11

 

Delta del Nilo, Egitto. Anno 684 a.U.c. (70 a.C.)

«Il pesce è quasi pronto!» disse Jarir affacciandosi dalla terrazza della palafitta, mentre il figlio si accingeva all’ormeggio della barca da pesca.

Dal fuoco si sprigionavano nuvole di fumo chiaro e profumato; Jarir controllava la cottura della preda.

Teie e Sati sedettero, mentre il veterano posava il vassoio di legno contenente il grosso persico al centro della tavola.

«Come faremo a mangiarlo tutto?» chiese Teie indicandone le dimensioni.

«Vedrai che ci riusciremo. L’ho pescato stamani poco distante da qui», rispose fiero Jarir. «Oggi c’è un ballo in città. Andate, sono certo che vi divertirete.»

I due giovani erano sereni, spensierati, padroni di ogni angolo di Bolbitine in festa. Non sapevano che qualcuno con aria cupa li stava pedinando mentre, sorridenti e felici, si abbandonavano alle danze.

 

Jarir salpò la rete in tutta fretta: quello era l’ultimo giorno in cui avrebbe potuto godere della presenza del suo Sati e voleva sbrigarsi per consentire a lui e a Teie di uscire in barca. Quella ragazza era riuscita a farsi amare in poche ore. Jarir fantasticava già su stuoli di nipoti.

Ormeggiò il peschereccio al molo e aiutò Sati a mollare le cime.

«Mi dispiace che sia finita la nostra vacanza, colonnello...» disse Teie con la testa appoggiata sulla spalla del timoniere.

«Non ancora. Guarda la vela. Solo quando è gonfia di vento trasporta la barca», rispose il giovane. «Così il cuore: solo quando è pieno d’amore rende i legami indissolubili. Non finirà mai, Teie. Io ti amo. Ma godiamoci quelle poche ore che ci restano prima di tornare in servizio. Ti prometto che anche quando saremo ad Alessandria non staremo lontani...»

«Me lo giuri?» chiese lei.

«Te lo giuro sul mio corpo d’armata», scherzò il giovane manovrando nel contempo per ormeggiare all’ancora.

«Mi pare una promessa debole, colonnello», disse Teie abbracciandolo con trasporto.

Ora lui l’avrebbe presa con passione e con dolcezza.

Teie chiuse gli occhi e lo strinse, mentre lui veniva travolto dal piacere. Lo sentì irrigidirsi, fremere per poi accasciarsi sul suo corpo a peso morto. Anche lei si abbandonò al silenzio.

Alcune gocce calde le bagnarono il collo. I suoi sensi erano acuiti, le nari dilatate. Percepì un familiare odore di ferro. Fastidioso. Così come fastidiosa era la sensazione di avere il corpo bagnato. Aprì gli occhi e quello che vide era impossibile da credere.

Sati era sopra di lei, la gola recisa, il sangue di lui le fluiva sul collo e sul seno nudo. Le braccia del giovane, capaci di stringerla sino a un istante prima, erano abbandonate lungo il corpo. La testa appoggiata al suo petto, gli occhi sbarrati.

«Almeno il tuo stallone è morto facendo il proprio dovere», disse il generale Ghanim in piedi sopra di loro. Il traditore stringeva ancora la spada insanguinata in mano. «Purtroppo, per te non sarà così facile morire: ti lascerò viva per farti pagare quello che hai fatto.»

Ghanim colpì la Cinnane al capo con l’elsa della spada. Teie perse immediatamente i sensi.

 

 

Jarir si sentiva inquieto. L’inspiegabile turbamento non scomparve neppure quando vide la sua barca da pesca risalire il fiume. Non notò che un’altra imbarcazione seguiva la feluca. Si avviò all’imbarcadero con il sorriso sul volto. Non avrebbe voluto che i ragazzi partissero quella sera, anche se Sati gli aveva promesso che sarebbero tornati presto.

Jarir si chinò, afferrò la gomena per l’ormeggio e rimase in piedi sul paiolato del molo. Una tenda parasole gli impediva di vedere il suo Sati ai comandi. Neppure di Teie v’era traccia sul ponte. La feluca iniziò la manovra d’affiancamento, Jarir allargò le braccia per dare più impulso al lancio della cima. Si fermò in quella posizione aspettando che la sorridente Teie sbucasse dalla tenda per aiutarlo nell’ormeggio.

«Strano», si ritrovò a pensare. «A mio figlio non è mai piaciuto rintanarsi sotto un telo e rinunciare al sole.»

L’arciere armato sbucò all’improvviso da sotto la tuga. Aveva la freccia incoccata e l’arco teso. Gli fu sufficiente prendere la mira e scoccare il dardo.

Jarir strinse le braccia solo quando la freccia gli si conficcò nel petto. Nei suoi ultimi istanti di lucidità, non si preoccupò della vita che sembrava sfuggirgli e neppure del motivo per cui qualcuno cercasse di ucciderlo. Ma dei «suoi» ragazzi. E la certezza che fosse loro capitato qualche cosa di terribile lo accompagnò sino a che non chiuse gli occhi.

 

Teie riprese conoscenza. Era legata al tavolo dove il buon Jarir era solito servire i suoi pesci prelibati. Ruotò la testa di lato. Ghanim le andò incontro con un ghigno stampato in volto.

«Credo che i coccodrilli del Nilo mi ringrazieranno per la doppia razione di cibo che presto consumeranno. Anche se presumo che il vecchio e il tuo amante abbiano il gusto rancido dei traditori.»

«Maledetto! La pagherai», sibilò Teie strattonando le corde che la assicuravano al piano del tavolo.

«Per il momento sei tu quella che sarà costretta a fare i conti con i debiti. E non si tratta di impegni di poco conto: per colpa tua un meticoloso lavoro che aveva richiesto anni è andato in fumo, puttana.»

«Anni di tradimento e di menzogne.»

«Parla di meno, Cinnane. Conserva la voce per quando il pugnale di Iside aprirà il tuo petto. Io, sacerdote della dea, le offrirò il tuo cuore ancora pulsante dopo avertelo strappato a mani nude. Voglio essere da solo con te per godermi questo momento. Lo aspettavo da tanto, sai?» disse Ghanim facendosi aiutare da uno scherano per indossare i paramenti sacri.

«Vedo che hai fatto carriera, vigliacco. Da militare a servo degli dei.»

«Taci e preparati a morire», disse Ghanim, calzando il copricapo con il sole d’oro che rifletteva la luce che penetrava nella casa di Jarir. «Lasciaci soli!» ordinò Ghanim al suo bieco assistente.

Il generale traditore e sacerdote della setta segreta strinse l’elsa di un pugnale affilato e si avvicinò a passi lenti alla giovane.

Teie si guardò attorno per quanto le consentisse la sua posizione. Se fosse riuscita a liberarsi avrebbe avuto facilmente ragione del suo aguzzino.

 

Jarir non avrebbe potuto dire per quanto tempo fosse rimasto riverso sul molo privo di conoscenza. Quando aprì gli occhi, un dolore lancinante lo assalì. Afferrò l’asta della freccia con entrambe le mani e fece forza per estrarla, il sudore gli imperlava la fronte.

Quando la punta del dardo fu finalmente fuori, Jarir si accasciò spossato. Ma non c’era tempo da perdere: le grida di Teie provenivano dall’interno della casa. Dalla sua casa su palafitte, piena di botole e passaggi per arrivare in ogni ambiente, anche quando l’acqua del fiume in piena lambiva i muri. Il veterano poteva raggiungere quegli assassini ovunque si trovassero senza che loro si accorgessero di lui.

 

Ghanim si accostò al tavolo. Sollevò la lama verso l’alto e salmodiò qualche formula rituale. Poi il suo sguardo si fece folle e il perverso piacere di uccidere gli colorì il volto mentre stava per calare il pugnale assassino.

Ma l’espressione mutò da quella sadica di un omicida a quella terrorizzata di un uomo che va incontro alla morte.

Jarir era dietro di lui, ancora grondava d’acqua e la veste recava una macchia di sangue al centro del petto. La spada che stringeva in mano aveva trapassato da parte a parte il tronco di Ghanim.

Il veterano non si curò della sua vittima e l’abbandonò agli spasmi di un’orribile morte. Recise invece con un pugnale i legacci che immobilizzavano Teie.

«Presto, ragazza», disse Jarir recuperando la sua spada. «Dobbiamo uscire da qui.»

«Te la senti, Jarir?» chiese la Cinnane.

«Ho ancora abbastanza fiato per vendicare il mio unico figlio», rispose il veterano.

Teie si accorse, però, che le forze lo stavano abbandonando.

I due percorrevano il ponticello che collegava la casa con la sponda del fiume.

Gli uomini di Ghanim comparvero all’improvviso. Erano almeno sei e bloccavano la passerella.

«Adesso tu vai», disse Jarir. «Scendi al molo e prendi il largo. Io li terrò impegnati per un po’.»

«Io non ti lascio da so...»

Per tutta risposta Jarir la scansò con una spallata e si preparò a fronteggiare, pur gravemente ferito, l’attacco degli scherani del generale. «Vai!» ordinò ancora nell’istante in cui gli assassini avanzavano verso di lui. «Il ponticello è stretto, li affronterò uno alla volta. Terrò loro testa per un po’. Vattene, Teie! È inutile farci ammazzare in due.»

«Li prenderò alle spalle», disse la Cinnane mentre, ancora una volta, Jarir l’allontanava da sé.

 

Teie corse sino al molo, disormeggiò la barca e, forte degli insegnamenti di Sati, issò la vela e prese a navigare.

Avrebbe toccato terra poco distante e sarebbe tornata alla casa a dar manforte a Jarir. Questo stava pensando quando la prima freccia si conficcò sul ponte a poca distanza da lei.

Un’altra imbarcazione, quella con cui i traditori avevano arrembato lei e Sati, incrociava a poca distanza dal molo e, riconosciute le manovre della guerriera, si era fatta vicina. Adesso gli uomini a bordo la stavano bersagliando con le loro frecce.

Teie ricordò le parole di Sati: «Guarda la vela. Solo quando è gonfia di vento trasporta la barca».

Alzò gli occhi e regolò timone e scotte per aumentare la portanza. L’imbarcazione reagì immediatamente alla manovra guadagnando abbrivio e distanziò gli inseguitori quel tanto che bastava per uscire dalla portata delle loro frecce. Ma l’altra imbarcazione la tallonava. Qualsiasi manovra intentata dalla guerriera per guadagnare la riva l’avrebbe costretta a rallentare e a diventare oggetto del lancio degli inseguitori.

La giovane decise allora di proseguire verso il mare. Lei e Sati non si erano mai spinti oltre la foce del fiume. Quasi completamente inesperta, Teie avrebbe dovuto affrontare la navigazione sottocosta per una quarantina di miglia. Questa era la distanza che la separava da Alessandria, dove contava finalmente di approdare alla ricerca di aiuto.

Appena raggiunto il mare aperto, però, il vento calò all’improvviso. Teie si volse preoccupata verso la foce dove la brezza ancora soffiava sostenuta: la minaccia si faceva sempre più vicina.

Di lì a poco, però, il cielo si fece scuro e, lontane sul Mediterraneo, presero a formarsi schiume d’onda montate dalle raffiche. Il vento arrivò con un soffio potente.

La feluca s’imbarcò sulla sinistra. La vela acquistò portanza e il peschereccio iniziò una lotta impari contro le onde. Teie strinse tra le mani la pala del timone e si preparò a fronteggiare la tempesta. Meglio morire travolta dai marosi che per mano degli scherani al suo inseguimento.

 

Le onde colpivano i fianchi della barca con violenza. Teie aveva dato volta alla pala con una cima: le sue sole braccia, pur forti, non sarebbero riuscite a contrastare gli schiaffi del mare contro il timone. Il vento aveva ridotto la vela a brandelli. L’acqua imbarcata, all’interno della tuga, arrivava ai polpacci. Ancora pochi minuti e il peschereccio si sarebbe inabissato.

«Yam, dio del mare, aiutami», si trovò a pregare la guerriera un attimo prima di abbandonarsi spossata: ormai era in balia della tempesta da un giorno e una notte.

La barca inseguitrice spuntò dall’incavo di un’onda. Erano vicinissimi. Gli occhi degli assassini puntati contro di lei. Ancora pochi passi e le sarebbero stati addosso. Era sfinita. Non aveva più neppure la forza per difendersi. Un’onda più forte delle altre le fece perdere l’equilibrio. La giovane ruzzolò nel pozzetto, mentre la spuma superava la battagliola e inondava il ponte.

Ma quella stessa onda sorprese gli inseguitori al traverso, impegnati com’erano a raggiungere la preda. La loro barca oscillò paurosamente, s’imbarcò sul lato sottovento e, quando una nuova onda colpì la fiancata, lo scafo era troppo appesantito per sopportarne l’impeto.

Teie si rialzò proprio nell’attimo in cui la barca degli inseguitori si capovolgeva e precipitava nell’incavo di un nuovo colpo di mare.

Gli occupanti, sei o sette fedelissimi del generale Ghanim, volarono fuori bordo e, in pochi istanti, furono travolti dalla forza dei flutti.

Teie volse lo sguardo a prora. Nel cielo scuro della burrasca, la luce del colossale faro di Alessandria indicava la sua salvezza.

 

L’adunata mattutina era una tradizione per le Cinnane. Il comandante passava in rassegna la forza e impartiva gli ordini di servizio per quella giornata.

L’ultima avventura patita quasi due mesi prima aveva lasciato dentro di lei un immenso dolore: Sati, l’uomo che amava, era stato ucciso dai fedeli della setta del Sole di Iside. Per difenderla anche il coraggioso Jarir ci aveva rimesso la vita. La giovane guerriera si sentiva sola. Aveva ripreso il suo lavoro con accanimento, anche se ripetere ogni giorno le stesse azioni serviva solo a farle sentire di più la mancanza di Sati. Spesso si voltava verso il portale d’accesso, come se il colonnello dovesse arrivare da un momento all’altro in sella al suo cavallo. Ma ogni volta era come risvegliarsi da un sogno bellissimo e precipitare in una cupa realtà.

Teie era amata e rispettata dalle sue sottoposte. Sembrava quasi che condividessero con lei l’enorme vuoto che la divorava. Una mattina era giunta quasi a metà della prima fila nel corso della rassegna, quando la vista le si annebbiò. Barcollò ancora per qualche passo e poi rovinò a terra, appoggiandosi a Huda che le stava a fianco.

Si risvegliò nel suo letto, la vicecomandante accanto a lei.

«Che cosa mi è successo, Huda?» chiese Teie. «Da quanto tempo sono qui?»

«Due giorni. Adesso va meglio. Va molto meglio.»

«Non mi hai risposto. Che cosa è successo?»

«Hai... hai perso il bambino che portavi in grembo, Teie.»

Il mondo le crollò addosso. Aveva perduto anche l’unico legame che avrebbe potuto mantenere con il sogno d’amore che aveva vissuto.

In quell’istante Huda si alzò in piedi e balbettò qualcosa, inchinandosi deferente.

Il faraone Tolomeo avanzò verso il giaciglio della guerriera. Non sembrava un figlio degli dei, ma un semplice uomo segnato dal dolore. Sedette sul letto della giovane guerriera.

«La più fedele dei miei soldati», sussurrò accarezzandole teneramente il capo. «La più fedele...» ripeté.

Poi la tenne stretta, la cinse e lasciò che Teie appoggiasse la testa sul suo grembo e, con le lacrime che gli colavano sulle guance, il faraone rimase in silenzio abbracciato alla guerriera.

L'ombra di Iside
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