Un incarto di gelato le si era attaccato sotto la scarpa. Marian si chinò, lo staccò e chiese a una donna dove si trovasse la tintoria. «Su», fece quella, indicando le scale mobili. Il centro si stava lentamente riempiendo di gente che faceva lo shopping tipico del fine settimana. Quando attraversò il varco della tintoria, si sentì un campanello. Era un suono acuto. Il negozio era vuoto. Marian teneva la bottiglia, avvolta nella busta del negozio, infilata nella cintola, sotto la giacca di pelle. Per un attimo le girò la testa e tutto si fece nero. Le particelle di detersivo disperse nell’aria odoravano di disinfettante, come negli ospedali. Alla parete, dietro il bancone, era appeso un vestito da sposa bianco e ingombrante, con un fitto ricamo di perline sul busto. Ma Marian scorse delle macchioline lungo il bordo. Poi l’occhio le cadde sul libro nero che si trovava sul bancone.
All’improvviso vide un movimento. La donnetta un po’ tarchiata con il grembiule celeste che uscì dal retrobottega la fece pensare alla neve e al ghiaccio. Non sapeva per quale motivo, ma qualcosa le ricordava il freddo. Il suo viso era inespressivo. «Sono della polizia», fece, con la nuca bagnata di sudore freddo.
«Sembra che tu stia poco bene», disse Birgit Willmann fissando il badge che portava al collo.
«Grazie, sto benissimo». Marian si raddrizzò. «Il mio collega è stato qui ieri per parlare con te», iniziò. «Si è dimenticato di chiederti della macchina scura che si era fermata davanti a casa di Vivian giovedì pomeriggio. Tu l’hai vista, vero?».
La donna annuì. «Era un uomo dai capelli grigi. Può darsi che le abbia chiesto un’indicazione stradale. Poi è ripartito». Fece spallucce. «Forse si trattava solo di questo. Di certo non ho preso la targa, diciamo così».
«Sono passata a vedere Dan alla pompa di benzina», fece Marian. «Sarò diretta, devo soltanto chiarire un punto. Tu lo conosci Dan, giusto? Che tipo è?».
La domanda la colse in contropiede. Era un trucco? Questa donna era così diversa dall’altro poliziotto. Era per questo che avevano mandato proprio lei? Sembrava una in grado di scoprire le cose, e non assomigliava a uno sbirro, ma anzi se ne andava in giro con i jeans, la giacca di pelle e delle scarpe da ginnastica malridotte.
Birgit Willmann deglutì. Aveva promesso a Dan di tenere la bocca chiusa. Gettò un’occhiata rapida al registro. «Non potete smetterla di tormentarmi?», disse.
Marian la fissò. Birgit aggiunse: «È un bravo ragazzo. Non ha niente a che fare con questa faccenda. Vivian non era una brava madre».
«Ah no?».
Birgit Willmann scosse la testa e per un attimo sembrò piena d’odio. «Smettila di tormentarmi!», ripeté.
«Non ti stiamo tormentando. Questa è una cosa importante. Vivian Glenne ti ha fatto delle confidenze sui suoi amanti, e tu le hai riferite a tuo marito. Ho capito bene?»
«Sì», mormorò lei.
«Vivian Glenne ha mandato a tuo marito un SMS dove c’era scritto che lui la spiava».
Lei fece spallucce. Stille di sudore le erano apparse sul labbro superiore, coperto da una sottile peluria. «Vivian faceva un sacco di cose strane. Non mi meraviglio di nulla».
«Tipo?»
«No», gridò d’un tratto. «Adesso basta. Non voglio parlare con te». Si girò ed entrò nel retrobottega, ma riuscì immediatamente dalla tenda. “È una persona che ha poco controllo sulle sue pulsioni profonde”, pensò Marian trattenendo il respiro. Birgit Willmann sembrava ferita. C’entrava qualcosa, Dan? C’era qualcosa di strano che aveva a che fare con tutto il suo modo di essere. Quante volte Birgit Willmann era stata sul punto di affogare con la testa in un lavandino, con delle mani d’acciaio che le stringevano il collo? Marian riconosceva qualcosa, una cupezza profonda. Era la medesima cosa che a lei stessa era stata inculcata fin da piccola, e cioè che lei era l’ultima spiaggia. Se una persona non riesce ad avere figli, può andare a prenderne uno all’estero.
Birgit Willmann infilò le mani nelle grandi tasche, tremante. Allo stesso istante entrò un uomo per ritirare un completo. Marian si fece da parte. Il ronzio della catena elettrica ricordava quello di uno sciame d’api. L’appendiabiti con le camicie e i vestiti da donna si muoveva in avanti a piccoli scatti. Birgit Willmann trovò l’indumento giusto e lo diede al cliente, che pagò e se ne andò.
«Stiamo cercando degli stivali invernali oppure delle scarpe con un’impronta particolare. Sai se tuo marito ha delle calzature del genere?».
Birgit Willmann scosse la testa.
C’era qualcosa che non andava. “Sta recitando”, pensò Marian. “Dài, vuota il sacco”. «Eri gelosa di Vivian Glenne?».
I suoi occhi si spalancarono. «Assolutamente no! Che sciocchezza! Solo che non era bionda come voleva sembrare. È tutto quello che ho da dire. Quando lascerete andare Frank?»
«Non lo so. Oggi lo dobbiamo interrogare di nuovo», disse Marian fissando lo sguardo su di una grande bottiglia con del detersivo liquido.
* * *
Quando si rimise in macchina erano le nove e mezza. Sentì che il tenue sole le bruciava le spalle. Il sacchetto di plastica grigio del monopolio di Stato era sul sedile passeggero. Una vecchia con una bicicletta rovistava in un secchio della spazzatura alla ricerca di vuoti a rendere. Marian nascose la busta con la bottiglia sotto il sedile, aprì il vano portaoggetti del cruscotto e ne estrasse un collutorio. Le veniva il batticuore a pensare a Birgit Willmann; l’incontro con lei l’aveva tramortita, come un pugno. Naturalmente era sbagliato credere che fosse una pazza. Squillò il cellulare. Era Cato: «Che fine hai fatto?». All’improvviso Marian sentì che gli occhi le si gonfiavano di lacrime. Inghiottì più volte, sollevò il braccio e si asciugò il naso con l’avambraccio. «Sarò lì tra un quarto d’ora», disse mettendo in moto. Non doveva precipitare di nuovo nel buco nero, ma sopravvivere a quelle giornate. Birka si tirò su a sedere sul sedile posteriore, scodinzolando. «Tutto ok, Birka! Fai la brava, a cuccia!».
Uscì in strada e proseguì per la città. Possibile che Willmann avesse riposto la vanga dietro la propria rimessa se era stato lui a colpire a morte Vivian Glenne? Forse l’aveva nascosta da qualche parte? Era possibile che Birgit Willmann l’avesse trovata e rimessa a posto? Magari Frank Willmann l’aveva tradita con Vivian Glenne, e Birgit si era vendicata facendolo acciuffare?
* * *
Cato Isaksen la incrociò in corridoio mentre stava uscendo dall’ascensore. Nello stesso istante, Roger uscì dal proprio ufficio. «Stai poco bene, Marian?», le chiese.
«Sono un po’ stanca, Roger». Marian giocherellava col cuoricino d’argento che aveva al collo, e si accorse che stava tremando un po’. Roger le sorrise. «Il baubau è rimasto in garage?»
«Birka sta bene. Devo ammettere che ultimamente ho avuto delle difficoltà, mi sembra quasi di sopravvivere e basta. Le giornate volano: il domani si trasforma in oggi e poi in ieri. Ho scelto il momento sbagliato per fare i lavori in casa. È stato stupido farlo d’estate. Avrei potuto aspettare».
Cato Isaksen la guardò. «È stata una tua scelta. Andiamo nel mio ufficio». La responsabile del reparto lo aveva chiamato di nuovo. Gli aveva dato la netta impressione che non se ne sarebbe potuto andare in vacanza qualora non ci fosse stata una svolta nel caso Glenne. «Le analisi tecniche vanno troppo a rilento», disse. «Ora siamo nel fine settimana. La lentezza di questo dipartimento mi fa uscire di testa. Se solo la gente sapesse…».
«La gente sa», disse Marian, stanca. «I giornali dedicano pagine e pagine a questo argomento. Ma che è quest’odore?»
«Dopobarba», disse Cato Isaksen.
«Perché ti sei cosparso di quella roba puzzolente?». Marian sentì la nausea che le rivoltava lo stomaco.
Cato Isaksen sorrise. «Funziona sempre».
«Ma con chi, con Irmelin Quist?».
Roger rise. Cato Isaksen ridacchiò. Il sole gli riscaldava il viso. «Stanotte ho dormito di nuovo sul divano, in ufficio. Lo spray di quella maledetta bottiglia funziona male».
Marian sorrise.
«Tu invece non odori di dopobarba, Marian», disse Cato Isaksen, facendosi improvvisamente serio.
«No Cato, io so di collutorio», disse lei, tranquilla.