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C’era un salottino di pelle nera in fondo al corridoio. Randi, Asle e Marian sedevano sul divano, incollati allo schermo del televisore, fissato in alto sulla parete. Marian teneva le dita intrecciate. Roger stava dietro di lei con le mani poggiate sulla spalliera del divano. Il buio incombeva alle finestre. Un termosifone elettrico emise un secco rumore metallico. La luce dei tubi al neon sul soffitto conferiva ai visi degli investigatori un che di malato. Marian pensava ai documenti che aveva giù in macchina. Come poteva farli avere a Cato? Non quella sera stessa, pensò: domani.
Cato Isaksen sedeva dietro a un tavolo su una piattaforma rialzata. In alto, nell’angolo del teleschermo, si vedeva una foto di Martin in uniforme, risalente al tempo in cui lavorava come investigatore.
Marian deglutì e si passò una mano sulla fronte. «Com’era Bieler?».
Randi aveva lo sguardo rivolto allo schermo. «Sembrava attendibile. Non aveva idea di chi fosse Arif. Dice di avere a che fare con centinaia di manovali». Randi fece spallucce. «Non so. Era solo a casa. La moglie aveva spento il cellulare perché non vuole sentirlo. Dice che l’SMS che aveva mandato a Egge riguardava il fatto che lui e la moglie stanno per separarsi».
Asle Tengs si raddrizzò e incrociò le braccia. «Ha spiegato per quale motivo, secondo lui, Egge avrebbe preso in prestito la cartella su suo figlio?».
Randi scosse la testa. «Il figlio è stato un caso di morte in culla nel 1994. Bieler ritiene che la cartella dovesse contenere informazioni circa la chiusura del caso. Non c’era motivo di sospettare che si fosse trattato di un’azione criminale».
Marian scrutò la piccola foto rettangolare di Martin. C’era come una luce bluastra su tutto, come se le immagini fossero dei lampi di luce. Il suo corpo era come un buco nero. Ogni piccolo movimento era per lei una complicata manovra. Teneva strette le mani e guardava il viso amichevole di Martin: scolpito, delicato e ben curato, con i capelli argentei tagliati corti. Indossava i mezzi occhiali, quelli che usava quando leggeva o scriveva. Non avrebbe dovuto declinare il suo invito per la vigilia di Natale. Era imbattibile nel sottrarsi agli inviti. Nonostante le sue innumerevoli impuntature, Martin le aveva sempre dato nuove occasioni. Ma adesso era tutto finito.
«Tutto il personale disponibile è stato messo al lavoro, sia dal punto di vista tattico che da quello tecnico», disse Cato Isaksen in diretta televisiva.
Marian vide che era nervoso.
«Ma devo sottolineare che per il momento non ci sono indiziati, e che non vogliamo rilasciare altre informazioni per salvaguardare il resto delle indagini».
Roger si raddrizzò e incrociò le braccia. Marian sentiva la sua presenza dietro di sé. Bastava che non se ne uscisse con una battuta fuori luogo. Era come se fosse in attesa di qualcosa: una lenta umiliazione o un attacco improvviso. Qualcosa insomma che le facesse perdere le staffe.
«Ma è stato ucciso?», chiese uno dei giornalisti.
«Sì, è stato investito e ucciso», sottolineò Cato Isaksen.
Marian si alzò. «È ora che vada a casa», disse.
«Vai». Randi la osservò con aria seria. «Noi continuiamo a lavorare», aggiunse.