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Abbazia di Santa Maria di Pomposa

28 febbraio, dopo le laudi

 

Gualtiero si recò all’appuntamento in sacrestia, eccitato per l’imminente partenza. Nonostante le recenti incomprensioni, desiderava accomiatarsi dall’abate come si addiceva a due persone che nutrivano reciproca stima. Era però risoluto a non lasciarsi né intimorire né persuadere a cambiare idea. Quel giorno avrebbe iniziato il cammino verso la Francia, con o senza la benedizione del padre spirituale di Pomposa.

Padre Andrea lo attendeva di fronte a un leggio, assorto nella lettura. Appena lo vide gli fece cenno di avvicinarsi. «Avete indossato gli abiti da viaggio», osservò con un’alzata di sopracciglio.

«Messer Robert mi sta aspettando nella corte», ribatté il ragazzo.

Il religioso annuì con lentezza. Poi, con un gesto di una lentezza indicibile, estrasse dalla tasca della tonaca una scarsella. «Vi rendo i vostri quindici fiorini d’oro».

Gualtiero lo scrutò con meraviglia. «Quindi… ho la vostra approvazione».

«Avete la mia resa», sospirò l’abate. «In questi mesi ho cercato di incoraggiare il vostro talento, nella speranza di consacrarlo a uno scopo più alto. Solo ora mi rendo conto di aver fallito».

«Al contrario, mi avete reso una persona migliore», lo contraddisse Gualtiero. «Lavorando nello scriptorium di Pomposa ho appreso più di quanto immaginiate. Non vi sarò mai grato abbastanza».

Il reverendo parve aggrapparsi a un’estrema speranza. «Non è ancora tardi per tornare indietro», proferì. «Pensateci bene, figliolo, prima di commettere una grave imprudenza».

Il giovane de’ Bruni scosse il capo. «Io invece ho il sentore di aver già perso fin troppo tempo», affermò. «Devo partire. Adesso».

Andrea scrutò la sua espressione ostinata, e si adombrò. «Siete davvero sicuro della vostra scelta? Andrete incontro a un’impresa piena di insidie mortali. Voi non sapete cosa stia accadendo in questi giorni… Non avete idea del tremendo flagello che funesta la terra».

«Alludete al morbo che ha colpito messer Maynard?»

«Per l’esattezza. Allontanarvi da Pomposa equivarrebbe quasi di certo a caderne vittima».

Gualtiero rammentò il pallore cadaverico sul volto di Rocheblanche e si sentì raggelare. D’altro canto, aveva vissuto abbastanza tra i dotti amanuensi da sapere cosa fosse l’ignavia. «Sarà fatta la volontà di Dio», sancì.

«Dio!», proferì Andrea con una risata secca. Aprì le braccia e iniziò a camminare per la stanza, sempre più amareggiato. «C’è stato un momento in cui credevo di averlo scorto in voi», rivelò, «e invece… guardate! Si è fatto beffe di me, per l’ennesima volta».

«Si è fatto beffe di noi tutti», ribatté il giovane, ignorando a cosa alludesse l’abate. Percepiva il suo conflitto interiore e provò una punta di dispiacere. «Tuttavia», aggiunse, «non posso venir meno ai miei impegni».

Il religioso si fermò di colpo, accennando un gesto rassegnato. Sembrava aver placato il proprio rovello, almeno per ora, o forse aveva semplicemente rinunciato a vincere quella battaglia. A ogni modo, dopo quello sforzo di dominarsi si mise di fronte a Gualtiero e abbozzò un sorriso conciliante. «Spero abbiate ragione, davvero», confessò. «E spero con tutto il cuore di rivedervi».

«Lo spero anch’io», disse il ragazzo, rasserenato. Strinse le mani che gli venivano offerte, poi si rammentò di una cosa importante e porse all’abate un piccolo lembo di pergamena arrotolato. «La mia ultima richiesta è che affidiate a uno dei vostri colombi questo messaggio».

«La destinazione?», chiese Andrea, incuriosito.

«Il convento di Sant’Antonio Abate».

«Ho inteso, non c’è bisogno di altri chiarimenti. Prometto che oggi stesso solcherà l’aria».

«Sarebbe meglio domani, affinché giunga quando io sarò già lontano».

«Come desiderate».

Gualtiero manifestò la propria riconoscenza con un inchino. «Ancora una volta, vi sono debitore», e fece un passo indietro per prendere congedo.

«Ancora un attimo, figliolo», lo trattenne il reverendo. «Strada facendo potreste essere costretto a giustificare la vostra condizione di ramingo, con il rischio di correre disavventure». Si avvicinò dunque al leggio e prese un foglio di pergamena contrassegnato da un sigillo. «Ho vergato questo salvacondotto per voi».

Non appena l’ebbe tra le mani, il giovane esaminò il documento. «Di cosa si tratta?»

«Questa charta», rispose Andrea, «dichiara che state compiendo un pellegrinaggio verso la meta di San Giacomo maggiore, a Compostela. Se la terrete sempre con voi, nessun birro o borgomastro in cui vi imbatterete lungo il tragitto potrà accusarvi di vagabondaggio».

«Reverendo padre, troppa generosità…».

Il religioso si schermì con un gesto bonario e gli porse una conchiglia simile a un ventaglio, completamente striata. «Prendete anche questa», disse. «Affinché al vostro ritorno possiate dimostrare di essere stato nel luogo di cui parla la pergamena».

Gualtiero ripose il salvacondotto e la conchiglia di San Giacomo nella bisaccia, quindi accennò un saluto.

Prima di accomiatarsi, l’abate gli pose le mani sulle spalle e si oscurò. «Messer Maynard aveva ragione sul conto del vescovo», gli confidò con un bisbiglio. «Nel caso in cui, un domani, doveste avere a che fare con lui, guardatevi sempre le spalle».

 

Quando Gualtiero uscì dall’abbazia, trovò Robert de Vermandois già in sella al suo destriero. Gli bastò un’occhiata sul suo volto imbronciato per intuire che si fosse recato alla farmacia per rivolgere l’estremo saluto a Rocheblanche. Quel pensiero lo intristì oltre ogni dire.

«Svelto, salite a cavallo», lo incitò burbero il piccardo. «Il viaggio inizia!».

L'abbazia dei cento delitti
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