito a ballare, senza altre cerimonie.
– Quanto a ciò che si beve e che si mangia, si tratta di vino, però di un vino che in realtà è orina di cavallo. Si mangiano gazze con una forchetta, ma senza pane, né sale.
– Il Diavolo, sotto forma di un cagnolino nero senza coda, all’inizio del convegno pretende che gli si baci il sedere in segno di adorazione. Lei però non lo ha mai fatto.
– Il Diavolo non esorta nessuno a fare malefici, però ci sono diavoli sotto forma di preti e di monache.
– Al sabba non si complotta per nuocere alle persone, agli animali, ai cereali o ad altri frutti della terra, né per provocare rovesci di pioggia, grandine, invasione di vermi, topi e ratti. Invece ci si diverte soprattutto creando maggiolini e mosche dalle lunghe zampe destinati a danneggiare i beni della terra. Come ricompensa, a lei spettavano tre patars, una moneta da tre patars che però poi svaniva, sicché non ne traeva alcun vantaggio.
– Ha fatto sorci e vermi con una piuma nera di gallo, che il Diavolo le faceva trovare sul corpo. Quanto alla grandine, ai ratti e alle piogge, lei non ha mai fatto cose del genere.
– Dopo il ballo e il banchetto, il Maligno, sotto forma di uomo, per fare l’amore la portava dietro i cespugli e lì si trasformava in un cagnolino nero senza coda. Nell’amplesso con il Diavolo non ne aveva mai ricevuto il seme, né caldo né freddo; era come ricevere un soffio di vento che fugge via; non era come con suo marito, non c’era piacere né soddisfazione.
– Le streghe e gli stregoni non si accoppiano tra di loro. Di solito sono circa una settantina, e il numero di streghe e stregoni è sempre uguale a quello dei diavoli. Il sabba si svolge sempre nello stesso posto.
– Rapporti sessuali con uno stregone lei non ne ha mai avuti.
– Al termine del convegno non ci si dà mai appuntamento per la volta dopo; giorno e luogo sono sempre gli stessi.
Malefici di campagna
A proposito delle accuse che le sono state rivolte dai singoli testimoni, Péronne Goguillon risponde senza confutarle se non in rarissimi casi.
– Conferma di essersi recata, tre anni prima, a casa di Charles Broutin per chiedere in prestito un setaccio e di esservi ritornata, tre giorni dopo, per chiederlo in prestito un’altra volta, pur sapendo di non averlo ancora restituito. Conferma di averlo riportato, di notte, e di averlo deposto contro la porta della casa e ciò allo scopo di provocare la morte del figlio di Charles Broutin. Per questo il suo amante le diede tre patars.
– Conferma di aver guardato la moglie di Broutin mentre fasciava il suo bambino; conferma di aver fatto strillare il bambino per tre giorni, causandogli un gran mal di gola, con una polvere che il Diavolo stesso gli mise sulla faccia. Il compenso fu una moneta da tre patars.
– Conferma di aver fatto perdere il latte a due vacche di Charles Broutin cospargendo di polvere magica le loro mammelle. Lo fece perché Broutin ce l’aveva sempre con lei. Come ricompensa ne ebbe tre patars. Conferma anche di aver fatto ammalare una terza vacca di Broutin, con la stessa polvere, per la stessa ragione e con uguale ricompensa.
– Conferma di aver detto a Pierre Dusart che, qualora avesse comprato una seconda vacca, questa sarebbe morta, e sostiene di aver saputo dal Diavolo che Dusart non avrebbe dovuto possedere due vacche. Attualmente però ne potrebbe avere anche più di due.
– Conferma di aver scagliato un maleficio contro il bambino Antoine Stient. Conferma di avere incontrato, andando a Marchiennes, la madre del bambino, Isabeau Brisart, moglie dello Stient, e di essersi informata sulla salute di Antoine. Conferma di averle detto che non si può essere amati da tutti, che Isabeau le disse di andare a domandarne il perché a qualcun altro, non certo a lei; conferma di non aver risposto, e anzi di essersi girata dall’altra parte quando la donna le domandò perché, secondo lei, suo figlio fosse tanto malato.
– Conferma di aver fatto morire il bambino con la polvere magica e con il solito compenso perché la sorella di Isabeau, Marie Brisart, andando a messa aveva detto in presenza di molta gente che se lei, Péronne Goguillon, non fosse stata una strega, allora sì che sarebbe andata al battesimo di Antoine Stient, cosa che invece si era ben guardata dal fare.
Il povero Pierre
– Conferma di aver causato la morte di un cavallo e di una vacca dello Stient soffiando la polvere magica addosso ai due animali. E con il solito compenso.
– Conferma di aver fatto piangere il bambino dello Stient per sei settimane; lo ha fatto mettendogli la polvere magica sulla faccia e con il solito compenso.
– Conferma di aver fatto morire questo e altri bambini innocenti, ma lo ha fatto perché costretta, per rovinare i matrimoni dei loro genitori o, nel caso dello Stient, a causa della sua linguaccia.
– Conferma di aver fatto morire un vitello di Pierre Dusart, ricavandone tre patars, perché la moglie di Pierre, venuta a farle visita, si era permessa di dire che il loro vitello era più bello del suo.
– Nega di aver fatto azzoppare uno dei cavalli di Jean Dubarre, che le calpestava l’orto, conferma però di avere avvelenato con la polvere un altro cavallo di Jean Dubarre, per lo stesso motivo. La moneta che il Diavolo le diede come compenso era un pezzo da tre patars. Questa moneta non l’ha data a nessuno perché era svanita per ritornare là da dove era venuta.
– Conferma di aver fatto ammalare un occhio del figlio del Dubarre, benché lei stessa lo avesse portato in braccio fino alla chiesa dove lo si doveva battezzare. Conferma di aver poi guarito, e per ben due volte, questo bambino e non un altro tra quelli su cui aveva gettato il maleficio, perché questo bambino lei non aveva il potere di farlo morire. Nega però di avere avuto l’intenzione di farlo morire prima del battesimo; la moglie di Dubarre era praticamente sempre incinta e non le sarebbe quindi mancata un’altra occasione.
– Conferma di aver fatto morire Pierre Delebarre mettendogli della polvere magica sul petto, davanti a casa sua. Era stato il suo fidanzato ma non l’aveva sposata. Sempre allo stesso compenso.
Malefiche vendette
– Conferma di aver fatturato Jean Moreau con il veleno di due lucertole; il veleno però non lo ha fatto lei, era mescolato alla polvere che le aveva dato il suo amante e che lei poi ha messo sul petto della vittima in modo invisibile e davanti a casa sua. Dichiara che il Diavolo le ha detto che Jean Moreau guarirà se mangerà certe erbe.
– Conferma d’aver detto che ogni volta che Antoine Delannoy prestava la sua zangola ci rimetteva mezza libbra di burro. Lo sapeva perché glielo aveva detto il Diavolo. La cosa succedeva perché lei stessa metteva della polvere sul fondo della zangola che poi portava al ballo, dove la si usava per fare il burro da servire con le gazze.
– Conferma che anche gli stregoni e le altre streghe portano del burro quando partecipano al sabba, però soltanto quello e nessun altro cibo. Dichiara che nei banchetti del sabba non si usa mai il sale, si usano solamente il burro e la polvere. Si mangia in un piatto che serve per due persone e si ha una gazza a testa.
– Conferma di aver sottratto il burro, fatto con il latte delle vacche del Delanoy, per mezzo della polvere magica. Lo ha fatto perché ne aveva urgente bisogno, si doveva preparare un gran banchetto, perché a dirigere le danze, con il grado di generale, sarebbe arrivato un personaggio più importante del solito che si chiamava Lambert; tutti erano obbligati a baciargli il sedere ogni volta che partecipava al sabba.
– Conferma di aver domandato a Liévine Facon, quando andò a chiederle del fuoco, se non avesse paura dell’uomo alto e tutto nero che se ne stava dietro le siepi del suo orto. Quest’uomo era il suo amante Fréquette che l’aveva riportata a casa dal sabba della notte precedente, e che poi era restato ancora con lei, da vero gentiluomo, per accompagnarla, al mattino, ad attingere l’acqua.
– Conferma di aver fatto abortire Liévine Facon spargendo la polvere sulla sua strada, però solo una volta, a causa della sua lingua lunga e per il solito compenso.
– Conferma di essersi fatta prestare due uova da tale Gossart e di avergli fatto morire il gallo e due galline. Con la sua polvere li ha riempiti di vermi e di pidocchi che li hanno soffocati. Lo ha fatto perché le uova non erano buone e la colpa era del gallo.
Pere cotte e rospi
– Conferma di essersi inginocchiata, con la figlia, sulla strada che da Bouvines porta a Orchies e di avervi disegnato delle croci; così ha fatto uscire per magia dal suo paniere una gran quantità di topi destinati al mugnaio di Templeuve che si era burlato di lei. Questi topi poi li ha mandati alla festa per la dedicazione della chiesa di Templeuve. I topi si limitarono a zampettare intorno al mugnaio, ma non gli fecero alcun male perché il loro scopo non era quello.
– Conferma di aver ceduto il passo a Marguerite Delestré sul ponte del castello con l’intenzione di far morire il suo bambino, con la polvere, prima che fosse battezzato, cosa però che non le era riuscita perché quel giorno la donna si era segnata con l’acqua santa. Ne ricavò tre patars.
– Confessa di aver fatto morire nella palude una vacca di Marie Hache; Marie le dava il tormento e andava a raccontare in giro un sacco di bugie sul suo conto.
– Conferma di aver detto a Bonne Godin che ogni volta che vede un crocchio di persone è sicura che stiano parlando delle sue stregonerie. Ha una pessima reputazione in tutto il paese perché la si ritiene una strega. Il che è vero.
– Conferma di aver causato ad Anne Delestré una febbre durata tre giorni restituendole una medaglietta. Voleva farla morire, ma non ci è riuscita. Se avesse potuto farlo, lo avrebbe fatto.
– Conferma che le due pere cotte che aveva dato a Martin Fremault dovevano farlo morire riempiendogli la pancia di rospi. Queste pere lei le stava portando su un piatto a suo marito, Andrieu Dufosset, quando il Diavolo ne prese due e le ordinò di regalarle a Fremault, che il Diavolo odiava. Suo marito Andrieu vedendo che Martin stava male gli fece bere tanta acqua da farlo vomitare, e così Martin Fremault se la cavò.
– Conferma di aver detto di volersene andare lontano con le sue due figlie; tutt’e tre avrebbero filato la lana e sarebbero vissute del loro lavoro. Crede che suo marito le avrebbe seguite per poter vivere insieme con loro. Dichiara che la maggiore delle sue figlie ha circa diciotto anni; la minore, circa quindici anni.
– Nega di aver dato al Diavolo le sue due figlie che comunque non sono streghe, almeno per il momento.
Denunciate da Péronne
Senza esserne richiesta, in presenza dell’intendente del baliato e degli ufficiali di Bouvines, Péronne confessa di aver fatto spezzare le reni a una delle sue vacche mentre la riportava nella stalla; qualche tempo dopo si dovette abbattere l’animale. E ciò avvenne per ordine del suo diavolo e senza alcun compenso. Così come quando fece morire con la polvere il cane di Michel Poultrain, intendente di Flines. Il cane le aveva morso il tallone. Passando otto giorni dopo davanti alla casa del Poultrain, vide il cane morto stecchito in un fosso. Ciò avvenne circa sei anni prima. Fatto che dichiara corrispondere a verità.
In vena di confidenze, conclude denunciando sua cugina, Jeanne Goguillon, e Jean Bachy, figlio di Maurand.
Essendo analfabeta, Péronne firma con una croce la sua lunga confessione che immediatamente viene fatta pervenire alla corte di giustizia di Douai, affinché si esprima in merito.
Bouvines, 25 maggio: i segni del Diavolo
La magistratura di Douai impone ai giudici di Bouvines questa procedura:
1) rileggere all’imputata la sua confessione e farne convalidare l’autenticità;
2) controllare se sul corpo dell’imputata vi siano i segni impressi dal Diavolo;
3) domandare all’imputata che cosa abbia da dire in sua difesa e se desideri o no discolparsi.
La procedura viene seguita alla lettera. La ricerca dei segni diabolici è affidata al boia di Douai, mastro Jacques Galopin che, pagato a peso d’oro, arriva il giorno stesso a Bouvines. Con l’apposito ago d’argento mastro Galopin infilza fino all’osso il corpo di Péronne e localizza tre segni del Diavolo: uno sulla coscia destra, l’altro sulla coscia sinistra e il terzo sulla scapola. Quando l’ago penetra in questi punti, Péronne non sente dolore, mentre urla quando l’ago la punge altrove.
In presenza dell’intendente del balivo e degli ufficiali di Bouvines, mastro Galopin dichiara sotto giuramento che i tre punti da lui reperiti sono indubbi marchi lasciati dal Diavolo, cosa da lui accertata grazie alla sua lunga esperienza.
Bouvines, 26 maggio: al rogo, come e dove
I magistrati di Douai elencano secondo l’ordine demonologico tradizionale i capi d’accusa: iniziazione, sabba e malefici, convalidati dalle confessioni dell’imputata. Emettono un verdetto di morte, verdetto per il quale, tra l’altro, ogni giudice riceve trentasei patars. La pena che la legge commina in questi casi è il rogo.
I giudici di Bouvines sono però liberi di scegliere se bruciare Péronne Goguillon finché tutto il suo corpo sia ridotto in cenere, oppure se bruciare Péronne soltanto a metà, per esporne i resti sulla via maestra appesi a una forca o legati sulla ruota.
Da Douai, i giudici ricevono un’ultima raccomandazione: bisogna appurare se Péronne abbia avuto complici, e se sì, porli a confronto con la condannata facendole giurare di non aver denunciato nessuno per odio o per invidia. Tali complici andranno naturalmente inquisiti.
Agli ufficiali giudiziari Péronne conferma le denunce da lei fatte il 24 maggio a carico di sua cugina e di Jean Bachy e fa i nomi di altre quattro persone: Marie-Anne Ducrocquet vedova Couplet, possidente, di Quelaines, territorio di Marchiennes; Andrieu Fischel, la vedova Philippote Fischel e Madeleine Truan, tutti e tre abitanti a Flines.
Bouvines, 27 maggio: sale la marea
Si procede al confronto delle persone denunciate: i malcapitati negano, ma Péronne conferma le sue accuse citando fatti e circostanze: con Philippote è andata più volte al sabba dove tutt’e due hanno mangiato gazze, la pietanza che viene sempre servita ai banchetti al termine del ballo; Marie-Anne, una contadina ricca, si è recata ai sabba, e Péronne più di una volta l’ha vista, il giovedì, sfrecciare tra i ballerini sul suo cavallo nero. Tuttavia Péronne ammette di essere invidiosa di Marie-Anne Ducrocquet per via di quel suo amante, più bello di Fréquette, e invidia quel bel cavallo nero che Marie-Anne cavalca mentre il suo amante la segue a piedi. Péronne arriva a denunciare anche la sua figlia maggiore, Marie-Anne.
Bouvines, 28 maggio: Péronne firma la condanna
Péronne compare davanti ai giudici un’ultima volta: conferma nuovamente confessioni e denunce. Le si legge la sentenza.
Come scrive il cancelliere André Delerue, Péronne non è neppure più in grado di firmare con la croce il verbale. È in uno stato di totale prostrazione e di estrema afflizione. Quasi non si regge in piedi, dopo la lettura della sentenza di morte emessa nei suoi confronti perché, come scritto nel verbale, «giudicata colpevole di gravissimi mali e malefici da lei commessi a danno di numerose persone per mezzo di opere di stregoneria».
Bouvines, 29 maggio 1679: dies irae, dies illa
È un lunedì, una settimana dopo la Pentecoste. Lungo la via che la porta al supplizio, Péronne è confortata dai cappuccini di Orchies, che durante la notte l’hanno confessata e assistita spiritualmente.
Il rituale si svolge fra la folla esultante.
Scalza, coperta solo da una camiciola di ruvida tela, Péronne è scortata fino al palo del supplizio da ben ventiquattro ufficiali della baronia di Bouvines. È seguita dagli sguardi dei maggiorenti del paese, seduti sui palchi parati a festa o sui balconi delle più belle case della piazza.
I giudici hanno optato per l’incenerimento parziale. Jean Dubarre, uno dei testimoni a carico, ha procurato per quindici patars la ruota sulla quale Péronne vien bruciata per metà. I resti del suo cadavere vengono esposti al “pubblico ludibrio” e lasciati per tre giorni come solenne ammonimento sulla strada maestra, verso Flines, al margine del bosco.
Per tutto l’anno 1679, a Bouvines e nelle Fiandre francesi, decine di vittime saranno divorate dalle fiamme dei roghi. Gli ultimi.
Nell’editto del 1682 emesso su suggerimento dell’illuminato Colbert, segretario di Stato di Luigi XIV e membro del Consiglio superiore, la stregoneria non viene più considerata un crimine passibile della pena di morte.
A questo punto, cancellato il crimine, le streghe di Francia scompaiono.
Streghe senza tempo
Si invochi nuovamente la mentalità dell’epoca per giustificare la morte di Péronne, in quegli ultimi giorni di maggio del 1679. Pare tuttavia che i giudici contadini di Bouvines non fossero particolarmente interessati al patto fra la strega e Satana, su cui Institor nel Malleus aveva tanto insistito. La confessione di Péronne è un interminabile – e tutt’altro che divertente – elenco di malefatte che con noncuranza infliggono la morte al pollo del vicino o all’ex fidanzato traditore.
Verso la fine del 1600 il Malleus uniformava la procedura di un qualsivoglia processo di stregoneria, inclusi quelli dei più sperduti paesi di montagna. Una sorta di lebbra si era diffusa ormai nelle menti dei giudici. Mai un soprassalto di incredulità, di riflessione, di orrore per la tortura risvegliava i cervelli degli inquisitori, fossero essi all’estremo Nord della Francia e cattolici, o nell’anglicana Inghilterra. Per non parlare dei luterani o dei calvinisti.
Si potrebbe pensare che alla fine del 1600, dopo tanti processi e tanti roghi, il modulo degli interrogatori fosse talmente inscritto nella testa dell’inquisitore, da aver soffocato ogni capacità di dubbio.
Quello che impressiona è scorrere da qui all’indietro nel tempo e andare a ripescare un qualsiasi processo per stregoneria istruito lontano dalle città. Il taglio delle risposte di un’imputata accusata di stregoneria nel 1530 è lo stesso di quello del processo di Péronne del 1679. Identico il taglio delle domande.
Per sperimentare il senso di vertigine che nasce da questa «assenza dello scorrere del tempo», quando si tratta di stregoneria, si legga il processo di Catherine Les Hermes, strega nel Vivarese, regione della Francia sud-occidentale.
Il processo del 1530, e la relativa sentenza, precedono quello di Péronne di circa un secolo e mezzo: centocinquant’anni di distanza l’uno dall’altro. Se non conoscessimo con certezza la data dei due processi, nulla ci suggerirebbe che appartengono a due secoli diversi. Un tale intervallo di tempo dimostra che il processo a una strega è un evento praticamente immobile, per nulla variato dal passare degli anni. La formula inventata da Institor nel Malleus congela domande e risposte.
Per la strega il tempo non esiste.
Unica variabile: la condanna. Se Péronne venne bruciata, nel 1679, altro fu il destino di Catherine.
Per il resto sia Péronne sia Catherine parlano a ruota libera perché sono terrorizzate dalla tortura. Una nel 1530. L’altra nel 1679. Stessa tortura, stesso terrore. Stessa speranza di salvarsi dichiarando qualsiasi cosa ai giudici. Stesse domande. Stesse risposte!
Oppure: a parte il patto con il Diavolo le due erano capaci di maleficare i vicini odiosi e vendicarsi di soprusi patiti. Erano streghe sul serio. Streghe dal tempo dei tempi e fino alla fine del tempo.
Catherine la diversa
Mazan, il paese intorno al quale ruota la vicenda di Catherine, si trova lontano dal potere centrale come Bouvignes, il paese di Péronne delle Fiandre francesi. Mazan è nel Vivarese, una regione montuosa e scabra della Francia, ai margini del Massiccio Centrale. Qui agricoltura e allevamento del bestiame erano possibili solo nei fondovalle.
Ma in quegli anni, gli anni del processo a Catherine, sul trono di Francia siede Francesco I, che proprio nel 1530 istituisce i “lettori reali” per l’insegnamento dell’ebraico e del greco e già da tempo è protettore di Erasmo da Rotterdam e di Rabelais. Fatti illuminanti per quanto riguarda la sua politica religiosa considerando che solo pochi anni prima, in seguito alla pubblicazione del commento di Erasmo al testo greco del Vangelo di san Marco, la Sorbona aveva proibito lo studio del greco. E il giovane Rabelais, resosi sospetto perché in possesso di testi greci, aveva dovuto lasciare precipitosamente il suo convento nel Poitou.
La corte di Francesco I, uomo intelligente e colto, accoglie non pochi personaggi in suspicione più o meno legittima, non ultimo Leonardo da Vinci o Benvenuto Cellini.
Questi uomini del Rinascimento trasportavano in carrozza il loro genio da una corte d’Europa all’altra. Durante i lunghi viaggi dal finestrino gettavano un’occhiata distratta ai roghi di streghe che punteggiavano il paesaggio. Quelle menti eccelse convivevano pacificamente con la sordida stupidità degli inquisitori, colpevole di tante donne arse vive. Fra cui Catherine, la strega.
Catherine la ricca
Catherine Les Hermes nel poverissimo Vivarais possiede case, campi e bestiame da pascolo e da cortile, lei stessa è una filatrice, una piccola artigiana. A casa del figlio che occasionalmente la ospita ha portato persino tre vestiti di ricambio, due lenzuola e una coperta, una buona quantità di grano, noci e castagne.
Il suo processo è istruito e condotto dalla corte reale di giustizia di Villeneuve-de-Berg, da sempre baliato reale indipendente, laico e tollerante di suo; gli si affianca la corte di giustizia dell’antica abbazia cistercense di Mazan, da cui dipendeva Fontebonne, il villaggio di Catherine.
L’abbazia, a sua volta direttamente dipendente dalla ricca e potente abbazia di Cîteaux, aveva infatti una sua corte di giustizia succursale del baliato reale di Villeneuve-de-Berg. I monaci ne erano amministratori e co-signori. Di qui la minuziosità bizantina dei verbali delle istanze dei ricorrenti e dell’escussione dei testimoni, lavori iniziati il 23 marzo e terminati alla fine dell’aprile 1530.
Vennero notificati tanto i ricorsi presentati da Andrieu du Bosc, Adrien Duny, Andrieu Faure, Gabriel Molin e Jeanne Tojayre, Andrieu Serrouil, François Lobet, quanto le testimonianze a carico rese da Jeanne Faure, Jeanne Breysse, Anne Lobet moglie di Gabriel Molin, Simonde Duboys moglie di Andrieu Duny. L’unica testimone che non si pronuncia né a carico né a discarico è la nuora di Catherine, Philippine Aligeyre. Eppure proprio lei avrebbe avuto buone ragioni per dare addosso a Catherine.
Ancora con pignoleria estrema, puntigliosa, nei verbali si precisa in presenza di chi le denunce presentate e le testimonianze rese siano state messe a verbale: monsignore fra Jean Vimon, luogotenente di monsignore il balivo di Mazan; Antoine Crozet, assistente del procuratore reale; François Lobet, Simon Vimon e Jean Vernet, assistenti dei giudici e talvolta chierici; Antoine Bochon, procuratore fiscale di Mazan; Simon Valentin, notaio reale; Boisson, notaio; l’ufficiale giudiziario del tribunale di Mazan, Simon Maurin...
Catherine già strega
Non è la prima volta che Catherine viene processata per stregoneria; undici anni prima, riconosciuta colpevole, era stata condannata alla fustigazione e a un esilio triennale.
A causa dei malefici operati da Catherine, le gambe di grandi e bambini sono colpite da gonfiori, spesso associati a febbre, o da altri acciacchi causa di forti dolori e gravi disturbi della deambulazione che arrivano alla zoppia e alla paralisi.
Dato il clima della regione è possibile che, soprattutto negli adulti, questi malanni fossero dovuti a reumatismo, artrosi, artrite reumatoide o a esiti di lussazione congenita dell’anca, ereditaria e quindi frequente in popolazioni viventi entro un’area geograficamente circoscritta. Nei bambini la mortalità era altissima, ma nei sopravvissuti la “malattia” alle gambe potrebbe essere stata effetto di rachitismo o di paralisi.
Le accuse di altro genere sono le stesse di sempre: morte improvvisa di bambini e di animali, pioggia che non fa maturare il grano, ruggine e tempeste che mandano in malora i raccolti: accuse di malefici perpetrati dalla strega, per vendetta, rappresaglia, invidia. Le ragioni di sempre.
Catherine e il Diavolo
A Mazan, Catherine viene condotta nell’ufficio del procuratore, Claude Lady, luogotenente del baliato, all’ora dei vespri.
Le si domanda se sa perché è detenuta nelle carceri di Mazan.
Risponde che quindici giorni prima, mentre si trovava a casa di suo figlio Jean Lobet, l’ufficiale giudiziario Simon Maurin l’ha tratta in arresto perché era una strega. Da allora è stata tenuta prigioniera, in catene, per otto giorni. Poi Maurin le ha tolto le catene ed è rimasta nella suddetta prigione senza più essere incatenata al muro.
Le si domanda se è una strega.
Dice e confessa di essere una strega, fatto che non si può negare perché in passato presso questa stessa corte ha già subito un processo, debitamente registrato dal notaio in presenza di testimoni, in seguito al quale fu fustigata e bandita per una durata di tempo che però ora non ricorda più.
Seguono, come da verbale, le risposte di Catherine.
– Benché fosse stata punita, come ha detto e confessato, ha ripreso a compiere le sue cattive azioni stregonesche. Un diavolo infernale di nome Boschard, sotto forma di uomo, tutto vestito di giallo, dopo di allora le è apparso più volte.
– Il Diavolo le riapparve la prima volta circa tre anni dopo l’epoca in cui incaricato di ritirare il quarto del raccolto spettante all’abbazia era un monaco di Mazan, André Raynaud. Il Diavolo le si presentò a Les Pales, a casa di suo figlio Jean Lobet, mentre lei se ne stava a filare con la sua conocchia, subito dopo pranzo. Aveva l’aspetto di un uomo, vestito di giallo, e per prima cosa, tanto per attaccare discorso, le domandò che cosa stesse facendo, al che lei rispose che stava filando. Lei non sapeva che fosse un diavolo, fu lui a dirglielo, così come fu proprio lui a svelarle di essere lo stesso diavolo che l’aveva tentata la prima volta.
– Ricorda bene la proposta che il Diavolo le fece e la lingua in cui la fece: Ve te a qui de puoldra que anaras gecta en l’aygue, au gort de las Pialades, qu’est allant de Fontebonne a Gregory. Vay la gecta a qui et s’en levera d’aygue chaude qui tombera aux blases. E cioè: «Ecco della polvere che andrai a gettare nell’acqua, nel burrone delle Pialades che si trova sulla strada da Fontebonne a Gregory. Va a gettarla lì e si alzerà un’acqua calda che cadrà sul grano». La polvere gliela diede su un truciolo di legno.
– Lei quella polvere non la voleva prendere, ma il Diavolo minacciò di picchiarla se non gli avesse ubbidito. Perciò andò a gettare la polvere nel burrone dal quale, verso mezzogiorno, si alzarono una nebbia e dell’acqua calda che caddero sul grano del territorio del Roux, soggetto alla decima, e su un campo di grano del prato delle Pialades appartenente agli abitanti del Roux.
– Aveva obbedito al Diavolo, non lo aveva fatto di sua volontà, se ne pentiva e ne domandava perdono a Dio. Quella nebbia e quell’acqua calda avevano rovinato il grano, lo avevano scottato.
Catherine e la carestia
– Dopo di allora il Diavolo le apparve, circa tre anni dopo, sulla via di Picheran, nel prato di Jean Lobet. Aveva l’aspetto di un uomo e le diede dell’altra polvere su un po’ di trucioli di legno ordinandole di andare a gettare la polvere sul bambino di Simon Maurin. Lei lo fece e il bambino morì. Ma non fu lei a volere che il bambino morisse.
– L’anno precedente, dopo che Andrieu du Bosc l’aveva fatta bastonare da Jean Merchat, un monaco di Mazan, il Diavolo le apparve un’altra volta, verso mezzogiorno. Fino a quel momento però lei non sapeva che fosse stato Andrieu a farla bastonare, glielo disse il Diavolo. E il Diavolo, siccome sapeva bene che lei era molto arrabbiata per quel bel po’ di botte che si era prese sul groppone, le disse pure che per vendicarsi di Andrieu doveva gettare della polvere, che lui stesso le avrebbe dato, sulla strada dove sarebbero passate le vacche di Andrieu. Lei lo fece e una delle vacche si azzoppò. Ben gli stava all’Andrieu.
– Non nega di aver detto a Jeanne Faure che presto ci sarebbe stata una tale carestia che a malapena questo povero mondo sarebbe riuscito a sopravvivere. C’era da aspettarselo: dalle sei pinte di grano che lei stessa aveva seminato aveva ricavato una vera miseria. Non nega di aver litigato con Jeanne perché aveva picchiato un figlio di Jean Lobet, ma non l’aveva mai minacciata, né per magia le aveva fatto gonfiare le gambe al punto di impedirle di camminare.
– Su altre persone che la calunniavano si era vendicata, questo non lo nega, ne aveva tutti i sacrosanti motivi. Il diavolo Boschard era venuto a farle visita e le aveva dato della polvere ravvolta in una foglia di faggio e lei questa polvere l’aveva gettata sulla figlia di Gabriel Molin quando ancora era piccola, in braccio ad Anne Lobet, sua madre, e che ora è malata alle gambe e non può neppure reggersi in piedi.
– Anche se è vero che aveva litigato con François Lobet perché non aveva voluto dare da mangiare ai suoi maiali davanti a lei, per paura che glieli stregasse, non è vero che gli aveva augurato una malasorte e non è vero che i suoi malefici gli hanno causato una malattia al cervello così grave, che non è più quello di prima. La accusa perché è pazzo.
Il verbale dell’interrogatorio viene steso nel luogo di cui sopra, presenti: Jean Vimon e Vernet. La firma è: Vimon.
Catherine al sabba
Catherine viene di nuovo convocata nell’ufficio di Mazan del luogotenente del balivo di Mazan, in presenza di Antoine Bochon, procuratore fiscale. Come impone una corretta procedura, a Catherine Les Hermes vengono riletti i capi di imputazione e, una per una, le dichiarazioni che ha rilasciato affinché le possa eventualmente modificare o ritrattare. Sotto giuramento Catherine le conferma, dichiarando di non avere nulla da modificare o da aggiungere.
L’atto è firmato dal notaio reale Simon Valentin in presenza di Vimon, Pierre Court, Simon Maurin.
Il 12 di aprile, martedì, ai vespri, Simon Maurin, ufficiale giudiziario, riconduce Catherine nell’ufficio del luogotenente del balivo fra Jean Vimon.
Dopo che le è stato ricordato di essere ancora sotto giuramento, Catherine – anche lei come Péronne, ma un secolo e mezzo prima – spontaneamente, dunque, dichiara che negli ultimi tre anni si è recata per due volte al sabba.
Il sabba si teneva nella piazza del mercato di Montry. E sempre nella notte del giovedì. Veniva accolta ogni volta da un gran vorticare di ballerini, tra i quali certi pretonzoli che lei non conosceva, tranne uno di Champagne, che si chiama Marcon le Taboru.
Dopo aver reso omaggio, baciandogli le ginocchia, a un uomo nero grande e grosso seduto in cattedra, lei come gli altri offrì a questo diavolo una candela di pece che le venne poi restituita. Prima di questo omaggio veniva servito un gran banchetto al quale lei una volta aveva collaborato portando un porco morto che suo marito aveva scotennato e seppellito.
Al sabba è sicura di aver visto Andrieu du Bosc e sua moglie Catherine, che portarono una grossa porzione di carne di una loro vacca. Ognuno portava pane e vino.
Interrogata su quante volte sia andata ai sabba, conferma di avervi partecipato due volte, come ha già detto, ma in un successivo interrogatorio dichiara di non avere mai riconosciuto nessuno «perché a suo parere sono soltanto visioni». Ciò che ha raccontato su questo argomento, lo ha raccontato per paura della tortura.
Poi smentisce di nuovo tutto. Non ha paura della tortura. Lei ai sabba ci andava davvero.
Catherine rifiuta la difesa
Monsignore il luogotenente del balivo benignamente concede all’imputata un’altra udienza per darle la possibilità di riflettere ancora un giorno.
Giovedì, 28 aprile, a mezzogiorno. Il luogotenente Jean Vimon propone all’imputata di discolparsi o di essere rappresentata da un procuratore legale. Catherine Les Hermes rifiuta l’una e l’altra proposta. La si informa quindi che la sentenza le verrà comunicata non appena giungeranno i giudici di Mazan. Nel frattempo resterà in carcere.
Presenti all’interrogatorio: Antoine Bochon, Antoine Crozet e Martin Faure.
Sabato, l’ultimo di aprile del 1530. Frate Jean Vimon, luogotenente di monsignore il balivo di Mazan, ha ascoltato le deposizioni a carico di due testimoni.
La prima è Jeanne Breyesse, moglie di Simon Maurin, la quale in presenza di Jean Teyssier e di Claude Duny sostiene che Catherine ha fatto morire una sua bambina di circa due anni dopo averla fatta ammalare malocchiandola mentre lei la stava allattando e benché lei si fosse affrettata a coprire il viso della figlia con il grembiule, ben sapendo che Catherine era una strega.
Simonde Duboys a sua volta dichiara che sei o sette anni prima, al ritorno da un viaggio nel Vivarese, trovò sua figlia a letto ammalata. Le venne riferito che il giorno prima che la bambina si ammalasse, Catherine era entrata in casa. La bambina morì nel giro di tre giorni, fu sepolta a Mazan e fu Catherine stessa a portarle la camicia con cui la rivestì prima di deporla nella bara. Non sa se sia stata davvero Catherine Les Hermes a uccidere sua figlia, ma lo sospetta perché già una volta fu giudicata colpevole di stregoneria. Come ha già detto quando testimoniò in presenza di Jacques Tavani e di Adrien Brenier. Firmato: Vimon. Verbalizzato e registrato come sopra: Boisson, notaio.
Si mette altresì a verbale che l’imputata ha declinato la benevola offerta di monsignore il luogotenente; che sotto giuramento ha confermato le sue deposizioni; che ha affermato di non volervi togliere né aggiungere alcunché; che monsignore il luogotenente l’ha informata che la sentenza le sarà comunicata appena saranno arrivati i signori giudici. Presenti: come sopra. Firmato: Vimon.
Quanto sopra riportato è stato detto dalla Les Hermes medesima. Firmato: Boisson, notaio.
Catherine e la sentenza
Il 28 maggio 1530, monsignor Luquet, luogotenente, chiesto il parere dei due giudici coadiutori, così si è espresso per primo: «Ritiene che l’imputata Catherine Les Hermes vada nuovamente frustata a sangue e bandita in perpetuo dalla giurisdizione di Mazan».
Monsignor Jean Poucho, luogotenente, ha dichiarato: «È giusto, che sia frustata usque ad sanguinis effusionem intinsime», frustata a sangue con violenza, «e bandita in perpetuo dalla giurisdizione di Mazan».
Monsignor Claude Raffier, luogotenente, è del parere che l’imputata debba essere condotta sul luogo della condanna, in camicia, di domenica verso le tre, in presenza dei testimoni che hanno deposto e di tutta la comunità. Dovrà domandare perdono a Dio, confessare di aver fatto del male e poi essere pubblicamente frustata come proposto dai Signori di cui sopra e bandita in perpetuo dalla giurisdizione di Mazan.
Monsignor Pierre Raffier, baccelliere in giurisprudenza, ha approvato la procedura proposta da monsignor Claude Raffier.
Firmato: De Raffier. Usque hic rubricatur per me.