Marian aprì la valigia marrone. C’erano dei grossi spacchi sul coperchio. Era piena di vecchi indumenti, vestitini da bambina, foto e album di figurine, e due piccoli taccuini arancioni. Ne prese in mano uno. Le pagine erano piene di lettere, come dei codici, ma qui e lì c’era qualche riga di testo comprensibile scritta in una calligrafia molto curata.
Il fatto che tutto fosse così in ordine rivelava la volontà di tenere ogni cosa sotto controllo. Birgit provocava in Marian un senso di disagio. Era come se riconoscesse alcune cose della propria infanzia. Il modo in cui si comportava la sua madre adottiva, la sensazione di essere trascurata e la depressione. All’improvviso Marian capì che non era Frank Willmann a metterla a disagio, ma sua moglie. Birgit dava l’impressione di non essere sana; sembrava una bambinetta cicciottella, e adesso finalmente c’era scritto nero su bianco: “Ho preso quell’overdose di sonniferi per andarmene, ma Frank mi ha trovata e mi ha portata all’ospedale. Da quel momento mi controlla e si occupa delle ricette. Il mio dottore le scrive a nome suo, e Frank le dosa in maniera tale che io non lo faccia di nuovo”.
La pallida luce che entrava dalla finestra della camera da letto colpì la foto che si trovava sul letto. All’improvviso, la bambina con il fiocco sembrò un fantasma. Arrivò un SMS di Cato: “La madre di Roy non c’entra. Ho mandato una foto via SMS alla maestra d’asilo. La risposta è negativa. Adesso vado a Konvallveien, Roger mi sta aspettando lì”.
Marian ripose il piccolo taccuino in valigia, prese l’altro, se lo mise in tasca, sbatté il coperchio e spinse nuovamente la valigia e le scatole sotto il letto. Poi si alzò e rispose: “Ok. Non c’è nessuno a casa dei Willmann”. E subito ne ricevette un altro: “Stai andando a Notodden?”.
Lei rispose di sì, afferrò la foto, lisciò la coperta con la mano, scese le scale, attraversò il salotto e uscì dalla porta-finestra. «Birka, vieni!». Oltrepassò l’area giochi, girò intorno alla fila di case ed entrò in macchina. «Dentro, Birka!». Le tenne aperta la porta posteriore, gettò la fotografia sul sedile passeggero ed entrò in auto. Nel momento in cui girava la chiave dell’accensione, la chiamò Cato. «Stai veramente andando a Notodden, Marian?»
«Sono per strada», disse lei, e poggiò il piccolo taccuino sul sedile accanto al suo. «Correrò come una matta. A ogni modo, quando scende dal pullman sarà fermata dalla polizia locale».
«Roger pensa ci sia qualcuno a casa di Bjone. In questo momento sto imboccando Konvallveien. Dobbiamo diramare un avviso di ricerca di Sebastian appena avremo controllato Bjone e Birgit Willmann».
«Ho trovato alcune foto e quaderni di appunti, Cato. Dentro ci sono scritte delle cose piuttosto inquietanti».
«Non ti sei ancora messa in macchina? Sei stata dentro casa dei Willmann, giusto? Io però non ti ho mai insegnato a forzare le serrature!».
«Ci sono riuscita lo stesso», disse Marian, secca.
«Tieni Juha Sakkonen lontano da questa storia! Hai trovato qualche foto di Birgit Willmann che possiamo mostrare al personale dell’asilo? Ora devo attaccare».
«No, soltanto una foto della confermazione e una del matrimonio. Nella camera degli ospiti c’era un binocolo».
Marian attraversò un incrocio col giallo e accelerò per la strada pianeggiante. Da uno spiraglio della portiera, che non aveva chiuso bene, entrava uno spiffero.
* * *
Cato Isaksen frenò a secco di fronte alla volante a Konvallveien e saltò giù. Roger gli si fece incontro. «Dentro casa non ci sono movimenti. Bjone potrebbe trovarsi a Lutvann, presso la caserma dove lavora. Si occupa di spionaggio, ma questo già lo sai. Adesso che facciamo? Cerchiamo di entrare, o ci dirigiamo su a Lutvann?». Cato Isaksen guardò la rivista accanto alla sdraio, le cui pagine venivano girate dal vento. Era gonfia di umidità e completamente grigia. Per un attimo tenne gli occhi fissi sull’erba che la circondava prima che il suo sguardo cogliesse un movimento dietro alla finestra, al di là dell’ombra che le foglie di quercia proiettavano sul vetro.
* * *
Marian accostò, sbatté nuovamente la porta e cercò sull’iPhone gli ospedali di Notodden. Di quella zona non sapeva molto, tranne che era lì che era stata fondata la Norsk Hydro21. Trovò tre ospedali. Uno era la casa di cura di Notodden, poi c’erano gli alloggi per disabili di Haugmotun, e la casa di riposo per anziani di Mørkbygda. Ebbe successo al primo tentativo. L’anziana signora Thilius abitava presso la casa di riposo di Mørkbygda. Il suo cuore saltò un battito. Trattenne il respiro mentre scendeva rapida per fissare il lampeggiatore al tettuccio, poi si chinò dentro, fece una breve carezza al cane e si precipitò giù verso Oslo.
* * *
Cato Isaksen batté sulla porta coi palmi e coi pugni. Accostò l’orecchio alla fessura vicino all’infisso e si mise in ascolto. Poi urlò ripetutamente il suo nome. «Signora Bjone, apri! Signora Bjone!».
Alcune persone si radunarono sul marciapiede lì fuori.
Roger Høibakk guardò Cato da dietro. «Spacchiamo la finestra di sopra, una di quelle piccole». Cato Isaksen si rivolse all’agente in divisa. «Tu rimani all’esterno», disse.
Corsero intorno alla casa, tirarono un tavolo da giardino fin sotto una delle finestre della camera da letto e raccolsero un sasso tondo da dentro un’aiuola. «A te l’onore». Cato Isaksen diede il sasso a Roger, che si arrampicò sul tavolo e cominciò a batterlo sul vetro. Quello si ruppe in cento pezzi, e dall’interno della casa si sentì un urlo. Cato Isaksen afferrò un ciocco di legno da una catasta, salì sul tavolo da giardino e batté contro gli infissi per far cadere tutti i frammenti di vetro. Roger resse il tavolo, e Cato si buttò dentro. C’erano pezzi di vetro su tutta la coperta. La stanza era ordinata. C’era una serie di armadi sulla parete di fronte. Lui attraversò la stanza e aprì con forza la porta che dava sul salotto. Eva Bjone sedeva per terra, tremante, con le mani alzate davanti al viso e la schiena appoggiata a un mobile antico. Lo guardò spaventata di tra le dita.
* * *
Marian pensò a Sebastian, si immise sulla corsia più esterna della E18 e diede gas superando Skøyen. Se analizzava di nuovo tutto quanto fin dall’inizio e cercava di riorganizzare le idee, c’era comunque qualcosa che non tornaa. Adesso il bambino era sparito da due ore. Era vivo o morto, Sebastian? Era una pazza che se ne stava prendendo cura? Oppure era Bjone che ci aveva visto la sua occasione per vendicarsi? O ancora era sua moglie che aveva qualche onta da lavare?
* * *
Cato Isaksen aiutò Eva Bjone a rialzarsi. «Perché non ci hai aperto? Dov’è il bambino?».
Lei lo fissò. Il suo viso era sottile e tirato, ma abbronzato. Indossava un vestito bianco estivo da ragazzina. Quest’ultimo metteva in evidenza le sue rughe e la sua aria stanca. Era a piedi scalzi, e le unghie erano laccate di rosso.
«Mia figlia sta venendo qui», sussurrò e guardò intimorita Roger Høibakk che usciva dalla camera da letto e cominciava a cercare per tutta la casa.
«Dov’è il bambino?», ripeté Cato alzando la voce. «È qui tuo marito?». Guardò fuori attraverso la grande finestra del salotto. L’agente in divisa stava ancora facendo la guardia al cancello.
«Il bambino?», sussurrò lei. «Ma… intendi mia nipote?»
«Intendo Sebastian Glenne Hansen. Ha dieci mesi! Possiedi un cappello bianco e un cappotto beige?».
Lei incrociò le dita e se le portò sotto il mento mentre scuoteva la testa.
«Abbassa le mani e guardami!». Cato Isaksen si spazzolò via alcuni frammenti di vetro, le scattò una foto con il cellulare e mandò l’mms alla maestra d’asilo.
Roger aprì le porte del seminterrato.
Cato Isaksen rimase in attesa, nervoso, e subito dopo squillò il suo telefono. Live Søreide parlava affannosamente. «Le assomiglia un po’, ma a dire il vero mi sembra troppo alta. Puoi fare un’altra foto di lei insieme a te, così posso valutare anche quella? Ora la trasferisco sul computer, in modo da vederla più in grande».
Roger arrivò salendo per le scale. «Negativo», disse.
Cato Isaksen pregò Roger di fare un’altra foto con lui ed Eva Bjone. Lei era apatica, gli stava accanto rigida come un bastone. Sì, in effetti era alta, alta quasi come lui. Cato inviò il messaggio. Subito dopo, la maestra chiamò di nuovo. Propendeva per il no, ma era un po’ incerta. «È come se avesse i capelli troppo lunghi, però ci sono delle somiglianze».
* * *
Roy Hansen trovò la fotografia che stava cercando. Sapeva che il giorno dopo avrebbe fatto bella mostra di sé su tutte le prime pagine dei giornali se non avessero trovato Sebastian quella sera stessa. Era una situazione insostenibile. Guardò l’immagine. Vivian sedeva con il bambino sulle ginocchia il giorno del suo battesimo, e Kenneth si appoggiava a lei. Per l’occasione, la donna aveva tirato su i capelli per scoprire il viso, ed entrambi sorridevano in maniera innaturale, così come fanno i bambini quando si chiede loro di fare i bravi. Sullo sfondo c’era Dan.
* * *
Marian percorse la discesa di Lierbakkene verso Drammen, e imboccò il tunnel per Kongsberg. Dopo aver superato parecchi camper stranieri e un paio di roulotte, tirò giù il vetro del finestrino, passò accanto a una casetta rossa e pensò che le sarebbe piaciuto abitarci, in una come quella, nel bel mezzo di un campo in un posto sperduto. Presto il pullman avrebbe raggiunto Notodden. Aspettava notizie. Birgit Willmann aveva un che di cupo e tetro, ma allo stesso tempo sembrava affidabile. Perché all’improvviso si era presa un permesso dal lavoro? Nei casi di disturbi della personalità in cui si manifestavano tratti antisociali e paranoia, la ricerca aveva dimostrato che l’ereditarietà aveva un ruolo importante. Pensò alle riviste porno trovate nella rimessa di Frank Willmann. Sicuramente non significavano nulla, quella roba piaceva alla maggior parte degli uomini, ma alcune di esse mostravano donne che venivano umiliate sessualmente in vario modo. E nella camera degli ospiti c’era il binocolo. Frank Willmann sembrava introverso. Se uno di loro due era disturbato, probabilmente era lui. Persone apparentemente affidabili potevano fare le cose più terribili. I bambini sulla foto, ora dov’erano? Premette sull’acceleratore e proseguì per la sua strada.
* * *
Cato Isaksen stava in piedi e guardava in giù verso Eva Bjone. La donna sedeva sul divano e si rifiutava di parlare prima che arrivasse la figlia. Le sue gambe sottili erano piene di vene blu. Sul tavolo c’erano una bottiglia vuota di vino rosso e un bicchiere.
«Se adesso non rispondi alle mie domande, ti portiamo in questura», disse, indicando Roger con la testa.
«No», pregò lei e si portò le mani ossute al viso.
«Hai ancora una chance». Cato sentì l’odore del proprio sudore. Quel giorno non si era fatto la doccia, e gli girava la testa dalla fame. «Dov’è tuo marito? Ora ci devi raccontare tutto quanto. Ci sono in gioco molte cose, anche per quanto ti riguarda. Se dichiari il falso, puoi finire in galera. E se succede qualcosa al bambino…».
«Ma io non so nulla. Non capisco niente di tutto questo».
«Dove si trova Klaus Bjone?».
La donna muoveva nervosamente le mani che teneva in grembo. I suoi occhi si riempirono di lacrime. «Klaus mi è stato infedele».
“Con la madre di Sebastian”, pensò Cato Isaksen.
«Abbiamo litigato. Lui ha preso ed è andato via».
«Quando?»
«Oggi non è venuto a casa. Io non so dove sia. Forse al lavoro. A Lutvann. Mi manca. Diteglielo se lo trovate», pregò.
* * *
Marian gettò un’occhiata al taccuino sul sedile accanto. Si fermò a una pompa di benzina, subito dopo Drammen, e comprò un pezzo di pizza e una Pepsi Max. Aveva talmente fame che tremava. Mangiò continuando a guidare. Il suo cellulare squillò. Era un agente del Telemark. «Nessuna donna corrispondente alla descrizione è scesa a Notodden», disse.
* * *
«Quindi Birgit Willmann non c’era, su quel pullman», urlò Marian al cellulare e accostò fermandosi presso un terreno coltivato con una striscia di fiori selvatici lungo la strada. «Che faccio, giro e torno indietro?»
«No», disse Cato Isaksen. «Noi siamo a Haugerud e adesso prendiamo la strada per Lutvann. Vai a parlare con sua madre, dato che ci sei e che hai già fatto tutta quella strada. La maestra d’asilo era incerta, su Eva Bjone. Sto aspettando che mi chiami di nuovo».
* * *
Marian proseguì lungo la E134. Pensava a Eva Bjone. L’aveva appena intravista alla finestra mentre stavano andando via da Konvallveien quella volta che erano andati a prelevare il marito. Sembrava più vecchia di lui, e stanca. Aveva dichiarato che il marito era rimasto a casa tutta la sera quel giovedì in cui avevano ucciso Vivian. Pensò di nuovo a Frank Willmann. Spesso andava così, che il primo sospettato era quello giusto. Spesso si allungava semplicemente il percorso, si brancolava nel buio.
Birka dal sedile posteriore emetteva dei piccoli guaiti. Dopo qualche minuto di strada lungo un tratto fiancheggiato da abeti, ampi terreni con campi di cereali e qualche casa sparsa qua e là, raggiunse Notodden. Mancava qualche minuto alle otto, e un tuono profondo, seguito da qualche gocciolone di pioggia, le diede il benvenuto in quella cittadina che era decisamente tutt’altro che l’ombelico del mondo. Anche se si trovava nei pressi di un lago, dava l’impressione di essere soffocata e scura, con i suoi palazzi rettangolari di stili diversi, tutti in fila; e tuttavia sparsi qua e là c’erano degli ampi slarghi.
21 Compagnia produttrice e fornitrice di alluminio a livello mondiale. (n.d.t)