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L’impatto fece sbattere con violenza i denti di Rachel, che urtò contro lo sportello e urlò quando sentì un dolore lancinante al braccio.

«Ethan» disse con voce roca. «Ethan!»

Lui non si mosse. Era accasciato sullo sterzo, schiacciato dall’airbag laterale. Il sangue gli scorreva lungo la fronte e Rachel lo fissò terrorizzata vedendo che non si muoveva.

«Ethan, svegliati. Oh, mio dio, Ethan.»

Il rumore del metallo che scricchiolava la fece voltare di scatto proprio mentre il suo sportello veniva aperto.

«Oh, grazie a dio! Mio marito è ferito. Ci serve un’ambulanza.»

L’uomo si chinò, la afferrò per i capelli e la trascinò fuori dal pick-up.

Rachel urlò quando lui la attirò a sé con violenza, bloccando in quella stretta il suo braccio ferito.

«Che cosa sta facendo?» strillò, mentre lui la trascinava verso la strada.

«Sei una cagna difficile da ammazzare» le rispose seccamente.

Il cervello di Rachel andò in cortocircuito. Era tutto troppo scioccante perché potesse elaborarlo. Guardò freneticamente verso il pick-up distrutto, dove Ethan giaceva privo di coscienza.

«Lasciami andare!»

Scalciò e lottò, ignorando il dolore che le dilaniava il corpo.

L’uomo si girò e la schiaffeggiò duramente in pieno volto, gettandola a terra. Poi la tirò su con uno strattone prendendole il braccio sano e la trascinò verso un veicolo parcheggiato in attesa.

Rachel si sentiva pulsare il viso, e lottò per capire cosa stesse accadendo e perché. Quell’uomo aveva detto che era difficile ammazzarla.

L’incidente del ponte non era stato un incidente. Lei lo sapeva. Ma perché? Perché qualcuno la voleva morta?

Il suo assalitore la scaraventò sul sedile posteriore dell’auto, dove un secondo uomo la stava aspettando, poi si sistemò al posto di guida e partì con un ruggito lungo l’autostrada.

«Chi sei?» gli domandò mentre cercava di liberarsi dalla stretta dell’altro uomo. «Che cosa vuoi?»

Lui la ignorò e prese un telefono cellulare. Premette alcuni tasti e poi iniziò a sbraitare.

«Ce l’ho. Sì, nessun errore stavolta. Farò in modo che non parli. Mai più. No, questa volta non posso farlo sembrare un incidente. Ci ho già provato. Quella cagna non vuole morire. L’ammazzo e mi libero del corpo. Nessuno la troverà. Rimarrà uno dei tanti casi irrisolti. Castle ne sarà felice e io e Tony spariremo in Messico.»

Castle... Conosceva quel nome. Imprecò contro la sua mente rallentata. Come faceva a conoscerlo?

Avvertiva un dolore lancinante al braccio e la sua testa era sul punto di esplodere. Si portò la mano sana alla tempia e la massaggiò, sforzandosi di ricordare. Accanto a lei, il bastardo numero due la teneva d’occhio e alla fine le prese il polso e le rimise giù il braccio con uno strattone.

«Lasciatemi andare» implorò lei sottovoce. «Non dirò niente, lo giuro. La famiglia di mio marito vi può pagare. Può anche portarvi in Messico. Ma vi prego, lasciatemi andare. Questa cosa li ucciderà. Pensavano fossi morta.»

Sapeva che stava parlando a vanvera, ma era disperata. E spaventata da impazzire.

Il conducente rise. «Già, hai un talento per rimanere viva. Sono convinto che tu abbia più vite di un gatto. Saresti dovuta morire un anno fa. Saresti dovuta morire sul ponte. Speravo di farlo sembrare un incidente, ma un proiettile sarà più efficace.»

Rachel stava per vomitare. Fra il dolore e il panico, era quasi incapace di pensare.

«Perché?» disse a fatica. «Non ho mai fatto niente a nessuno.»

«Lo vuole Castle. Io non faccio domande. Lui paga il conto e io faccio quello che mi chiede.»

I due uomini risero mentre la macchina continuava a sfrecciare sulla strada tortuosa che lei aveva percorso appena un’ora prima. Si stavano avvicinando alla casa di Sam. L’avevano seguita? In quale altro modo avrebbero potuto sapere dove trovarla?

Rachel chiuse gli occhi e la disperazione si impossessò di lei. Durante l’anno di prigionia non aveva mai accettato l’idea di morire. Aveva aspettato Ethan sapendo che in qualche modo l’avrebbe trovata. Adesso non aveva più alcuna speranza del genere. Ethan non avrebbe mai potuto sapere che cosa le era accaduto. Poteva anche essere morto.

Una sensazione di calma scese su di lei, cancellando la paura. Prima aveva aspettato qualcuno che la salvasse. Adesso toccava a lei salvarsi con le sue forze.

Solo tu puoi salvare te stessa.

Le tornarono in mente le sue stesse parole. Quanto si erano dimostrate profetiche.

Radunò i ricordi delle lezioni di autodifesa di Donovan e Garrett. Le tornò in mente il modo in cui si disperavano perché era troppo debole... Aveva dato loro una bella dimostrazione quando li aveva sbattuti con il culo per terra in un accesso di collera.

I due uomini si erano messi a ridere e avevano detto che era troppo facile, così lei si era rifiutata di parlargli per una settimana. Alla fine l’avevano riconquistata con cioccolata e libri.

Aveva continuato a prendere lezioni. Con Ethan via per tanto tempo, sentiva che era importante essere in grado di difendersi da sola.

Una risata isterica le ribollì in gola e si sforzò di trattenerla recuperando la calma di poco prima.

Rassegnati, Rachel. Non sarà facile e farà un male pazzesco, ma tu non cederai senza aver prima lottato.

L’uomo alla guida era basso e tarchiato. L’idiota che aveva accanto invece era più alto di lei, ma non molto robusto. Probabilmente avrebbe avuto più possibilità di mandare al tappeto lui, ma d’altra parte era il conducente quello con la pistola.

Oh, be’, se non avesse fatto niente sarebbe morta, quindi se moriva cercando di fuggire, il risultato non sarebbe cambiato. Si meravigliò per la serenità con cui accettò l’idea della propria morte. Forse perché era già morta un anno prima.

Imboccarono una strada sterrata lasciandosi il lago alle spalle e il conducente spense i fari. Si ritrovarono immersi nelle tenebre del mondo circostante. Non c’era nemmeno la luna e le nuvole nel cielo offuscavano le stelle.

Che cosa avrebbe fatto? Aveva bisogno di un piano. Un piano? Il suo unico piano era sopravvivere... a tutti i costi.

Il conducente lasciò anche la strada sterrata, questa volta per immettersi in un sentiero che si addentrava nel bosco. Rachel soffocò un gemito. Anche se fosse riuscita a scappare, non aveva idea di dove si trovasse.

L’auto si fermò e Rachel si preparò al dolore lancinante che sarebbe arrivato non appena si fosse mossa. E quel bastardo non si faceva scrupoli a trascinarla fuori dal veicolo...

Serrò la mascella, ma le sfuggì ugualmente un gemito quando la mano dell’uomo le circondò il braccio rotto e tirò.

«Facciamo alla svelta» borbottò l’altro. «Prima la finiamo, meglio è.»

Rachel vide il metallo opaco della bocca della pistola quando lui la tirò fuori dalla tasca. Aveva pochi secondi per agire.

Era pazza, giusto? Era ora di dimostrare fino a che punto.

Non appena il tipo alto le prese il braccio per trascinarla fra gli alberi, Rachel cacciò un urlo da fare invidia a una banshee. Gli sferrò una ginocchiata all’inguine e, ignorando il dolore al braccio, gli ficcò le dita negli occhi. L’uomo si piegò su sé stesso strillando come una ragazzina e lei fece attenzione a mantenerlo fra sé e l’altro che aveva la pistola.

Nella concitazione, urtò con il piede un grosso sasso e cadde; cercò quella pietra con le mani graffiando il terriccio finché non arrivò a stringerla fra le dita. Quando l’uomo le puntò la pistola contro, gliela scagliò addosso. Non aveva giocato a softball per otto anni per niente!

Lo colpì alla testa con precisione fatale. Lui si accasciò come un pupazzo e Rachel si rialzò a fatica senza sprecare un secondo prima di fuggire nel bosco.

Il rumore dei proiettili che colpivano gli alberi alle sue spalle la spronò a non fermarsi. Il bastardo stava usando un silenziatore, quindi non aveva idea di quanto fosse lontano. Non importava. Se la catturava, era morta.

«Ethan. Ethan!»

Ethan si svegliò all’improvviso, l’istinto gli stava gridando che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato. Si guardò intorno e vide Sean che gli puntava una torcia in faccia. Sollevò una mano per schermarsi gli occhi dalla luce e Sean abbassò la torcia.

«Cristo, mi hai tolto dieci anni di vita. Che cazzo è successo?» domandò Sean.

Rachel.

Quel pensiero improvviso lo colpì con la forza di un treno merci. Allungò la mano e tirò la cintura di sicurezza. Sean lo bloccò, urlandogli di fermarsi.

«Dannazione, Ethan, devi aspettare l’ambulanza. Non dovresti muoverti. Potresti aver subìto un danno alla spina dorsale. Andiamo, sii collaborativo.»

«Rachel!» gridò. «L’hanno presa.»

Si divincolò da Sean e riuscì a liberarsi dalla cintura di sicurezza. Cristo, come avrebbe fatto a uscire? La fiancata del pick-up era completamente rientrata. Il finestrino era esploso e Sean vi si sporgeva da fuori reggendo la torcia. Ethan si girò verso il sedile del passeggero. Dov’era stata seduta Rachel. Lo sportello era ancora aperto ma il suo posto era vuoto.

Strisciò fino al sedile del passeggero e poi fuori dal veicolo. Sean girò intorno al pick-up in un istante, puntando ancora la sua dannata torcia sulla faccia di Ethan.

«Cos’è successo a Rachel?» gli domandò il poliziotto. «Era insieme a te?»

Ethan si rialzò, ma vacillò e dovette aggrapparsi alla spalla di Sean. Merda. Questa non ci voleva.

«Sì. Era con me. Quei bastardi l’hanno presa. Aveva ragione lei, maledizione. L’incidente sul ponte. Non è stato un incidente. Quei vermi ci stavano aspettando quando siamo usciti da casa di Sam. Ci sono venuti addosso e l’hanno rapita.»

«Madre di dio» mormorò Sean.

Cominciò immediatamente a urlare ordini via radio. Poi si interruppe e guardò intensamente Ethan.

«Dimmi tutto quello che ti ricordi, Ethan. Abbiamo bisogno di un punto di partenza.»

«Non lo so» rispose seccamente. «Era buio. Li ho visti parcheggiati all’incrocio con l’autostrada. Hanno acceso gli abbaglianti e ci sono venuti addosso. Il resto è nebuloso, ma ricordo Rachel che urlava mentre un tizio la tirava fuori dal pick-up per i capelli.»

«Che dio ci aiuti» borbottò Sean. «Okay, dovremo organizzare una ricerca a tappeto. Hanno un vantaggio su di noi. Ordino che vengano bloccate le autostrade e le strade secondarie. Mi metterò in contatto con il dipartimento dello sceriffo di Henry County e chiederò che le volanti escano in ricognizione.»

«Dammi un telefono, così posso chiamare Sam e Garrett.»

Sean gli lanciò il cellulare ed Ethan compose il numero del fratello. Sentiva le viscere contorcersi. La paura lo teneva per le palle. Sullo sfondo, Sean stava parlando concitatamente e la sua radio riecheggiava come un megafono. Ethan dovette riconoscerlo, quel ragazzo sapeva fare il suo mestiere, e in quel momento lui era dannatamente felice di averlo al suo fianco per ritrovare Rachel.

Chiuse gli occhi mentre aspettava che Sam rispondesse.

Sto arrivando, piccola. Resisti. Verrò da te. Te lo giuro. Basta che tieni duro. Per me. Per noi.

Ti prego, dio, non prenderla ora.

Qualcuno la voleva morta. La vita di sua moglie dipendeva da quanto lui e i suoi fratelli avrebbero capito dal giorno precedente. E che dio aiutasse quei bastardi, quando Ethan li avrebbe trovati.

Sam si passò una mano stanca sul viso. Che razza di casino. Non lo avrebbe mai sospettato. Oh, certo, sapeva che Ethan poteva essere un testone figlio di puttana, ma non avrebbe mai immaginato che il suo matrimonio con Rachel fosse così problematico.

Guardò Garrett che aveva un’espressione altrettanto sconcertata. Suo fratello alzò gli occhi e si limitò a scuotere la testa.

«Io. E Rachel.»

Scosse di nuovo la testa, come se non riuscisse a capacitarsi che qualcuno avesse pensato che aveva una relazione con la moglie di suo fratello.

«È una pazzia» disse.

Sam guardò l’orologio. Era quasi ora che Rio facesse rapporto. Non aveva senso andare a letto adesso. Fece un cenno a Garrett.

«Forza. Andiamo nella sala bellica. Tra poco Rio farà rapporto, e noi dobbiamo programmare il nostro viaggio. Probabilmente Steele è già partito. Contro il mio volere, potrei aggiungere. Non si può mai dire niente a quel figlio di puttana. Non so come abbia superato l’addestramento di base. Si rifiuta di prendere ordini.»

«L’ha superato perché è una dannata macchina» borbottò Garrett.

Si alzò per seguire Sam ed entrambi uscirono dalla porta laterale attraversando il giardino buio.

«Hai mai considerato quanto sia ridicolo portarsi il telefono satellitare da casa alla sala bellica nel cuore della notte?» domandò Garrett in tono divertito mentre Sam digitava i codici di sicurezza per la porta.

Sam abbassò lo sguardo e fece spallucce. Quando gli uomini erano in missione portavano sempre i telefoni con sé, ma lui preferiva ricevere i rapporti nella sala bellica, dove aveva a disposizione tutte le attrezzature.

Pochi secondi dopo, i tubi al neon sul soffitto inondarono di luce l’interno. Sam controllò ancora l’orologio mentre prendeva posto dietro al computer.

Donovan sarebbe atterrato in Texas entro un’altra mezz’ora e avrebbe fatto rapporto dopo aver incontrato la sua squadra. Da lì avrebbero intrapreso il breve viaggio in Messico per quella che doveva essere una liberazione lampo.

Sam sbadigliò. «Potremmo rimanere alzati anche per Van.»

Garrett annuì mentre esaminava le informazioni che aveva lasciato Donovan.

«Avrei dovuto insistere per accompagnarlo» disse Garrett.

Sam si appoggiò allo schienale della sedia e sollevò un sopracciglio. «Come hai insistito per venire con me in Sudamerica?»

«Ho ceduto il posto a Van perché sapevo che sarebbe stato in grado di gestire questa missione anche con le mani legate dietro la schiena. Il tuo viaggio in Sudamerica con Rio è un altro paio di maniche, e tu lo sai benissimo.»

Sam alzò le mani in segno di resa. Garrett stava per arrabbiarsi di nuovo... Non che ci volesse molto.

Il telefono satellitare squillò e Sam rispose immediatamente.

«Qui Sam. Procedi.»

Ci fu un’interferenza sulla linea che lo fece accigliare. Brutto momento per essere fuori posizione.

«Cattive notizie, capo» disse Rio. «Qualcuno ci ha seguiti fin qui.»

«Che significa ‘ci ha seguiti’?» domandò Sam.

«Abbiamo localizzato i tuoi ragazzi, installato la sorveglianza, fatto una ricognizione parecchi chilometri verso nord per organizzare un punto d’accesso per voi. Quando siamo tornati, l’intero villaggio era stato spazzato via. È stata un’azione professionale e sanguinosa. Un messaggio, penso.»

A Sam si gelò il sangue. Era stato troppo immediato. La tempistica troppo vicina all’incidente di Rachel sul ponte.

«Figli di puttana» mormorò. «Andatevene da lì e riportate il culo a casa. Immediatamente.»

«C’è di più. Ne abbiamo trovato uno vivo. Ha detto che ha cercato di aiutare Rachel. Che l’ha protetta mentre era prigioniera.»

«Protetta un cazzo» sbraitò Sam.

«Stava lavorando sotto copertura. Non si sacrifica una missione per il bene di uno solo e stronzate del genere. È stato lui a inviare a Ethan tutte le informazioni sperando che la famiglia di Rachel organizzasse il salvataggio.»

«Mi perdonerai se non gli offro la qualifica di eroe» disse Sam con malignità.

«Non me lo sarei aspettato da te. Ti sto solo trasmettendo le nostre scoperte. E, Sam, ha detto di stare attenti perché lui la perseguiterà.»

«Lui chi?»

Rio fece un verso di disgusto. «Il bastardo ha avuto la pessima idea di morire prima che potessimo approfondire la conversazione. Volevo solo avvertirti che forse esiste ancora una minaccia per Rachel.»

«Già, adesso lo sappiamo. Porta via la tua squadra. Non voglio che vi ritroviate in mezzo a un conflitto a fuoco o a una fottuta guerra fra cartelli.»

«Sei tu il capo.»

«E, Rio... stai attento.»

Rio non rispose e la comunicazione venne interrotta.

«Che cazzo sta succedendo?» domandò Garrett. Le vene sul suo collo erano gonfie e la mascella così serrata che Sam pensò che gli si sarebbero sgretolati i denti.

Lo aggiornò brevemente sulle scoperte di Rio e poi aggiunse i suoi personali sospetti sull’incidente di Rachel.

Garrett saltò in piedi. «Dobbiamo seguire lei ed Ethan. Figlio di puttana... Rachel ha detto che è stata buttata giù dal ponte. Lei ce l’ha detto e noi l’abbiamo ignorata.»

Sam avvertì una paura crescente stringergli lo stomaco.

«Prendo le chiavi.»

Tornarono di corsa a casa. Quando entrarono, il telefono stava squillando. E Sam capì che non erano buone notizie.