CAPITOLO SESTO: IL BERRETTO AMERICANO

 

Il colloquio tra il giudice e Sir Lampson finì in modo quasi solenne, ma non fu solo Maigret, che si teneva in disparte, a notarlo: quando il suo sguardo incontrò quello del sostituto procuratore della Repubblica, vi lesse la medesima sensazione.

Gli uomini della Procura erano riuniti nella sala del Café de la Marine. Dalla cucina proveniva un rumore di stoviglie, mentre l'altra porta, quella che dava sulla bottega e aveva i vetri tappezzati di adesivi pubblicitari, lasciava intravedere i sacchi e le cassette che ingombravano il locale.

Davanti alla finestra passava e ripassava il chepì di un agente, mentre i curiosi facevano gruppo più in là, silenziosi ma ben decisi a restare.

Su uno dei tavoli, accanto a un fiasco, era rimasta una caraffa con due dita di vino.

Seduto su uno sgabello, il cancelliere scriveva con aria un po' seccata.

Quanto al cadavere, dopo gli accertamenti d'uso lo avevano portato il più lontano possibile dalla stufa e momentaneamente coperto con la tela cerata marrone presa da un tavolo, di cui ora si vedevano le assi sconnesse.

L'odore era sempre lo stesso: coloniali, vino scadente, catrame, stallatico.

E il giudice, che aveva fama di essere uno dei più pignoli di Épernay un Clairfontaine de Lagny, orgoglioso del suo cognome altisonante , si puliva il pince-nez dando le spalle al fuoco.

Aveva subito esordito in inglese:

«Immagino che lei preferisca rispondere nella sua lingua...».

Il giudice la parlava infatti correntemente, anche se con un pizzico di affettazione e la smorfia tipica di chi si sforza invano di esprimersi con un accento perfetto.

Sir Lampson aveva fatto un cenno col capo, e, rivolto al cancelliere, aveva risposto lentamente a tutte le domande, fermandosi di tanto in tanto ad aspettare che l'uomo finisse di scrivere.

Aveva ripetuto né più né meno ciò che aveva già detto a Maigret nel corso dei loro due colloqui.

Per l'occasione aveva indossato un completo da crociera blu scuro di taglio quasi militare, con un solo nastrino all'occhiello: quello della medaglia al merito.

In mano teneva un berretto con il grande stemma dorato dello Yacht Club di Francia.

La scena si svolgeva secondo un copione molto semplice: uno faceva le domande, l'altro chinava quasi impercettibilmente il capo prima di ogni risposta.

Maigret, tuttavia, vi assisteva pieno di stupore, sentendosi al tempo stesso un po' mortificato al ricordo delle sue incursioni a bordo del Southern Cross.

Non sapeva abbastanza l'inglese da poter cogliere tutte le sfumature, ma capì nondimeno il senso delle ultime risposte.

«Devo chiederle» aveva detto il giudice «di restare a mia disposizione finché non si sarà fatta luce su questi due delitti. Per il momento sono inoltre costretto a negarle il mio consenso a inumare Lady Lampson...».

Un cenno del capo.

«Sono autorizzato a lasciare Dizy con la mia barca?».

E il colonnello indicò con un gesto i curiosi assiepati fuori, il locale in cui si trovavano e persino il cielo.

«Io abito a Porquerolles... Mi ci vuole una settimana solo per arrivare alla Saona...».

Questa volta fu il giudice a chinare leggermente il capo.

Anche se non si strinsero la mano, fu come se l'avessero fatto. Il colonnello si guardò intorno, ma parve non vedere né il medico con la sua aria annoiata, né Maigret che aveva girato la testa, e si limitò a salutare il sostituto procuratore.

Un momento dopo percorreva il breve tragitto fra il Café de la Marine ed il Southern Cross.

Non entrò neppure nella cabina. Diede qualche ordine a Vladimir, che era sul ponte, e si mise al timone.

Seguito dagli sguardi stupefatti dei battellieri, il marinaio in maglia a righe scese nel locale macchine per avviare il motore, e poi, tornato sul ponte, fece saltare con un solo strattone i cavi d'ormeggio dalle bitte.

Qualche minuto dopo un gruppetto di persone si diresse gesticolando verso le automobili ferme sullo stradone: erano gli uomini della Procura che se ne andavano.

In riva al canale rimase solo Maigret. Dopo essersi finalmente caricato la pipa, con un gesto plebeo, più plebeo del solito, si ficcò le mani in tasca borbottando fra sé:

«Bel risultato...».

Non bisognava forse ricominciare tutto da capo?

Dall'indagine della Procura era emerso solo qualche dettaglio di cui era ancora impossibile valutare la portata.

In primo luogo il corpo di Willy Marco mostrava, oltre ai segni di strangolamento, lividi ai polsi e al torace. A parere del medico era da scartare l'ipotesi di un'aggressione, mentre appariva più verosimile quella di una lotta con un avversario eccezionalmente forte.

Inoltre il colonnello aveva dichiarato di aver conosciuto la moglie a Nizza quando portava ancora, sebbene divorziata, il cognome del suo ex marito italiano, Ceccaldi.

Sir Lampson era stato piuttosto vago. Le sue frasi volutamente ambigue lasciavano supporre che all'epoca Marie Dupin, alias Ceccaldi, fosse praticamente ridotta in miseria e vivesse, se non proprio da mantenuta, della generosità di qualche amico.

L'aveva sposata in occasione di un viaggio a Londra, ed era stato allora che la donna si era fatta mandare dalla Francia un estratto dell'atto di nascita a nome di Marie Dupin.

«Era una donna molto affascinante...».

Maigret rivedeva il faccione abbronzato e tronfio di Sir Lampson mentre pronunciava quelle parole, senza alcun sussiego, e anzi con una naturalezza piena di dignità che doveva essere piaciuta al giudice.

Si fece da parte per lasciar passare la barella sulla quale avevano deposto il corpo di Willy.

Poi d'improvviso, con un'alzata di spalle, entrò nel caffè e, lasciandosi cadere su una sedia, ordinò:

«Una birra!...».

Fu la ragazza a servirlo, con gli occhi ancora lucidi e il naso rosso. Maigret la guardò con benevolenza e lei, prima ancora di essere interpellata, mormorò, assicurandosi che non potessero udirla:

«Ha sofferto molto?».

Aveva un viso insignificante, le caviglie grosse, le braccia tozze ed arrossate. Eppure era la sola a preoccuparsi di quel giovanotto elegante che magari la sera prima, scherzando, l'aveva presa per la vita se poi lo aveva fatto davvero!

Questo ricordò a Maigret la conversazione avvenuta nella stanza al primo piano, con Willy che fumava una sigaretta dopo l'altra semidisteso sul letto disfatto.

Qualcuno chiamò la ragazza. E un battelliere le gridò:

«Sembri tutta agitata, Emma...».

E lei, guardando Maigret con aria complice, abbozzò un sorriso.

Dal mattino il traffico era interrotto. Di fronte al Café de la Marine c'erano sette battelli, tre dei quali a motore. Le donne venivano a fare la spesa, e ogni volta si sentiva tintinnare il flebile campanello della porta.

«Quando vuole mangiare...» disse il padrone a Maigret.

«Subito!».

E dalla soglia guardò il punto in cui, ancora quella mattina, era ormeggiato il Southern Cross.

La sera prima ne erano scesi due uomini in perfetta salute, che insieme avevano raggiunto il ponte. Se bisognava credere a Sir Lampson, si erano lasciati dopo una discussione, e lui aveva proseguito da solo sul rettilineo deserto, lungo tre chilometri, che porta alle prime case di Épernay.

Nessuno aveva più visto Willy vivo. Quando il colonnello era tornato in taxi, non aveva notato niente di anormale.

Non c'erano testimoni, e nessuno aveva sentito niente. Il macellaio di Dizy, che abitava a seicento metri dal ponte, asseriva che il suo cane aveva abbaiato, ma siccome non ci aveva fatto troppo caso non poteva dire che ora fosse.

Sull'alzaia piena di pozzanghere passavano troppo di frequente uomini e cavalli perché vi si potessero rilevare delle impronte chiare.

Il giovedì precedente, Mary Lampson, anche lei in perfetta salute ed in uno stato apparentemente normale, aveva lasciato il Southern Cross, sul quale era rimasta sola.

A detta di Willy, la donna, prima di sparire, aveva consegnato al suo amante una collana di perle, l'unico gioiello di valore che possedesse.

Poi di lei si era persa ogni traccia. Per due giorni nessuno l'aveva vista né incontrata, quasi fosse svanita nel nulla.

La sera di domenica era stata strangolata e nascosta sotto la paglia in una stalla di Dizy, a cento chilometri dal luogo da cui era partita. E accanto al suo cadavere russavano due cavallanti.

Tutto qui! Adesso il giudice aveva ordinato che i due corpi fossero trasportati in una cella frigorifera dell'Istituto di medicina legale!

Il Southern Cross era appena partito alla volta del Midi, di Porquerolles, di quel Petit Langoustier che era stato teatro di tanti festini.

Maigret, che stava girando a testa bassa intorno all'edificio del Café de la Marine, scacciò un'oca che gli si avventava contro col becco aperto, soffiando infuriata.

La porta della stalla non aveva serratura, ma un semplice chiavistello di legno. E il cane da caccia fin troppo ben nutrito che vagava per il cortile scodinzolava festoso andando incontro a tutti quelli che entravano.

Quando il commissario aprì la porta, si trovò faccia a faccia con il cavallo grigio del padrone, che, slegato come al solito, approfittò dell'occasione per uscire a fare una passeggiatina.

La giumenta ferita alla zampa era sempre distesa nel suo angolo, con gli occhi tristi.

Maigret si mise a frugare col piede nella paglia, quasi sperasse di trovare un indizio sfuggitogli la prima volta che aveva ispezionato il posto!

Ed esclamò ripetutamente, con aria stizzita:

«Bel risultato!...».

Era quasi deciso a tornare a Meaux, se non addirittura a Parigi, e a rifare passo passo il percorso seguito dal Southern Cross.

Nella stalla c'era di tutto: vecchie cavezze, brandelli di finimenti, un moccolo di cera, una pipa rotta...

Da lontano vide qualcosa di bianco che sporgeva da un mucchio di fieno, e con aria alquanto scettica andò a controllare più da vicino. Un istante dopo teneva in mano un berretto da marinaio americano, identico a quello di Vladimir.

Era sporco di fango e di letame, e non aveva più forma, come se l'avessero tirato in tutti i sensi.

Maigret si guardò attorno alla ricerca di altri indizi, ma invano: nel punto in cui era stato scoperto il cadavere avevano buttato della paglia fresca per cancellare ogni traccia del macabro evento.

«Devo considerarmi in arresto?».

Chissà perché, uscendo dalla stalla, gli era venuta in mente la frase del colonnello... E gli sembrava di averlo davanti, con quella sua aria da nobile decaduto, gli occhi sporgenti sempre umidi, l'ubriachezza latente, l'inimitabile flemma.

Ripensava al breve dialogo che si era svolto fra lui e quel magistrato così snob, nel caffè con i tavoli ricoperti di tela cerata marrone che la magia di un certo tono di voce, di un certo modo di fare, aveva per pochi istanti trasformato in un salotto.

E intanto si rigirava il berretto fra le mani, con aria perplessa e un po' sorniona.

«Sia prudente!» gli aveva detto il signor Clairfontaine de Lagny nel salutarlo.

L'oca continuava a starnazzare furiosa all'indirizzo del cavallo, che, a testa bassa, annusava i rifiuti sparsi qua e là per tutto il cortile.

Ai lati della porta c'erano due cippi di pietra, e Maigret si sedette su uno di essi, senza posare il berretto né la pipa ormai spenta.

Davanti a lui c'era solo un enorme mucchio di letame, poi una siepe in cui si aprivano dei varchi; al di là di questa, i campi dove ancora non si vedeva spuntare nulla e la collina a strisce chiare e scure sulla quale una nuvola nera sembrava gravare con tutto il suo peso.

Da un lato sbucava un raggio di sole obliquo che faceva luccicare il letame.

«Una donna affascinante...» aveva detto il colonnello a proposito della moglie.

«Un vero gentleman!» aveva detto Willy del colonnello.

Solo Vladimir non aveva detto nulla, limitandosi ad andare e venire, a fare la spesa, a riempire i serbatoi di benzina e di acqua potabile, a svuotare il canotto e ad aiutare il padrone a vestirsi.

Passarono degli uomini che parlavano a voce alta in fiammingo. Improvvisamente Maigret si chinò, e a due metri di distanza, in un interstizio fra le pietre irregolari di cui era lastricato il cortile, vide brillare qualcosa su cui in quel momento batteva il sole.

Era un gemello da camicia in oro, con due filetti trasversali di platino. Il commissario ne aveva notati di simili ai polsi di Willy il giorno prima, quando il giovane era sdraiato sul suo letto e chiacchierava con naturalezza soffiando verso il soffitto il fumo delle sigarette che si accendeva in continuazione.

Da quel momento Maigret non pensò più al cavallo, né all'oca, né a quanto gli stava intorno. E poco dopo girava la manovella del telefono.

«Épernay... L'obitorio, sì!... Polizia!...».

Uno dei fiamminghi, che stava uscendo dal caffè, si fermò a guardarlo incuriosito, tanta era l'animazione con cui parlava.

«Pronto!... Parla il commissario Maigret, della Polizia giudiziaria... Vi hanno appena portato un cadavere...

No, l'incidente d'auto non c'entra... Quello che è annegato a Dizy... Sì... Guardate subito fra i suoi effetti personali... Ci dovrebbe essere un gemello da polso... Dovete dirmi com'è... Sì, aspetto...».

Tre minuti dopo, ottenuta la risposta, riattaccò, sempre tenendo il berretto e il gemello d'oro stretti in mano.

«Se vuole mangiare, è pronto...».

Maigret uscì senza nemmeno rispondere alla ragazza dai capelli rossi, che pure gli si era rivolta molto gentilmente. Aveva la sensazione di essere riuscito a trovare il bandolo della matassa, ma anche una gran paura di lasciarselo scappare.

«Il berretto nella stalla... Il gemello da polso nel cortile... E il distintivo dello Yacht Club vicino al ponte di pietra...».

Fu in questa direzione che si incamminò a grandi passi, con la testa piena di idee che nascevano e svanivano una dopo l'altra.

Non aveva percorso neppure un chilometro che sgranò gli occhi dallo stupore: davanti a lui, ormeggiato fra i giunchi a destra del ponte, c'era il Southern Cross, che più di un'ora prima aveva levato l'àncora in tutta fretta. Fuori non si vedeva nessuno. Ma quando il commissario fu a meno di cento metri, una macchina proveniente da Épernay si fermò sulla riva opposta all'altezza dello yacht e Vladimir, che sedeva accanto all'autista nella sua solita tenuta da marinaio, balzò a terra mettendosi a correre verso l'imbarcazione.

Non l'aveva ancora raggiunta che si aprì un boccaporto e sul ponte comparve Sir Lampson: tendeva la mano a qualcuno che si trovava all'interno.

Maigret non fece nulla per nascondersi, ma non riuscì comunque a capire se il colonnello l'avesse visto o no.

La scena si svolse in un attimo. Il commissario era troppo lontano per udire ciò che i personaggi si dicevano, ma dalle loro mosse si fece un'idea abbastanza precisa di quanto stava accadendo.

La persona che il colonnello stava aiutando a uscire dalla cabina era la Negretti, che per la prima volta si mostrava vestita di tutto punto. Anche a quella distanza si capiva che aveva un diavolo per capello.

Vladimir prese due valigie e le caricò in macchina.

Il colonnello tese la mano a Gloria per aiutarla ad attraversare la passerella, ma lei si scansò con un movimento così brusco che per poco non cadde a capofitto fra i giunchi.

Si avviò senza aspettarlo, e lui le tenne dietro a qualche passo di distanza, imperturbabile. Poi la donna salì in macchina con un fare altrettanto rabbioso e, mostrando per un attimo il viso furente nel vano della portiera, gridò qualcosa che doveva essere un insulto od una minaccia.

Malgrado ciò, quando la macchina si mise in moto il colonnello le indirizzò un saluto galante, e prima di tornare allo yacht in compagnia di Vladimir la seguì per un tratto con gli occhi.

Maigret non si era mosso. Aveva la netta sensazione che in Sir Lampson fosse avvenuto un cambiamento.

Era impassibile come al solito, e non sorrideva, ma sulla soglia della cabina di comando, ad esempio, si era rivolto a Vladimir sfiorandogli la spalla con un gesto cordiale, se non addirittura affettuoso.

E la manovra fu perfetta. A bordo non erano rimasti che i due uomini. Il russo ritirò la passerella con un solo movimento, poi sciolse i cavi d'ormeggio dalle bitte.

La prua del Southern Cross si era impigliata fra i giunchi, e una chiatta che sopraggiungeva in quel momento suonò per segnalare il suo arrivo.

Allora il colonnello si girò a guardare, e sicuramente vide Maigret, ma fece finta di nulla. Con una mano innestò la frizione e con l'altra diede due giri alla ruota di ottone: lo yacht arretrò quel tanto che bastava a districarsi, evitò d'un soffio la chiatta e ripartì lasciandosi dietro una scia di schiuma gorgogliante.

Non aveva fatto neppure cento metri che già preannunciava con tre fischi di sirena il suo arrivo alla chiusa di Ay.

«Faccia presto... Vada avanti... Cerchi di raggiungere quella macchina...».

Maigret aveva fermato il camioncino di un fornaio che passava diretto a Épernay. A circa un chilometro si vedeva la macchina della Negretti, che procedeva lentamente sull'asfalto scivoloso.

Quando Maigret aveva detto chi era, il conducente lo aveva guardato con divertita curiosità.

«Potrei beccarla in meno di cinque minuti...».

«Non corra troppo...».

Questa volta fu Maigret a sorridere, vedendo l'uomo assumere gli atteggiamenti degli inseguitori nei film polizieschi americani.

In realtà non dovette cimentarsi in manovre arrischiate né affrontare situazioni pericolose. Appena entrata in città, la macchina si arrestò per qualche secondo, con ogni probabilità per consentire alla donna di dare disposizioni all'autista. Poi ripartì, e tre minuti dopo si fermò davanti a un albergo piuttosto elegante.

Maigret scese dal camioncino a un centinaio di metri di distanza e ringraziò il fornaio, che non volle accettare mance ma, fermamente determinato a saperne di più, andò a parcheggiare vicino all'albergo.

Un fattorino portò dentro le due valigie, mentre Gloria Negretti attraversava rapidamente il marciapiede.

Dieci minuti dopo Maigret si presentò all'albergatore:

«La signora che è arrivata poco fa?...».

«Camera 9... Ho subito pensato che c'era qualcosa che non andava... Non ho mai visto nessuno così agitato...

Parlava a raffica, infilando continuamente parole straniere nel discorso... Mi è sembrato di capire che non voleva essere disturbata e che dovevamo mandarle su delle sigarette e del kummel... Non avrò delle grane, spero...».

«No, stia tranquillo!» lo rassicurò Maigret. «Devo solo chiedere un'informazione alla signora...».

Mentre si avvicinava alla porta contrassegnata dal numero 9, sentendo il fracasso che proveniva dalla camera, non poté fare a meno di sorridere. La donna si agitava come una pazza, pestando rumorosamente i tacchi alti sul parquet.

Andava su e giù senza sosta. Maigret la sentì chiudere la finestra, spostare una valigia, far scorrere l'acqua, buttarsi sul letto e poi rialzarsi, e infine lanciare una scarpa all'altro capo della stanza.

Il commissario bussò.

«Avanti!...».

La voce vibrava di sdegno e di irritazione. Benché fosse arrivata da meno di dieci minuti, la Negretti aveva trovato il tempo di cambiarsi, di sciogliere i capelli, insomma di assumere nuovamente, e in forma ancora più sciatta, l'aspetto che aveva a bordo del Southern Cross.

Quando riconobbe il commissario, i suoi occhi scuri ebbero un lampo di collera.

«Cosa vuole da me?... Cos'è venuto a fare qui?...

Qui sono a casa mia!... Perché questa camera la pago!».

Proseguì in una lingua straniera, probabilmente lo spagnolo, e intanto, stappato un flacone d'acqua di Colonia, se ne versò sulle mani quasi tutto il contenuto, per poi tamponarsi la fronte in fiamme.

«Posso farle una domanda?...».

«Ho detto che non volevo vedere nessuno... Se ne vada!... Ha capito?...».

Non aveva le scarpe e, siccome doveva essersi tolta anche le giarrettiere, le calze di seta cominciavano a scivolarle lungo le gambe, mettendo a nudo un ginocchio carnoso e bianchiccio.

«Farebbe meglio a interrogare chi è in grado di rispondere... Però non ne ha il coraggio, vero?...

Perché lui è un colonnello... Perché è Sir Lampson...

Altro che Sir, dia retta a me!... Se le raccontassi anche solo la metà di quello che so...

«Guardi qua!...».

Si mise a frugare convulsamente nella borsetta e ne tirò fuori cinque biglietti da mille franchi tutti stropicciati.

«Ecco cosa mi ha appena dato!... E sono due anni, capisce, due anni che vivo con lui... E che...».

La donna gettò le banconote sul tappeto, poi ci ripensò, le raccolse e le ficcò di nuovo nella borsetta.

«Naturalmente mi ha promesso di mandarmi un assegno... Ma si sa che valore hanno le sue promesse...

Un assegno?... Non ha neanche i soldi per arrivare a Porquerolles... Il che non gli impedirà certo di prendersi una sbornia di whisky tutti i giorni...».

Non piangeva, ma aveva la voce velata di lacrime.

Ed era in uno stato di agitazione piuttosto singolare per una donna che Maigret aveva sempre visto immersa in un'atmosfera di beata pigrizia che faceva pensare a una serra tropicale.

«Tale e quale il suo Vladimir... Sa che mentre mi salutava ha persino tentato di baciarmi la mano?...

Hanno una bella faccia tosta, quei due!... Ma quando il colonnello non c'era, Vladimir...

«Questi, però, non sono affari suoi!... Cosa aspetta ad andarsene?... Spera forse che le dica qualcosa?

«Se lo può scordare!...

«Anche se avrei tutto il diritto di...».

Non stava ferma un istante: toglieva degli oggetti dalla valigia, li sistemava da qualche parte e poi li prendeva di nuovo per metterli altrove.

«Mollarmi a Épernay!... In quest'orribile buco dove piove sempre... L'ho supplicato di portarmi almeno a Nizza... Lì ho degli amici... E' colpa sua se li ho lasciati...

«E' vero che dovrei ringraziarlo di non avermi uccisa...

«E adesso fuori di qui!... Perché tanto non dirò una parola... La polizia mi fa schifo!... E anche gli inglesi!... Vada ad arrestarlo, se ne ha il coraggio...

«Ma lei non lo farà... So bene come vanno queste cose...

«Povera Mary!... Certo, era quello che era... Aveva un brutto carattere ed avrebbe fatto qualunque pazzia per quel Willy... Io non l'ho mai potuto soffrire...

«Ma morire così...

«Quelli se ne sono andati... E adesso lei vorrebbe arrestare qualcuno... Magari me... O mi sbaglio?...

«E allora mi stia a sentire... Voglio dirle una cosa...

Una sola... Ne faccia l'uso che crede... Stamattina Walter, mentre si stava vestendo per andare dal giudice perché lui deve sempre far colpo sugli altri, esibire i suoi distintivi, le sue decorazioni! , ha detto a Vladimir in russo, credendo che io non capisca questa lingua...».

Parlava così in fretta che le mancava il respiro e perdeva il filo del discorso, finendo col mescolarvi di nuovo delle parole spagnole.

«Gli ha detto di scoprire dove si trova La Providence...

Capisce?... La chiatta che era ormeggiata vicino a noi a Meaux...

«Vogliono raggiungerla, e hanno paura di me...

«Io ho fatto finta di non aver sentito...

«Ma sono sicura che lei non avrà il coraggio...».

Guardò le valigie mezzo disfatte, la camera che in pochi minuti era riuscita a mettere sottosopra e a impregnare del suo acre profumo.

«Ha una sigaretta?... Ma che razza di albergo!...

Ho ordinato delle sigarette e del kummel...».

«A Meaux lei ha visto il colonnello parlare con qualcuno della Providence?» chiese Maigret.

«Io non ho visto proprio niente... Non mi interessava...

Ho solo sentito, stamattina... Perché dovrebbero preoccuparsi tanto di una chiatta, se no?... Ma si sa poi come è morta la prima moglie di Walter, in India?...

Se l'altra ha divorziato, doveva avere le sue buone ragioni...».

Bussarono alla porta, e un cameriere portò le sigarette ed il liquore. La Negretti prese il pacchetto e lo fece volare nel corridoio gridando:

«Avevo detto delle Abdullah!».

«Ma, signora...».

Con un gesto che faceva presagire una crisi di nervi, Gloria si torse le mani esclamando in tono lamentoso:

«Ah, questa gente!... Questa...».

Si interruppe e, girandosi verso Maigret che la guardava incuriosito, gli chiese:

«Cosa fa ancora qui?... Non dirò più niente! Non so niente!... Non ho detto niente... Ha capito?... Non voglio più saperne di questa storia!... Ho già avuto la sfortuna di buttar via due anni della mia vita a...».

Il cameriere, che se ne stava andando, lanciò al commissario uno sguardo di solidarietà. E mentre la donna, snervata, si buttava sul letto, Maigret uscì a sua volta.

Giù nella strada, il fornaio stava ancora aspettandolo.

«E allora? Non l'ha arrestata?» chiese deluso.

«Credevo che...».

Maigret dovette andare a piedi fino alla stazione per trovare un taxi e farsi riportare al ponte di pietra.