CAPITOLO SECONDO: I PASSEGGERI DEL «SOUTHERN CROSS»
Maigret era grande e grosso all'incirca quanto l'inglese.
Al Quai des Orfèvres la sua calma era ormai leggendaria, ma questa volta la flemma del suo interlocutore lo innervosiva.
Una flemma che, d'altra parte, sembrava regnare ovunque sullo yacht. Dal marinaio Vladimir fino alla donna che poco prima era stata svegliata in modo così brusco, tutti avevano la stessa aria apatica, assente.
Sembrava gente tirata giù dal letto dopo una sbornia colossale.
Un particolare fra tanti: mentre si alzava e si guardava attorno in cerca delle sigarette, la donna vide la fotografia che l'inglese aveva posato sul tavolo e che, nel breve tragitto dal Café de la Marine allo yacht, si era tutta bagnata.
«E' Mary?...» domandò, trasalendo appena.
«Mary, yes!».
Non una parola di più! Poi la donna uscì da una porta che si apriva verso prua e che probabilmente immetteva nella toilette.
Willy arrivò proprio allora sul ponte e si affacciò al boccaporto. Il quadrato era minuscolo, con dei tramezzi di mogano lucidato così sottili che da prua si doveva sentire tutto. E infatti l'inglese, aggrottando la fronte, guardò prima da quella parte e poi verso il giovanotto, al quale si rivolse con aria un po' irritata:
«Su, entri!...».
E a Maigret, seccamente:
«Sir Walter Lampson, colonnello a riposo dell'esercito inglese in India!».
Accompagnò la presentazione con un rapido cenno del capo e indicò al commissario il divanetto.
«E il signore?...» chiese Maigret girandosi verso Willy.
«E' un amico... Willy Marco...».
«Spagnolo?».
Il colonnello alzò le spalle, mentre il commissario scrutava il volto tipicamente israelita del giovane.
«Greco da parte di padre e ungherese da parte di madre...».
«Sono costretto a farle alcune domande, Sir Lampson...».
Willy, che si era seduto con disinvoltura sullo schienale di una sedia, fumava una sigaretta dondolandosi avanti e indietro.
«La ascolto!».
Ma nel momento in cui il commissario stava per parlare, l'inglese esclamò:
«Chi è stato? Si sa?».
Si riferiva all'autore del delitto.
«Finora non abbiamo scoperto niente. Proprio per questo lei potrà essere molto utile all'inchiesta chiarendomi certi particolari...».
«Con una corda?» chiese ancora l'altro, portandosi una mano al collo.
«No! L'assassino ha usato soltanto le mani. Quando ha visto per l'ultima volta la signora Lampson?».
«Willy...».
Willy era decisamente il tuttofare, quello che ordinava da bere e rispondeva alle domande rivolte al colonnello.
«Giovedì sera, a Meaux...» disse.
«E non ha segnalato la sua scomparsa alla polizia?».
Sir Lampson si versò un altro whisky.
«Perché avrei dovuto? Era libera di fare quello che voleva, no?».
«Capitava spesso che sparisse così?».
«Ogni tanto...».
Sul ponte, sopra le loro teste, si sentiva tamburellare la pioggia, mentre al crepuscolo subentrava la notte. Willy Marco accese la luce.
«Gli accumulatori sono carichi?» gli domandò il colonnello in inglese. «Non succederà come l'altro ieri?».
Maigret si sforzava di imprimere una direzione precisa all'interrogatorio, ma era continuamente incalzato da nuove impressioni.
Suo malgrado, guardava tutto, pensava a tutto contemporaneamente, al punto che la sua testa ribolliva di idee ancora informi.
Si sentiva più a disagio che scandalizzato davanti a quell'uomo che al Café de la Marine aveva dato un'occhiata alla fotografia limitandosi a dichiarare senza la minima emozione:
«E' il mio moglie...».
Rivedeva la sconosciuta in vestaglia che chiedeva:
«E' Mary?...».
E adesso Willy Marco si dondolava avanti e indietro sulla sedia fumando una sigaretta, mentre il colonnello si preoccupava degli accumulatori!
Nell'atmosfera neutra del suo ufficio, probabilmente il commissario non avrebbe avuto difficoltà a condurre un interrogatorio secondo le regole. Qui, invece, cominciò col togliersi il cappotto senza che nessuno l'avesse invitato a farlo, poi si riprese la fotografia, che, come tutte le fotografie di cadaveri, aveva un che di sinistro.
«Lei vive in Francia?».
«In Francia, in Inghilterra... Qualche volta in Italia...
Sempre con la mia barca, il Southern Cross...».
«E viene da...?».
«Da Parigi!» rispose Willy a un cenno del colonnello.
«Ci siamo fermati lì una quindicina di giorni, dopo aver passato un mese a Londra...».
«Dormivate a bordo?».
«No, la barca era a Auteuil. Siamo scesi all'Hôtel Raspail, a Montparnasse...».
«Il colonnello, sua moglie, la persona che ho visto poco fa e lei?».
«Sì. La signora Negretti è la vedova di un deputato cileno».
Sir Lampson sbuffò di impazienza, e ricorrendo di nuovo all'inglese disse:
«Gli spieghi tutto, altrimenti domattina è ancora qui...».
Maigret non batté ciglio. Ma da quel momento in poi fece le domande in tono decisamente più brusco.
«La signora Negretti è una sua parente?» chiese a Willy.
«Neanche per idea...».
«Dunque è una perfetta estranea, sia per lei che per il colonnello... Vuole dirmi come sono disposte le cabine?».
Sir Lampson bevve una sorsata di whisky, tossì, poi si accese una sigaretta.
«A prua c'è la cabina dell'equipaggio, dove dorme Vladimir. E' un ex allievo ufficiale della marina russa...
Ha lavorato per l'armatore Wrangel...».
«E non ci sono altri marinai, né domestici?».
«E' Vladimir che si occupa di tutto...».
«E poi?».
«Tra la cabina dell'equipaggio e il quadrato ci sono la cucina a destra e la toilette a sinistra...».
«E a poppa?».
«Il motore...».
«Quindi in questa cabina dormivate in quattro?».
«Ci sono quattro cuccette... Questi due divani che si trasformano in letti... E poi...».
Willy si diresse verso un tramezzo, aprì una specie di lungo cassetto e comparve un letto già pronto.
«Ce n'è uno su ogni lato... Come vede...».
Effettivamente Maigret cominciava a vederci più chiaro: di lì a poco, non c'erano dubbi, quella singolare coabitazione non avrebbe più avuto segreti per lui.
Gli occhi del colonnello erano verdastri e acquosi come quelli di un ubriaco. Sembrava che la conversazione non lo riguardasse minimamente.
«Cos'è successo a Meaux? E anzitutto quando ci siete arrivati?».
«Mercoledì sera... Venivamo da Parigi... Avevamo portato con noi due amiche di Montparnasse...».
«Continui...».
«C'era un tempo bellissimo... Abbiamo portato il grammofono sul ponte ed abbiamo ballato... Verso le quattro del mattino ho accompagnato le nostre amiche in albergo. Credo che siano tornate a Parigi in treno...».
«Dov'era ormeggiato il Southern Cross?».
«Vicino alla chiusa...».
«E giovedì non è successo niente?».
«Ci siamo alzati tardi. Vicino a noi c'era una gru che caricava delle pietre su una chiatta, e il rumore ci aveva svegliato in continuazione... Il colonnello e io siamo andati in paese a prendere l'aperitivo. Nel pomeriggio... aspetti... Il colonnello ha dormito, e io ho giocato a scacchi con Gloria... Gloria è la signora Negretti...».
«Sul ponte?».
«Sì... Credo che Mary fosse andata a fare una passeggiata».
«E non è più tornata?».
«Come no! Ha cenato a bordo... Il colonnello ha proposto di passare la serata in un night, ma Mary non ha voluto venire con noi... Quando siamo rientrati, verso le tre del mattino, non c'era più...».
«E non l'avete cercata?».
Sir Lampson tamburellava con le dita sul tavolo lucidato a specchio.
«Come le ha già detto il colonnello, Mary era libera di andare e venire a suo piacimento... L'abbiamo aspettata fino a sabato, poi ci siamo rimessi in viaggio...
Conosceva il nostro itinerario e sapeva dove raggiungerci...».
«Siete diretti verso il Mediterraneo?».
«Sì, all'isola di Porquerolles, di fronte a Hyères...
E' là che passiamo la maggior parte dell'anno... Il colonnello ha comprato laggiù un vecchio forte, il Petit Langoustier...».
«E venerdì siete sempre rimasti tutti a bordo?».
Willy ebbe un attimo di esitazione, poi rispose, in tono alquanto irritato:
«Io sono andato a Parigi...».
«A far che?».
Il giovane rise, ma la sua fu una risatina forzata, a denti stretti:
«Le ho già detto delle nostre due amiche... Avevo voglia di rivederle... O per lo meno una...».
«Può dirmi come si chiamano?».
«Suzy e Lia... I cognomi non li so... Vanno ogni sera alla Coupole... Abitano nell'albergo che fa angolo con rue de la Grande-Chaumière...».
«Professioniste?».
«Brave ragazze...».
La porta si aprì e comparve la signora Negretti, che si era messa un abito di seta verde.
«Posso entrare?».
Il colonnello rispose con un'alzata di spalle. Ormai era al terzo whisky, e li beveva con pochissima acqua.
«Willy... Chieda lei... per le formalità...».
Maigret non aveva bisogno di intermediari per capire.
Quel modo insolito e poco cortese di fargli le domande cominciava a seccarlo.
«Per prima cosa, naturalmente, lei dovrà identificare il cadavere... Dopo l'autopsia penso che autorizzeranno l'inumazione. Dirà lei in quale cimitero...».
«Possiamo andarci subito? C'è un garage dove si possa noleggiare una macchina?».
«Sì, a Épernay...».
«Willy... Chiami lei... Se ne faccia mandare una...
Subito, però».
«Al Café de la Marine c'è un telefono!» disse Maigret mentre il giovanotto si infilava l'impermeabile con un gesto di stizza.
«Dov'è Vladimir?».
«L'ho sentito tornare poco fa...».
«Gli dica che ceneremo a Épernay...».
La signora Negretti, che era grassa, con la carnagione molto chiara e i capelli di un nero lucido, si era seduta in un angolo, sotto al barometro. Assisteva alla scena con aria indifferente, o forse profondamente assorta, reggendosi il mento con la mano.
«Pensa di venire con noi?» le chiese Sir Lampson.
«Non so... Piove ancora?...».
Maigret era esasperato, e la successiva domanda del colonnello non contribuì certo a calmarlo.
«Quanti giorni crede che occorreranno, in tutto?»
A quel punto il commissario sbottò, con aria torva:
«Compresi i funerali, immagino...».
«Yes... Tre giorni?...».
«Se i medici legali autorizzano l'inumazione e se il giudice istruttore è d'accordo, lei potrà liquidare la faccenda anche in ventiquattr'ore...».
Chissà se l'altro avvertì l'amaro sarcasmo di queste parole!
Quanto a Maigret, provò il bisogno di guardare la fotografia: un corpo spezzato, insudiciato, offeso, un volto che era stato attraente, odoroso di cipria, con le labbra e le guance accuratamente truccate, e che adesso era contratto in una smorfia che dava i brividi.
«Vuole qualcosa da bere?...».
«No, grazie...».
«Allora...».
Sir Walter Lampson si alzò come per far intendere che riteneva concluso il colloquio e ordinò:
«Vladimir, un vestito!».
«Probabilmente avrò delle altre domande da farle» disse Maigret. «E magari sarò costretto a perquisire lo yacht...».
«Domani... Prima bisogna andare a Épernay, no?...
Fra quanto arriva la macchina?».
«E io rimango sola?» chiese tutta spaventata la signora Negretti.
«C'è Vladimir... Ma se vuole venire...».
«Non sono ancora pronta...».
Willy entrò come un bolide e si sbarazzò dell'impermeabile grondante.
«La macchina sarà qui fra dieci minuti».
«Allora, commissario, se non le spiace...» disse il colonnello indicando la porta. «Noi dobbiamo vestirci...».
Quando uscì, e il boccaporto venne richiuso alle sue spalle, Maigret era tanto irritato che avrebbe spaccato volentieri la faccia a qualcuno.
Dall'esterno si vedevano soltanto le luci degli otto oblò e del fanale bianco appeso all'albero maestro. A meno di dieci metri si profilava la poppa massiccia di una chiatta, e a sinistra, sulla riva, un enorme mucchio di carbone.
Forse era solo un'impressione, ma a Maigret sembrò che la pioggia scrosciasse più forte di prima, e che il cielo fosse nero e incombente come non l'aveva mai visto in vita sua.
Si incamminò verso il Café de la Marine, e quando ne varcò la soglia le voci tacquero di colpo. I battellieri erano tutti in cerchio attorno alla stufa di ghisa. Il guardiano della chiusa stava appoggiato al banco, vicino alla figlia del padrone, una ragazza alta, con i capelli rossi e gli zoccoli ai piedi.
I tavoli ricoperti di tela cerata erano ingombri di bottiglie e bicchieri e cosparsi di chiazze.
«Allora è proprio sua moglie?» finì col chiedere il padrone facendosi coraggio.
«Sì! Mi dia una birra! Anzi, no! Qualcosa di caldo...
Un grog...».
A poco a poco i battellieri avevano ripreso a discorrere. La ragazza, nel portare a Maigret la bevanda bollente, gli sfiorò la spalla col grembiule.
Lui intanto s'immaginava quei tre che si vestivano nella cabina angusta dello yacht, insieme a Vladimir, per giunta.
S'immaginava anche altre cose, ma in maniera molto vaga e con un senso di ripugnanza.
Conosceva bene la chiusa di Meaux, importante perché, come quella di Dizy, collegava la Marna con il canale, dove c'è un porto semicircolare sempre gremito di chiatte a ridosso l'una dell'altra.
Lì, fra i battellieri, sul Southern Cross illuminato, le due donnine di Montparnasse, la grassa Gloria Negretti, la signora Lampson, Willy e il colonnello avevano ballato sul ponte al suono del grammofono e bevuto...
In un angolo del Café de la Marine due uomini in tuta blu mangiavano pane e salame affettandoli con un coltellino tascabile e bevevano vino rosso.
Qualcuno stava raccontando un incidente capitato quella mattina nel tunnel, ossia nel tratto in cui il canale, per superare la parte più elevata dell'altopiano di Langres, percorre otto chilometri nel sottosuolo.
A un battelliere era rimasto impigliato un piede nella corda che teneva legati i cavalli. Aveva gridato, ma il cavallante non lo aveva sentito, e quando gli animali, dopo una breve pausa, si erano rimessi in marcia, era stato scaraventato in acqua.
Il tunnel non era illuminato, e il battello aveva un solo fanale che rifletteva un tenue bagliore sull'acqua.
Il fratello del battelliere la chiatta si chiamava Les deuxpères - si era gettato nel canale.
Avevano ripescato soltanto uno dei corpi, ormai senza vita, e stavano ancora cercando l'altro...
«Gli mancavano solo due annualità per finire di pagare la chiatta. Ma pare che, per contratto, le mogli non saranno tenute a versarle...».
Un autista col berretto di pelle entrò e si guardò attorno come se cercasse qualcuno.
«Chi ha ordinato una macchina?».
«Io!» disse Maigret.
«Ho dovuto lasciarla vicino al ponte... Non mi va di finire nel canale...».
«Lei mangia qui?» chiese il padrone al commissario.
«Non lo so ancora...».
E uscì con l'autista. Il Southern Cross, tutto verniciato di bianco, era una macchia lattiginosa nella pioggia, e due ragazzini di una chiatta ormeggiata lì vicino, che erano fuori malgrado l'acquazzone, lo guardavano ammirati.
«Joseph!...» gridò una voce di donna. «Porta a casa tuo fratello, altrimenti le prendi!...».
«Southern Cross...» lesse l'autista sulla prua. «Sono inglesi?».
Maigret percorse la passerella e bussò. Venne ad aprire Willy, già pronto, tutto elegante in un abito scuro. Dentro, Gloria Negretti stava annodando la cravatta a Sir Lampson, che aveva la faccia congestionata ed era ancora senza giacca. La cabina odorava di acqua di Colonia e di brillantina.
«E' arrivata la macchina?» chiese Willy. «Dov'è?».
«Vicino al ponte, a due chilometri da qui...».
Maigret restò fuori. Sentiva vagamente il colonnello e Willy che discutevano in inglese. Infine il giovanotto venne a dirgli:
«Sir Lampson non se la sente di fare tutta quella strada in mezzo al fango... Vladimir sta preparando il canotto... Ci troviamo al ponte...».
L'autista, che aveva sentito, borbottò qualcosa fra i denti.
Dieci minuti dopo, lui e Maigret andavano avanti e indietro sul ponte di pietra, vicino alla macchina con le luci di posizione accese. Passò quasi mezz'ora prima che sentissero il ronzio di un motorino a due tempi.
Infine si udì la voce di Willy che gridava:
«Eccoci!... Commissario!...».
«Siamo qui!».
Il piccolo fuoribordo descrisse un cerchio e si accostò alla riva. Vladimir aiutò il colonnello a scendere e prese accordi per il ritorno.
In macchina, Sir Lampson non disse una parola.
Malgrado la corporatura, era molto elegante. Curatissimo, flemmatico, col colorito acceso, era il ritratto vivente del gentiluomo inglese quale viene raffigurato nelle stampe dell'Ottocento.
Willy Marco fumava una sigaretta dietro l'altra.
«Che catorcio!» esclamò mentre la macchina sobbalzava per via di una cunetta.
Maigret notò che aveva al dito un anello di platino con un grosso diamante paglierino.
Le strade di Épernay erano lucide di pioggia.
L'autista abbassò il vetro e chiese:
«Dove devo andare?».
«All'obitorio!» rispose Maigret.
A quell'ora c'era solo il guardiano, che aveva già chiuso tutte le porte. Si udì il cigolio delle serrature, poi venne accesa la luce. Il locale, rivestito di piastrelle, ospitava tre cadaveri.
Fu questione di pochi minuti. Quando Maigret sollevò il lenzuolo, il colonnello quasi non aprì bocca.
«Yes!».
Willy era il più scosso, il più impaziente di sottrarsi a quello spettacolo.
«La riconosce anche lei?».
«Sì, è proprio Mary... Com'è...».
Non terminò la frase. Stava impallidendo a vista d'occhio, e aveva le labbra secche. Se Maigret non l'avesse trascinato fuori, probabilmente sarebbe svenuto.
«Lei non ha idea di chi sia stato?...» chiese il colonnello.
Nella sua voce si coglieva un certo turbamento. O era solo l'effetto dei numerosi whisky?
Maigret, comunque, avvertì quella lievissima variazione di tono.
Si ritrovarono sul marciapiede appena rischiarato da un lampione, davanti alla macchina da cui l'autista non si era mosso.
«Cena con noi, vero?» chiese ancora il colonnello senza nemmeno girarsi verso Maigret.
«No, grazie... Vorrei approfittarne per sbrigare alcune pratiche...».
L'inglese fece un leggero inchino, senza insistere.
«Venga, Willy...».
Maigret rimase per un istante sulla soglia dell'obitorio, mentre il giovane, dopo aver confabulato con Sir Lampson, si chinava verso l'autista.
Si trattava di scoprire quale fosse il miglior ristorante della città. E intanto la gente passava, passavano i tram illuminati e sferraglianti.
A qualche chilometro di lì si snodava il canale.
Lungo il suo corso, in prossimità delle chiuse, erano ormeggiate le chiatte, che sarebbero ripartite alle quattro del mattino lasciandosi dietro un odore di caffè caldo e di stalla.