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Lovatier ordinò al servo di versare sulle sue mani l’acqua calda dalla brocca. Le strofinò l’una contro l’altra, quasi cercasse di mondarsi dai segni delle orribili torture cui aveva sottoposto il corpo del povero Madir. Poi sedette sotto l’ampio patio ad aspettare l’arrivo del visir.
Bahir Hadi non nutriva grande considerazione nei confronti degli europei e, dopo tutto il tempo speso a brancolare nel buio, aveva smesso di avere fiducia anche nel generale Lovatier. Giunse alla villa accompagnato dalla solita dozzina di militari armati. Scese dalla portantina montata tra le gobbe del cammello e si avviò all’interno della recinzione seguito da alcuni soldati che lo abbandonarono poco prima che raggiungesse il patio. Lì, davanti alla spianata che scendeva verso il Mediterraneo, potevano parlare dei loro affari privati in tutta tranquillità. Parlottarono per un po’: il francese mise al corrente il visir dell’ultima nefandezza e delle sue paure.
«Madir la guida ha resistito sino all’ultimo», disse Lovatier. «Sono convinto che ci abbia taciuto qualche cosa. Ma solo Saud può aver capito ogni sfumatura delle sue parole. Abbiamo preferito liberarci subito del corpo. Se davvero si tratta di Bardellini, ogni passo falso potrebbe costarci caro.»
«Chiamalo, allora», disse il visir.
«Sta effettuando la ’pulizia’ assieme a Hilmi, l’uomo che ha sostituito Hussam dietro tua indicazione. Il tempo per raggiungere la foce del fiume e scaricare il pasto per i coccodrilli. Tra non molto dovrebbe essere qui», rispose Lovatier.
«Stiamo perdendo troppo tempo, generale!» disse il visir spazientito.
«La responsabilità è anche dei tuoi uomini e del loro modo di affrontare... le situazioni scomode.»
«Non mi pare che ti tiri indietro, però. Va bene, aspettiamo che Saud ritorni.»
Bardellini si era lasciato scivolare in mare pochi passi prima del muro di cinta che avanzava sin oltre il bagnasciuga. Lo aveva aggirato, tenendo pistola e coltello fasciati negli abiti sopra alla testa. Aveva così evitato la recinzione e, circospetto, era risalito lungo la riva.
Sotto al patio, illuminati dalle lampade, si trovavano i mandanti di tanti morti innocenti. Le ultime parole del generale e del visir diedero a Raimondo la conferma di ciò che già sapeva: anche Madir era stato ucciso per arrivare al tesoro.
Cieco di rabbia, Bardellini strisciò sino alla casa.
«Sono sempre più convinto che la chiave di volta sia la vedova Belzoni», disse Lovatier. «Devo tornare in Europa al più presto, una volta sistemato l’occidentale sulle nostre tracce, chiunque sia.»
«Ti ricordo che, dal Belgio alla Francia, ci sono un sacco di poliziotti che fremono per rivolgerti qualche domanda. È ancora presto perché tu lasci l’Egitto», suggerì Bahir Hadi.
«Potresti andarci tu, inventati una missione ufficiale. Nessuno indagherà sui tuoi accompagnatori. Avrai maggiori possibilità di me per giungere al segreto della vedova», disse il generale.
«Non è facile: sono momenti turbolenti con la minaccia ottomana sempre presente. Non credo che il pascià autorizzerà una missione in Europa. Ma ci posso sempre provare.» Negli occhi del visir un lampo di cupidigia: quello poteva essere il primo passo per prendersi la reggenza della loggia del Sole di Iside e sbarazzarsi di Lovatier, diventato ormai scomodo.
«Dobbiamo rapire la vedova e interrogarla...»
Lovatier era seduto sul divano. Bardellini gli afferrò il capo da dietro, il pugnale stretto in mano.
«Non rapirai più nessuno, maledetto assassino!» Affondò la lama, recidendo la carotide del generale.
Il visir indietreggiò. Ma la mossa di Raimondo fu fulminea. In un attimo la pistola comparve nella sua mano. Si avvicinò al visir, lo afferrò alle spalle e gli premette la canna alla tempia: «Adesso dirai ai tuoi di lasciarci uscire da qui».
«Sei pazzo! Non riuscirai mai a cavartela», disse tremante Bahir Hadi.
«Cammina e fai silenzio.»
Bardellini sapeva che all’interno della sala si trovavano alcuni degli uomini di scorta del visir. Ne avrebbe incontrati altri fuori dalla villa. Era consapevole che sarebbe stato assai difficile abbandonare l’Egitto. Ma poco gli importava: quell’assassino di Lovatier giaceva a terra con la gola recisa. La vita del visir era nelle sue mani. Ed era convinto di aver interrotto la scia di sangue che conduceva a Sarah Belzoni. Lei aveva poco da condividere con quella gente e con la loro bramosia di ricchezza.
Gli uomini all’interno della casa soggiornavano nel salone, giusto a ridosso del patio. L’azione del veneto era stata talmente fulminea che non si erano accorti di nulla. Alcuni si erano seduti sui morbidi cuscini, i fucili appoggiati al muro. Altri erano in piedi. Nessuno pensava di trovarsi davanti il volto cereo del visir, gli occhi spiritati, la bocca contorta e la canna di una pistola alla tempia.
«Nessuno tocchi le armi, altrimenti faccio saltare le cervella al vostro padrone!» disse Bardellini con tono fermo. «Alzate le mani e allontanatevi. Liberate l’uscita!»
Raimondo camminava facendosi scudo con il corpo di Bahir Hadi. Percorse il vialetto e raggiunse la porta che dava sulla strada.
Anche il resto della scorta oziava nei pressi dei cammelli. La minaccia di morte del visir rese inoffensivi anche gli altri soldati.
Raimondo indicò il cammello con il baldacchino. Continuando a tenere sotto tiro l’egiziano, ordinò: «Sali sul tuo cammello!» A quel punto si volse e gridò all’indirizzo del comandante della scorta: «Voglio una nave in grado di raggiungere le coste italiane. Quando sarò in Europa, mi consegnerò alle autorità locali e libererò questo assassino. Portate la notizia al pascià. Ditegli anche che, quando mi sentirò al sicuro, avrò molte cose interessanti da raccontargli sul suo fido visir».
Fu a quel punto che un grido provenne dalla strada che portava al forte.
Hilmi, tornato dalla sua macabra operazione di pulizia, aveva rinvenuto i cadaveri del suo compare e quello di un europeo. «Presto, accorrete!» gridava l’arabo correndo verso la casa. «Hanno ammazzato Saud!»
Gli uomini che si trovavano all’interno della casa avevano nel frattempo recuperato le armi e si erano appostati dietro alla pesante porta di legno. Bardellini ebbe solo un istante di calo nella concentrazione. Ma fu sufficiente perché il visir, rapido come un ratto, si liberasse della presa lasciandosi cadere a terra al di là del baldacchino.
Uno degli uomini appostati prese la mira: il bersaglio si trovava a pochi passi. La testa del coraggioso Bardellini ebbe un sussulto all’indietro. Il veneto si portò le mani al volto, ma non fece neppure in tempo a lanciare un urlo di dolore: la palla lo aveva colpito in piena fronte, poco sopra l’occhio destro, uccidendolo sul colpo.
Il visir sbucò tra le gobbe del cammello, la paura ancora sul volto. Appena vide che la minaccia era stata annientata, riacquistò un portamento eretto e fiero, elogiò il soldato che aveva abbattuto il sequestratore e ordinò ai suoi di seguirlo alla fortezza. Voleva vedere chi era l’europeo accoppato a fianco del fedele Saud.
«Questo è Robert von Ferling!» disse il visir non appena un militare ebbe illuminato il volto senza vita dell’austriaco. «Presto, andiamo alla Wien-Weizen e vediamo se questi cani infedeli hanno dimenticato qualche informazione che possa tornarci utile.»
Era notte fonda. Gàbor, il segretario di von Ferling, stava riposando nel suo letto, quando i soldati lo destarono, lo obbligarono a vestirsi e a condurli alla sede della società di spedizioni. Lì i militari iniziarono la perquisizione senza trascurare nessun particolare. Il visir continuava a passare da una stanza all’altra, valutando documenti e incitando i suoi. La lettera giaceva sulla pila di scartoffie nella posta in uscita. Il visir lesse il nome indicato sul plico: «Sarah Belzoni», esclamò. «Proprio quello che stavamo cercando. Arrestatelo!» disse Bahir Hadi indicando il segretario.
Gàbor ebbe un guizzo che sorprese i sonnecchianti egiziani. Con una spallata abbatté quello a lui più vicino e, aperta la finestra, si lanciò dal primo piano nel cortile, dileguandosi poi nell’oscurità della notte.
Il visir, nuovo gran maestro della loggia del Sole di Iside, aveva disposto il trasferimento della sede da Parigi ad Alessandria. Grazie al suo peso sempre più determinante nella politica egiziana, Bahir Hadi si era circondato di uno stuolo di nuovi iscritti alla loggia segreta. Gli europei, infatti, avevano abbandonato via via i ranghi, sino a scomparire del tutto. La loggia era ormai nelle mani dell’egiziano e dei suoi fedelissimi.
«Fratelli», disse con aria solenne Bahir Hadi agli adepti riuniti. «Il pascià mi ha finalmente affidato una missione in Europa. Mi recherò a Parigi alla ricerca di appoggi per il riarmo del Paese in vista di una nuova offensiva ottomana. Coglierò l’occasione per approdare alla verità sul tesoro dell’ultima sacerdotessa di Iside.»
Terminata la riunione il visir congedò la scorta davanti a una modesta casupola pregustando già il suo piacere. I soldati potevano godere di un’ora di riposo. Poi sarebbero tornati a prenderlo. I genitori del giovane Nayif – nove anni appena – erano assai bisognosi ed erano disposti a cedere il corpo del loro ragazzo in cambio di poche piastre. Bahir Hadi pensò a quella pelle giovane, alla paura dipinta negli occhi dell’adolescente, al suo infame piacere. Entrò nella casa. Lasciò qualche moneta sul tavolo. Questi erano gli accordi: nessuno avrebbe dovuto conoscere il suo terribile vizio. I genitori dovevano abbandonare la casa e lasciare il ragazzino da solo nell’unica stanza da letto.
Il visir aveva il cuore che batteva forte, quando varcò la soglia.
«Ecco che arriva il tuo benefattore, piccolo mio», sussurrò l’uomo al fagotto al centro del letto.
Il battito aumentò a dismisura, quando il visir si trovò davanti il volto di Gàbor, il segretario ungherese di von Ferling.
«Mi dispiace, vecchio maiale», disse l’ex ufficiale. «Ma dovrai fare a meno del tuo immondo pasto. E anche della tua missione in Francia a cercare armi: sarebbe un grave pericolo per i nostri alleati ottomani!»
Gàbor mosse velocemente la mano armata del pugnale e gli conficcò la lama per due volte nel costato, spingendola sino all’elsa. Bahir Hadi strabuzzò gli occhi. Il suo cuore, in un istante, aveva cessato di battere.