PROLOGO
Audacia e devozione
Il mio onore non si è sottomesso, si è solo lasciato conquistare.
Cleopatra VII, regina d’Egitto
Ascalona. Marzo 2021
La costa meridionale israeliana, bassa e sabbiosa, si stendeva a perdita d’occhio. La spiaggia si tuffava in mare digradando con dolcezza verso le profondità del Mediterraneo. I colori chiari e abbaglianti del litorale viravano, al contatto con l’acqua, nelle infinite tonalità del turchese, sino a perdersi nel blu del cobalto. A intervalli regolari di alcune decine di miglia gli israeliani avevano realizzato delle strutture portuali che interrompevano la distesa continua degli arenili.
La mole del Williamsburg svettava tra le imbarcazioni ormeggiate nella marina di Ascalona, distante appena una dozzina di chilometri dal confine con la turbolenta striscia di Gaza. Quando i coniugi Breil si imbarcarono, la nave, uno yacht di oltre settanta metri, dimora galleggiante di Sara Terracini e di suo marito Oswald Breil, era arrivata da poche ore.
Appena giunta a bordo, Sara aveva consumato un pasto leggero preparato dai cuochi dello yacht. Poi si era chiusa nel suo laboratorio situato a poppavia: una piccola ed efficiente centrale operativa itinerante, dotata di ogni più moderna tecnologia.
Le foto che ritraevano la lastra erano state scattate con il telefono. Sara le salvò nel computer e stampò la prima con la massima risoluzione e un contrasto accentuato per far risaltare i tratti calligrafici incisi sulla creta.
Una volta ottenuta l’immagine ingrandita, la fissò su un cavalletto accanto alla sua postazione. Esaminandola in parallelo con la foto sullo schermo del computer, riprese la traduzione da dove l’aveva interrotta.
Di lì a poco pensò che quello che aveva appena letto fosse un errore dell’antico incisore di quelle memorie, ma quando l’errore si ripeté, Sara trasalì. Ritornò alle prime battute e si soffermò su un vocabolo in particolare.
Si alzò di scatto: giudicava talmente singolare la propria scoperta da dover condividere immediatamente le sue supposizioni.
Oswald Breil era seduto nell’ampio divano in midollino sotto il tendone dello spazio esterno a poppa. Era immerso nella lettura di un noioso saggio di politica internazionale e salutò con sollievo l’arrivo precipitoso di sua moglie.
«Guarda qui!» disse Sara porgendo il foglio al marito.
Oswald lesse con incertezza il vocabolo evidenziato in lingua greca.
«Etoìmos!» esclamò dopo essersi cimentato in un paio di tentativi.
«Esatto, Oswald, ἑτοῖμος. Aggettivo che significa ’pronto’. Quindi ho tradotto il passo con: pronto, come fedele soldato senza pensare che l’aggettivo ’pronto’ si riferisse al soldato e non alla persona che, nel primo secolo prima di Cristo, ha inciso le lastre di cui ti ho parlato. Da quel momento in poi, ho sempre usato il maschile quando lo scritto si riferiva invece al suo autore.»
«E quindi?» la incalzò Breil.
«Ho sbagliato. Non si trattava di un soldato, bensì di una soldatessa. La guardia del corpo della regina era una donna. Senti che cosa scrive poche righe più sotto.»
Sara dispiegò la fotografia ingrandita sul tavolino e prese a tradurre: «’Avevo ventuno anni quando venisti al mondo. Era una giornata talmente fredda che scesero dei fiocchi di neve anche sulla calda Alessandria. Tuo padre Aulete interpretò il fenomeno come segno favorevole degli dei e mi mandò a chiamare. Avevo appena terminato la mia sessione di addestramenti alla battaglia, prove di estrema difficoltà. Le guerriere Cinnane devono conoscere ogni segreto per battere il nemico’».
Sara fece una pausa. Conoscendo la curiosità di suo marito, sapeva che quello che aveva appena letto necessitava di qualche spiegazione. Non si fece pregare: «Aulete Neo Dioniso era il soprannome del faraone Tolomeo XII, padre di Cleopatra. Come tutti i sovrani Tolomei si distingueva per il suo appellativo. Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra, per esempio, era detto Teo Filopatore. Quel soprannome fu attribuito alla regina quando si impossessò del potere liberandosi della co-reggenza col fratello. Cinnane, invece, era una sorellastra di Alessandro Magno, una guerriera coraggiosa e invincibile vissuta tre secoli circa prima di Cleopatra. Il suo nome fu probabilmente attribuito a un corpo scelto di soldatesse femmine».
Sara si fermò, accertandosi con uno sguardo che la curiosità di suo marito fosse stata soddisfatta, e proseguì.
«’Il faraone aveva gli occhi lucidi. Per tutta la durata della gravidanza aveva ricoperto di attenzioni tua madre, una delle sue concubine, e adesso ti osservava mentre sgambettavi sana e forte, attaccandoti vorace al seno materno. Poi parlò con voce ferma e potente. ”Ripongo in te tutta la mia fiducia, Teie. So che sei la migliore tra i commilitoni e la più fedele dei miei soldati. Ti affido ciò che ho di più caro: mia figlia Cleopatra. Veglia su di lei. Ne va della tua stessa vita.”
«’Mi sono inchinata dinanzi al sovrano e ho abbassato il capo orgogliosa per la fiducia che aveva riposto in me. Nei lunghi anni al fianco della mia amata regina non l’avrei mai tradita.’»
«Dove vuoi arrivare, dottoressa Terracini?»
«Questo è il racconto della vita di Cleopatra fatto da una voce mai udita prima: una testimone molto intima. È una scoperta eccezionale, Oswald. E per di più questa storia s’intreccia con la vita avventurosa del gigantesco Giovanni Battista Belzoni. Un mix esplosivo.»
«Ciò significa che questo mix rischia di far esplodere anche le tappe della nostra crociera?» disse Breil con un sorriso bonario in volto.
«Non prenderei mai una decisione così importante senza interpellare l’armatore.»
«Come potrei impedirti di seguire la tua passione per gli antichi misteri? Se ti aspetti da me un benestare, ti viene concesso...» continuò il piccolo uomo accentuando il tono solenne. «Mi chiedo, però, che cosa diranno gli egiziani: non mi pare che ancora vedano di buon occhio noi israeliani...»
«Infatti c’è un altro punto che tiene in sospeso la questione. Najid Rushdi dice che spera di far digerire al primo ministro egiziano l’idea che un’ebrea rovisti tra le vestigia del suo popolo. Dovrebbe comunicarmi l’esito delle sue trattative in queste ore.» Sara guardò lo smart watch che portava al polso.
«Non credo sia facile neppure per lui. A quanto ne so, il premier è molto vicino ai movimenti radicali musulmani», commentò Oswald.
«È anche vero, però, che la vita della regina più famosa dell’antico Egitto potrebbe smuovere l’interesse di masse di visitatori. Gli attentati degli integralisti e la terribile pandemia che ha colpito il pianeta hanno azzerato le entrate turistiche anche in Egitto. Per una buona iniezione di denaro fresco sono convinta che il premier sia disposto a fare qualche eccezione.»
«Sei la solita presuntuosa, dottoressa Terracini», scherzò Breil puntando il dito.
«Nel mio campo sono semplicemente la migliore, dottor Breil», rispose lei scherzosa.
Pochi istanti più tardi, Sara era seduta davanti allo schermo del computer. Sorrise pensando alla raccomandazione del ministro egiziano: fotografare un solo pannello e nient’altro. I suoi occhi scuri brillarono come quelli di un ragazzino compiaciuto della sua marachella: riprendendo il pannello, l’inquadratura si era spostata immortalando anche i due più vicini.
«Poco male», si disse Sara, «mi porterò avanti con la traduzione, sperando che mi venga assegnato il lavoro.»
Le tre fotografie delle pagine di terracotta erano adesso sullo schermo. Sara agì sui comandi con sicurezza: «Ridurre il punto di luce e la luminosità», mormorò mentre impartiva le istruzioni alla macchina. «Aumentare il contrasto. Ombre 0,44. Contrasto 0,42...»
Le lettere incise sull’argilla avevano contorni ben delineati e visibili. Sara si passò soddisfatta le dita tra i capelli lisci come la seta e sorrise. Adesso poteva iniziare a tradurre quanto era riuscita a sottrarre alla censura del ministro egiziano. Anche in quei piccoli sotterfugi, l’anima di agente segreto di Breil le era stata utile: «Assumi sempre più informazioni di quelle che ti sono concesse», le ripeteva spesso suo marito.
Sin dalle prime battute Teie la guerriera divenne parte dei suoi pensieri, un’amica capace di portarla con sé in un mondo antico e misterioso.
Dendera, Egitto. Anno 684 ab Urbe condita (70 a.C.)
Il Nilo seguiva il raggio dell’ampia curva nel suo inarrestabile corso. Il flusso era quasi costretto a mutare la sua direzione per rispettare la traccia imposta dagli argini. L’acqua, così, reagiva imbizzarrendosi come un animale focoso e ribolliva in mulinelli e gorghi che ne increspavano la superficie.
La nave avanzava lenta, i soldati rimanevano schierati sul ponte. Sembravano non soffrire del caldo torrido. Quelli erano i corpi scelti dell’armata di Seth, sotto il diretto comando del faraone.
I ranghi dell’esercito, per tenere vive antichissime tradizioni, avevano mantenuto la suddivisione in quattro corpi d’armata. Ogni comando era intitolato a una divinità: Rah, Ptah, Amon e, appunto, Seth, controllata dal sovrano e dai principi ereditari.
Neppure il travolgente impeto con cui i romani avevano assoggettato l’Egitto era riuscito a mutare le antiche tradizioni militari del mio fiero popolo: l’esercito egizio combatteva con gli stessi schemi e con modalità analoghe ai reggimenti di Alessandro. Erano tattiche desuete, al punto che la mia civiltà, benché più antica ed evoluta, si era ritrovata costretta a cedere il passo alla tracotanza dei romani.
Ma anche loro si erano resi conto ben presto che avrebbero avuto di che imparare dagli egizi. Per potersi considerare finalmente un popolo civile dovevano abbandonare i loro rozzi modi marziali. Motivo per cui avevano permesso al regno di mantenere il proprio ordinamento, alcuni rappresentanti e una discreta autonomia.
Quel giorno noi, le guerriere Cinnane, eravamo a lato dello schieramento. Ci trovavamo in una zona sopraelevata sul ponte della nave. Indossavamo un’armatura leggera e impugnavamo le spade sguainate, già pronte al saluto.
Il faraone era assiso su un gigantesco trono di pietra nera e lucente, trascinato su rulli di legno fin sulla riva del fiume da centinaia di schiavi.
Non appena la nave fu accostata i comandanti diedero l’ordine, e il saluto degli oltre cinquecento soldati schierati sulla tolda si levò alto sino al cielo. «Sia gloria a te, immagine vivente del dio Rah!» gridarono, mentre le lame sguainate riflettevano i raggi del sole.
Il faraone rispose alzando al cielo l’hekat, lo scettro ricurvo di colore cobalto, indice del suo potere divino.
Tolomeo XII Aulete calzava la pschent, la corona doppia, rossa e bianca, impreziosita di finiture in oro. I due colori stavano a indicare che il sovrano regnava sull’Alto e Basso Egitto. Ma, a dispetto del copricapo, molte erano le sacche di resistenza in tutto lo sconfinato territorio del regno. A quelle si associavano violenti moti di ribellione. Forse anche per quel motivo, Tolomeo aveva chiesto un consistente spiegamento di forze a protezione della sua persona. Nell’area sacra di Dendera, infatti, si sarebbero celebrati di lì a poco i riti propiziatori agli dei e ai faraoni, loro diretti discendenti.
Dendera significava «città della dea» e il magnifico tempio che troneggiava sugli altri edifici era stato dedicato ad Hathor, divinità dell’amore, della gioia, della maternità e della bellezza. Era stato il faraone Nectanebo, l’ultimo sovrano a regnare sull’Alto e il Basso Egitto, a costruire quel tempio. Dopo, sotto il regno dei Tolomei, l’intero sito era stato ampliato.
Ma già il tempio di Hathor aveva la forma di un gigantesco parallelepipedo in pietra a pianta rettangolare. E il peristilio attraverso il quale si accedeva alle venticinque stanze interne era sorretto da ventiquattro enormi colonne.
Il faraone giunse all’area sacra accompagnato dal suo seguito di dignitari e religiosi, che avanzavano ordinati e a passo cadenzato lungo il viale. Tolomeo era seduto su un trono d’oro issato su un baldacchino aperto. La pschent era sovrastata dall’ureo, la rappresentazione del sacro cobra. La portantina era sorretta da una trentina di schiavi che incedevano lentamente. Davanti al sovrano, alcuni sacerdoti impersonavano le figure degli dei. Sorreggevano degli aspersori che diffondevano nell’aria essenze dall’aroma intenso. Dietro la portantina una schiera di nobili e alti dignitari.
Il plotone di guerriere Cinnane era schierato sulla destra dell’ingresso. Io, come giovane comandante di squadra, mi trovavo in prima fila, a poca distanza dal punto in cui, sotto il monumentale peristilio, il gran sacerdote di Hathor attendeva il sovrano. La coreografia era talmente imponente che io stessa, un militare addetto alla sicurezza del faraone, diverse volte fui sul punto di perdere la concentrazione, sedotta dalle insegne d’oro o dagli stendardi variopinti che aprivano il corteo regale.
Forse fu proprio quello il segnale che mi mise in allerta: un soldato con il mio grado di addestramento non poteva distrarsi. Era pur vero che, dato lo spiegamento di forze, nessun manipolo di ribelli sarebbe stato così folle da attentare alla vita del faraone. Ogni azione eversiva si sarebbe tradotta in un suicidio.
Il mio sguardo era fermo su Tolomeo che, dall’alto della portantina, ricambiava il saluto festoso della folla assiepata ai lati del viale. I militari che arginavano i sudditi si tenevano sottobraccio per impedire che qualcuno potesse raggiungere il corteo. Nessuna minaccia sarebbe potuta provenire dagli spettatori; erano troppi gli ostacoli che si frapponevano tra il faraone e un eventuale attentatore.
Il gran sacerdote di Hathor indossava una semplice tunica bianca di lino lunga fino alle caviglie. Il copricapo, invece, era costituito da due corna di vacca strette attorno a un disco d’oro che rappresentava il sole. Anche qui, l’ureo con il cobra, simbolo di potere. Il sacerdote sorreggeva un vassoio con le offerte votive destinate alla dea. Una volta accolto il faraone, i due si sarebbero avviati verso il santuario principale. Per raggiungerlo avrebbero superato il grande colonnato, la piccola sala ipostila e la sala delle offerte dove avrebbero recuperato i doni per ingraziarsi la benevolenza della dea.
Accanto all’officiante ardevano alcuni bracieri dai quali si alzavano fumi azzurrognoli dai profumi intensi.
Il corteo si fermò davanti al tempio. Tolomeo scese dal baldacchino non appena gli schiavi lo posarono a terra con delicatezza. La gente vociava irrequieta e rispose con un boato al saluto del sovrano. Il faraone si avviò verso il colonnato. Il sacerdote rimase immobile, avvolto nel fumo. Non aprì le braccia per ringraziare la dea e accogliere il suo re, ma tenne fra le mani il vassoio delle offerte.
Le offerte... Non c’era alcuna ragione perché non si trovassero nella sala loro dedicata.
Un lampo mi attraversò la mente: rapida mi apparve la sequenza di incongruenze di cui ero appena stata testimone. Non servivano schiere di ribelli per eliminare il faraone; sarebbe stato sufficiente un attentatore suicida in grado di avvicinare Tolomeo e conficcargli una lama nel cuore.
Non dissi nulla. Non avevo tempo per giustificare il mio comportamento con i superiori. Ruppi le righe. Sentii la voce del mio ufficiale gridare il mio nome. Il faraone era a qualche passo dal gran sacerdote. Percorsi la distanza in pochi balzi, gli occhi fissi sulla scena davanti a me.
Il sovrano salì il primo dei tre scalini che conducevano alla sala ipostila. Si fermò e si voltò per salutare ancora una volta il suo popolo che lo acclamava.
Arrivai a un passo dal gran sacerdote proprio nel momento in cui estraeva il pugnale che aveva nascosto nel vassoio. Alzò la lama al cielo e la calò in direzione del sovrano. «Muori, maledetto usurpatore!» sibilò il sacerdote mentre vibrava il fendente letale.
Fu a quel punto che mi frapposi tra i due. Il mio re aveva gli occhi sbarrati e un’espressione terrorizzata in volto. L’altro sembrava reso cieco dall’odio. Il mio braccio si protese in maniera quasi istintiva a parare la minaccia: avevo ripetuto infinite volte quel movimento nel corso di estenuanti addestramenti. Senza esitare sfoderai la spada ricurva che tenevo al fianco e menai un fendente al collo dell’assassino. Il gran sacerdote si chinò, le mani alla gola che non riuscivano a trattenere il fiotto di sangue. Poi le mie compagne d’armi e altri militari irruppero sulla scena. Alcuni presero il faraone e lo condussero lontano. Altri si posero a fianco del sacerdote ormai morente. Io rimasi in un angolo, mentre il caos s’impadroniva del piazzale antistante il grande tempio. La folla, in preda al panico, cercava riparo ovunque, dopo aver rotto i cordoni dei militari. Per alcuni interminabili istanti sembrò che una nuova minaccia potesse provenire da ogni lato. Approfittai di un momento di silenzio per cercare di sovrastare il frastuono con la mia voce: «L’attentatore era uno solo, la sua era una missione suicida. Aveva una lama nascosta nel vassoio delle offerte. Tutto è finito. Restate calmi!»
La quiete, seppure a fatica, tornò poco più tardi. Le celebrazioni furono sospese e il giorno seguente il re, accompagnato dalla sua nutrita scorta, riprese la navigazione sul Nilo alla volta di Alessandria.
La caserma che ci ospitava si trovava a poca distanza dal palazzo reale: da tempo le Cinnane rappresentavano un valido supporto alla guardia personale del faraone e la loro residenza doveva essere il più possibile vicina al sovrano e alla sua famiglia.
«La prossima volta che abbandoni lo schieramento senza un valido permesso, sarai punita, Teie.» Simah, la nubiana comandante dell’intero contingente di donne guerriere, non riusciva a celare la sua soddisfazione dietro ai modi burberi. Le Cinnane erano schierate nel cortile della caserma. La pelle nera dell’ufficiale, imperlata di gocce di sudore, rifletteva la luce del sole. Aveva un fisico muscoloso e sapeva maneggiare le armi come pochi guerrieri. «E comunque, Teie, senza la tua prontezza, nelle strade dell’Egitto oggi scorrerebbe il sangue. Il gran sacerdote di Hathor era affiliato a una setta di ribelli. Il suo sacrificio, dopo aver ucciso Tolomeo, sarebbe stato il segnale per infiammare le piazze e sovvertire l’ordine. Il tuo intervento, oltre a salvare la vita al sovrano, ha colto alla sprovvista i rivoltosi e molti, già pronti alla rivoluzione, sono stati costretti a tradirsi. L’Egitto ti deve molto, Cinnane Teie.»
Al comando di Simah, tutte le altre proruppero in un grido di giubilo per tributarmi gli onori.
L’eco si era appena spenta che una delle soldatesse di guardia all’accesso giunse sul piazzale correndo. Era pallida e dall’emozione riusciva a malapena a parlare.
Proprio mentre Tolomeo XII incedeva nella corte accompagnato dal suo seguito, finalmente riuscì a dire: «Il re è qui!»
Simah gli andò incontro, si rivolse al sovrano con i dovuti modi marziali, stette a colloquio per pochi istanti e poi entrambi si diressero verso lo schieramento. Qui giunti, la nubiana mi chiese di fare un passo avanti.
Mi inginocchiai al cospetto del faraone, ma lui mi trattenne: «Tu mi hai salvato la vita, giovane guerriera», disse Tolomeo. «Sono io che devo tributare a te la mia gratitudine.»
Il re si sfilò dal dito un anello sul quale era incastonato un grosso smeraldo. Sulla pietra di colore verde intenso era inciso un cobra in procinto di attaccare.
«Questo proviene dalle leggendarie miniere di Berenice. È il cenno tangibile della mia riconoscenza, Teie.»
Non mi accorsi subito dello sguardo con cui Rida, una mia parigrado, mi stava osservando dalla prima fila dello schieramento. Ma avrei avuto modo di rendermi conto della sua perfidia nei giorni seguenti.
Ascalona, a bordo del Williamsburg. Marzo 2021
Oswald osservava Sara con un’espressione incuriosita. Quando sua moglie smise di parlare, ebbe un moto di disappunto.
«Ma come», disse Breil, «mi lasci proprio sul più bello? Chi è questa Rida? Che ruolo gioca?»
«Credimi, Oswald. Non lo so neppure io. Questo è più o meno il contenuto del primo pannello che ho tradotto. È verosimile che il racconto di Teie prosegua come una bellissima storia. Ma lo sapremo solo se mi affideranno l’incarico.»
Lo squillo del telefono interruppe la conversazione tra i coniugi.
«È il ministro Rushdi, dottoressa Breil», disse la voce gentile del centralinista di bordo. «Dice che lei è in attesa di una sua comunicazione. Glielo posso passare?»
«Oswald è qui con me, Najid», disse Sara non appena fu in linea. «Ti metto in viva voce, così ascolta anche lui.»
Il ministro delle Antichità della Repubblica egiziana venne subito al dunque.
«Ho convinto il premier ad affidarti le ricerche, Sara. In via informale, naturalmente. Se dovrai muoverti per l’Egitto sarai munita di documenti con identità falsa. Poche ore dopo la tua accettazione riceverai il file contenente le fotografie ad alta risoluzione delle incisioni. Il premier detta una sola condizione: che collabori con te una persona di sua fiducia, il dottor Isam Al Akim, dell’Università del Cairo.»
«È per caso parente di ’quel’ Al Akim?» disse Oswald intervenendo.
«Sì, è il figlio di Munahid Al Akim, il re delle telecomunicazioni egiziano. Il professor Isam Al Akim non ha però seguito le orme paterne. Si è dedicato anima e corpo allo studio dell’antica civiltà egizia. Per quanto lo conosco, sono convinto che potrebbe esserti d’aiuto qualora tu accettassi, Sara. Entro domattina dovrò dare una risposta al primo ministro. Spero che tu e Oswald abbiate il tempo sufficiente per valutare la proposta.»
Conclusa la telefonata, Sara si rivolse al marito: «Che te ne pare?»
«Non vedo grossi problemi», rispose Breil.
«La prima fase delle ricerche si svolgerà qui sulla nave: dovrò tradurre tutte le pagine d’argilla del racconto di Teie. Non so che cosa ci riserverà il resto della storia. Che ne dici, Breil?»
«Forse dovremo solo dissimulare qualcuno degli accorgimenti elettronici di cui è dotato lo yacht: non è opportuno che degli estranei ne conoscano i meccanismi. Ma a quello penserà l’ammiraglio Grandi. Per il resto tratteremo l’egiziano come uno dei tanti ospiti che abbiamo avuto a bordo.»
Il potente motoscafo d’altura si affiancò al Williamsburg in mare aperto. Un marinaio di colore sbarcò un borsone. Una figura giovanile e snella superò con agilità il dislivello tra il ponte dello yacht d’epoca e il fly bridge del motoscafo.
Isam era alto, aveva la carnagione brunita, i lineamenti armoniosi e una barba ben curata gli incorniciava il volto con un segno leggero. Possedeva due occhi neri e intelligenti e un fisico statuario. Dimostrava forse meno dei suoi trentacinque anni.
Quando se lo trovò davanti, Sara dovette ricorrere a tutte le sue risorse per dissimulare la sorpresa: si aspettava di ricevere un pingue professore brizzolato con gli occhiali in punta di naso. Invece era salito sulla sua nave una specie di dio egizio. Chissà Breil come l’avrebbe presa.
«Mettiamoci al lavoro, professor Al Akim», disse Sara dopo avergli offerto un caffè nel salone. «Avrei pensato di procedere con ordine: tradurre tutta la documentazione in nostro possesso e nel contempo studiare gli scritti di Giovanni Battista Belzoni. Sarebbe bello far marciare di pari passo le biografie della guerriera al fianco di Cleopatra e quella dell’esploratore padovano.»
«Lei ha ragione, dottoressa. Peccato che ci siano quasi due millenni tra la vita di Teie e quella di Belzoni», disse lo studioso egiziano.
«Questo è vero, anche se la Storia ritorna spesso sui suoi passi e utilizza gli eventi antichi per spiegare quelli moderni.»
«Sono d’accordo, dottoressa Terracini.» Isam aveva una voce profonda e si esprimeva in un ottimo inglese. «Sono a sua disposizione per ogni necessità. Esiste comunque un’ampia bibliografia sulle imprese di Giovanni Battista Belzoni in terra d’Egitto. Qui ne ho condensato alcuni estratti. Quello che invece manca è una ricostruzione altrettanto puntuale degli ultimi anni di Belzoni. Anni sui quali dovremmo indagare più approfonditamente, se è vero che Belzoni ha lasciato alcune tracce del suo passaggio nella tomba nel 1818, pochi mesi prima di abbandonare l’Egitto.» L’egiziano porse a Sara alcuni fascicoli rilegati. «Sono stato tra i primi a scendere nel sepolcro di Teie e mi sono ben documentato su Belzoni.»
«Lei è una persona molto previdente, professore.»
«Spero che questo ci aiuti a guadagnare tempo. In ballo c’è una scoperta archeologica dalla portata eccezionale.»
La cena fu piacevole e l’ospite conversò gradevolmente con Oswald, Grandi e Bernstein, riuniti per dargli il benvenuto. La discussione proseguì nel salone della nave, almeno sino a quando Sara richiamò tutti all’ordine: il mattino seguente li aspettava la storia di Teie, la guerriera Cinnane al fianco di Cleopatra.