26

 

 

 

 

John Gustav Bieler strinse le mani intorno al volante e serrò le mascelle. Sudava freddo, aveva appena parlato con la poliziotta che gli aveva lasciato un messaggio in segreteria telefonica. Diceva che erano stati presso l’Ente per parlare con lui, e che adesso si stavano dirigendo verso Inkognitogata. Lui aveva risposto che era diretto a casa, e che naturalmente avrebbe parlato molto volentieri con loro. Cos’altro avrebbe potuto dire?

L’investigatrice gli aveva chiesto perché il giorno prima avesse telefonato a Martin Egge. Aveva risposto che erano vecchi conoscenti, ma lei gli aveva detto che la polizia voleva parlare ugualmente con lui a causa dell’SMS.

Percorse in macchina lo stretto viottolo d’accesso, parcheggiò al solito posto e aspettò che passasse una vicina con un bambino piccolo. Poi scese, fece scattare la sicura della macchina e si avviò verso il portone. Un gatto si arrampicò sullo steccato, sfiorando il cespuglio di biancospino coperto di brina. Bieler gettò un’occhiata all’insù, verso le finestre. Erano buie. Diede un calcio a un mattone rotto che si trovava per terra.

Che diavolo c’era scritto in quell’SMS? Il telefono di Kari Helene era registrato a nome suo. Era lei che aveva spedito il messaggio. La polizia non doveva assolutamente venire a sapere che l’SMS era suo. In caso contrario avrebbero iniziato a interrogare anche lei, e sarebbe stata la fine. Doveva riuscire a rintracciare Greta, prima che i poliziotti parlassero con Kari Helene. Ma dov’era?

Aprì il portone con la chiave, entrò nell’atrio spazioso e si chiuse la porta alle spalle. Non era un cattivo padre; le circostanze e il lutto lo avevano costretto in una situazione estremamente sgradevole. Accese la luce ed entrò direttamente nella piccola biblioteca.

Kari Helene aveva ficcanasato come un segugio in giro per la casa vuota di giorno, quando Greta era al lavoro. Aveva trovato delle carte; lui sapeva che frugava dappertutto. La ragazza aveva cercato di rimettere tutto a posto, ma lui se n’era accorto: qualcuno aveva rovistato tra gli estratti conto di Guernsey e del Lussemburgo, e i passaggi di proprietà relativi a Maiorca e alla Svizzera.

Si precipitò in cucina. Lì, sul tavolo di vetro allungato, c’era il cellulare che usava Kari Helene. Lo afferrò e lo accese. Ci volle qualche secondo prima che il segnale acustico indicasse che era pronto per essere utilizzato. Pigiò con furia i tasti per leggere quel messaggio. Sperava ardentemente che non l’avesse cancellato.

Non lo aveva fatto. Il suo polso accelerò quando vide cosa c’era scritto: “Devo parlarti, Martin. Devo dirti una cosa terribile”.

“Maledizione”.

Alzò la testa e guardò il piano da lavoro su cui stavano, una dentro l’altra, due belle tazze di porcellana con un motivo a fiori grigi, accanto a una pila di piatti piani ancora da lavare.

Se solo Greta avesse capito la situazione drammatica in cui l’aveva cacciato la figlia e come fossero cruciali gli eventi del giorno precedente… il tutto avrebbe potuto unirli o dividerli nell’arco di pochi secondi. Non aveva certo voglia di convivere con il dolore per il resto della vita. Se ne voleva sbarazzare, voleva dimenticarlo e poter continuare per la sua strada. Era ora di mettere in atto lo stratagemma della lettera. Era stato un colpo di genio quello che l’aveva spinto a conservare la lettera con i propositi suicidi che Kari Helene aveva scritto qualche anno prima. Non aveva messo la data. Quando suonarono alla porta, sapeva già che si trattava della polizia. In quello stesso istante gli venne in mente ciò che avrebbe detto.

 

Un ascensore con le grate di ferro la portò fin su al quarto piano. Greta Bieler osservò il pianerottolo coperto di moquette rossa. La carta da parati era turchese con un motivo dorato. Il Continental aveva la fama di essere un albergo rispettabile, ma il palazzo era decadente.

Entrata nella stanza, gettò la borsa per terra e scalciò via da sé gli stivaletti. Poi si avvicinò al minibar, lo aprì, ne estrasse una bottiglietta di vino rosso, ma non ebbe voglia di andare e prendere il bicchiere che stava capovolto su un vassoietto tondo con accanto zollette di zucchero e noccioline americane.

Prese il telecomando che giaceva sul tavolo e oscurò le informazioni sullo schermo. Aveva telefonato a Jorunn pregandola di venire; le aveva detto che c’era una cosa di cui doveva parlarle. Jorunn aveva risposto che non aveva voglia di rivangare vecchie questioni: si era lasciata tutto dietro e non ne poteva davvero più. Ma Greta si era messa a piangere e Jorunn le aveva detto che avrebbe preso un taxi e sarebbe arrivata il prima possibile.

La stanza aveva carta da parati rosa a righe e una coperta viola. Greta svitò il tappo e si portò alla bocca la bottiglia. Si avvicinò barcollando alla finestra e guardò il traffico in Stortingsgata, in basso. Proprio sotto la finestra, c’era attaccato un nastro con finti rami d’abete coperti di lucette. Era da poco passato il Natale; non c’erano molte persone in giro, solo il tram che sferragliava passando di lì a intervalli regolari.

Aveva vagato per ore in lungo e in largo per le strade. Era andata in taxi a Ullevål, ma non le avevano permesso di entrare da Martin. Allora era tornata ad Aker Brygge20. Era entrata e uscita da vari negozi, aveva bevuto due gin tonic da Burns ed era poi finita da Steen&Strøm21, dove si era provata alcuni vestiti in tre differenti reparti. A casa non voleva andarci.

Si accese una sigaretta e fece un cerchio di fumo. Se Gustav fosse stato vivo, ora avrebbe avuto sedici anni. Forse sarebbe stato viziato. Anzi, era garantito che lo sarebbe stato. E sicuramente anche bello. Alto come suo padre. Trangugiò un altro sorso di vino e fece ancora un tiro. Povera Kari Helene, pensare che non avevano mai parlato dell’accaduto. Capì che sentirla così distaccata non aveva certo aiutato sua figlia. E se quella storia del cuscino del divano non fosse stata vera? E perché poi c’erano voluti così tanti anni? Le tue sono solo fantasie. Non pensarci più, tesoro mio. È passato tanto tempo.

Si accomodò nella profonda poltrona accanto alla finestra. Aveva ancora indosso il soprabito. Kari Helene soffriva di mutismo selettivo. La paura di parlare era totale quando aveva a che fare con degli estranei. Era come se la sua bocca fosse sigillata. Gustav aveva giurato di non sapere che Hans era coinvolto in truffe e riciclaggio di denaro sporco. Povera, povera Jorunn. E adesso le toccava abitare nel seminterrato a casa di sua madre.

 

 

 

20 Vecchio porto riadattato a quartiere turistico ricco di negozi, bar, locali notturni e ristoranti (n.d.t.).

 

21 Catena di grandi magazzini (n.d.t.).

Dolce come la morte
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