71

 

 

 

Insula Pomposiæ, confini meridionali

29 marzo

 

 

Dopo aver frenato il carro nel fitto delle frasche, Rocheblanche sollevò tre volte la lanterna e attese che il nero profilo del burchio attraccasse lungo la riva. Seguì l’operazione seduto alla cassetta, avviluppato nel mantello per difendersi dall’umidità della nebbia. La primavera stentava a farsi sentire, come se la maledizione della peste avesse corrotto l’alternarsi delle stagioni. E solo Dio sapeva quanto l’infelice umanità anelasse un tiepido sole.

Appena lo scafo ebbe toccato la sponda, un gruppo di contrabbandieri sbarcò da prua per scaricare una modesta quantità di anfore e barili. Il cavaliere fece cenno di riporli sul pianale alle sue spalle, ma mantenne lo sguardo sull’uomo nerboruto che gli stava andando incontro con il consueto atteggiamento furtivo, quasi vivesse nel perenne timore di essere spiato da qualcuno. «E le giare d’olio?», domandò Maynard, senza degnarsi di rivolgergli un saluto.

Oreste sputò a terra. «L’olio non si trova più», e accarezzò uno dei buoi aggiogati al carro. La sua mano era così grande da coprirne l’intera fronte. «Il resto però c’è tutto».

Rocheblanche attese che i marinai terminassero il carico, quindi estrasse un sacchetto di monete da sotto il mantello e lo soppesò sul palmo. «Se non sbaglio, avevo chiesto anche delle pastiglie di triaca16».

Con un sospiro cavernoso, il gigante slacciò un piccolo involto assicurato alla cintura. «Sono le ultime», dichiarò. «Da qui a Pavia, ogni bottega di speziale è stata messa al sacco».

Il francese se le fece consegnare. «Ci sono ancora vittime?», lo interrogò poi. Non ottenendo risposta, si accorse che l’interesse del contrabbandiere era tutto per il suo sacchetto di monete. Glielo porse senza indugio. «Ottanta fiorini», mormorò. «Come pattuito».

«Sta bene, messere».

Dopo aver richiamato gli uomini, Oreste ripiegò verso lo scafo del natante. Soltanto all’ultimo parve rammentarsi della domanda che gli era stata posta e si voltò di nuovo verso il cavaliere. «Ci sono ancora vittime, sì», disse cupo. «Muoiono come mosche».

 

Le dita premute sulla fronte, padre Andrea rimase per tutto il mattino a fissare la porzione di cimitero visibile dalla finestra, incapace di fugare il ricordo di un oscuro esametro udito chissà dove. Lo ruminava di continuo, a denti stretti, suscitando la curiosità di Fiumano acciambellato accanto a una parete.

Florida me genuit nigrantem corpore tellus17

Nove croci erano state conficcate di fresco nel terreno. Nove confratelli rapiti da quella tetra notte partorita dalla terra. E l’abate non aveva potuto che piangere, invocando la clemenza di un dio muto e sfuggente. Si era dedicato alla preghiera come non gli capitava da anni, steso sul freddo pavimento, mentre una fiamma creduta estinta si ravvivava nell’intimo, giorno dopo giorno, nutrita dal dolore. Ma a nulla era valso un simile raccoglimento, se non a instillargli il sentore di una gravosa vocazione.

Lasciate ogni cosa e seguitemi.

Sì, ancora una volta.

Lasciare ogni certezza, persona e ambizione.

Lasciare i suoi monaci alla morte.

Andrea asciugò una lacrima e continuò a fissare le nove croci, sforzandosi di scrutare oltre l’inganno del mero divenire. I suoi confratelli non giacevano sotto a uno strato di fetida terra, tediati dal beccare dei corvi. No. Al pari di qualsiasi altro beato, erano ascesi come pura luce fino al seno di Abramo, nell’attesa che il Giudizio Universale schiudesse le porte del paradiso.

Non era questa, forse, l’aspirazione suprema di un monaco? L’abate si impose di gioire per tutti coloro che avevano subìto i travagli della vita mortale e ora venivano cullati nell’abbraccio eterno. Ma provare gaudio era davvero troppo, quasi un insulto all’infelice genere umano. Snocciolò un silenzioso Requiem dedicato a ogni vittima della peste, dell’ingiustizia e della violenza, lasciandosi andare alla deriva dello sconforto finché non sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

«Non rammaricatevi per chi già si trova nella casa del Padre».

Si voltò con lentezza, trovando il vescovo alle sue spalle. «Non mi rammarico per loro, bensì per me stesso». Cercò di trattenere un crescendo d’angustia, ma dopo tanto rimuginare si sentiva bisognoso di comprensione. «Un tempo non lontano ambivo a una grande rinascita spirituale», confessò d’istinto. «Ero superbo, arrogante… Però almeno nutrivo dei sogni!». Si allontanò dalla finestra con il capo chino, covando un’antica rabbia. «Ora invece guardatemi! Sono in ginocchio, spezzato dal lutto e dalla disillusione».

«Siete ancora in tempo», lo consolò il prelato. «Questa piaga cesserà. E voi… voi…».

«Non ho più speranza, eccellenza. Mi mancano le forze e le sostanze».

«Vi aiuterò io, come avete fatto voi con me».

L’abate colse l’espressione benevola di Guido di Baisio e ne rimase commosso, oltre che meravigliato, ma represse sul nascere la tentazione di accettare. «Così mi disonorate», proferì con durezza. «Non ho mai preteso di ottenere regalie in cambio dell’ospitalità. E nel caso vogliate indurmi a persuadere Rocheblanche, sappiate che non sono incline a vendere la mia lealtà».

Tutt’altro che offeso, il vescovo accennò un garbato diniego. «Sospettavo che non avreste tradito messer Maynard, e non ve ne faccio una colpa. Del resto, è merito di quell’uomo se abbiamo ancora di che sfamarci. È un cavaliere di nobili principi, benché inquieto e sospettoso. Sa Dio quanto avrei voluto fargli aprire gli occhi… ma come si suol dire, amen!».

«Quindi rinunciate a informare du Pouget?», chiese d’impulso Andrea.

«Non è affar vostro», ribatté Guido, aggrottando la fronte. Senza mostrar più interesse per la conversazione, ripiegò verso una rampa di scale diretta alla biblioteca. Si voltò un’ultima volta, di sfuggita. «A prescindere dallo sviluppo degli eventi, la mia offerta di aiuto resterà sempre valida», rimarcò. «Vi devo la vita, reverendo padre».

L’abate rimase solo con il pungolo del dubbio. Il cordoglio, l’abbattimento e lo stupore scemarono tempestivamente al pensiero di quel repentino sbalzo d’umore. Era bastata una domanda per irritare il vescovo, un minimo accenno ai segreti di Rocheblanche. Seguì il rumore dei suoi passi diretti al piano superiore, chiedendosi se fosse il momento giusto per attuare il suo piano. Era probabile che sua eccellenza si fermasse davanti allo scaffale dei messali, com’era solito fare quasi ogni giorno, poco prima di pranzo, lasciandogli il tempo di…

Andrea represse un fremito. La mente galoppava veloce, pericolosa.

“Agisci ora”, si disse.

Ancor prima di aver concluso quel pensiero, si stava incamminando verso lo studio.

Entrò di soppiatto, quasi dimentico di varcare un ambiente che fino al mese prima era stato riservato alla sua persona. Ora invece era diventato l’impero di Guido, il labirinto di registri e scartoffie in cui il vescovo di Ferrara operava nel più assoluto riserbo, senza lasciar trapelare nulla.

Tuttavia, durante la convivenza forzata nel palatium, Andrea lo aveva osservato abbastanza da imparare le sue abitudini. Era sicuro che appuntasse i dati della propria corrispondenza in un cartulario che teneva nascosto sotto un plico di documenti.

Fece cenno a Fiumano di starsene al suo posto e si avvicinò allo scrittoio, meravigliato di quanto fosse mutata la disposizione sopra di esso. Guido di Baisio era uno scrivano caotico e morboso, avvezzo ad annotare qualsiasi cosa per il timore di dimenticarsene. Ed era disordinato oltre ogni dire.

L’abate dovette frugare ben più del previsto per trovare quello che cercava.

Il cartulario, a quanto pareva, non stava più sotto la pila di incartamenti. Era finito ai margini del ripiano, infilato a mo’ di segnalibro fra le pagine di un poderoso volume di aenigmata.

Singolare associazione, pensò Andrea.

L’aprì, imbattendosi in un elenco di date e località, affiancato in alcuni casi da brevi postille. Come previsto, sua eccellenza aveva stilato un elenco delle missive inviate da Pomposa nelle ultime cinque settimane, omettendo però i nomi dei destinatari. Comparivano soltanto le città di residenza. Ferrara, Bologna, Rimini, Firenze, Roma… Pareva stesse tessendo una rete di contatti per verificare la diffusione del soffio pestifero, ma non solo. Dai brevi appunti vergati a margine della lista trapelavano riferimenti a spostamenti di denaro, citazioni teologiche e disposizioni per amministrare beni ecclesiastici. Assai poche, d’altro canto, erano le lettere che avevano ottenuto risposta. Con estrema diligenza, il vescovo aveva segnalato queste ultime con una crocetta a margine.

Non era il caso di una missiva partita per Avignone il primo di marzo.

Andrea si asciugò un velo di sudore dalla fronte, tremando al pensiero di cosa avesse scritto Guido di Baisio in quella lettera. E a chi l’avesse indirizzata. Che non fosse giunta a destinazione era un ben misero conforto, paragonato alla determinazione del vescovo.

Un rumore di passi risuonò dal piano superiore.

Temendo di vedere sua eccellenza scendere le scale, l’abate chiuse il cartulario e fece per riporlo dove l’aveva trovato, ma nella fretta gli scivolò di mano.

Aggirò lo scrittoio e si inginocchiò per raccogliere il piccolo registro. Era finito ai piedi dello scranno, e battendo a terra si era aperto sull’ultima pagina.

Prima di richiuderlo, Andrea diede una scorsa e sobbalzò.

«Oh mio Dio…», si lasciò sfuggire con un filo di voce.

Altri passi, più vicini, lo indussero a non indugiare. Sistemò il cartulario dove l’aveva trovato e uscì con il cuore in gola dallo studio.

 

Maynard frenò i buoi davanti alla facciata dell’abbazia e balzò giù dal carro, lieto di vedere un spicchio di sole occhieggiare tra le nuvole. Non fece in tempo a controllare se il carico avesse resistito al tragitto che udì una voce alle proprie spalle.

Si meravigliò di scorgere padre Andrea spuntare di soppiatto da una siepe.

«Reverendo…», mormorò il cavaliere.

«Devo sbrigarmi, se non voglio che noti la mia assenza…».

Rocheblanche colse l’allusione al vescovo e lo invitò a parlare.

«Ha inviato una lettera ad Avignone», disse in fretta Andrea, «ma non ha ancora ricevuto risposta».

«È presto per sperare che si sia smarrita».

«Non è questo a preoccuparmi», continuò l’abate. «Tra i suoi appunti ho trovato delle citazioni latine sul Lapis exilii. Temo si tratti del vostro enigma. Guido deve averlo trascritto prima di consegnarvelo».

Maynard lanciò un’imprecazione. «Ne rammentate il contenuto?»

«No messere, l’ho avuto sotto gli occhi soltanto per un attimo. È un testo di sei righe, e a giudicare dagli appunti scritti a margine pare che il vescovo stia cercando di comprenderne il significato».

Il francese annuì mesto. «Se così stanno le cose, preghiamo il Signore che fallisca nell’impresa», e consegnò all’abate l’involto con le pillole di triaca. «Ora andate. Rientrate nel palatium prima che quella serpe vi scopra».

 

 

 

16 La triaca, o “principe dei medicamenti”, era un miscuglio di sostanze inerti, oppiacei, estratti di vipera e polvere di rospo. Già dai tempi di Galeno era reperibile anche in pastiglie (trocisci).

17 “La florida terra mi partorì nera dal suo corpo”. Aenigmata Aldhelmi, XCVII (Nox).

L'abbazia dei cento delitti
EN977.xhtml
Section0001.xhtml
Section0002.xhtml
Section0003.xhtml
Section0004.xhtml
EN977-1.xhtml
EN977-3.xhtml
Section0009.xhtml
EN977-5.xhtml
Section0012.xhtml
EN977-6.xhtml
EN977-7.xhtml
EN977-8.xhtml
EN977-9.xhtml
EN977-10.xhtml
EN977-11.xhtml
Section0005.xhtml
Section0007.xhtml
EN977-12.xhtml
EN977-13.xhtml
EN977-14.xhtml
EN977-15.xhtml
EN977-16.xhtml
EN977-17.xhtml
EN977-20.xhtml
EN977-21.xhtml
EN977-22.xhtml
EN977-23.xhtml
EN977-24.xhtml
EN977-25.xhtml
EN977-26.xhtml
EN977-27.xhtml
EN977-28.xhtml
EN977-29.xhtml
EN977-30.xhtml
EN977-31.xhtml
EN977-32.xhtml
EN977-33.xhtml
Section0008.xhtml
EN977-34.xhtml
EN977-35.xhtml
EN977-36.xhtml
EN977-37.xhtml
EN977-39.xhtml
EN977-40.xhtml
EN977-41.xhtml
EN977-42.xhtml
EN977-43.xhtml
EN977-44.xhtml
EN977-45.xhtml
EN977-46.xhtml
EN977-47.xhtml
EN977-48.xhtml
EN977-49.xhtml
EN977-50.xhtml
EN977-51.xhtml
EN977-52.xhtml
EN977-53.xhtml
EN977-54.xhtml
EN977-55.xhtml
EN977-56.xhtml
EN977-57.xhtml
EN977-58.xhtml
EN977-59.xhtml
EN977-60.xhtml
EN977-61.xhtml
EN977-62.xhtml
Section0010.xhtml
EN977-63.xhtml
EN977-64.xhtml
EN977-65.xhtml
EN977-66.xhtml
EN977-67.xhtml
EN977-68.xhtml
EN977-69.xhtml
EN977-70.xhtml
EN977-71.xhtml
EN977-72.xhtml
EN977-73.xhtml
EN977-74.xhtml
EN977-75.xhtml
EN977-76.xhtml
EN977-78.xhtml
EN977-79.xhtml
EN977-80.xhtml
EN977-81.xhtml
EN977-82.xhtml
EN977-83.xhtml
EN977-84.xhtml
EN977-85.xhtml
EN977-86.xhtml
EN977-87.xhtml
EN977-88.xhtml
EN977-89.xhtml
EN977-90.xhtml
EN977-91.xhtml
EN977-92.xhtml
Section0011.xhtml
EN977-93.xhtml
EN977-94.xhtml
EN977-95.xhtml
EN977-96.xhtml
EN977-97.xhtml