D’un tratto Marian adocchiò il pullman di lontano, davanti a sé. Aveva delle strisce blu e rosse impresse sulla parte posteriore. Doveva essere proprio il pullman espresso. Attraversò il tunnel e proseguì per la pianura verso Drammen. Spense il lampeggiatore. Non aveva senso creare agitazione quando tutto poteva svolgersi tranquillamente. La avvertirono che la pattuglia che aveva precettato era quasi arrivata, e rimasero d’accordo che si sarebbero incontrati al terminal dei pullman. Il mezzo fece una fermata presso Drammenshallen23 e lasciò scendere due ragazzini, prima di costeggiare alcuni palazzi condominiali ed edifici industriali. Marian vide Birgit Willmann attraverso il lunotto. Non indossava alcun cappello. Guardò lo specchietto retrovisore, lampeggiò, superò e si mise davanti al pullman. In quel momento le venne in mente una cosa: anche Henny Marie al vivaio aveva una madre anziana.
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Birgit Willmann scrutava la parte anteriore del pullman. Le file di poltrone di fronte a lei erano vuote, ma più avanti sedevano alcune persone. Aprì di nuovo il borsone, sollevò quella creatura inerte e se la portò alla bocca. La baciò e con le labbra ne sentì il tepore e la peluria sottile. La sua mano tozza lo accarezzava delicatamente, dalla nuca, giù per la schiena e poi di nuovo in su. Avrebbe dovuto odiare il proprio destino, ma bisognava anche mettere in conto tutte le giornate che andavano e venivano, quelle già trascorse, anno dopo anno; le camicie pulite, le presse da stiro e il profumo del vapore. Ma c’erano anche le mattinate del caffè fuori, al tavolo da giardino. Aveva da poco passato in rassegna le sue bambole di carta: le bambole di carta che erano state incollate su di un cartoncino e poi ritagliate con cura lungo i bordi. La sua infanzia era tutta racchiusa in quella carta sottile.
Il bus fermò nel terminal e fece uscire un grosso sbuffo di gas di scappamento. La gente si era messa in fila per scendere. Guardò dal finestrino, e con suo grande spavento vide più in basso la poliziotta coi capelli corti che camminava lungo il pullman. Ora la stava guardando. Il cuore le batteva all’impazzata. Il momento era arrivato. Era la fine.
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L’edificio di legno era di un color giallo senape con la corta veranda di vetro percorsa da un intaglio di legno. Folate di vento sfioravano il campo di grano pianeggiante. «Accidenti quanto tempo che mi dedicate». Klaus Bjone indossava abiti civili.
«Sappiamo che sei membro di un’organizzazione nella massoneria universale, una cellula segreta che si considera una specie di governo a livello mondiale», disse Cato Isaksen. «Abbiamo fatto delle ricerche».
Klaus Bjone scosse la testa. «Una cosa vi posso promettere: il mio avvocato vi porterà in giudizio». Guardò i poliziotti. «Questa è follia pura. Un’assurdità! Io non ho assolutamente nulla a che fare con questa faccenda, ma è davvero terribile. E siete stati perfino a casa da Eva!».
Incrociò le mani abbronzate. «Non immaginate nemmeno quanto vi state sbagliando. Quel bambino non può essere mio! Ho parlato adesso con Eva. Ce la faremo, io e lei. La mia povera moglie ha anche lei dei grossi problemi. Non ci avrete messo molto a capirlo. E quei ragazzi che sono entrati di nascosto nel mio garage verranno puniti per quello che hanno fatto. È compito vostro scoprire il perché, dato che io ne ho avuto più che a sufficienza di questa ridicola faccenda. Se pensate che stia nascondendo qui qualche bambino, allora prego, seguitemi dentro e parlate con i miei amici. Ispezionate questo locale. Per l’amor di Dio, cercate! E qui c’è la chiave della mia stanza; prego, entrate e rovistate nei cassetti e negli armadi. Mettete a soqquadro tutta la locanda».
23 Centro sportivo utilizzato anche per fiere campionarie. (n.d.t.)