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Abbazia di Santa Maria di Pomposa
16 ottobre
Padre Andrea camminava avanti e indietro per la sacrestia sotto gli occhi attenti di Fiumano. Per un paio di volte fu sul punto di inginocchiarsi davanti a un crocifisso tempestato di pietre preziose, quasi anelasse al consiglio divino, per poi riprendere a muoversi concitato. A pochi passi da lui, l’irrequieto Gualtiero stava in piedi accanto all’uscio, in attesa che il religioso si desse pace. Quando gli aveva chiesto un’udienza privata per informarlo sui fatti, non si era certo aspettato una reazione così concitata.
«Oh, se avessi saputo…», ripeteva l’abate, battendosi la fronte. «Non l’avrei mai permesso… No, Signore mio! Mai e poi mai!».
«È stato necessario», mormorò il giovane.
Il reverendo si fermò di scatto. «Necessario?», snocciolò. «Uccidere degli uomini? Dare alle fiamme il palazzo del vescovo?».
Gualtiero sostenne il suo sguardo. «Tenevano in ostaggio Isabeau».
«Svegliatevi, figliolo! È stata una rappresaglia!».
«Messer Maynard ha semplicemente voluto fare giustizia».
«Ha voluto vendicarsi», lo contraddisse l’abate, battendo un piede sul pavimento di cocciopesto. «Se quel che mi avete riferito è vero, la sua faida con il visdomino va al di là di ogni nostra immaginazione».
«E anche se fosse?», si oppose il ragazzo, lasciandosi trascinare dalla foga. «Ha ucciso un uomo crudele. San Tommaso non avrebbe esitato un istante ad assolverlo».
Al sentir nominare il Dottore Angelico, il venerabile Andrea si inalberò. «Vox populi, vox ignorantiæ!», esclamò. «Anche se l’Aquinate giustifica l’eccidio dei malvagi, non ammette certo l’uso della violenza. Far giustizia spetta ai principi, non agli animi avventati».
Il giovane de’ Bruni gli si avvicinò a pugni stretti, dando sfogo allo sdegno che aveva nel cuore. «Tanta indignazione per un malvagio, e non ne mostraste la metà per la morte di mio padre!». Lo fissò minaccioso, facendolo arretrare. «Tutti uguali, voi uomini di potere. Sempre pronti ad azzannarvi, ma anche a spalleggiarvi alla presenza del popolo!».
«Come osate?», avvampò il religioso. «Rimangiatevi subito le vostre parole, oppure io…».
Gualtiero lo ammutolì con un gesto sprezzante. «E se Rocheblanche avesse davvero cercato vendetta? Magari ci fossi riuscito io! Magari!». Abbozzò un sorriso amaro, quietando le fiamme dell’ira. «Ma Isabeau è salva, e tanto mi basta».
Curvo sulle spalle, Andrea rimase ad ascoltare con aria contrita. «Isabeau…», ripeté. «L’avete… condotta qui?»
«So bene quanto vi sia importuna», disse il giovane senza infierire. «L’ho riportata dalle monache di Sant’Antonio Abate, su consiglio di Vermandois».
L’abate contemplò il prezioso crocifisso appeso al muro, poi il levriere acquattato in un angolo, mentre un nuovo dubbio prendeva forma nelle sue iridi. «Perché messer Robert non è qui con voi?», chiese d’un tratto, preoccupato.
«Mi ha messo sulla strada maestra ed è tornato a Ferrara. Intende informarsi sul destino di Maynard».
«Oh, santo cielo! È forse impazzito? Finirà per farsi arrestare dai birri».
Stupito da quella reazione, il giovane si chiese se tanta pena per uno sconosciuto fosse legata a un secondo fine. Non era un mistero che Vermandois avesse lasciato in deposito a Pomposa un forziere pieno di monete. «Messer Robert si sente in dovere nei confronti di Rocheblanche», spiegò. «Il loro legame va oltre l’amicizia. È una questione di devozione reciproca, oserei dire».
«E voi, Gualtiero? A chi siete devoto?». Andrea lo fissò combattivo. «Ho mostrato fin troppa indulgenza nei vostri confronti, pazientando e sopportando imprevisti senza batter ciglio. Ma ora basta, pretendo da voi una risposta».
Il ragazzo, spiazzato, aprì le braccia in modo arrendevole. Le emozioni della notte precedente gli avevano fatto completamente dimenticare le mire dell’abate. «Non sono degno della vita contemplativa», ammise d’un tratto.
«Secondo me, sareste invece un eccellente novizio».
«Ho ucciso un uomo».
Padre Andrea sbarrò gli occhi. «Quand’è successo?»
«Stanotte, nel palazzo del vescovo». Gualtiero appoggiò la schiena contro una parete e, colto da un’improvvisa spossatezza, si lasciò scivolare giù fino a sedere per terra. «Ho dovuto farlo», proseguì. «Per liberare Isabeau».
«Ah, quella femmina!».
«Lei non ha colpa».
«Provate almeno rimorso?»
«Rimorso?». Gualtiero compì un rapido esame di coscienza, sempre più desideroso di restare solo e di smettere di pensare. «No, reverendo. Soltanto il sollievo di essere ancora vivo».
L’abate si chinò su di lui. «Dovete pentirvi, figliolo», lo ammonì. «Siete ancora in tempo! Accogliete Dio nel vostro cuore…».
«Perché mai?», si stizzì. «Voi forse riuscite a udirlo?».
Il reverendo abbozzò una smorfia dolente. «Una volta lo udii, sì», gli confidò. «Vivo per il momento in cui accadrà di nuovo».
Gualtiero posò le mani sul freddo pavimento, cercando la forza per rialzarsi. «Il momento che attendo io, invece, è quello in cui rivedrò mia madre».
«Siate ragionevole», insistette il religioso. «L’ansia offusca il vostro intendimento».
«Non è l’ansia a dominarmi. Non più, da quando so che mia madre mi mentì. Ora voglio conoscere la verità, e scoprire chi sono veramente. Non posso continuare a vivere nel dubbio».
«Non capisco… Di quali menzogne state parlando?»
«È stato Rocheblanche a scoprirlo, per me».
«Rocheblanche?».
Gualtiero si avvicinò all’uscio, ma esitò ad andarsene. «Perché vi stupite?», ribatté. «Non condividete anche voi, forse, dei segreti con quell’uomo?»
«Se accennate al libro di cui vi parlavo…», accennò Andrea.
«Non mi riguarda», tagliò corto il ragazzo. «Sappiate comunque che ho recapitato il vostro messaggio». E sparì dalla sua vista.
L’abate restò da solo, nella penombra della sacrestia. «Dopo quanto è successo», mormorò, «dubito che servirà a qualcosa».