CAPITOLO QUINTO: IL DISTINTIVO DELLO YACHT CLUB
Maigret si era coricato di buon'ora, mentre l'ispettore Lucas, seguendo le sue istruzioni, partiva per Meaux, Parigi e Moulins.
Quando era uscito dal locale, al Café de la Marine c'erano tre persone, due battellieri e la moglie di uno di loro, che lavorava a maglia in un angolo.
C'era un'atmosfera cupa, opprimente. Fuori, una chiatta si era ormeggiata a meno di due metri dal Southern Cross, che aveva tutti gli oblò illuminati.
A un certo punto Maigret venne bruscamente risvegliato da un sogno così confuso che quando aprì gli occhi se n'era già scordato. Bussavano freneticamente alla porta, mentre una voce spaventata gridava:
«Commissario, commissario!... Venga!... Mio padre...».
Maigret, in pigiama com'era, corse ad aprire, e la figlia del padrone gli si gettò letteralmente ed in modo del tutto inatteso fra le braccia, rannicchiandosi tremante contro di lui.
«Presto, scenda!... No, resti qui!... Non voglio rimanere da sola... Ho paura...».
Maigret non le aveva mai fatto molto caso. Si era limitato a constatare che era una ragazza solida, bene in carne, piuttosto insignificante.
Ed ecco che ora si avvinghiava a lui sconvolta, col respiro affannoso, e non accennava a calmarsi. Nel tentativo di sottrarsi a quella stretta imbarazzante, il commissario andò verso la finestra e la aprì.
Dovevano essere le sei. Era quasi giorno, e faceva freddo come in pieno inverno.
A cento metri dal Southern Cross, in direzione del ponte di pietra e della strada per Épernay, quattro o cinque uomini muniti di una gaffa stavano cercando di afferrare qualcosa che galleggiava sull'acqua, mentre un battelliere saliva sulla sua barchetta e cominciava a remare.
Maigret si buttò il cappotto sulle spalle, sopra il pigiama tutto spiegazzato, e infilò le scarpe direttamente sui piedi nudi.
«Guardi!... E' lui... L'hanno...».
Con un movimento brusco il commissario allontanò da sé quella strana ragazza, scese le scale ed uscì nel momento in cui una donna con un bambino in braccio si stava avvicinando al gruppo.
Quando era stato rinvenuto il corpo di Mary Lampson, lui non era presente. Ma questa nuova scoperta aveva, se possibile, qualcosa di ancor più lugubre: a causa del ripetersi dei delitti, infatti, su quel tratto di canale sembrava aleggiare un'angoscia quasi mistica.
Gli uomini impegnati nel recupero del cadavere si lanciavano richiami. A dirigerli era il proprietario del Café de la Marine, che per primo aveva visto galleggiare sull'acqua una forma umana.
Per due volte il gancio aveva sfiorato il cadavere, ma senza far presa: il corpo era sprofondato di qualche centimetro per poi riaffiorare in superficie.
Maigret aveva già riconosciuto l'abito scuro di Willy.
Non poteva tuttavia vederne il volto, perché la testa, più pesante, restava sommersa.
D'improvviso la barchetta la urtò. Allora il battelliere, senza dar segno di ripugnanza, afferrò il morto per la giacca, lo issò a bordo con una sola mano e, sollevandogli le gambe una per volta, lo adagiò sul fondo. Poi lanciò a terra la cima e si deterse il sudore dalla fronte.
Per un attimo Maigret scorse Vladimir che, mezzo addormentato, si affacciava al boccaporto dello yacht. Il russo si strofinò gli occhi e scomparve.
«Non toccate niente...».
Dietro di lui, un battelliere protestò, mormorando che suo cognato, in Alsazia, aveva ripreso conoscenza dopo essere rimasto per quasi tre ore nell'acqua.
Il padrone del caffè, invece, indicava la gola del cadavere, su cui si distinguevano nettamente due impronte di dita, scurissime, come sul collo di Mary Lampson.
Questo delitto era ancora più impressionante, più tragico. Willy aveva gli occhi spalancati, che sembravano enormi in quel volto senza vita. Nella mano destra stringeva spasmodicamente un ciuffo di giunchi.
Avvertendo dietro di sé una presenza insolita, Maigret si girò e vide il colonnello. Era anche lui in pigiama, ma sopra si era infilato una vestaglia di seta e aveva ai piedi pantofole di capretto blu.
I suoi capelli argentei erano in disordine, e il volto un po' gonfio. Faceva una strana impressione vederlo vestito a quel modo, fra i battellieri in zoccoli e giacconi di lana ruvida, in mezzo al fango e all'umidità dell'alba.
Era il più alto, il più robusto di tutti. Ed emanava un leggero profumo di acqua di Colonia.
«E' Willy!...» esclamò con voce roca.
Poi disse qualche parola in inglese, troppo in fretta perché Maigret potesse capire, e, chinatosi, toccò il volto del giovane.
La ragazza che aveva svegliato il commissario singhiozzava appoggiata alla porta del caffè.
Il guardiano della chiusa arrivò di corsa:
«Bisogna telefonare alla polizia di Épernay... chiamare un dottore...».
Sul ponte dello yacht comparve anche la Negretti, sommariamente vestita e a piedi nudi. Non osando scendere, chiamò il colonnello:
«Walter!... Walter!...».
Sull'alzaia c'era gente che nessuno aveva visto arrivare: dei manovali, il conducente del trenino, un contadino con la sua vacca, che ora proseguiva da sola lungo il canale.
«Portatelo dentro al caffè... Attenti a toccarlo il meno possibile...».
Era morto, non c'erano dubbi. Mentre il corpo veniva trasportato, l'abito elegante, ridotto ormai a un cencio, strisciava per terra.
Il colonnello lo seguiva a passi lenti, e la vestaglia, le pantofole blu, il cranio abbronzato sul quale il vento sollevava qualche lunga ciocca di capelli, gli conferivano un aspetto bizzarro e ieratico insieme.
Quando il cadavere le passò vicino, la ragazza scoppiò in singhiozzi e corse a chiudersi in cucina. Il padre, intanto, urlava nella cornetta del telefono:
«No, signorina, no!... La polizia!... Presto!... C'è stato un delitto!... Non tolga la comunicazione!...
Pronto!... Pronto!...».
Maigret sbarrò il passo a un omone che voleva curiosare, mentre i battellieri che avevano scoperto il cadavere ed aiutato a ripescarlo entrarono tutti. Sui tavoli c'erano ancora i bicchieri e le bottiglie vuote della sera prima, e una scopa lasciata a terra intralciava il passaggio. Si sentiva il ronfare della stufa.
Dalla finestra il commissario vide la sagoma di Vladimir, che aveva trovato il tempo di mettersi in testa il suo berretto da marinaio americano. I battellieri gli stavano parlando, ma lui non rispondeva.
Il colonnello continuava a fissare il cadavere disteso sulle piastrelle rossicce del pavimento, e non si capiva bene se fosse commosso, infastidito o spaventato.
«Quando l'ha visto l'ultima volta?» gli chiese Maigret andandogli vicino.
Sir Lampson sospirò e parve cercare con gli occhi colui che di solito aveva il compito di rispondere al suo posto.
«E' terribile...» riuscì a dire alla fine.
«Willy non ha dormito a bordo?».
Con un gesto il colonnello indicò i battellieri che li stavano ascoltando. Fu come un richiamo alla discrezione, come se avesse detto: «E' proprio necessario che questa gente...?».
Maigret li fece uscire.
«ieri sera, saranno state le dieci... A bordo non avevamo più whisky... Vladimir non era riuscito a trovarne a Dizy... Ho deciso di andare a Épernay...».
«E Willy l'ha accompagnata?».
«Non per molto... Subito dopo il ponte mi ha lasciato...».
«Perché?».
«Abbiamo avuto una discussione...».
E mentre il colonnello, con gli occhi fissi sul volto livido e devastato del morto, pronunciava queste parole, i suoi lineamenti si contrassero.
Sembrava scosso, forse perché aveva dormito troppo poco e la sua faccia era un po' gonfia. Ad ogni modo Maigret avrebbe giurato che dietro quelle palpebre pesanti si celassero delle lacrime.
«Avete litigato?».
Il colonnello alzò le spalle: sia pure a malincuore, gli concedeva quel termine grossolano e brutale.
«L'ha rimproverato per qualcosa?...».
«No! Volevo solo sapere... Continuavo a ripetergli:
"Willy, sei una canaglia... Ma devi dirmi..."».
Tacque, affranto, e distolse lo sguardo come per non lasciarsi suggestionare dalla vista del morto.
«L'ha accusato di aver ucciso sua moglie?...».
L'altro alzò di nuovo le spalle e disse in un soffio:
«Si è allontanato tutto solo... Era già successo in passato... E l'indomani, come se niente fosse, ci bevevamo insieme il primo whisky...».
«Lei è andato a piedi fino a Épernay?».
«Yes!».
«E ha bevuto?».
Il colonnello rivolse a Maigret uno sguardo di commiserazione.
«Ho anche giocato, al club... Alla Bécasse mi avevano detto che ce n'era uno... Sono tornato in macchina...».
«A che ora?».
Con un gesto della mano l'inglese fece capire che non ne aveva la minima idea.
«Willy non era nella sua cuccetta?».
«No... Mentre mi aiutava a spogliarmi, Vladimir mi ha detto che...».
Una moto col sidecar frenò davanti al caffè. Ne scese un brigadiere seguito dal medico. I due entrarono chiudendosi la porta alle spalle.
«Polizia giudiziaria!» disse Maigret presentandosi al collega di Épernay. «Tenga lontani i curiosi, per favore, e telefoni alla Procura...».
Al medico bastò un rapido esame per dichiarare:
«Era già morto quando è caduto in acqua... Guardate queste impronte...».
Maigret le aveva già viste, e sapeva. Osservò meccanicamente la mano destra del colonnello, una mano muscolosa, con le unghie squadrate e le vene in rilievo.
Ci sarebbe voluta almeno un'ora per convocare quelli della Procura e accompagnarli sul posto.
Intanto erano arrivati degli agenti in bicicletta, che avevano fatto cordone intorno al Café de la Marine e al Southern Cross.
«Posso andare a vestirmi?» aveva domandato il colonnello.
E malgrado la vestaglia, le pantofole e le caviglie nude, si fece largo tra i curiosi con un'aria estremamente dignitosa. Appena entrato nella cabina, mise fuori la testa e chiamò:
«Vladimir!...».
Poco dopo tutti i boccaporti dello yacht vennero sbarrati.
Maigret si rivolse al guardiano, che stava avviandosi verso le porte per far entrare nella chiusa un battello a motore:
«Suppongo che in un canale non ci siano correnti, e che quindi un corpo rimanga nel punto in cui è stato gettato...».
«Nei tratti lunghi dieci o quindici chilometri succede proprio così... Ma questo non ne misura neanche cinque... Se un battello scende dalla chiusa 13, che sta a monte della mia, dopo qualche minuto sento già l'acqua che arriva... Quando lo faccio entrare qui, tiro fuori dal canale diversi metri cubi d'acqua, e così si forma una corrente momentanea...».
«A che ora comincia il suo lavoro?».
«In teoria quando spunta il sole... Ma in pratica molto prima... Le chiatte a cavalli, che sono le più lente, partono verso le tre del mattino... Il più delle volte i battellieri manovrano le porte da soli, e se ne vanno senza farsi sentire... Non diciamo niente perché li conosciamo...».
«Anche stamattina?...».
«Il Frédéric, che si è fermato qui per la notte, ha dovuto partire verso le tre e mezzo per essere alla chiusa di Ay alle cinque...».
Maigret tornò indietro. Davanti al Café de la Marine e sull'alzaia si erano formati dei gruppetti di persone, e mentre passava per raggiungere il ponte un vecchio pilota col naso bitorzoluto gli si avvicinò.
«Vuole che le faccia vedere il punto in cui il giovanotto è stato buttato in acqua?».
E lanciò uno sguardo fiero ai compagni che esitavano a seguirlo.
Aveva ragione. A cinquanta metri dal ponte di pietra, i giunchi erano stati calpestati per un lungo tratto.
Non solo qualcuno ci aveva camminato sopra, ma dalla larghezza della scia si intuiva che doveva anche aver trascinato un corpo pesante.
«Vede?... Io abito a cinquecento metri, in una delle prime case del paese... Stamattina sono venuto a vedere se qualche battello che scendeva lungo la Marna aveva bisogno di me, e la cosa mi ha colpito...
Tanto più che ho trovato questo affare...».
L'uomo era tutt'altro che simpatico, con quel suo ghigno malizioso e quel suo continuo lanciare occhiate ai compagni che lo seguivano a distanza.
Ma l'oggetto che tirò fuori di tasca era del massimo interesse. Si trattava di un distintivo di smalto finemente cesellato, con sopra un'àncora e le iniziali «Y.C.F.».
«Yacht Club di Francia!» tradusse il pilota. «Ce l'hanno tutti all'occhiello...».
Maigret si girò verso lo yacht che si stagliava ad un paio di chilometri da lì, e sotto le parole Southern Cross lesse le medesime lettere: «Y.C.F.».
Senza più badare all'uomo che gli aveva consegnato il distintivo, si incamminò pensieroso verso il ponte.
Sulla destra c'era la strada per Épernay, ancora lucida per le piogge del giorno prima, un rettilineo su cui passavano a tutta velocità alcune automobili.
A sinistra, al di là della deviazione che portava a Dizy, sul canale, si scorgevano delle chiatte ferme davanti ai cantieri della Compagnia generale di navigazione, in attesa di essere riparate.
Maigret tornò indietro di buon passo, perché erano in arrivo gli uomini della Procura, e di lì a poco ci sarebbe stata la solita confusione, con il viavai, gli interrogatori, le ipotesi più azzardate.
Quando fu all'altezza del Southern Cross, vide che era ancora tutto chiuso. Un agente in uniforme teneva d'occhio lo yacht e allontanava i curiosi, ma non poté impedire a due giornalisti di Épernay di scattare delle fotografie.
Il tempo non era né bello né brutto. Sul paesaggio si stendeva un grigiore luminescente e uniforme simile a un soffitto di vetro smerigliato.
Maigret attraversò la passerella e bussò alla porta della cabina.
«Chi è?» chiese la voce del colonnello.
Il commissario entrò, deciso a non perdere tempo in chiacchiere inutili. Vide la Negretti, ancora tutta in disordine e scarmigliata, che si asciugava le lacrime tirando su col naso.
Sir Lampson, seduto sul divanetto, tendeva i piedi verso Vladimir, che gli stava infilando delle scarpe di un color marrone rossiccio.
Si udiva un sibilo acuto: evidentemente, da qualche parte ci doveva essere dell'acqua che bolliva su un fornello.
Le cuccette del colonnello e di Gloria erano ancora disfatte, e sulla tavola ingombra di carte da gioco c'era una mappa delle vie navigabili di Francia.
E quell'eterno odore, vagamente speziato, che faceva pensare a un bar e al tempo stesso a un'alcova.
All'attaccapanni erano appesi un berretto da yacht in tessuto bianco e un frustino con l'impugnatura d'avorio.
«Willy era socio dello Yacht Club di Francia?» chiese Maigret cercando di usare un tono di voce neutro.
Con un'alzata di spalle il colonnello gli fece capire che la domanda era assurda. Ed effettivamente lo era, perché lo Y.C.F. è uno dei club più esclusivi che esistano.
«Io sì!» esclamò poi Sir Lampson con voce sprezzante.
«E anche del Royal Yacht Club d'Inghilterra...».
«Le spiace farmi vedere la giacca che portava ieri sera?».
«Vladimir...».
Ora che aveva le scarpe, il colonnello si alzò e andò a guardare in un armadietto attrezzato a bar. Poiché non c'era whisky, ma solo altri liquori, esitò un momento prima di scegliere.
Alla fine prese una bottiglia di cognac e mormorò:
«Ne vuole?».
«No, grazie...».
L'inglese non insistette: riempì un boccale d'argento che aveva preso da una rastrelliera sopra il tavolo e cercò il sifone del seltz, con l'aria accigliata di chi soffre nel vedere sconvolte le proprie abitudini.
Vladimir tornò dalla toilette con un completo di cheviot nero, che il padrone, con un cenno, gli ordinò di porgere a Maigret.
«Di solito lei portava il distintivo dello Yacht Club su questa giacca?».
«Yes... Non è ancora finita?... Willy è ancora là sul pavimento?...».
Aveva vuotato il bicchiere a piccoli sorsi, in piedi, e non si decideva a riempirlo di nuovo.
Diede un'occhiata dall'oblò, e vedendo delle gambe sul ponte emise una specie di gemito.
«Vuole ascoltarmi un momento, colonnello?».
Sir Lampson fece segno di sì. Maigret prese dalla tasca il distintivo di smalto.
«L'hanno trovato questa mattina nel punto in cui il corpo di Willy è stato trascinato fra i giunchi prima di venire gettato nel canale...».
Gloria, trattenendo un grido, si lasciò cadere sul divanetto di velluto rosso e scoppiò in un pianto convulso, stringendosi la testa fra le mani.
Quanto a Vladimir, non si mosse nemmeno.
Aspettava di riavere l'abito per appenderlo di nuovo al suo posto.
Il colonnello fece una strana risata e ripeté quattro o cinque volte:
«Yes!... Yes!...».
E intanto si versava dell'altro cognac.
«Da noi la polizia conduce gli interrogatori in maniera ben diversa... Anzitutto ha l'obbligo di ricordare che ogni parola può essere usata contro chi la pronuncia...
Voglio dire una volta per tutte... Ma lei non deve scrivere?... Non ho nessuna intenzione di ripetere di continuo...
«Con Willy c'è stata una discussione... Volevo sapere... Ma non ha importanza...
«Non era una canaglia come tutte le altre... Ci sono anche canaglie simpatiche...
«Mi sono sfuggite espressioni un po' troppo dure, e lui mi ha preso per la giacca, così...».
E indicò il bavero, lanciando nel contempo occhiate piene di irritazione ai piedi calzati di zoccoli o di scarponi pesanti che continuavano a passare davanti agli oblò.
«Tutto qui... Non saprei... Il distintivo può essermi caduto allora... Dall'altra parte del ponte...».
«Però è stato ritrovato da questa parte...».
Sembrava che Vladimir non stesse neppure ascoltando.
Raccoglieva gli oggetti lasciati in giro per la cabina, spariva a prua per poi tornare senza alcuna fretta.
Con uno spiccato accento russo domandò a Gloria, che non piangeva più ma se ne stava immobile, distesa, con la testa fra le mani:
«Vuole che le porti qualcosa?».
Si udirono dei passi, poi qualcuno bussò alla porta.
Era il brigadiere, che chiese:
«E' qui, commissario?... Sono arrivati quelli della Procura...».
«Vengo subito!...».
Invisibile dietro la porta di mogano con le maniglie di ottone, il brigadiere aspettava.
«Ancora una domanda, colonnello... Quando ci saranno i funerali?...».
«Alle tre...».
«Oggi?».
«Yes!... Non ho più niente da fare, qui...».
Dopo il terzo cognac d'annata, aveva di nuovo quello sguardo torbido che il commissario già conosceva.
E mentre Maigret stava per uscire si informò, con una calma e un'indifferenza da vero signore:
«Devo considerarmi in arresto?».
Di colpo Gloria alzò la testa, pallidissima.