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Il mattino seguente, Rocheblanche accompagnò i suoi due giovani amici fino alla Contrada della Misericordia, un borgo meridionale che il Padus separava dal resto della città. Alcuni lo chiamavano ancora Ferrariola, in memoria del castrum longobardo da cui si era sviluppato il tessuto urbano a nord del fiume.

Mentre superavano le mura e il ponte di barche, un sole già alto indorava la pieve di San Giorgio extra moenia e il campo del mercato, invitando una quantità di persone ad aggirarsi tra bancarelle e carri di venditori. L’intenso vociare, tuttavia, non bastava a dissipare gli incubi della notte precedente. I pensieri del cavaliere erano un moto ondivago che andava ora all’omicidio di padre Facio, ora alla malasorte che aveva colpito la famiglia di Gualtiero.

Maynard si dispiaceva di essere stato duro con il ragazzo, pur sapendo di aver agito a fin di bene. Conosceva a fondo le emozioni violente, soprattutto se instillavano veleno nel cuore. Lui stesso ne era caduto vittima, trovandosi costretto a convivere con una collera che non si estingueva mai, quasi che suo padre continuasse, giorno dopo giorno, a oltraggiare la povera Eudeline.

Posò lo sguardo sul figlio del mastro pittore e, nel vederlo camminare con aria afflitta, si sentì contagiare dalla sua stessa pena. Fino a qualche anno prima non avrebbe creduto di possedere un animo tanto sensibile. Aveva desiderato la gloria e il sangue, rincorrendo il sogno di diventare un eroe come quelli delle chansons de geste. C’erano volute umiliazione e sofferenza per comprendere quanto futili fossero tali propositi. La gloria non era che un’illusione e il sangue il marchio di Caino sui campi di battaglia. Restava la vocazione al servitium. Soltanto quella avrebbe dato significato al giuramento prestato il giorno della sua investitura. Il servizio verso i virtuosi e gli oppressi.

Mentre si orientava tra banchi di pescivendoli e canestrai, non riusciva a distogliere la mente da un ulteriore assillo. Era una questione di poco conto, eppure così fastidiosa da renderlo impaziente di risolverla. Prima di farlo, però, si impose di raggiungere il punto d’imbarco ai margini del borgo, nel posto in cui navigli privi di carena accoglievano passeggeri diretti verso la costa. Alcuni di quei natanti avrebbero senz’altro fatto scalo al Portus Abbatis di Pomposa, consentendo a Gualtiero e a Isabeau di giungere a destinazione. Non appena li ebbe individuati, ritornò all’assillante questione che aveva lasciato in sospeso. Si trattava della fanciulla. Al momento opportuno, trovò una scusa adeguata per parlarle a quattrocchi.

«Gualtiero, tenete». Porgendogli qualche moneta, gli indicò il campanile della pieve di San Giorgio che dominava il borgo. «In suffragio dell’anima di vostro padre».

Il giovane sgusciò dalla cappa di cordoglio e gli rivolse un cenno di gratitudine, lasciandolo solo con la sua protetta.

A quel punto Rocheblanche non poté più trattenersi dal rimproverarla.

 

Le pareti della pieve racchiudevano vestigia di antichi fasti. Gualtiero se ne accorse appena, oltrepassato il portale, notò drappi e paramenti sacri che un tempo avevano posseduto l’intensità del porpora e dell’oro. Di tanta sontuosità restavano ora superfici velate di polvere e ragnatele, rese ancor più tristi dal lutto che il ragazzo si portava dentro. L’occhio allenato si mosse senza il suo permesso lungo un affresco sbiadito della vita del beato Giorgio. Il santo di Cappadocia non figurava a cavallo, ma legato a una ruota dentata, nell’attimo del martirio. La sua posa sofferente, così diversa dal fiero contegno con cui era solito apparire, lo commosse al punto da riportarlo al motivo della sua presenza in quel luogo.

Camminò verso il ricettacolo delle offerte e vi lasciò cadere le monete ricevute da Maynard, accompagnandole con una preghiera. Gli parve strano comportarsi in quel modo in un ambiente che associava di solito al lavoro. Aveva mosso i primi passi proprio in una chiesa, dinanzi al padre intento a decorare un’arcata, e da allora non aveva mai smesso di seguirlo attraverso le terre che correvano dall’Appennino al mare, fra basiliche e pievi, imparando poco per volta il mestiere, fino a sviluppare una maestria tale da aiutarlo, se non addirittura da superarlo. Era stata proprio tanta bravura ad allontanarli, fomentando nei loro cuori la superbia e l’invidia. Ora però Gualtiero non provava più quel genere di risentimento. Ed era certo che anche Sigismondo, ovunque si trovasse, non provasse più rancore nei suoi confronti. Anzi, posava su di lui il suo sguardo benevolo, proteggendolo come mai aveva fatto in vita. Il giovane lo avvertiva con chiarezza. Non si sarebbe spiegato altrimenti la forza d’animo con cui aveva assistito all’impiccagione, né la determinazione che ora lo spingeva a mettersi alla ricerca della madre.

Non gli era sembrato il caso di insistere con Rocheblanche. Comprendeva le sue ragioni e si sentiva onorato dell’amicizia che gli aveva concesso. Tuttavia non avrebbe atteso il suo placet. Benché ignorasse il motivo per cui sua madre era stata arrestata e condotta con la massima segretezza ad Avignone, non l’avrebbe abbandonata alla mercé di uomini malvagi.

Doveva riflettere su come agire – in questo era d’accordo con il cavaliere – ma non appena avesse racimolato abbastanza denaro, si sarebbe messo in viaggio. Sapeva già a chi rivolgersi.

Tornò a ruminare il Requiem, colto dall’impressione che l’ambiente intorno a sé stesse mutando. Era come se la curva dell’abside, le pareti e le volte a botte vibrassero, assumendo la forma di grandi ali piegate su di lui. Abbassò le palpebre, ritrovandosi in un mondo ovattato in cui il dolore si tingeva di colori vividi, quasi accecanti, ma che per la prima volta riuscì ad accogliere dentro di sé senza soccombere alla disperazione.

Requiem aeternam dona eis, Domine

Mentre saggiava quel calice di sofferenza, capì per la prima volta il significato di entrare in una chiesa per cercare la consolazione di Dio.

 

«Vi avevo lasciata a Pomposa, sotto la protezione dei monaci. Perché avete seguito il ragazzo?».

Isabeau abbassò il capo, chiudendosi in un mutismo che fece innervosire Maynard.

«Ve l’ha chiesto lui?», indagò l’uomo.

Ottenne un cenno di diniego.

La tentazione di prenderla a schiaffi gli provocò un formicolio alle mani. Si trattenne, disgustato all’idea di battere una fanciulla. Inoltre, pensò, non aveva alcun diritto di farlo. Prima del loro incontro, lungo la Via Francigena, Isabeau aveva vissuto libera, senza regole o vincoli che potessero limitare le sue scelte. Ciò, insieme all’abbandono da parte dalla madre, l’aveva resa schiva e diffidente, facendola maturare più di quanto lasciasse intendere la sua età. «Comunque sia», Maynard usò il tono più autorevole possibile, «esigo che non lo facciate mai più. Ho giurato di prendermi cura di voi e…».

«Mi avete mentito».

Fissò l’espressione indurita della ragazza. «Cosa intendete?», le chiese, quasi fosse lui quello sotto rimprovero.

«Mi avete abbandonato in quell’abbazia», lo accusò. «Temevo non voleste fare più ritorno».

Rocheblanche distese lo sguardo. «Mia cara, rammentate cosa vi dissi sulla missione che devo compiere?».

La ragazza lo squadrò con i suoi strani occhi, uno verde e l’altro azzurro. «Diceste soltanto che quando l’avreste portata a termine…».

«Sì, dissi proprio così», la rassicurò lui, accarezzandole il viso. «Dissi che sarei tornato in Francia e che vi avrei portato con me. Ho promesso, Isabeau, e un bravo cavaliere mantiene sempre la parola data. Per poterlo fare, dovrò restare ancora in questa città e concludere la mia missione».

«Permettetemi di aiutarvi, allora».

«Mi aiuterete restando al sicuro. All’abbazia di Pomposa, insieme a Gualtiero». Attese che la fanciulla annuisse ancora, poi accennò un sorriso. C’era un’ultima cosa che voleva imprimerle nella mente. «E rammentate», si raccomandò, «agli occhi dei fratres dovrete continuare a essere mia sorella». Tralasciò di spiegarle il motivo per non dispiacerla. L’abate Andrea aveva accettato di tenerla in custodia soltanto perché la credeva una fanciulla di nobili natali, una Rocheblanche. Maynard non era in grado di stabilire come avrebbe reagito il reverendo, se l’avesse saputa orfana di un misero guitto. «Al vostro ritorno, racconterete ai monaci pomposiani che siete fuggita per venire a trovarmi. Null’altro».

La ragazza si aggrottò. «Significa che non mi accompagnerete fino all’Insula Pomposiæ

«Non posso, ve l’ho detto. Questioni urgenti mi attendono». E scorgendo un lungo burchio attraccato ai margini della riva, capì di aver trovato la barca che faceva al caso suo. «Ora siate gentile», disse alla ragazza, «andate a chiamare Gualtiero mentre io mercanteggio con questi marinai d’acqua dolce».

 

 

L'abbazia dei cento delitti
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