14

 

L'indomani mattina Frank arrivò subito, e la mia impressione fu che fosse rimasto ad aspettare vicino al telefono con le chiavi dell'auto in mano fin dall'alba, pronto a entrare in azione al nostro primo squillo. Portò con sé Doherty, perché restasse in cucina a controllare che nessuno origliasse mentre lui raccoglieva le nostre dichiarazioni, individualmente, nel salotto. Doherty era incantato, guardava a bocca aperta i soffitti alti, i muri con le strisce di carta da parati strappate, i quattro con i loro immacolati vestiti un po' all'antica; soprattutto non riusciva a smettere di fissare me. Non avrebbe dovuto trovarsi lì. L'indagine era di Sam, che tra l'altro si sarebbe precipitato se fosse stato al corrente della scazzottata, ma Frank non glielo aveva detto. Mi faceva piacere sapere che non sarei stata presente al momento della rivelazione.

Gli altri si comportarono in maniera ineccepibile. La facciata esemplare era comparsa non appena avevamo sentito i pneumatici sul viale; una versione leggermente diversa da quella che usavano all'università: meno scostante, più garbata, una perfetta via di mezzo fra le vittime sotto shock e gli ospiti educati. Abby versò il tè e offrì un piatto di biscotti disposti con cura, Daniel portò in cucina una sedia in più per Doherty; Rafe fece qualche battuta spiritosa sul suo occhio nero. Cominciavo a intuire come dovevano essere andati gli interrogatori, dopo la morte di Lexie, e perché avevano fatto uscire Frank dai gangheri.

Iniziò da me. «Allora» disse, quando la porta del salotto si chiuse dietro di noi e le voci in cucina diventarono un piacevole ronzio confuso «finalmente è successo qualcosa.»

«Era ora» dissi. Stavo avvicinando due sedie al tavolino da gioco ma lui scosse la testa; si lasciò cadere sul divano e mi fece segno di mettermi in poltrona.

«Stiamo comodi. Sei tutta intera?»

«L'uomo nero mi ha rovinato la manicure, comunque sopravviverò.» Rovistai nelle tasche dei pantaloni e tirai fuori alcuni foglietti stropicciati. «L'ho scritto ieri sera a letto. Prima di dimenticare i particolari.»

Sorseggiando il tè Frank cominciò a leggere con calma. «Bene» disse, infilando le pagine in tasca. «Tutto chiaro, ammesso che si possa usare l'aggettivo "chiaro", in questa situazione caotica.» Appoggiò la tazza, trovò il taccuino e la penna. «Sei in grado di identificarlo?»

Scossi la testa. «Troppo buio per vederlo in faccia.»

«Forse sarebbe stato intelligente portare la torcia.»

«Non c'è stato il tempo. Se no sarebbe sparito. Non hai bisogno di un identikit, basta cercare un tizio con gli occhi neri.»

«Ah» disse lui pensieroso «la zuffa. Certo. Ci torneremo fra un momento. Nell'eventualità che il nostro uomo sostenga di essere caduto dalle scale, ci tornerebbe utile avere una descrizione, per avvalorare l'accusa.»

«Posso descrivertelo al tatto» dissi. «Ammesso che fosse uno dei tre ragazzi di Sam, escludo in maniera categorica Bannon: troppo massiccio. Questo era magro. Non alto, però forte. Non credo nemmeno McArdle: quando gli ho toccato la faccia non ho sentito la barba, solo un po' di peluria. McArdle è barbuto.»

«Non c'è dubbio» disse Frank prendendo tranquillamente un appunto. «Non c'è dubbio. Quindi voteresti per Naylor?»

«Corrisponde. Altezza, struttura, capelli.»

«Ce lo facciamo bastare. Bisogna accontentarsi.» Studiò la pagina con gli appunti picchiettando la penna contro i denti. «A proposito» disse «quando voi tre siete partiti al galoppo a lottare per la causa, che cos'ha portato Danny Boy con sé?»

Ero preparata a quella domanda. «Un cacciavite» dissi. «Non l'ho visto prenderlo perché ero corsa fuori prima di lui. C'erano gli attrezzi sul tavolo.»

«Perché lui e Rafe stavano pulendo la pistola dello zio. Che tipo di pistola?»

«Una Webley, modello della Prima guerra mondiale. Piuttosto malridotta e arrugginita ma pur sempre una bellezza. Ti piacerebbe.»

«Non ne dubito» disse lui in tono amabile, prendendo un breve appunto. «Con un po' di fortuna prima o poi la vedrò. Quindi, Daniel nella fretta cerca un'arma e pur avendo una pistola sul tavolo prende un cacciavite?»

«Una pistola aperta, con l'impugnatura separata dal resto. E ho l'impressione che non sappia niente di armi da fuoco. Gli ci sarebbe voluto un po' per rimetterla insieme.» Il rumore prodotto da un revolver caricato è inconfondibile ma flebile, e io mi trovavo dalla parte opposta della stanza, quando Rafe l'aveva rimontata; con la musica accesa era molto probabile che il microfono non l'avesse registrato.

«Dunque afferra il cacciavite» riprese Frank annuendo. «Ragionevole. Ma, chissà perché, una volta che mette le mani sul suo uomo non gli passa neanche per la testa di adoperarlo.»

«Non ne ha avuto l'opportunità. Era un casino, Frank: in quattro a rotolare per terra, un groviglio di braccia e gambe, non si riusciva a capire cosa appartenesse a chi... sono abbastanza sicura di essere stata io a fare l'occhio nero a Rafe. Se Daniel avesse tirato fuori il cacciavite avrebbe potuto colpire uno di noi.» Frank stava ancora annuendo con aria garbata, annotando tutto, però l'espressione vagamente divertita che gli leggevo sulla faccia non mi piaceva. «Cosa? Avresti preferito che colpisse quel tizio?»

«Avrebbe semplificato la mia vita» disse, allegro e criptico insieme. «E dove si trovava dunque il famoso... cos'era, hai detto?... il famoso cacciavite, durante la drammatica scena?»

«Nella tasca posteriore dei pantaloni di Daniel. O perlomeno è da lì che l'ha tirato fuori una volta rientrati in casa.»

Frank inarcò un sopracciglio tutto preoccupato. «Fortunato a non ferirsi da solo. Con tutto quel rotolare un paio di buchetti non mi avrebbero stupito.»

Aveva ragione. Avrei dovuto dire che era una chiave fissa. «Magari si è ferito» risposi scrollando le spalle. Chiedigli di farti vedere il culo, se ti va.»

«Per il momento me lo risparmio.» Fece scattare la penna a sfera, la infilò in tasca e si appoggiò comodamente allo schienale del divano. «Cosa ti è passato per la testa?» domandò in tono educato e cortese.

Per un istante pensai che mi stesse chiedendo davvero una delucidazione sui miei meccanismi mentali, e non che si trattasse dell'incipit di una pazzesca lavata di capo. Avevo previsto l'incazzatura di Sam, non quella di Frank: in genere per lui la sicurezza dei suoi uomini è un concetto elastico, inoltre aveva impostato tutta l'indagine sulla rottura di qualsiasi regola, e sapevo che un giorno aveva dato una testata così forte a uno spacciatore, da mandarlo al pronto soccorso. Non mi era mai passato per la mente che la nostra scazzottata gli avrebbe fatto saltare i nervi. «Il comportamento del vandalo è peggiorato» dissi. «Prima si teneva lontano dalle persone, non ha mai fatto del male a Simon March, e l'ultima volta che ha tirato un sasso ha scelto una stanza palesemente deserta... Questa volta, invece, la pietra è passata a pochi centimetri da me e da Abby... per quel che ne sappiamo poteva avere l'intenzione di colpirci. Ormai gli interessa danneggiare le persone, non solo la proprietà. Mi sembra sempre più un possibile colpevole.»

«Ovvio» disse lui accavallando tranquillo le gambe. «Un possibile colpevole. Proprio quello che cercavamo. Riflettiamo un momento, vuoi? Diciamo che oggi stesso il tuo Sammy e io scendiamo a Glenskehy a prendere i tre intelligentoni, e diciamo, tanto per fare un'ipotesi, che riusciamo a ricavare qualcosa di utile da uno di loro, sufficiente per un arresto, magari addirittura per un'imputazione. Che cosa mi consigli di dire, quando il suo avvocato, il procuratore e i media mi chiederanno, e ritengo proprio che lo faranno, perché ha la faccia ridotta a un hamburger? Date le circostanze, non ho nessuna fottuta alternativa, e dovrò spiegare che il danno è stato inflitto da altre due persone sospettate e da uno dei miei agenti. E secondo te che cosa succede, dopo?»

Non mi ero mai spinta a pensare al seguito. «Troverai una soluzione.»

«Può darsi» rispose lui nello stesso tono gentile «ma non è questo il punto, capisci? Quello che ti sto chiedendo è che cosa sei andata a fare, esattamente, là fuori. Perché a me sembra che il tuo obiettivo, come detective, sarebbe dovuto essere quello di localizzare il sospetto, identificarlo e, se possibile, trattenerlo o quanto meno non perderlo di vista fino all'arrivo dei rinforzi. O forse mi sto lasciando sfuggire qualcosa?»

«In realtà sì, ti sfugge il fatto che non era semplice...»

«Perché il tuo comportamento suggerisce» proseguì lui come se io non avessi neanche parlato «che il tuo principale obiettivo fosse quello di massacrarlo di botte. Il che risulterebbe un filino poco professionale, da parte tua.»

Sentii Doherty dire qualcosa e tutti in cucina risero della battuta; una risata perfetta, spontanea e amichevole, che mi innervosì parecchio. «Oh, per amor del cielo, Frank» esclamai «il mio obiettivo era fermare il sospetto e non bruciarmi la copertura. Come ti sarebbe piaciuto che lo facessi? Allontanando Daniel e Rafe dal tizio e tenendo loro una lezione sul corretto trattamento da riservare alle persone sospettate, mentre ti telefonavo?»

«Non era necessario menare le mani personalmente.»

Scrollai le spalle. «Sam mi ha detto che quando Lexie aveva cercato di prenderlo voleva ficcargli le palle nell'esofago. Era fatta così. Se io fossi rimasta a guardare i due ragazzoni coraggiosi proteggermi dall'uomo nero sarei risultata strana. Non avevo il tempo di riflettere su implicazioni e conseguenze; ho dovuto agire in fretta e ho agito come il personaggio che interpreto. Stai cercando veramente di dirmi che non sei mai stato coinvolto in nessuna rissa, quando lavoravi sul campo?»

«Oddio, no» rispose senza esitare. «Potrei mai affermare una cosa simile? Mi sono trovato in mezzo a molte risse, e ho quasi sempre avuto la meglio, non per darmi delle arie. La differenza è che era sempre l'altro ad aggredirmi per primo...»

«Esattamente come questo tizio.»

«Perché lo avete provocato. Credi che non abbia sentito la registrazione?»

«Lo avevamo perso, Frank. Se non l'avessimo costretto a uscire allo scoperto l'avrebbe fatta franca.»

«Lasciami finire, piccola. Ho fatto a botte perché l'altro aveva cominciato o perché non potevo sottrarmi allo scontro senza bruciarmi la copertura, o per guadagnarmi un po' di rispetto, salire di uno scalino nella gerarchia. Ma posso sicuramente dire di non aver mai preso parte a una rissa perché ero così coinvolto emotivamente da non poter resistere a suonarle di santa ragione. Non sul lavoro, comunque. Puoi sostenere lo stesso?»

Quegli occhioni azzurri, amabili e leggermente preoccupati; quell'impeccabile e disarmante combinazione di disponibilità con una sfumatura di durezza. Il mio nervosismo stava crescendo, si trasformava in un segnale di pericolo rosso, la scarica elettrica che gli animali avvertono quando sta per scoppiare il temporale. Frank mi interrogava con la stessa modalità che avrebbe usato con un'indiziata. Ero a un passo dall'essere allontanata dal caso.

Con uno sforzo presi tempo: scrollai le spalle con l'aria un po' imbarazzata e mi agitai sulla poltrona. «Non si tratta di coinvolgimento emotivo» dissi infine guardando le mie dita tormentare la frangia di un cuscino. «Non nel senso che intendi tu. Era... Senti, Frank, so che le mie condizioni nervose ti preoccupavano, all'inizio. Non ti biasimo...»

«Che cosa posso dire?» Adagiato comodamente sul divano, mi guardava senza lasciar trasparire niente, però mi ascoltava; quindi mi restava ancora una possibilità. «La gente chiacchiera. L'operazione Vestale è saltata fuori un paio di volte.»

Feci una smorfia. «Ci scommetto. E scommetto di poter indovinare che cosa si dice. Prima ancora che avessi finito di sgomberare la scrivania mi avevano già data per spacciata. So che hai corso dei rischi, mandandomi qui. Non ho idea di cosa hai sentito...»

«Questo e quello.»

«Devi sapere che abbiamo cannato alla grande, e che c'è qualcuno che invece di farsi l'ergastolo se ne va in giro libero.» La nota dura nella mia voce: non c'era bisogno che fingessi. «E non mi va giù, Frank, non mi va proprio giù. Non volevo che succedesse di nuovo, e non volevo che tu pensassi che avevo perso il controllo, perché non l'ho perso. Credevo che se fossi riuscita a mettere le mani su quel tizio...»

Frank scattò in piedi come se fosse stato caricato a molla. «Mettere le mani... Gesù, Giuseppe e Maria, tu non sei qui per mettere le mani su un cazzo di nessuno! Che cosa ti ho detto, fin dal principio? Quello che tu devi fare è indicare a me e a Sam la direzione giusta, e noi penseremo al resto. Non ero stato sufficientemente chiaro? Te lo dovevo mettere per iscritto? Cazzo!»

Se la cucina non fosse stata piena di gente il volume sarebbe arrivato alle stelle, perché quando Frank si arrabbia lo devono sapere tutti. Sobbalzai e piegai la testa con un gesto adeguatamente umile, ma dentro esultavo: sgridata in quanto subordinata disobbediente rappresentava un bel passo avanti rispetto al trattamento da indiziata. L'eccesso di entusiasmo, la necessità di affermare se stessi dopo un brutto scivolone: tutte cose che Frank poteva capire, che accadono in continuazione, e sono considerate peccati veniali. «Mi spiace» dissi. «Mi spiace davvero. Mi rendo conto di essermi lasciata prendere la mano e non succederà più, ma non sopportavo l'idea di bruciarmi e non sopportavo che tu sapessi che me l'ero lasciato scappare e cazzo, Frank, gli ero arrivata così vicino da poterlo toccare...»

Per un interminabile momento mi fissò, poi con un sospiro si lasciò ricadere sul divano e fece schioccare il collo. «Guarda» disse «tu hai portato un altro caso dentro questo. È capitato a tutti. Nessuno lo fa due volte, se ha un po' di cervello. Mi spiace che ti sia andata male eccetera, ma se vuoi dimostrare qualcosa a me o a qualcun altro lasciati alle spalle i vecchi casi e occupati di questo come si deve.»

Mi aveva creduto. Fin dal primo minuto dell'indagine in un angolo della mente aveva avuto un grande punto interrogativo su di me rispetto all'operazione Vestale; era bastato rimandargli l'immagine nella giusta prospettiva. Per la prima volta quella maledetta operazione Vestale era servita a qualcosa.

«Lo so» dissi osservando le mie mani attorcigliate in grembo. «Credimi, lo so.»

«Potevi rovinare l'indagine, te ne rendi conto?»

«Dimmi che non ho sputtanato tutto. Andrai a prenderlo lo stesso il tizio?»

Frank sospirò. «Credo di sì. A questo punto non abbiamo molte scelte. Sarebbe bello se ci fossi anche tu durante l'interrogatorio, potresti contribuire con qualcosa di utile sul fronte psicologico, e poi penso che sarebbe interessante metterlo faccia a faccia con Lexie e vedere come reagisce. Pensi di riuscirci, senza saltare dall'altra parte del tavolo per spaccargli i denti?»

Alzai gli occhi in tempo per cogliere il suo sorrisetto sarcastico. «Sei sempre stato un tipo buffo» dissi augurandomi che la mia voce non tradisse il senso di sollievo che provavo. «Farò del mio meglio, comunque per sicurezza procura un tavolo grande.»

«I tuoi nervi stanno bene, sai?» mi disse prendendo il block-notes e la penna dal taschino. «Hai abbastanza autocontrollo per tre. Sparisci prima di irritarmi ancora e mandami qualcuno che non mi faccia venire i capelli grigi. Mandami Abby.»

Arrivata in cucina dissi a Rafe che toccava a lui, per sfrontatezza e per dimostrare a Frank che non lo temevo; invece lo temevo eccome.

 

«Bene» disse Daniel quando Frank se ne andò portandosi via Doherty, presumibilmente per dare a Sam la buona notizia. «Mi pare che sia andata bene.»

Eravamo in cucina a riordinare e finire i biscotti rimasti. «Non è stato troppo tremendo» disse Justin stupito. «Mi aspettavo un'esperienza orribile e invece questa volta Mackey è stato addirittura gentile.»

«Avete visto il poliziotto del paese?» chiese Abby passandomi davanti per prendere un altro biscotto. «Continuava a fissare Lex, avete notato? Imbecille.»

«Non è un imbecille» dissi. Siccome Doherty mi aveva meravigliata, riuscendo a passare due ore con me senza chiamarmi detective, mi sentivo magnanima. «Ha buon gusto.»

«Continuo a sostenere che non faranno niente» disse Rafe, ma non in tono rissoso. Non so se per qualcosa che Frank aveva detto, o se per il sollievo di aver finito, sembravano stare meglio: più rilassati, più leggeri. La tensione della sera prima era scomparsa, almeno per il momento.

«Stiamo a vedere» disse Daniel avvicinando la testa al fiammifero. «Perlomeno avrai una storia emozionante da raccontare a Brenda Tutta Tette la prossima volta che ti incastra contro la fotocopiatrice.» Rise perfino Rafe.

 

Stavamo bevendo e giocando a 110, quella sera, quando squillò il mio telefono. Mi spaventò a morte - non succedeva spesso che uno di noi ricevesse telefonate - e rischiai di perdere la chiamata perché non lo trovavo; era nel vestibolo, ancora nella tasca della giacca comunitaria che avevo riappeso dopo la passeggiata. «Pronto» dissi.

«Signorina Madison?» Era Sam, tremendamente imbarazzato. «Parla il detective O'Neill.»

«Oh» dissi. Mi stavo dirigendo di nuovo in salotto ma tornai indietro verso la porta d'ingresso, da dove non mi si poteva sentire. «Buonasera.»

«Puoi parlare?»

«Quasi.»

«Stai bene?»

«Sì, bene.»

«Sicura?»

«Sicurissima.»

«Cazzo» esclamò lui espirando di colpo. «Grazie al cielo. Quello stronzo di Mackey aveva sentito tutto, lo sapevi? Non mi ha chiamato, non ha detto una parola, ha aspettato la mattina e poi è venuto da voi. Mi ha lasciato qui come un cretino. Se questo caso non viene chiuso al più presto gli spacco la testa, a quello stronzo.»

Sam non impreca quasi mai, se non è veramente furibondo. «Giusto» dissi. «Non mi stupirebbe.»

Un momento di pausa. «Gli altri sono con te?»

«Più o meno.»

«Allora sarò breve. Abbiamo spedito Byrne a sorvegliare la casa di Naylor, a dargli un'occhiata al ritorno dal lavoro, e ha la faccia distrutta. L'avete massacrato, si direbbe. È il mio uomo, senz'altro. Lo convoco domani mattina, alla Omicidi, questa volta. Non mi preoccupo più di spaventarlo. Se gli brucia la terra sotto i piedi lo metto in stato di fermo per violazione e danneggiamento di proprietà privata. Vuoi venire a dargli un'occhiata?»

«Certo» dissi. Con una grossa parte di me avrei voluto rifiutare: trascorrere la giornata in biblioteca insieme agli altri, fare colazione al Buttery guardando la pioggia scendere sui vetri delle finestre, dimenticare quello che sarebbe potuto succedere, mentre ancora potevo. Invece dovevo essere presente al colloquio, indipendentemente dai risultati. «A che ora?»

«Lo prendo prima che vada a lavorare, saremo qui più o meno dalle otto. Vieni quando ti è comodo. Sei... Riesci a venire?»

Non avevo considerato le difficoltà. «Tranquillo.»

«Corrisponde al profilo, vero? Spaccato.»

«Mi pare» dissi. «Sì.» Dal salotto mi arrivò un buffo lamento di Rafe - ovviamente aveva fatto casino con le carte - e la risata degli altri. «Bastardo» stava dicendo, e intanto rideva anche lui «schifoso bastardo, ci casco sempre...»

Sam è molto bravo negli interrogatori. Se c'era qualcosa da ricavare da Naylor non se lo sarebbe lasciato scappare.

«Potrebbe essere la fine» disse, e la speranza e l'intensità nella sua voce mi fecero sobbalzare. «Se domani mi muovo bene potrebbe essere finita. Torneresti a casa.»

«Già» dissi. «Suona bene. Ci vediamo domani.»

«Ti amo» disse a voce bassa, prima di chiudere la comunicazione. Mi trattenni un momento nell'atrio freddo, mordicchiandomi un'unghia e ascoltando i suoni che provenivano dal salotto - voci e carte, il tintinnio dei bicchieri, lo scoppiettio del fuoco - prima di rientrare.

«Chi era?» chiese Daniel alzando gli occhi dalle sue carte.

«Quel detective» dissi. «Vuole che vada da loro.»

«Quale?»

«Quello biondo e carino. O'Neill.»

«Perché?»

Mi guardavano, immobili come animali accecati dalla luce; Abby si era bloccata a metà mentre distribuiva una carta. «Hanno trovato un tizio» dissi, riprendendo il mio posto. «Per ieri notte. Domani lo interrogano.»

«Scherzi?» chiese Abby. «Di già?»

«Avanti, dillo» disse Rafe a Daniel. «Di' "Ve l'avevo detto". Lo sai che muori dalla voglia.»

Daniel non gli badò. «Perché proprio te? Che cosa vogliono?»

Scrollai le spalle. «Solo che gli dia un'occhiata, E O'Neill mi ha domandato se non ricordavo ancora niente di quella notte. Credo si auguri che vedendo il tipo io punti un dito tremante gridando: "È lui! È l'uomo che mi ha pugnalato!".»

«Uno di voi ha visto troppi telefilm» disse Rafe.

«E tu ti sei ricordata qualcosa?» chiese Daniel.

«Un bel niente» risposi. Era la mia immaginazione o la tensione nell'aria si allentò? Abby cambiò idea e pescò una carta, Justin afferrò la bottiglia di vino. «Magari potrebbe trovare qualcuno che mi ipnotizzi... lo fanno davvero?»

«Chiedigli di programmarti in modo da farti scrivere un capitolo della tesi, ogni tanto» suggerì Rafe.

«È possibile? Programmarmi in modo che finisca la tesi, vuoi dire?»

«Sì, anche se dubito che lo farebbero» rispose Daniel. «Non penso che in tribunale le dichiarazioni ottenute con l'ipnosi siano valide. Dove vi vedete?»

«Nel suo ufficio» dissi. «Lo avrei anche invitato da Brogan a bere una birra, ma dubito che avrebbe accettato.»

«Credevo che odiassi Brogan» disse Daniel sorpreso.

Stavo per fare marcia indietro... Certo che lo odio, scherzavo... Non fu Daniel a salvarmi dall'errore con quegli occhi da gufo che mi scrutavano calmi e immobili sopra le carte. Fu il piccolo movimento perplesso delle sopracciglia di Justin, l'inclinazione della testa di Abby: non avevano la più pallida idea di quello che stava dicendo. Qualcosa non andava bene.

«Io?» chiesi stupita. «Brogan mi è indifferente, non saprei; l'ho detto solo perché è vicino alla polizia.»

Daniel scrollò le spalle. «Devo averlo confuso con un altro pub» disse. Mi sorrideva, con quel suo meraviglioso sorriso dolcissimo, e io avvertii di nuovo nell'aria quell'improvviso allentarsi della tensione, il sospiro di sollievo. «Tu e le tue fisime, non riesco a ricordarmele tutte.» Gli feci una smorfia.

«Perché flirti con i poliziotti, comunque?» domandò Rafe. «Lo trovo sbagliato da molti punti di vista.»

«Perché no? È carino.» Mi tremavano le mani al punto che non osavo prendere le mie carte. Bastava meno di un secondo per affondare: Daniel mi aveva teso un tranello. Una frazione di secondo e avrei imboccato la sua falsa pista.

«Sei incorreggibile» intervenne Justin, versandomi del vino. «E poi è molto più attraente l'altro, nel genere bastardo: Mackey.»

«Oh, no» dissi. Quelle stupide cipolle... Dal sorriso di Daniel sapevo di essermela cavata, questa volta, ma non sapevo se bastasse a rassicurarlo; con lui non si poteva mai essere sicuri. «Neanche dipinto. Scommetto che ha la schiena pelosa. Dammi una mano, Abby.»

«Due tipi molto diversi» disse lei affabile. «E voi siete entrambi incorreggibili.»

«Mackey è un cazzone e O'Neill un bifolco» osservò Rafe. «E sono quadri e tocca a Abby.»

Riuscii a prendere le carte e mi sforzai di capire cosa farci. Tenni d'occhio Daniel tutta la sera ma era lo stesso di sempre: cortese, dolce, distante; non prestava particolare attenzione a me. Quando gli posai una mano sulla spalla, alzandomi per andare a prendere un'altra bottiglia, la coprì con la sua e strinse forte.