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«Uuuh» e «Non è possibile» sono tutto ciò che Scottie e Butch riescono a dire alla vista del badge della NASA e del cordoncino della Pandora Space Systems.

«Il badge di Vera Young, quello per cui ci ha chiamato ieri» spiego incredula. «Né rubato, né perduto, a quanto pare. Francamente, sono perplessa quanto voi.»

«A meno che non volesse farcelo trovare» ipotizza Scottie parlando nell’interfono. «Magari stava cercando di dirci qualcosa.»

«O lo sta facendo qualcun altro» rispondo cupa, sempre più sconcertata.

«E che cosa avrebbe voluto dirci? Che era mentalmente instabile?» commenta Butch cercando di non suonare sgradevole. «Perché questa è la prima cosa che mi viene in mente.»

«Se avessi parlato con lei, non la penseresti così» faccio notare. «Quando l’ho interrogata a proposito del badge, sembrava agitata, depressa, sulla difensiva, ma non instabile. Ricorda anche il lavoro che faceva: dubito che la Pandora l’avrebbe mandata qui se avesse avuto problemi psichici.»

«Be’, c’è qualcosa di irrazionale, in questo» afferma Butch.

«Immagino che dipenda dalla tua definizione di “irrazionale”» rispondo mentre penso al SUV aperto con la chiave dentro e alla porta d’ingresso non chiusa. «Magari per qualcuno quello che troviamo ha perfettamente senso.»

«Non certo per me, almeno per adesso.» Butch ha preso un’altra macchina fotografica, e comincia a scattare immagini del badge e del cordoncino appoggiati su un foglio di carta bianca.

Suggerisco che, probabilmente, la cosa migliore sia di cercare impronte e DNA una volta tornati al nostro quartier generale. Ma la domanda più importante a cui rispondere è se il badge sia stato utilizzato dove non avrebbe dovuto esserlo, e in particolare mentre lo si credeva disabilitato.

«Non chiedermi che cosa è successo» dice Scottie. «Ti assicuro che l’ho disattivato quando ci ha chiamati per dirci del furto. Ma ho esaminato il database della sicurezza, e il numero di identificazione che le era stato assegnato non è saltato fuori da nessuna parte da ieri sera.»

«Quando lo ha usato lei per tornare a Langley, all’edificio 1110» ipotizzo, e lei conferma mentre io rimugino su un’altra cosa che ha detto.

“… Il numero di identificazione che le era stato assegnato non è saltato fuori da nessuna parte da ieri sera.

Mi colpisce la parola assegnato. Spesso si dimentica che password, codici e numeri di identificazione, e persino le bande di radiofrequenza, sono assegnati da esseri umani che decidono, per esempio, che il 154.4075 dovrebbe essere per la polizia locale, i vigili del fuoco e le squadre d’emergenza. Se la banda di frequenza è per una stazione radio, spetta alla FCC, la Federal Communications Commission, decidere il codice identificativo radio. Anche stelle e pianeti hanno nomi e numeri decisi da noi: Keplero-186gf, Gliese581g, Tau Ceti e HD 30307g, solo per citare alcuni esopianeti ad anni luce da qui che potrebbero essere simili alla Terra e magari abitabili. Mi viene in mente che esistono modi alquanto creativi di cui qualcuno potrebbe avvalersi per aggirare il sistema di sicurezza della NASA.

«Alla prima occasione darò un’occhiata ai metadati» dico: ho un’intuizione che, al momento, preferisco non condividere.

Ovvero: se qualcuno sapesse il fatto suo abbastanza da penetrare nel nostro sistema di sicurezza, questa persona avrebbe potuto cambiare il numero di identificazione di Vera Young con un altro, in modo da rendere impossibile risalire a Vera nel caso di un utilizzo illegale del suo badge. In particolare se il numero è quasi identico: basterebbe la differenza di una cifra e la ricerca non darebbe risultati.

«Stando al sistema» spiega Scottie, «il badge di Vera Young è stato passato ieri mattina alle 9.05 quando è entrata per lavorare all’edificio 1110, e pare sia stata l’ultima volta che è stato usato nel campus. Concorda con le sue dichiarazioni, vero? Quando ha provato a rientrare dal posto di guardia, si è resa conto che il badge era sparito, ed è stata costretta a richiederne uno provvisorio.»

«A proposito, non ho trovato quello temporaneo da nessuna parte» dice Butch.

«A quanto pare non l’ha usato affatto, se si esclude ieri sera» interviene Scottie. «Almeno questo ti dovrebbe tranquillizzare, giusto?»

Non è così. Io non mi fido di niente, e so che esistono metodi per aggirare il sistema, così come esistono metodi per avere segnali e frequenze quasi identiche a quelle limitrofe, il che rende più difficile identificare un intruso. Se anche fossi stata tranquilla fino a questo momento, adesso non lo sono di certo, e ho la sensazione che non lo sarò mai più.

«Non vorrei fare la figura dell’ingenuo, ma non è possibile che abbia semplicemente messo il badge nel posto sbagliato?» Butch sta aiutando Scottie a etichettare i cartoncini per le impronte latenti, e tiene il pennarello in maniera strana fra le mani guantate.

«Non se ha usato il computer per stampare la lettera di suicidio» commenta Scottie, il che ha senso. «A quel punto si sarebbe accorta per forza che il suo badge non era stato rubato e non era andato perduto.»

«A meno che la sua denuncia non fosse una bugia fin dal primo momento.»

Fran ha finito la telefonata ed è tornata sull’interfono. Viene verso di noi mentre io premo il tasto ENTER, facendo uscire il display dalla modalità sospensione.

«E per citare Alice nel paese delle meraviglie, la faccenda si fa curiosissima, sempre più curiosissima» dico a tutti. «Il computer non è protetto da una password.»

«Wow» commentano all’unisono Butch e Scottie.

«Davvero? Quando mai un contractor della NASA non proteggerebbe con la password i suoi dispositivi, soprattutto il computer?» aggiungo io.

«Mai e poi mai» commenta Fran raggiungendoci. «Sarebbero capaci di perdere la macchina nel parcheggio o di non ricordarsi il loro numero di telefono. O perfino di lasciare spalancata la porta della stanza di SIPRNet. Ma non proteggere con la password il loro computer? Impossibile.»

«Sembra esattamente la stessa lettera che ha stampato e lasciato in camera da letto.» Scottie si china ed esamina il file aperto sul display con le ultime parole di Vera Young:

A tutti gli interessati

È stato un periodo fantastico fino a quando sono stata messa su un muro e sarei caduta da qualsiasi parte mi muovessi.

Nulla può più rimettermi insieme. Ben presto capirete come possa accadere a una persona di raggiungere un luogo esistenziale che non ha più vie di entrata o di uscita. E fare l’impensabile. Essere dispiaciuta e non esserlo.

Per favore, dite a mia sorella che non mi mancherà e che ha sempre avuto ragione su di me. Le sorelle sono sempre i migliori giudici, e la mia sarebbe la prima a dire che mi sono conquistata quello che sto per ottenere.

Vorrei avere rimpianti, ma a quanto pare si tratta di un codice che non esiste più nel mio software.

00:00:00:00:0

E finisce con “Addio, per il momento”, un’altra cosa strana da scrivere in una lettera di suicidio.

Un po’ come se in futuro dovessimo avere altre notizie dall’autrice – o da altri –, il che non ha senso se la persona stava per impiccarsi. Potrà aiutarci controllare data e ora di creazione e salvataggio del file, ma non mi basta un’occhiata per saperlo perché, usando la tastiera, rischierei di cambiare i metadati o, peggio, di contaminare le prove.

Quello che ho davanti si chiama DOCUMENTO 2, il titolo di default generato dal software quando l’utente non ha ancora salvato né nominato il file: una circostanza a dir poco sfortunata e piuttosto difficile da usare in tribunale.

«Abbastanza criptico e quasi minaccioso» commenta Scottie mentre osserviamo il display del computer e la lettera. Butch, in tutto questo, continua a filmare come se stesse girando un documentario.

«Non “abbastanza” o “quasi”» rispondo. «Suona minaccioso e basta. “Ben presto capirete come una persona possa arrivare a questo punto”» dico parafrasando. «Come se stesse per succedere qualcosa di brutto.»

«Di sicuro qualcosa di brutto è successo a lei.» Fran indugia accanto alla porta aperta tenendo fuori la sigaretta, e di certo si farà almeno altri due tiri. «Qualcosa di abbastanza brutto da doversi versare addosso la candeggina e togliersi la vita, sempre che abbiamo a che fare con un suicidio. Vado a fare un rapido 10-27.» Esce senza il casco, e non la biasimo visto che anch’io ho caldo e gli occhi annebbiati.

«Sì, ma come facciamo a sapere che lo ha scritto la vittima e non qualcun altro per coprire un omicidio?» chiede Scottie.

«Al momento non lo sappiamo, infatti» concordo mentre stacco un pezzo di nastro rosso per le prove.

«In particolare se, come sembra, non serviva una password per accedere al computer, che era in piena vista sulla mensola del camino.»

Scottie mi aiuta a chiudere il sacco della spazzatura prima di trasportarlo nella nostra stanza delle prove.

Anche il computer va imballato, ma prima devo accertarmi che la nota sia stata salvata, e scopro quasi subito che è così: salvata al momento della creazione alle 15.38 di oggi, proprio quando il rilevatore di movimento è scattato nella camera di equilibrio di Yellow Submarine. La mia mente torna immediatamente laggiù.

Rifletto sul bizzarro pensiero che, nello stesso istante in cui qualcuno ha cliccato su SALVA, un rilevatore della camera di equilibrio nel 1111-A ha interrotto il mio briefing al quartier generale di Langley mandando un allarme sul mio telefono.

Un’altra delle tante stranezze. Cambio i guanti e i copriscarpe lasciando cadere quelli usati in un sacco rosso per materiali a rischio biologico che ho messo sul bancone. Tanto per essere sicura di evitare una contaminazione incrociata portando qualcosa dal salotto in camera da letto.

Mi accerto che la visiera del respiratore non sia appannata e sia al posto giusto e che il filtro funzioni correttamente. Ben decisa a non fare un errore proprio adesso, il che sarebbe troppo facile considerando che il mio umore è passato da turbato a del tutto paranoide.

“Concentrati. Concentrati. Concentrati.”

Passo il pollice sull’indice e continuo a sfregare come se potessi sentire la cicatrice attraverso i guanti.

00:00:00:00:0

«Ma perché hai lasciato Carme?» chiede mamma piangendo come un’isterica. «Perché hai fatto una cosa simile?»

Pretende una risposta che io non riesco a darle.

«Me lo ha detto lei, mamma» rispondo terrorizzata, senza capire quale sia il problema.

«Perché te ne sei andata senza di lei?»

«Mi ha detto di farmi dare un passaggio da quei signori che conosciamo dalla chiesa. I Powell.»

«Perché?»

«Non lo so, ma l’ho fatto.» Nel frattempo l’agente di Hampton in uniforme è accanto alla sua macchina e ci osserva, in attesa di trascinarmi via.

«Allora dove sei stata tutto questo tempo?»

Cerco di farle capire che non è colpa mia. Oggi i Powell sono venuti in barca alla piscina e hanno ormeggiato al circolo ufficiali. Quando mi hanno dato un passaggio per tornare, hanno detto che l’acqua era liscia come uno specchio e hanno voluto fare un giro. Mi hanno lasciata al nostro molo quando ormai era buio ed ero in ritardo per la cena. Continuo a dire che non è stata colpa mia, e sono spaventata e sconvolta come mai prima.

«Hai lasciato tua sorella, quindi è colpa tua!»

«Mi ha detto lei di farlo, non mi voleva lì!»

«Non è una scusante!»

00:00:00:00:0

Mi fermo sulla soglia, in attesa. Dapprima non muovo un muscolo, non prendo appunti, né butto giù uno schizzo del corpo, appeso alla porta dell’armadio a muro come una bambola di Halloween a grandezza naturale, con gli occhi fuori dalle orbite e la lingua che sporge come se volesse spaventarci.

Sto soffocando dal caldo nella mia tuta protettiva, con il respiratore facciale, il giubbotto antiproiettile e la fondina tattica che contiene in più le munizioni di riserva, le manette e lo spray al peperoncino. C’è anche la mia radio, a volume spento. Solo Fran prende telefonate qui dentro: per noi, tutte le comunicazioni passano dall’interfono Bluetooth attraverso i minuscoli altoparlanti nel casco. Probabilmente mi porto addosso quasi dieci chili di equipaggiamento extra e, per la seconda volta oggi, mi suda anche il cuoio capelluto, mentre faccio del mio meglio per non ascoltare Fran, a qualche metro da me in salotto.

Sta parlando con la centrale e la squadra NBC, e tutti noi sentiamo nella testa la sua voce roboante ogni volta che trasmette.

«… mentre noi ci occupiamo del 10-15, è la cosa migliore.»

Sta parlando in maniera criptica, e usa il codice dello “sversamento chimico” anziché quello di “morte sospetta”: non si può mai sapere chi c’è in ascolto.

«10-4 Alpha 3. 10-23 fino a quando bonificate.» La centrale le dice che la squadra è pronta e in attesa.

«Ricevuto.»

Neppure un’allusione al 10-14, al 10-31 o al 10-32, tutti codici esclusivi della NASA. In quanto tutori della legge per loro conto, abbiamo gli stessi problemi degli altri dipartimenti, ma anche ogni genere di rischi fuori dal comune. Comprese chiamate alla polizia relative a “personale del contractor” (la donna morta), una “portiera aperta” (il suo SUV) e “informazioni riservate non protette” (il suo computer senza password).

Tanto per citare alcuni dei nostri dieci codici, ma se per caso qualcuno ci sta ascoltando, non riuscirà a cogliere molto al di là del nostro 10-16 in questo 10-20, ovvero il nostro “controllo speciale edificio” in questo “luogo”. Non si percepisce nulla di urgente o di straordinario, Fran è una vecchia volpe, bravissima a non mandare nell’etere informazioni fondamentali, e la sua voce è fredda e uniforme.

«Bene, senza un 10-27 direi alle 22.00, magari un po’ di più.» Sta comunicando alla centrale, e alla squadra NBC, quando pensiamo di chiudere la scena e rimuovere il corpo. Ovviamente senza dire che c’è un corpo, senza divulgare nulla di importante, e la sento mentre si avvicina, percepisco la sua energia aggressiva, riesco quasi ad avvertire il fruscio della sua tuta di protezione e il sussurro dei copriscarpe di Tyvek sul pavimento di legno. Poi è accanto a me sulla soglia, e ci ritroviamo spalla a spalla, come due aspiranti Jedi nelle nostre tute tattiche grigio canna di fucile, con i caschi e le armi.

«Indovina chi sta arrivando?» La sua voce suona concitata nell’interfono, e parla con me mentre Scottie, Butch e Joan la possono sentire.

«Mah» rispondo. «Ho la sensazione che non sia Babbo Natale che fa il giro in anticipo di tre settimane.»

«So da fonti sicure che alcune troupe televisive si stanno dirigendo qui» dice Fran. Entrambe osserviamo Joan mentre fruga nella sua valigetta nell’angolo della camera da letto. «Quindi quando ce ne andremo e dovremo decontaminarci, saremo dei bersagli facili, dato che non possiamo saltare in macchina e portare il culo via di qui.»

«Mi chiedo come abbiano potuto scoprirlo» si sente la voce di Scottie dal salotto.

«Speriamo che non sia Mason Dixon» dico.

«No, non è Calendar Boy. Qualche affiliato locale, e non voglio vedere nessuno di noi al notiziario delle 23.» A Fran sta per venire un colpo. «Ma per prima cosa dobbiamo fare la doccia nel van e farla tutti, fino all’ultimo. E nulla impedirà a quelli là di accendere le telecamere e cercare di farsi gli affari nostri o di farci sembrare stupidi. Mi raccomando: la cosa più importante è non raccogliere le provocazioni.»

«La cosa migliore è ignorarli» risponde Joan mentre toglie l’involucro a un paio di pinze di plastica usa e getta.