CAPITOLO TERZO: LA COLLANA DI MARY
Quando Maigret si coricò, in quella stanza dall'odore caratteristico che gli dava un po' fastidio, rimuginò a lungo su due immagini impresse nella sua mente.
La prima l'aveva colta ad Épernay, dietro le vetrate scintillanti della Bécasse, il miglior ristorante della città: il colonnello e Willy, seduti compostamente a un tavolo e attorniati da camerieri in pompa magna...
Erano usciti dall'obitorio neanche mezz'ora prima.
Sir Lampson teneva il busto un po' rigido, e l'impassibilità del suo volto dal colorito acceso, coronato da radi capelli argentei, era davvero strabiliante.
A confronto con la sua eleganza, o per essere più precisi la sua classe, quella di Willy, nonostante l'apparente disinvoltura, si rivelava artefatta.
Maigret aveva cenato altrove, poi aveva fatto qualche telefonata alla Prefettura e alla polizia di Meaux.
Infine aveva percorso a piedi, tutto solo nella notte piovosa, il lungo nastro di strada. Davanti al Café de la Marine aveva scorto gli oblò illuminati del Southern Cross.
E gli era venuta la curiosità di salire a bordo, con la scusa di aver dimenticato la pipa.
Era lì che aveva colto la seconda immagine: nella cabina rivestita di mogano, Vladimir, con la solita maglia a righe blu da marinaio e la sigaretta fra le labbra, era seduto di fronte alla signora Negretti, che aveva di nuovo quei suoi capelli untuosi sciolti sulle spalle.
Giocavano a carte a «sessantasei», un gioco originario dell'Europa centrale.
C'era stato un attimo di stupore. Ma neppure un sussulto! Erano rimasti senza fiato per una frazione di secondo, poi Vladimir si era alzato per cercare la pipa. Con la sua pronuncia blesa, Gloria Negretti aveva chiesto:
«Non tornano ancora?... Era proprio Mary?...».
Il commissario aveva avuto la tentazione di inforcare la bicicletta e di raggiungere lungo il canale le chiatte che si erano fermate a Dizy la notte della domenica. Ma la vista della strada allagata e del cielo plumbeo lo aveva dissuaso.
Quando bussarono alla porta si rese conto, ancor prima di aprire gli occhi, che dalla finestra entrava nella camera la luce grigia dell'alba.
Aveva dormito male: un sonno inframmezzato da rumori trapestio di cavalli, richiami confusi, passi sulle scale, tintinnio di bicchieri che si urtavano giù al pianterreno e infine dalle zaffate di caffè e rum bollente che erano salite fino a lui.
«Chi è?».
«Lucas. Posso entrare?...».
L'ispettore Lucas, che lavorava quasi sempre insieme a Maigret, spinse il battente ed andò a stringere la mano umidiccia che il suo capo gli porgeva da sotto le lenzuola.
«Hai già scoperto qualcosa? Sarai stanco...».
«No, no! Subito dopo la sua telefonata sono andato all'albergo in questione, all'angolo di rue de la Grande-Chaumière, ma le due ragazze non c'erano.
In ogni caso ho preso i loro nomi... "Suzanne Verdier, detta Suzy, nata a Honfleur nel 1906... Lia Lauwenstein, nata nel Granducato del Lussemburgo nel 1905...". La prima è arrivata a Parigi quattro anni fa come domestica, poi per un po' di tempo ha fatto la modella... La Lauwenstein ha vissuto per lo più sulla Costa Azzurra... Né l'una né l'altra sono registrate negli schedari della Buoncostume, ho controllato...
Ma è come se lo fossero!...».
«Senti, Lucas, potresti passarmi la pipa e ordinare un caffè?».
Si sentiva l'acqua della chiusa che gorgogliava e un motore diesel che girava al minimo. Maigret scese dal letto e si diresse verso un minuscolo lavabo, nel quale versò dell'acqua fredda.
«Continua pure...».
«Sono andato alla Coupole, come lei mi ha detto...
Non erano nemmeno lì, ma tutti i camerieri le conoscono...
Mi hanno mandato al Dingo, poi alla Cigogne...
Finalmente le ho trovate in un piccolo bar di cui non ricordo più il nome, in rue Vavin... Erano sole, un po' giù di corda... Lia non è niente male... Quel che si dice un tipo... Suzy è una biondina con l'aria da brava ragazza... Se fosse rimasta al suo paese credo che sarebbe diventata una buona madre di famiglia...
Ha una faccia tutta a chiazze...».
«Vedi un asciugamano da qualche parte?» lo interruppe Maigret col viso grondante e gli occhi chiusi.
«A proposito, piove ancora?».
«Quando sono arrivato no, ma ricomincerà da un momento all'altro. Stamattina alle sei c'era una nebbia che gelava i polmoni... Dunque, ho offerto da bere alle signorine, e loro hanno subito ordinato dei panini... Sulle prime la cosa non mi ha stupito... Ma poi ho notato le perle che la Lauwenstein aveva al collo... Con l'aria di scherzare ho provato a morderle...
Sono perle vere al cento per cento... Non una collana da miliardaria americana, ma comunque una cosetta sui centomila franchi... Ora, quando delle donnine del genere preferiscono panini e cioccolata ai cocktail...».
Maigret si accese la prima pipa della giornata e andò ad aprire alla ragazza che portava il caffè. Poi diede un'occhiata dalla finestra al Southern Cross, su cui non si scorgeva ancora alcun segno di vita. In quel momento stava passando una chiatta, e il battelliere, appoggiato al timone, guardava lo yacht con ammirazione mista ad invidia.
«E poi?... Va' avanti...».
«Le ho portate in un altro locale, un posticino tranquillo...
«A un certo punto ho tirato fuori il distintivo e, indicando la collana, ho buttato lì, sparando alla cieca:
«"Le perle di Mary Lampson, vero?".
«Le ragazze probabilmente non sapevano nemmeno che è morta. E se lo sapevano hanno recitato alla perfezione.
«Ci hanno messo qualche minuto a confessare. E' stata Suzy, alla fine, a consigliare all'amica:
«"Su, digli la verità... Tanto ne sa anche troppo!".
«E così è venuta fuori una bella storia... Vuole che l'aiuti, capo?...».
In effetti Maigret stava facendo sforzi disperati per afferrare le bretelle che gli pendevano lungo le gambe.
«Prima di tutto la cosa più importante: hanno giurato tutte e due che è stata Mary Lampson a consegnar loro la collana... E' successo venerdì scorso a Parigi, dove era andata per incontrarle... Forse lei ne capisce più di me, commissario... Io di questo caso so soltanto quello che mi ha detto per telefono...
«Ho chiesto se la signora Lampson era in compagnia di Willy Marco, ma loro sostengono di no. Dicono che non hanno più visto Willy da giovedì, quando sono partite da Meaux...».
«Piano!» lo interruppe Maigret, che si stava facendo il nodo alla cravatta davanti a uno specchio grigiastro che gli deformava i lineamenti. «Mercoledì sera il Southern Cross arriva a Meaux... Le due ragazze sono a bordo... Fanno baldoria con il colonnello, Willy, Mary Lampson e la Negretti...
«A tarda ora Suzy e Lia vengono accompagnate in albergo, e giovedì mattina prendono il treno... Sai se le hanno pagate?».
«Cinquecento franchi, dicono».
«Il colonnello l'avevano conosciuto a Parigi?».
«Sì, qualche giorno prima...».
«E cos'è successo sullo yacht?».
Lucas fece uno strano sorriso.
«Cose non troppo belle... Sembra che l'inglese viva soltanto per il whisky e le donne... La signora Negretti è la sua amante...».
«E la moglie lo sapeva?».
«Altroché! Lei, a sua volta, era l'amante di Willy...
Ciò non toglie che invitassero a bordo delle ragazze come Suzy e Lia... Capisce?... E come se non bastasse Vladimir ballava con tutte e quattro... Verso l'alba c'è stata una discussione, perché la Lauwenstein sosteneva che quei cinquecento franchi erano una miseria...
Il colonnello non ha nemmeno risposto e ha lasciato fare a Willy... Erano tutti ubriachi... La Negretti si era addormentata in coperta e Vladimir ha dovuto trasportarla dentro...».
Piantato davanti alla finestra, Maigret seguiva distrattamente con lo sguardo la linea nera del canale e, a sinistra, il trenino a scartamento ridotto col suo carico di terra e pietrisco.
Il cielo era una cappa grigia da cui pendevano lembi di nuvole quasi nere, ma non pioveva.
«Poi?».
«Non c'è quasi nient'altro da dire... Venerdì, Mary Lampson sarebbe venuta a Parigi per incontrare le due ragazze alla Coupole, dove avrebbe consegnato loro la collana...».
«Ma guarda! Un regalino da niente...».
«Un momento, scusi! Gliel'avrebbe consegnata con l'incarico di venderla e di versarle metà della somma... Mary Lampson diceva che il marito la lasciava senza soldi...».
La camera aveva una tappezzeria a fiorellini gialli, ma la brocca smaltata dava all'insieme una nota livida.
Maigret vide il guardiano della chiusa che arrivava insieme al padrone di una chiatta e al suo cavallante per bere un bicchierino di rum al banco.
«Da loro non ho cavato altro!» aggiunse Lucas.
«Le ho lasciate alle due del mattino, e ho incaricato l'ispettore Dufour di sorvegliarle con discrezione.
Poi sono andato in Prefettura a controllare il casellario, come lei mi aveva chiesto... Ho trovato la scheda di Willy Marco, espulso quattro anni fa da Monaco a séguito di una faccenda di gioco non molto chiara, e l'anno dopo denunciato a Nizza da un'americana che era stata alleggerita di alcuni gioielli. Ma poi, non so perché, la denuncia è stata ritirata e Marco prosciolto. Crede che sia stato lui a...?».
«Non credo proprio niente! E ti giuro che sono sincero. Non dimenticare che il delitto è stato commesso domenica dopo le dieci di sera, quando il Southern Cross era ormeggiato a La Ferté-sous-Jouarre...».
«Che cosa pensa del colonnello?».
Maigret alzò le spalle e gli indicò Vladimir, che in pantaloni bianchi, scarpe di tela, maglione ed un berretto da marinaio americano sulle ventitré era uscito dal boccaporto di prua e si dirigeva verso il Café de la Marine.
«Il signor Maigret è desiderato al telefono» gridò attraverso la porta la ragazza coi capelli rossi.
«Vieni giù con me, vecchio mio...».
L'apparecchio era nel corridoio, vicino a un attaccapanni.
«Pronto!... Parlo con Meaux?... Come?... Sì, La Providence... E' stata ferma a Meaux tutto giovedì per fare il carico?... Ed è ripartita venerdì alle tre del mattino... Nessun'altra chiatta?... L'Eco Terza... E' un battello-cisterna, vero?... Venerdì sera a Meaux...
Ripartito sabato mattina... La ringrazio, commissario...
Sì, meglio procedere all'interrogatorio... Non si sa mai... L'indirizzo è sempre lo stesso!...».
Lucas aveva ascoltato queste parole senza capirne il senso, e Maigret stava per dargli qualche chiarimento quando un agente, sceso dalla bicicletta, si affacciò alla porta.
«Messaggio urgente della Scientifica...».
L'uomo aveva schizzi di fango fino alla cintura.
«Va' ad asciugarti un po' e bevi un grog alla mia salute...».
Maigret, seguito da Lucas, raggiunse l'alzaia, dove tolse il plico dalla busta e lesse sottovoce:
«Riassunto delle prime analisi relative al caso di Dizy. Nei capelli della vittima sono stati rinvenuti numerosi residui di pece e peli di cavallo marrone rossiccio.
«Le macchie sul vestito sono di petrolio.
«Al momento del decesso lo stomaco conteneva vino rosso e carne di manzo in scatola del tipo comunemente noto come corned beef».
«Otto cavalli su dieci hanno il pelo marrone rossiccio!» sospirò Maigret.
Nel caffè, Vladimir stava chiedendo dove si potesse fare la spesa lì vicino. Aveva intorno tre persone, compreso l'agente arrivato in bicicletta da Épernay, che poco dopo si avviò verso il ponte di pietra in sua compagnia.
Maigret, sempre seguito da Lucas, raggiunse la stalla, dove dalla sera prima, oltre al cavallo grigio del padrone, si trovava anche una giumenta ferita che forse sarebbe stata abbattuta.
«Non è certo qui che ha potuto sporcarsi di pece...» osservò il commissario.
E ripercorse due volte la strada dal canale alla stalla, girando intorno ai fabbricati.
«Lei vende pece?» chiese al padrone, che arrivava in quel momento con una carriola piena di patate.
«Pece vera e propria no... C'è il catrame norvegese, come lo chiamiamo noi... Si applica sulle chiatte di legno, sopra la linea di galleggiamento... Sotto, basta il catrame normale, che costa molto meno...».
«Lei ce l'ha?».
«In bottega ne tengo sempre una ventina di bidoni...
Ma in questa stagione non si vende... Per rimettere a nuovo i battelli bisogna aspettare che ci sia il sole...».
«L'Eco Terza è di legno?».
«No, è di ferro, come quasi tutti i battelli a motore».
«E La Providence?...».
«Di legno... Ha per caso scoperto qualcosa?».
Maigret non rispose.
«Lo sa cosa dicono?» proseguì l'uomo, che aveva messo giù la carriola.
«Chi?».
«La gente del canale, i battellieri, i piloti, i guardiani delle chiuse... Dicono che percorrere l'alzaia in macchina è quasi impossibile... Con una moto, invece!...
E una moto ne fa di strada, senza lasciare molte più tracce di una bicicletta...».
Sul Southern Cross la porta della cabina si aprì, ma non comparve nessuno.
Per un attimo, mentre Maigret e Lucas andavano su e giù lungo la riva senza parlare, un punto del cielo divenne quasi giallo, come se il sole stesse finalmente per sbucare.
Ma non erano passati neanche cinque minuti che già il vento soffiava piegando i giunchi, e un attimo dopo pioveva a dirotto.
Maigret tese la mano con un gesto meccanico e Lucas, con gesto altrettanto meccanico, si tolse di tasca un pacchetto di tabacco e glielo porse. Poi entrambi si fermarono un istante davanti alla chiusa vuota, ma che di lì a poco sarebbe entrata in funzione: in lontananza, infatti, un rimorchiatore ancora invisibile aveva fischiato tre volte, segno che stava per arrivare con tre battelli.
«A quest'ora, dove pensa che sia La Providence?» chiese Maigret al guardiano.
«Vediamo... Mareuil... Condé... Verso Aigny ci sono una decina di chiatte una dietro l'altra, che le faranno perdere tempo... La chiusa di Vraux ha solo due paratoie che funzionano... Potrebbe essere a Saint-Martin...».
«E' lontano?».
«Trentadue chilometri esatti».
«E l'Eco Terza?».
«Dovrebbe essere a La Chaussée... Ma ieri sera uno che scendeva mi ha detto che gli si era rotta l'elica alla chiusa 12... Quindi può raggiungerlo a Tours-sur-Marne, a quindici chilometri da qui... La colpa, però, è dei battellieri!... Si ostinano tutti a caricare troppo, anche se il regolamento vieta di superare le duecentottanta tonnellate...».
Erano le dieci del mattino. Quando Maigret inforcò la bicicletta che aveva preso a nolo, vide il colonnello sul ponte dello yacht, comodamente seduto su una sedia a dondolo e intento a sfogliare i giornali di Parigi che il postino aveva appena consegnato.
«Niente di particolare!» disse a Lucas. «Rimani qui, e non perderli di vista...».
La pioggia cadeva meno fitta e la strada era senza curve. Alla terza chiusa comparve un sole ancora un po' pallido, che faceva scintillare le goccioline d'acqua sui giunchi. Ogni tanto Maigret doveva scendere dalla bicicletta per superare i cavalli di qualche chiatta che, affiancati com'erano l'uno all'altro, occupavano tutta la strada e procedevano passo dopo passo con uno sforzo che ne metteva in risalto la muscolatura.
Due di essi erano guidati da una bambina di otto o dieci anni, vestita di rosso e con una bambola in braccio.
I villaggi erano quasi tutti piuttosto lontani dal canale, cosicché quel nastro d'acqua piatto e regolare sembrava dipanarsi nella solitudine più assoluta.
Qua e là si vedevano dei campi, e uomini curvi sulla terra scura. Ma c'erano soprattutto boschi. E i giunchi, alti da un metro e mezzo a due, contribuivano ad accrescere quel senso di calma.
Una chiatta stava caricando del gesso vicino a una cava, in una nube di polvere bianca che aveva completamente avvolto lo scafo e gli uomini intenti al lavoro.
Nella chiusa di Saint-Martin c'era un battello, ma non si trattava ancora della Providence.
«Si devono essere fermati a mangiare a monte di Chalons» annunciò la moglie del guardiano, che si spostava da una porta all'altra con due bimbetti attaccati alla gonna.
La fronte corrugata di Maigret tradiva la sua determinazione. Verso le undici si accorse con stupore che il sole era caldo e che nell'aria si sentiva già la primavera.
Davanti a lui il canale proseguiva in linea retta per almeno sei chilometri, con le due rive fiancheggiate da pini.
E in fondo si scorgevano i muri bianchi di una chiusa, dalle cui porte filtrava qualche rivolo d'acqua.
A metà strada c'era una chiatta ferma, un po' di traverso. I due cavalli erano stati staccati e mangiavano rumorosamente la loro avena con la testa infilata nel sacco.
Di primo acchito la scena dava un'impressione di allegria, o per lo meno di serenità. Non si vedevano case, e le immagini riflesse nell'acqua calma erano piatte, quasi immobili.
Ancora qualche pedalata e a poppa della chiatta, sotto il telo che riparava il timone, Maigret vide un tavolo ricoperto da una tela cerata a quadretti bianchi e blu, al centro del quale una donna coi capelli biondi stava posando un piatto fumante.
Sullo scafo liscio e arrotondato che scintillava al sole c'era un nome: La Providence. Maigret scese dalla bicicletta.
Uno dei cavalli lo guardò a lungo muovendo le orecchie, poi fece uno strano verso e si rimise a mangiare.
Fra la chiatta e la riva c'era solo un'asse, così stretta e sottile che si piegò sotto il peso del commissario.
Mentre i due uomini che stavano mangiando lo seguivano con gli occhi, la donna gli andò incontro.
«Cosa c'è?» chiese abbottonandosi il corpetto semiaperto sul seno prosperoso.
Aveva un accento cantilenante, molto simile a quello del Midi. Non sembrava affatto preoccupata.
Aspettava, e intanto aveva l'aria di proteggere i due uomini con la sua florida presenza.
«Un'informazione» disse il commissario. «Lei forse sa che a Dizy è stato commesso un delitto...».
«Sì, l'abbiamo saputo da quelli del Castor et Pollux, che ci sono passati davanti stamattina... Ma è proprio vero? Non riesco a crederci... Com'è potuto succedere?...
Sul canale, poi, dove si sta così tranquilli!...».
Aveva le guance cosparse di venuzze. I due uomini continuavano a mangiare con gli occhi fissi su Maigret.
E il commissario, meccanicamente, diede un'occhiata al piatto, pieno di una carne scurissima che mandava uno strano odore.
«E' capretto, l'ho comprato stamattina alla chiusa di Aigny... Cosa voleva sapere?... Noi siamo partiti prima che scoprissero il cadavere... A proposito, quella povera signora, si è poi saputo chi è?...».
Uno dei due uomini era piccolo e bruno, con i baffi spioventi, e un'aria docile e mansueta.
Era il marito, e aveva fatto solo un vago cenno di saluto verso l'intruso, lasciando alla moglie il compito di parlare.
L'altro poteva avere una sessantina d'anni. I suoi capelli, ispidi e tagliati alla bell'e meglio, erano bianchi.
Una barba di tre o quattro centimetri gli copriva il mento e buona parte delle guance, e poiché anche le sopracciglia erano molto folte sembrava villoso come un animale.
Gli occhi chiari, inespressivi, facevano uno strano contrasto con il resto del volto.
«Vorrei fare qualche domanda al cavallante...».
La donna si mise a ridere.
«A Jean?... L'avverto che parla pochissimo... E' un orso!... Guardi come mangia... Però è anche il miglior cavallante che si possa trovare...».
Il vecchio era rimasto con la forchetta a mezz'aria, e fissava Maigret con uno sguardo straordinariamente limpido.
Lo sguardo che hanno certi scemi del villaggio, o certi animali che, abituati a essere trattati bene, vengano improvvisamente malmenati. Uno sguardo ebete, ma con in più qualcosa di difficile da spiegare, una sorta di cupo ripiegamento su se stesso.
«Quando si è alzato per governare i cavalli?».
«Alla solita ora...».
L'uomo aveva le spalle molto larghe, del tutto sproporzionate rispetto alle sue gambe cortissime.
«Jean si alza ogni mattina alle due e mezzo!» intervenne la padrona. «Vada a vedere le nostre bestie... Le striglia tutti i giorni come cavalli di lusso... E alla sera non si riuscirebbe a fargli bere nemmeno un goccio se prima non le ha strofinate ben bene...».
«Dorme nella stalla?».
Jean aveva l'aria di non capire. Fu ancora la donna che indicò una costruzione più alta, al centro della chiatta.
«Quella è la stalla» disse. «Jean dorme sempre lì, mio marito e io nella cabina, a poppa... Vuole vederla?...».
Il ponte era pulito come uno specchio, e gli ottoni lucidati meglio di quelli del Southern Cross. E quando la donna spalancò i due battenti di pitch pine sormontati da un boccaporto di vetro colorato, Maigret vide un salottino che faceva tenerezza.
C'erano gli stessi mobili di quercia in stile Enrico Terzo che costituiscono l'arredamento delle case piccoloborghesi più tradizionali. Sul tavolo, coperto da un tappeto ricamato con fili di seta multicolore, stavano in bella mostra vasi, fotografie in cornice ed una fioriera traboccante di piantine. Anche sulla credenza erano disposti dei centrini ricamati, e ogni poltrona aveva la sua fodera lavorata all'uncinetto.
«Se Jean avesse voluto, gli avremmo sistemato un letto vicino a noi... Ma lui dice che dorme bene solo nella stalla... Certo, noi abbiamo sempre paura che un giorno o l'altro si prenda un calcio... Le bestie lo conosceranno anche, ma quando dormono...».
Si era messa a mangiare anche lei, come fa la brava donna di casa che serve prima gli altri e tiene per sé i bocconi peggiori senza nemmeno farci caso...
Il vecchio, invece, si era alzato e guardava ora i cavalli ora il commissario, mentre il padrone si arrotolava una sigaretta.
«E lei non ha visto né sentito niente?» chiese Maigret fissando il cavallante.
Jean si girò verso la padrona, che rispose con la bocca piena:
«Guardi che se avesse visto qualcosa lo avrebbe detto».
«Ecco la Marie che arriva!...» annunciò il marito con aria preoccupata.
Da qualche istante, infatti, si sentiva nell'aria il vibrare di un motore, e adesso, dietro La Providence, si distingueva il profilo di un'altra chiatta.
Jean guardò la donna, che a sua volta guardò Maigret con una certa titubanza.
«Senta», disse infine «se deve parlare a Jean, non potrebbe farlo mentre andiamo avanti?... La Marie, anche se va a motore, è più lenta di noi... Se ci supera prima della chiusa, ci sbarrerà la strada per almeno due giorni...».
Senza aspettare la fine della frase, Jean aveva tolto i sacchi con l'avena dal collo dei cavalli e ora li stava portando un centinaio di metri più avanti.
Il padrone intanto soffiava in una tromba di latta, traendone dei suoni incerti.
«Lei rimane a bordo?... Le diremo quello che sappiamo, stia tranquillo... Sui canali ci conoscono tutti, da Liegi fino a Lione...».
«Allora ci vediamo alla chiusa» disse Maigret, che aveva lasciato la bicicletta sull'alzaia.
La passerella fu ritirata. Sulle porte della chiusa era comparsa una figura, e dalle paratoie cominciava a defluire l'acqua. I cavalli si misero in moto con un tintinnio di sonagli, facendo ondeggiare il pompon rosso che avevano in cima alla testa.
Jean procedeva al loro fianco a passo lento, l'aria apatica.
E duecento metri più indietro, accorgendosi di essere arrivati troppo tardi, quelli della chiatta a motore rallentarono.
Maigret seguì La Providence tenendo la bicicletta per il manubrio. Poteva vedere la donna che finiva di mangiare in fretta e il marito, piccolo, mingherlino, insignificante, quasi disteso sulla barra di un timone troppo grande per lui.