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Mi sento molto piccola nel mio prediletto abito da cowboy, seduta tra mamma e papà su un divano di cuoio nero con borchie di ottone sui braccioli. Il legale mi fa domande su Carme e sulla piscina.

«Calli, spiegami ancora come mai hai lasciato tua sorella tutta sola» chiede dalla poltrona di cuoio che ha avvicinato troppo.

«Mi ha ordinato di andarmene.»

«Adesso torniamo indietro, e pensaci bene perché è molto importante. Carme ti ha ordinato di andartene?»

«Sì, signore.»

«O è stato il pilota?»

«È stata lei.»

«Capisco, ma di chi è stata davvero l’idea?»

«Di Carme.»

«E voi due quanti anni avete?»

«Sei.»

«Avete appena compiuto sei anni, vero?»

«Sì, signore.»

«E quando è il vostro compleanno?» chiede prendendo appunti su un notes con la carta gialla. «Adesso vediamo se hai una buona memoria.»

«22 novembre 1991, alle 02.22. Carme è nata otto minuti prima di me, alle 02.14, ora della costa orientale. Oppure le 7.14 e le 7.22, ora di Greenwich. Quindi non abbiamo proprio la stessa età.»

«Brava, sei in gamba con i numeri e parli bene. Ma stessa età o no, sei anni mi sembrano pochi per decidere su una cosa simile» commenta, volgendo lo sguardo a mamma e papà. Nessuno sorride, tranne l’avvocato di tanto in tanto.

«Prova a rispondere alle sue domande, Calli» dice papà seduto accanto a me sul divano. E all’avvocato: «Si sta stancando. È stato un vero stress…».

«Certo, certo, solo per essere molto precisi, Calli, era il giorno del compleanno tuo e di Carme e siete andate alla piscina coperta. Vi ha accompagnate il vostro amico pilota nella Camaro di papà. Un premio speciale per un giorno speciale. Era durante la settimana, quando papà e mamma lavorano, e lui aveva detto che vi avrebbe portate a nuotare al Circolo ufficiali e riaccompagnate a casa per le sei in punto.»

«Veramente ha detto le 18.00.»

«Eh, tutti con gli orari militari da queste parti. Ma mi stai dicendo che è stata un’idea di Carme che tu ti facessi dare un passaggio a casa in barca da… come si chiamano?»

«I Powell» risponde mamma prendendomi la mano.

«Vero, che vanno e tornano in barca dal Circolo ufficiali. E mi hai detto che è stata un’idea di Carme restare in piscina. L’hai lasciata a cavarsela da sola il giorno del suo compleanno con un uomo che ha la stessa età di vostro padre.»

«Non lo so.»

«Mi sto chiedendo se sia davvero stata un’idea di tua sorella. È lì che vorrei arrivare.»

«Non lo so.»

«Anche se sei molto intelligente, non conosci questa parola, tesoro, ma è importante capire se qualcosa è pre-me-di-ta-to.» Lo dice ridendo, come fanno i bambini a scuola quando prendono in giro il più bravo della classe. «Voglio dire, il vostro amico pilota aveva già intenzione di portare Carme al cimitero?»

«Non lo so.»

«Magari ci aveva già pensato e tu davi fastidio.»

«Non lo so.»

«Ma non ti volevano con loro, vero?»

Mi guarda, non capisco come faccia a sapere che quei due con me si comportavano sempre così.

«Non lo so.»

«Ma lui chi pensava di portare a fare un giro su quella bella macchina che aveva restaurato con tuo papà?»

«Carme.»

«E riusciva a distinguere una dall’altra?»

«Non lo so.»

«Quello stuntman…»

«Pilota acrobatico» continua a correggerlo papà.

L’avvocato sfoglia il taccuino giallo.

«Calli, allora, questo pilota è mai stato un po’ troppo gentile con te?»

«Non lo so.»

«Forse ti ha toccato in parti nascoste, dicendo cose che ti facevano sentire…»

«Non metterle in testa idee» interviene mamma.

«Penny, ci serve la verità. Anche se è difficile da accettare, vero Calli? I tuoi genitori ti hanno insegnato la differenza fra la verità e una bugia?»

«Sì, signore.»

«E dimmi, sei sicura che quello stuntman… quel pilota acrobatico non è mai stato un po’ troppo gentile, magari usava le mani e ti metteva a disagio…?»

«Non lo so.» Scuoto anche la testa per sottolineare il concetto.

Perché lui non mi metteva a disagio, non gli piacevo quanto Carme, e non dovevo disturbarli. Mi guardava sempre come se fossi trasparente.

«Te lo chiedo perché tu e tua sorella siete uguali, avete la stessa voce e si fatica a distinguervi, vero?»

«Sì, signore.»

«Siete fatte con lo stesso stampino, probabilmente lo hai già sentito dire. E so che mettete i vestiti uguali, vi pettinate uguali, e fate le stesse cose.»

«Non lo so.»

«Qualche volta fate scherzi, vero? Ogni tanto vi scambiate. So che lo avete fatto qualche volta a scuola, e non molto tempo fa anche in chiesa. E non vi scoprono, vero?»

«Non lo so…» Tremo nel mio intimo, ma cerco di non piangere.

«Ma lo avete fatto molte volte, vero? Tu dici di essere Carme, e lei dice di essere te. Fate questo scherzo e non vi scoprono.»

«Calli, rispondi alla domanda.» Papà mi mette un braccio sulle spalle e mi stringe. «Sta solo cercando di aiutarci.»

«È difficile per tutti, George. Deve confessare che lei e Carme sono talmente uguali da poter ingannare chiunque, se vogliono.» L’avvocato mi lancia un’occhiata da sopra gli occhiali. «Vero, Calli?»

«Sì, signore.» Mi vergogno, l’avvocato mi sta soppesando, sapendo che la colpa è mia.

«Avete mai fatto questo scherzo a…?»

«Basta!» interviene mamma. «Lui non ha più un nome, chiamalo solo il pilota, per favore.»

«Gli avete mai giocato questo scherzo, Calli?» Il cuoio vecchio scricchiola, e l’avvocato mi si avvicina tanto che sento nel suo alito puzzo di fumo e di aglio.

«No, signore.»

00:00:00:00:0

L’avvocato si sbagliava, ma io non l’ho mai corretto. Scambiarci non era il genere di scherzo che io e Carme avremmo fatto al pilota (anche se l’avrebbe meritato), per il semplice motivo che Carme era incredibilmente possessiva con lui.

Non mi voleva vicina a loro due, e lui sapeva quello che faceva. A questo proposito, l’avvocato aveva pienamente ragione. Il nostro ex amico di famiglia era un predatore opportunista, malato e incapace di resistere alla sua pedofilia, una persona da non perdonare e di cui non fidarsi in nessuna circostanza. In fin dei conti, non ha importanza sapere sempre quando un lupo si traveste da agnello.

Non per me, almeno, perché non avrei dovuto permettere a Carme di andarsene con lui al tramonto. A dispetto delle sue filippiche, avrei dovuto rifiutarmi di lasciarla. Senza badare alle sue urla e al suo viso che stava per esplodere di rabbia. So benissimo cosa potrebbe rispondere una giuria alla domanda su chi è colpevole. E potrei scommettere sul verdetto.

Nessuno darà la colpa a me, una bambina, ma questo non mi rende più facile convivere con il male che ho fatto. Provate a chiedere a Rush, se riuscite a trovarlo. Non capirò mai come riesca a tollerare il comportamento disfunzionale di mia sorella. Un po’ sì e un po’ no, lo allontana e lo avvicina: prima è disponibile, poi diventa un fantasma; lo ama e non lo ama, Carme buona e Carme cattiva, con i suoi ritmi prevedibili e potenti quanto la gravità e le eruzioni solari.

Se prima potevo non saperlo, adesso ne sono certa: la mia gemella è in serio pericolo e in un mare di guai. Ho la sensazione che le informazioni che mi ha dato Dick non siano che la punta dell’iceberg. Mentre questi pensieri mi passano per la testa come comete, non ho voglia di mettermi in contatto con il mio mentore ed ex capo, non riesco a pensare a lui come al mio comandante e amico.

Non mi sento in conflitto o sotto pressione, non come quando eravamo insieme solo qualche ora fa. Non sono tentata di eseguire i suoi ordini, non lo interromperò durante la sua cosiddetta cena importante, qualsiasi cosa stia realmente facendo in questo momento. Non mi fido di quello che dice: i conti non mi tornano, e ho la buffa sensazione che non stia trascorrendo la serata con il segretario di Stato.

Quindi non posso accettare come Vangelo il suo racconto sul dipendente della Pandora sparito da Houston, e mi sento manipolata. Ripensando agli uomini del servizio segreto che si aggirano da queste parti sfidandomi a notarli, non mi sento caritatevole né felice quando mi tagliano fuori da discorsi importanti. Non sono contenta se qualcuno mi nasconde qualcosa, specie quando si tratta di dati cruciali, e ne traggo la conclusione che la mia lealtà verso il generale Richard Melville non è reciproca. Perché mai dovrebbe esserlo? Dick non è carne della mia carne, e non sono affatto incline a informarlo che, sì, potrei avere notizie di Carme.

Non sarebbe una buona idea dirgli che si è trasformata in un drone, per così dire, e che al momento sta impazzando sul soffitto del mio bagno. Potrei essere presa per matta, quindi no, non lo dirò a nessuno: né a Dick, né a mamma o papà, e nemmeno a Fran.

Mentre discuto con me stessa e faccio dichiarazioni mentali, non tengo in considerazione la sfera che mi osserva dall’alto come un angelo. Sblocco il telefono e controllo di nuovo il countdown del lancio. Più si avvicina, più non riesco a non guardarlo e l’adrenalina sale.

-1:47:03:6…

Ancora in orario. Nemmeno due ore fa, il video in diretta mostrava sulla rampa di lancio 0A (LP-0A) il razzo bianco, con la bandiera americana su un lato della testa, e la neve che scendeva come coriandoli. Grossi tubi di alimentazione gialli si arrampicano lungo il corpo alto 39 metri, circondato da luci sfavillanti e dagli alberi di protezione dai fulmini alti 58 metri, sullo sfondo dell’oceano, agitato e grigio peltro nell’oscurità.

Riesco appena a distinguere il bordo della torre dell’acqua su un lato, il serbatoio del sistema di attenuazione acustica che si attiverà pochi secondi prima dell’accensione dei motori principali del razzo e dei razzi a combustibile solido. Dico sempre alle persone di immaginare di lanciare un petardo in un bidone di benzina, poi di annaffiarlo con una manichetta per diminuire l’effetto dell’esplosione, il rumore e le onde d’urto. Poi di immaginare uno tsunami da oltre un milione di litri che erompe dalla torre dell’acqua attraverso due tubi paralleli del diametro di più di due metri e si svuota su una piattaforma nel giro di 41 secondi. La NASA al suo meglio. Questo ingegnoso sistema è stato inventato decenni fa per evitare che una spinta da 7,5 milioni di libbre-forza spaccasse lo Space Shuttle e il suo carico. Oggigiorno si tratta quasi sempre di evitare che a fare una brutta fine siano i razzi e quello che contengono.

Studio il video in diretta e controllo eventuali allarmi o messaggi, ma tutto sembra a posto. A eccezione del fatto che Rush mi ignora. Non rilevo attività o messaggi che potrebbero comportare una possibile cancellazione del lancio. E nulla sul fronte di Langley.

La cosa che mi preoccupa un po’ in questo momento è il silenzio di Rush. A dire il vero sono più che preoccupata, e più di un po’, visto che a quanto mi risulta dovremmo lavorare insieme: Rush è il principale addetto alle comunicazioni, il direttore della missione per l’EVA, in programma più o meno in concomitanza con il decollo del razzo da Wallops Island.

Io sono semplicemente la nerd della telerobotica in standby per la falsa installazione del LEAR e, poco ma sicuro, è meglio che Rush abbia ancora in programma di presentarsi al Controllo Missione di Langley, e che non mi lasci da sola a gestire i nostri due astronauti impegnati in una passeggiata spaziale con un’apparecchiatura top secret al seguito. Già di per sé sarebbe poco carino, ma non avvisarmi nemmeno? Io non farei uno scherzo simile a lui o a nessun altro, ma è vero che sono sempre collaborativa e accomodante. Da settimane mi porto nello zaino il suo dannato regalo di compleanno, per non parlare del tempo che ho impiegato a personalizzarlo a mie spese nell’officina di casa. Poi l’ho impacchettato in una vecchia carta aeronautica per il volo a vista e gli ho augurato un buon volo per gli anni a venire. Mi sono persino data la pena di scrivergli nel biglietto che è stato un piacere lavorare con lui ai progetti speciali. Lui non si degna neppure di rispondere a un banale SMS o a una mail e mi pianta in asso dopo la giornata infernale che ho passato. Be’, a dire il vero mi rendo conto che ormai la giornata è finita, e che quella appena iniziata promette di andare anche peggio.

“Qualcosa non va.”

Nemmeno la cortesia di un avvertimento, per evitare di trovarmi all’improvviso nei guai quando arriverò al Controllo Missione poco prima delle 02.00 senza trovarlo lì. Non succederà.

-1:35:44:4…

Provo a telefonare a Rush, ma scatta subito la segreteria e la sua casella di posta è piena come al solito.

«Geeesù!» Mi lavo i denti mentre la sfera sulla mia testa si è messa in un angolo, come per non darmi fastidio. Il tipico comportamento di Carme quando sono di questo umore. Se mia sorella mi sta guardando in diretta video, e non ho dubbi che sia così, può capire quello che sta per succedere mentre finisco di prepararmi e, nel mentre, interrogo il sistema di sicurezza di Langley. Digito il numero del badge di Rush nel campo di ricerca.

“Nessuna corrispondenza trovata.”

A quanto sembra, non mette piede a Langley dal tardo pomeriggio di ieri, quando ha tolto il badge dal computer alle 17.38 nell’edificio 1220.

«Dove diavolo sei?» urlo.

-1:33:14:2…

Devo trovarlo, e ho un metodo sicuro. Ma siamo molto prossimi al lancio, e non è il momento giusto per andare a caccia di Ken, il controllore capo della missione. Non a Langley o in uno dei dieci centri della NASA sparsi sul territorio nazionale, ciascuno con il personale ridotto al minimo per via dello shutdown. Solo il personale essenziale della NASA assisterà. E nella mia mente, siamo tutti noi.

Ken e io ci conosciamo da molto, abbiamo persino frequentato lo stesso liceo, dove io ero molto tranquilla e lui era un divo della lotta libera e il rappresentante di classe dell’ultimo anno. Non mi sorprende che sia a capo del Controllo Missione di Langley perché è un tipo accomodante e ha i nervi d’acciaio. Ma sarà oberato di lavoro, e spero che non mi uccida. Non lo disturberei se non fosse importante.

-1:33:00:0…

E se fosse successo qualcosa a Rush e nessuno lo sa? Sono certa, per ora, che nessuno al Controllo Missione ha fatto caso alla sua assenza. Il dottor Delgato – il suo titolo formale – è terribilmente elusivo, ed è celebre per arrivare di corsa all’ultimo momento.

Mai ore prima di un lancio, di una EVA o di nient’altro: lui si presenta quando serve, e io non faccio di meglio. Tutti e due odiamo stare seduti a far niente, e non si può dire che abbiamo molto tempo da perdere. Per esempio, io non mangio da 14 ore.

«Salve, parla il capitano Chase» dico alla donna che risponde al telefono al Controllo Missione. «So che state lavorando come matti…»

«Non più del solito, solo che non siamo così tanti a rischiare di ammattire. Anzi, a dire il vero siamo abbastanza soli e annoiati.»

«Certo, soli e annoiati come un gatto in autostrada. Mi chiedevo se poteva passarmi per un momento Ken.»

«È proprio qui davanti a me; sta mangiando l’ennesimo muffin. La metto in attesa.»

-1:32:14:0… Frugo nella borsa da toilette.

Nessuno, neanche Ken, si fa venire un attacco d’ansia se, a un’ora e mezza dal lancio, Rush non è al suo posto. Nessuno si preoccupa che né io né Rush siamo al Controllo Missione in questo momento, perché ci conoscono. E non siamo le sole persone in gamba là dentro, senza contare che gli astronauti potrebbero installare benissimo il nodo senza il nostro aiuto.

-1:31:54:1… Dove è il collirio?

Ammesso che tutto vada come previsto. Ammesso che durante una EVA molto pericolosa, che potrebbe protrarsi per ore, non ci vengano fatte domande inopportune né insorga la minima preoccupazione.

-1:31:33:0… Apro l’armadietto dei medicinali.

Ammesso che non si verifichino imprevisti durante un’operazione che non è mai stata eseguita nello spazio cosmico. Mai. E che include uno strumento che non può essere abbandonato, a nessun costo.

-1:31:22:1… Cerco il Visine…

Ciliegina sulla torta, il fatto che sia un’operazione top secret implica ovviamente che, nel bene e nel male, nessuno deve esserne al corrente.

-1:31:10:1… Il rossore agli occhi si allevia.

Ma, lo ripeto, io tendo a preoccuparmi, e forse sono l’unica che non ritiene normale che, di colpo e senza avvisare, Rush sia sparito, non sia al campus e non ci sia stato per tutto il giorno. Però sento che qualcosa non va, e non mi interessa cosa dicono gli altri.

-1:30:54.1… Guardo la sfera, guardo Carme.

Resto in attesa mentre Ken e il suo muffin arrivano al telefono, e intanto fisso la palla di specchi che ruota lentamente. Mi chiedo se mia sorella sia arrivata furtivamente a casa senza avvertire Rush, soprattutto visto che oggi è il suo compleanno. Un compleanno importante. Da 28 minuti ha 40 anni, e per me è difficile immaginare che Carme sia tornata a Hampton e non abbia una voglia disperata di vederlo.

A meno che le cose non stiano in tutt’altro modo. Che non voglia fare niente di speciale per il suo compleanno, ammesso che se ne sia ricordata. Che non voglia andare a letto con lui, sempre che non vada a letto con un altro.

«Ehi! Scusa se ti ho fatta aspettare». Sento la voce di Ken e chiudo il rubinetto.

«Che tipo di muffin?» gli chiedo, con lo stomaco che brontola così forte che lo sentirebbero dallo spazio.