Capitolo 27
Viktor
«S
ai come si dice rapa in svedese?», domando a Callum.
Lui scuote la testa sorridendo. Sono sicuro che potrei chiedere qualsiasi cosa a questo bambino e lui sorriderebbe sempre. È un po’ inquietante, se si sta parlando di qualcosa di pauroso.
«Si dice “svedese”», gli spiego.
«Ma non sei tu uno svedese?»
«Lo sono».
«Lo sarò anche io?»
«Questo dipende da tua sorella. Se fosse qui, glielo domanderei». Studio il suo volto con attenzione. «Sei sicuro di non sapere dov’è?».
Lui sorride e basta. Ne so quanto prima.
In realtà è colpa mia, dei miei voli pindarici, che mi hanno condotto a prendere un aereo per volare letteralmente a Tehachapi, ancora una volta, in cerca di Maggie.
Dopo la sua partenza ho passato parecchio tempo a cercare di capire cosa dovessi fare per riconquistarla. Sapevo che tra noi non era finita solo perché era spaventata e avevamo litigato. Poteva sembrare così, specialmente visto che lei in sostanza ha fatto le valigie, ha preso la sua famiglia e se n’è andata. Il giorno dopo hanno preso il primo volo e sono partiti, non ho avuto neppure il tempo di rendermi conto di quel che stava succedendo.
Che l’avevo persa.
Avevo perso tutti loro.
Avevo perso… tutto.
La tempesta mediatica però non si è placata dopo la sua partenza. Hanno cominciato a diffondersi delle voci. Era stata vista all’aeroporto, la gente ha fatto congetture sul perché fosse partita. Hanno iniziato a notare che non venivamo mai visti assieme, e che lei era scomparsa dal radar.
Io ho ignorato tutto. È l’unica cosa da fare. E ho cercato di andare avanti.
Ho fatto quel che ci si aspettava da me. Mi sono buttato nel mio nuovo ruolo e ho cercato di diventare un personaggio pubblico. Ho provato a fingere che il mio cuore non si stesse spezzando dentro, anche se stava lentamente riducendosi in frantumi, fino al punto che non c’era nulla che mi desse più gioia. Maggie era la mia gioia, la mia luce, era tutto per me. La mia persika, la mia Miss America, il mio marasma. Oh, il suo secondo nome non poteva essere più calzante, perché lei ha portato il caos nel mio cuore, nella mia vita, ha capovolto il mio mondo e alla fine io ero diventato un uomo migliore per questo, per lei.
Ma indossare una maschera funziona solo fino a un certo punto. Avrei dovuto saperlo.
Alla fine la maschera si è dissolta.
Alla fine i sentimenti sono tornati a inondarmi.
Alla fine ho compreso che se non avevo lei non avevo nulla.
Senza di lei non ero degno di portare una corona.
Subito dopo ho detto a Freddie di scoprire quale fosse la prossima pausa nei miei impegni istituzionali, dopodiché abbiamo prenotato i biglietti, fine della storia. Il piano era sorprendere Maggie come avevo fatto la volta scorsa, gettarmi ai suoi piedi e chiederle di sposarmi come avrei dovuto fare quella sera, quando ho perso la testa. Partire e non tornare a meno che non l’avessi avuta accanto.
E così, accompagnato dalla mia guardia del corpo e con Janne che aspettava fuori in macchina, mi sono presentato a casa loro sperando di imbattermi in Maggie.
Invece ho trovato Callum, seduto al tavolo della cucina con un bicchiere di latte, che leggeva un fumetto. Rosemary, Thyme e April erano alla partita di calcio di Rosemary e Pike era di sopra a riposare. Callum ha detto che Pike in questi giorni è troppo stanco per fare qualsiasi cosa.
Ma quando ho chiesto dove fosse Maggie, Callum non lo ha detto. So che lo sa, ma non me lo vuole dire.
«Che cazzo!».
Mi volto e vedo Pike sulla soglia della cucina, la vista annebbiata che tenta di mettermi a fuoco.
«Parolaccia», lo rimprovera Callum scuotendo la testa.
«Viktor?», fa Pike sbattendo le palpebre ripetutamente. «Viktor! Ma. Che. Cazzo. Ci fai qui?».
È più sorpreso dalla mia presenza di quanto mi aspettassi. Come se lo avessi sconvolto.
«Ehm, anche a me fa piacere vederti».
«È un principe, Pike, mostra un po’ di rispetto», obietta Callum.
«Già, ha parlato herdy schmerdy bork bork», mormoro tra me. Guardo Pike. «Ascolta, mi spiace di essere piombato qui senza avvertire, ma dovevo parlare a Maggie, a quattr’occhi».
«Be’, mi scoccia dovertelo dire, ma un minimo di preavviso sarebbe stato gradito».
«Perché, che succede?», domando, sospettoso.
Pike guarda Callum. «Non glielo hai detto?»
«Ehi», protesta lui, «anche io ho diritto ad avere dei segreti».
«Dirmi cosa? Lei dov’è?»
«Maggie è in Svezia».
La terra pare mettersi improvvisamente a girare al contrario. «Cosa?». La voce mi esce in un sussurro. «In Svezia?»
«È lì per te. Improvvisamente ha deciso che
aveva fatto uno sbaglio e non poteva vivere senza di te, o una roba
simile, e questo è tutto. Ieri l’abbiamo accompagnata
all’aero-
porto».
«Oh mio Dio», mormoro. Tiro fuori il telefono ma non vedo nessun messaggio, da lei né da nessun altro. «Mi avrebbe mandato un sms, no?»
«Voleva farti una sorpresa. A quanto pare avete avuto la stessa idea. Forse avete visto troppe commedie romantiche».
Guardo di nuovo il cellulare e noto che non è connesso.
Helvete.
Lo metto in modalità aereo, poi di nuovo in modalità normale, e a questo punto compaiono un milione di messaggi.
Uno è di Maggie, dice che sta andando in Svezia.
Una manciata di messaggi è di Freddie, mi avverte che Maggie è arrivata e Nick è andato a prenderla e non sa se deve dirle dove sono.
Poi uno da mio padre. Vuole sapere dove mi trovo e perché Maggie è a palazzo e io no.
E poi…
Il messaggio peggiore di tutti.
Mio padre che dice che è andato a palazzo e ha fatto una lunga chiacchierata con Maggie.
Non dice altro.
Cazzo.
Non va per niente bene. Per quel che so potrebbe averla convinta a ripartire, che non c’è posto per lei nella famiglia reale, e ora lei sta di nuovo tornando qui.
Le scrivo: Sono a Tehachapi! Nella tua cucina! Non andare da nessuna parte, sto tornando io da te.
Aspetto qualche minuto per vedere se riceve il messaggio ma poi realizzo che data la differenza di fuso orario laggiù è tardi e probabilmente sta dormendo.
Sempre che sia ancora là.
«Non riesco a credere che eravate tutti e due per aria nello stesso momento», commenta Pike.
«Io sì», ribatto sospirando. «Sembra proprio il tipo di cosa folle che potrebbe capitare a noi».
«Vuoi fermarti a cena?», chiede Pike. «Stavo per cominciare a preparare. Le ragazze torneranno fra poco».
«Perché non cucini tu?», domanda Callum. «Per favoooore».
Scuoto la testa. «La prossima volta. Promesso».
«Non ci sarà una prossima volta», obietta col broncio.
«Ci sarà, se Maggie acconsente a sposarmi». Li guardo entrambi. «Voi siete ancora d’accordo, vero?».
Cazzo, spero proprio di sì.
«Certo, doh», fa Callum rovesciando gli occhi con fare teatrale.
Pike annuisce. «Col tempo l’idea ha cominciato a piacermi. Non posso ancora dire se verrei a stare in Svezia con voi. Credo che in fondo al cuore sono più un tipo da sole e palme. Ma avete la mia benedizione. Avete la benedizione di noi tutti».
«Okay». Mi alzo in piedi, resto un attimo chinato sul tavolo per raccogliere le forze e affrontare di nuovo un viaggio infernale. «Credo che ci sia un aereo che mi aspetta».
Il jetlag è un inferno.
Dopo aver attraversato parecchi fusi orari nel giro di ventiquattro ore, quando atterro di nuovo a Stoccolma, so a malapena che giorno è, che ore sono e chi sono io. Ma so una cosa: devo arrivare a Palazzo Haga prima possibile.
Devo chiedere alla donna dei miei sogni se vuole sposarmi.
Alla futura Altezza Reale, futura principessa e regina.
Ovviamente avendo il cervello in pappa non ho con me l’anello. Quello che avevo scelto è dentro un cassetto nella mia stanza. Fanculo, dovrò improvvisare.
A meno che…
Busso sulla spalla di Nick, che sta guidando. Ormai siamo a pochi minuti dal palazzo.
«Non è che per caso hai un anello, vero?».
Nick mi scocca un’occhiata perplessa. «Ho la fede nuziale».
«Posso prenderla in prestito?».
Fa una smorfia. «Deve proprio?»
«Te la restituisco, promesso».
«Non saprei. Sa, porta sfortuna mettersi la fede di qualcun altro».
«Nick, come principe ereditario e futuro re di Svezia, io ti ordino di darmi la tua fede. Essendo sottoposto a questo, ehm, ordine… reale… tu devi obbedire. O affrontare le conseguenze».
Non capisco se Nick voglia in realtà mandarmi a fare in culo.
Sospirando alza la mano destra così posso togliergli l’anello. Non è tanto semplice. «Quand’è stata l’ultima volta che lo hai tolto?», grugnisco, e finalmente riesco a sfilarglielo.
«Credo che mia moglie abbia scelto una misura più piccola in modo che non lo perdessi».
«Oppure sei ingrassato».
«Credo che mia moglie mi abbia fatto ingrassare in modo che non lo perdessi».
«Mi sembra giusto». Me lo rigiro tra le dita. È ossidato e molto semplice, ma per ora andrà bene. E per quanto riguarda la sfortuna, contro di noi non può fare nulla.
«Se lo perde», mi avverte, «dovrà vedersela con mia moglie. E organizzare un incontro con Harry Styles per me e le mie ragazze».
«Andata. Ehi, adesso speri che lo perda, dì la verità».
Non dice nulla.
Me lo infilo in tasca e chiamo Bodi al suo cellulare.
«Viktor!», esclama, «non immaginerà mai chi c’è qui!».
«Lo so. Sto per arrivare. Ho bisogno del tuo aiuto, devi tenere Maggie lontana dalle finestre che dànno sul davanti della casa».
«Cosa?»
«Fallo e basta».
«Per quanto tempo?»
«Dammi dieci minuti».
«Okay ma…».
Riattacco.
Poco dopo entriamo in casa dall’ingresso posteriore e io raduno al volo la cuoca, Else e Nick, e spiego loro cosa fare.
Non so dire se andrà bene o no, ma l’idea me l’ha data Magnus quando gli ho parlato prima di salire sull’aereo, ieri. Considerando tutte le cose che sapeva su Le pagine della nostra vita, e ora questo, sto cominciando a pensare che in fondo al cuore sia un romanticone. Però che il Signore aiuti la donna che finirà insieme a lui.
Mentre Nick corre al giardino di fronte casa e con una pala traccia le linee, Else e io raccogliamo dei rami dalla catasta della legna e li disponiamo lungo quelle linee. L’idea è che quando Maggie guarda fuori dalla finestra di sopra, dovrebbe vedere delle lettere enormi scritte nella neve.
Ora, io so che lei sa che sto arrivando. Le ho mandato un messaggio ieri e anche se non ha ancora risposto, probabilmente perché che cosa potrebbe dire se non «oh, merda, com’è potuto succedere?», io mi sono accertato tramite Nick che sia ancora in casa.
Ho anche chiamato mio padre, e benché non gli abbia chiesto di cosa hanno parlato lui e Maggie, ho detto che stavo tornando.
E anche cosa avevo intenzione di fare.
Che mi sarei inginocchiato.
Che avrei chiesto a Maggie di diventare mia moglie.
E che se aveva obiezioni in merito, allora poteva anche non darci la sua benedizione né scomodarsi a essere presente.
Per ora non è qui.
Il che significa che avevo visto giusto.
Ma adesso mi rifiuto di pensare a questo. La mia unica preoccupazione è Maggie.
Dirà di sì?
Mi vuole sposare?
Mi ama ancora?
Non posso dare per scontata nessuna di queste cose solo per il fatto che è qui. Devo vederlo coi miei occhi, guardare nel suo cuore, nella sua anima, e scorgere la sua verità, sentire il suo calore nelle mie mani. Il solo fatto di essere vicino a lei mi darà tutte le risposte.
«Credo che abbiamo finito qui, signore», dice Else ripulendosi la neve dal cappotto.
Guardo le lettere. Da qui è impossibile leggerle, perciò posso solo sperare che Maggie le legga da là sopra.
«Mi sa che è ora», fa Nick guardandomi con aria birichina.
Else batte le mani guantate, eccitata.
Io entro nel palazzo.
«Maggie?», la chiamo dall’atrio.
Le porte dello studio si aprono ed esce Bodi, tutto sudato.
È un violino quello che sento?
«Cosa ci fai qui?», domando sorpreso, poi vedo Maggie dietro di lui, mi guarda timidamente ed è confusa per via di qualsiasi cosa stesse facendo Bodi.
«Ho messo su della musica e stavo facendo una dimostrazione della nostra tradizionale danza popolare», spiega Bodi col fiato corto. «Sono un po’ fuori allenamento».
Io cerco di non ridere. Quindi era questo il piano di Bodi per tenerla lontana dalle finestre? Povera ragazza.
Lo ringrazio con un cenno del capo e poi guardo Maggie.
«Ciao».
La sua vista è come un balsamo per tutte le mie ferite. Mi calma, mi cura, mi disvela.
«Ciao», fa lei.
«Bene, io vi lascio soli», dice Bodi e barcolla verso la cucina. «Mi serve un po’ d’acqua».
«È bello vederti qui», le dico.
«È bello essere qui», replica lei.
Oh, quanto non voglio che venga fuori una cosa imbarazzante.
«Senti, io…», esordisco proprio mentre lei dice: «Ascolta, io…»
«Mi dispiace», sbottiamo entrambi all’unisono.
«Mi dispiace», ripeto subito io, l’afferro, la traggo a me finché non sento che è nelle mie mani. Lei è qui adesso, in carne e ossa, vera, e io ho bisogno che sia mia. «Mi dispiace davvero tanto. So che non avrei mai dovuto…»
«No», fa subito lei. «Non hai nulla di cui scusarti. Hai fatto tutto nel modo giusto. Sapevo quali erano i rischi di venire qui e portare i ragazzi e l’ho fatto lo stesso perché volevo un futuro con te. E a un certo punto durante il tragitto mi sono spaventata e ho perso di vista il mio obiettivo. Ho perso di vista il motivo per cui ero venuta qui».
«Ti prego, tu non hai fatto niente di sbagliato», le dico cercando i suoi occhi. «Perciò neanche tu devi scusarti. Dovevi pensare prima di tutto ai ragazzi».
«Ma l’ho fatto senza averli consultati. Non avevo idea che volessero vivere qui, che sarebbero rimasti. In un certo senso, ho preso io ogni decisione per loro».
«Come farebbe una madre».
«Sì, ma non è questo che voglio fare, o essere. Voglio parlare con loro, prendere in considerazione le loro opinioni perché io le ritengo importanti. Voglio trattarli come persone adulte».
«Ma non sono adulti. Non sono neppure i tuoi figli. Sono i tuoi fratelli e le tue sorelle. Tu stai facendo del tuo meglio e ti assicuro che non ti do alcuna colpa per essertene andata. Assolutamente. Li hai protetti».
«Ma non mi sono resa conto di quanto fossero forti. Più di quanto pensassi». Si sfrega un labbro sull’altro ed espira dal naso. «Mi dispiace di essermene andata, Viktor. So che non si deve scappare. Credevo di non essere abbastanza forte e questo mi ha spaventato, ma invece lo sono. Tu me lo hai fatto capire, sei stato tu. Tu hai fatto sì che cominciassi a credere in me stessa, a credere che potessi fare ogni cosa, e non potrò mai ringraziarti abbastanza. Per me sei la cosa più importante del mondo. Tu sei il mio mondo. Mitt liv, mitt allt».
«Dio, quanto sei sexy quando parli svedese», mormoro prima di baciarla. Le sue labbra sulle mie innescano mille esplosioni dentro di me e mi serve un sacco di concentrazione per ricordarmi del mio piano.
Mi stacco da lei, la vedo arrossire. «Quasi avevo dimenticato l’effetto che mi fai», ammette senza fiato.
«Che effetto ti faccio?».
Un lieve sorriso. «Sempre di più, mai di meno».
Be’, che mi venga un colpo.
Pensavo che chiederle di sposarmi sarebbe stato difficile, ma mi sento senza respiro ancora prima di aver cominciato.
«Devo farti vedere una cosa».
La prendo per mano e la conduco su per le scale fino alla mia stanza da letto – la nostra stanza da letto.
«Mi vuoi far vedere una cosa, eh?», dice con aria maliziosa. «Ne è passato di tempo».
Io rido. «Sì, quello più tardi, te lo prometto», replico portandola davanti alla finestra.
Ora sono di fronte a lei, la schiena al vetro, a bloccarle la visuale.
«Sei pronta?»
«Eh? Per che cosa? Ti prego, non dirmi che è un nuovo sport estremo svedese in cui si salta dalla finestra e si finisce nella neve, ho visto la versione russa e non va mai a finire bene».
«No», rispondo, serio.
Allora mi sposto di lato e con un gesto svolazzante indico la finestra.
Si avvicina e guarda fuori.
Io leggo da dietro le sue spalle le lettere scritte nella neve:
Vuoi spossarmi?
«Ah, helvete», impreco.
Quel cazzone di Nick, che non sa scrivere in inglese.
Maggie scoppia a ridere.
Scrollo la testa con i nervi che danzano indemoniati nel mio stomaco. Sono furioso con Nick, anche se è alquanto divertente. Ma soprattutto… merda. Come farà lei a dirmi di sì, adesso?
«Possiamo rifarla?», chiedo.
Metto un ginocchio a terra e le prendo la mano e lei improvvisamente smette di ridere.
Forse ha capito quanto sia seria la faccenda.
Perché non sono mai stato tanto serio in tutta la mia vita.
«Avevo tutto un discorso in mente», le spiego. «Un discorso che doveva precedere… questo, insomma, ma tu mi hai distratto, e io mi sono reso conto che se non sai quello che provo, non ci sarà nessun discorso che ti convincerà. Ti chiedo solo se vuoi sposarmi. Se vuoi essere mia moglie. La mia principessa. La mia futura regina. Se vorrai restare al mio fianco ovunque saremo nel mondo, non importa, basta che saremo insieme. Se vuoi prendere la mia famiglia come io prendo la tua. Se prometti di amarmi come io prometto di…»
«Posso dire sì adesso?», mi interrompe. Sta annuendo con la testa e ha un sorriso che va da un orecchio all’altro.
Anche io sorrido. «Non mi hai fatto finire».
«E tu hai detto che non ci sarebbero stati discorsi. Quindi posso dire sì?»
«Sì. Sì, puoi dire sì».
Non credo di essermi mai sentito più felice e fortunato in tutta la mia vita.
Pesco in fretta l’anello dalla tasca, come se lei potesse cambiare idea, e glielo infilo al dito. È davvero troppo largo e sta per cadere.
«Oh». Lo guarda e io non capisco se sta cercando di essere gentile. «È… classico».
«È di Nick», le spiego. «Gli ho chiesto se potevo prenderlo in prestito, anche se ora credo che dovrei tenermelo, dopo quell’errore di ortografia. Aspetta».
Mi alzo, e sempre tenendola per mano vado al cassetto, dove tiro fuori il vero anello, quello che avevo comprato prima di Natale. È molto costoso, con delle pietre rare color lavanda e un sacco di diamanti, il tipo di anello adatto a una principessa.
Lo tolgo dalla scatola con una mano sempre tenendo lei con l’altra, quindi torno a poggiare un ginocchio a terra.
Lei sussulta e nei suoi occhi sgranati si riflette la luce dell’anello.
«Miss Maggie Marasma McPherson», le dico fissandola intensamente. «Vuoi farmi l’onore di diventare la principessa Margaret di Svezia?». Mi interrompo. «Non sono sicuro di come funzioni con i cognomi nel nostro caso, dovrò tornare a chiedertelo, questo», aggiungo poi.
Lei ride con le lacrime agli occhi. Lacrime di felicità. «Sì, di nuovo. Sì!».
Tolgo in fretta l’anello di Nick e le infilo quello giusto, il suo.
Calza alla perfezione.
Come doveva essere.
«Non riesco a credere che stia succedendo», esclama.
Torno in piedi. «Sta succedendo davvero», le dico per poi stringermela al petto in un lungo, profondo bacio. «Ed era destino che succedesse, lo è sempre stato».
«Sono così contenta di essere entrata nella tua stanza e averti sorpreso nudo», fa lei, e io mi metto a ridere.
«Io sono contento che ti sia piaciuto quel che hai visto».
«Ehm».
Qualcuno vicino alla porta si schiarisce la voce, ci voltiamo e vediamo mio padre e mia madre in piedi nel corridoio. A giudicare dalle loro facce, o hanno sentito quel riferimento al sottoscritto nudo, oppure disapprovano il nostro fidanzamento.
O tutte e due le cose.
Poi mia madre entra nella stanza, i palmi delle mani stretti l’uno contro l’altro.
«Ha detto di sì?», mi domanda con un fremito di emozione nella voce, gli occhi luminosi come non glieli vedevo da parecchio tempo.
Guardo Maggie. «Hai detto di sì?», scherzo. «Non ricordo».
«Ho detto sì», conferma lei, mostrando fiera il suo anello. «Sempre di sì, mai di meno».
«Potrebbe essere un nuovo motto», commento, anche se devo ammettere che la presenza improvvisa dei miei durante questo nostro momento porta con sé una nuova ondata di tensione. Non ho idea di cosa stiano per dire.
Sempre di più, mai di meno? E se invece dicono più cose brutte e meno cose buone?
Mio padre si fa avanti, le mani dietro la schiena, è in modalità predica paterna.
Cazzo.
Spero solo che qualsiasi cosa stia per dire non inquinerà la gioia che io e lei proviamo in questo momento. Non lo permetterei.
«Sarò breve come lo sono stato con miss McPherson ieri», esordisce lui con la sua voce profonda. Mi guarda. «Viktor, io ti voglio bene. Sei mio figlio. Sei nostro figlio e noi vogliamo quel che è meglio per te. So che non siamo stati genitori perfetti, ma abbiamo fatto del nostro meglio considerando i nostri ruoli. Abbiamo fatto quel che dovevamo per assicurare a te una vita sicura e felice. A volte credo che ti abbiamo deluso e so che abbiamo deluso Alex, da molti punti di vista. So che non ce lo perdoneremo mai, e che quelle ferite non si rimargineranno».
Un profondo sospiro, poi prosegue: «Ma gli errori che abbiamo commesso con lui non vogliamo ripeterli con te. Forse è troppo tardi, però non è mai troppo tardi per provare a migliorare, giusto? Non è mai troppo tardi per ricominciare, e noi vogliamo solo la tua felicità. E con lei, tu sei felice».
Guarda Maggie, che gli sta sorridendo con occhi scintillanti. «Ho parlato con Maggie ieri, proprio di questo, e a quanto pare tua madre e io abbiamo più cose in comune con lei di quante pensassimo. Verremo anche da storie diverse e diversi paesi, ma i nostri desideri sono gli stessi, come quello di fare sempre meglio per coloro che ci stanno intorno. Maggie è una giovane donna eccezionale e siamo dispiaciuti di non essercene resi conto finché non è stato quasi troppo tardi. Lo abbiamo capito quando l’abbiamo vista a Natale, e dalla compostezza con cui ha affrontato l’incidente con April».
Qui gli scappa un lieve sorriso. «Be’, diciamo la tentata compostezza. Io stesso avrei voluto prendere a pugni quell’uomo. Ma in tutto questo ho visto una donna che non ti stava dietro per via del tuo titolo o la tua ricchezza. Non cercava di diventare una principessa. Cercava l’amore e quando ha capito che doveva proteggere la sua famiglia, se n’è andata per difendere un altro tipo di amore. So che è stata una scelta difficile, e chi può dire se fosse quella giusta. Ma nonostante tutto voi due siete tornati insieme ed è questo che conta. Viktor, questo fidanzamento ha la nostra completa benedizione. Non potevi scegliere una donna migliore da avere al tuo fianco».
Lo guardo esterrefatto, non so come reagire.
Quasi non riesco a muovermi.
Il fidanzamento, le parole di mio padre, il modo in cui mia madre ci sta guardando, come in adorazione.
Maggie mi stringe la mano. «Il re ti ha parlato, dovresti dire qualcosa».
Il mio primo impulso è di inginocchiarmi. È questo che si fa al cospetto di un re, gli si mostra rispetto. Ma inginocchiarsi non è abbastanza.
Mi avvicino a lui, gli getto le braccia al collo e lo stringo forte.
Non ricordo l’ultima volta che ho abbracciato mio padre, ma come lui ha appena detto, non è mai troppo tardi per ricominciare.
Mi restituisce l’abbraccio, una stretta frettolosa, ma per me significa più di qualsiasi altra cosa abbia mai fatto.
«Grazie», gli dico con la voce rotta dall’emozione.
Lui sorride bonario e mi tocca la guancia. «Di niente».
Poi guarda mia madre. «Meglio se lasciamo soli questi due piccioncini, Elin». Le porge il braccio e lei lo prende con tutta la grazia di una regina.
Uscendo dalla stanza si volta verso di lei e dice: «Mi sa che abbiamo interrotto qualcosa, parlavano di gente nuda».
«Oh, Arvid», lo rimprovera lei chiudendo la porta.
Io non riesco a smettere di sorridere.
Mi volto verso Maggie.
«A proposito di nudità», le dico prendendola per mano e conducendola al letto. «Che ne dici se ti facessi sentire come una regina?».