Capitolo 19

Maggie

L’efficiente agente del servizio segreto svedese in veste di autista si chiama Nick.

Sono sicura che quando sono salita nella macchina nera con Viktor, lui non si aspettasse che iniziassi a conversare con Nick, e invece mentre la macchina si infilava nelle strade che portano a casa mia non solo ho scoperto che ha due gemelle della stessa età di Rosemary e Thyme (non riuscirei a ripetere i loro nomi neanche se ne andasse della mia vita), ma anche che questa è la prima volta che viene in America. Gli ho detto di andare almeno a Santa Monica e piantare in asso Viktor per un giorno, ma Viktor non è sembrato molto ben disposto al riguardo.

In effetti durante il viaggio di ritorno l’atteggiamento di Viktor si è fatto nervoso, quando mi sono voltata a guardarlo ho notato più ombre sotto i suoi zigomi e un grigiore sotto i suoi occhi. Aveva un’aria logora e mi sono chiesta se fosse letteralmente appena atterrato – e dove? Los Angeles? – e corso subito qui.

Tutto quel che so è che non ha prenotato una stanza in un albergo in città, il che va bene perché non avrei potuto comunque passare la notte fuori con lui. Sono cambiate alcune cose per me; avendo venduto la sua macchina sono riuscita ad avere un po’ più di sicurezza economica, però ho sempre sulle spalle i miei fratelli e sorelle e ho le mie responsabilità, anche se sento di essermi adattata un po’ di più.

E onestamente qualche ora con Viktor in una stanza d’albergo non sarebbe stato abbastanza, non importa quanto possa essere sfrenato il sesso (perché sarà sfrenato, giusto? Viktor non è tipo da sesso dolce).

Lo voglio con me tutta la notte. Lo voglio nel mio letto, a casa. Voglio che si svegli e guardi le stesse pareti che guardo io ogni mattina, le pareti che ho sempre guardato. Voglio stare tra le sue braccia e sentirmi al sicuro nel posto dove vivo. Voglio che diventi una parte di questa mia vita.

Ma mi accontenterò di una minuscola frazione di tutto que-
sto.

Nick accosta la macchina e spegne il motore.

«Grazie per il passaggio», gli dico.

Mi scocca un’occhiata severa dallo specchietto retrovisore. Ma è così che è la sua faccia: severa, col naso che sembra il becco di un avvoltoio. Sarebbe terrificante se non sapessi che le sue figlie sono ossessionate da Harry Styles e adesso lo è anche lui, conosce a memoria tutti i testi del suo ultimo album.

«Non va da nessuna parte», mi dice Viktor. «È il suo lavoro restare qui e sorvegliarmi tutta la notte».

Nick annuisce in risposta.

Io fisso Viktor con occhi sgranati. «Resterà a guardarci tutta la notte?».

Nick si schiarisce la voce rumorosamente e giurerei di vederlo arrossire. «Io rimarrò in macchina, miss McPherson. Non si preoccupi».

«Oh».

Usciamo dall’auto e ci muoviamo verso la casa. Alzo gli occhi su Viktor. «Non riesco a credere che questa gente ti segua ovunque. Dev’essere seccante».

«Ci fai l’abitudine», commenta con una voce piuttosto cupa.

«Devi aver apprezzato tutta la libertà che avevi quando sei stato qui».

C’è un guizzo di tristezza nei suoi occhi. «Sì, infatti».

Essendo passate le undici, dovrebbero essere tutti a letto eccetto Pike, ma la sua luce è spenta e io non voglio scoprire se è fuori o meno. Giro la chiave con cautela e apro la porta, prendo Viktor per mano e in silenzio lo conduco dentro casa.

È buffo, ho tutti i diritti di portare un uomo nella mia stanza, ma Viktor sarà il primo da quando sono tornata a vivere qui. A volte mi sembra che siano i miei fratelli a farmi da genitori e non il contrario, o forse è così che funziona essere un genitore. Sia gli uni sia gli altri cercano di non fare casini ed essere scoperti.

Apro la porta della mia stanza e lo faccio entrare. L’ha già vista le volte che è stato qui, ma non come adesso.

Immediatamente i suoi occhi vanno alla poltrona nell’angolo, dove Viktor l’alce sta seduto sotto una foto incorniciata del mio orgasmico giro sulla Splash Mountain.

Comincio a spiegargli che quello è il piccolo altare che gli ho dedicato ma lui chiude in fretta la porta e mi bacia.

Le sue labbra e la sua lingua appiccano un incendio nella mia bocca.

Le mani spariscono nei miei capelli, giù lungo la schiena, sopra il mio petto, sui fianchi.

Le mie si agganciano alle sue spalle.

Il mio corpo si schiaccia contro il suo.

In un attimo siamo avviluppati da questa fiamma che sembra divampare in tutta la stanza e mi brucia i polmoni, l’unica cosa che desidero più dell’acqua è lui. Ho sete di lui come di nient’altro.

Ci palpiamo, ci stropicciamo, lecchiamo e mordiamo, in piedi davanti alla porta, ci strappiamo i vestiti che finiscono in terra, finché non siamo nudi e io sono pronta a farmi prendere da lui proprio lì, sul pavimento.

Invece mi prende per mano e mi conduce sul letto, si muove sicuro, consapevole. Tutti i miei nervosismi e insicurezze si sciolgono. A volte potrà anche essere dominante e rude a letto, ma io mi sento sempre al sicuro con lui e benché gli ultimi mesi abbiano creato un po’ di distanza, so che è così che noi torniamo a sentirci uniti.

Tira indietro coperte e lenzuola da me sistemate frettolosamente stamattina e io mi ci infilo sotto. So che probabilmente dovrei metterci più cura nel rifare il letto, facendo la cameriera per vivere, ma metà delle volte mi dico chi se ne frega.

«A cosa stai pensando?», mormora infilandosi nel letto dopo di me, e il suo corpo sodo scivola addosso al mio. «Hai di nuovo quel viso pensoso e sexy ma in questo momento non voglio che pensi a nient’altro che a me». Fa una pausa, abbassa una mano e si accarezza lentamente il cazzo. «O al mio cazzo. È veramente duro da morire».

Okay, questo è di sicuro il modo più rapido per sgombrarmi la mente.

Per un attimo resto a fissarlo sentendo il desiderio che mi attraversa; mi sembra di essere al tempo stesso dentro il mio corpo e fuori, un momento prima è tutto normale, quello dopo Viktor è qui ed è nudo con me in questo letto e mi sta sussurrando cose sporche, si accarezza quel suo grosso uccello e…

«Pensa a me», sussurra, e io non riesco a trovare le parole per dirgli che è quello che sto facendo. «Pensa a tutto quello che ti farò stanotte. È passato così tanto tempo, min persika. Mia piccola dolce pesca. Voglio assaggiarti ancora e ancora. Voglio recuperare tutto il tempo perduto».

Si mette sopra di me, il torace caldo che preme sul mio, i gomiti piazzati ai lati della testa. Mi guarda in un modo che mi snerva, mi arriva fino nel midollo. I suoi occhi sono gentili, curiosi e colmi di un profondo desiderio che mi attira a sé. Ma c’è qualcosa di nuovo in essi che non ho mai visto prima. Un lampo di paura. La stessa paura che ho visto nella macchina mentre venivamo qui, quell’atteggiamento teso quando stavamo davanti casa.

«Cosa c’è?», sussurro mentre mi passa un dito sul lato del viso, sopra lo zigomo, giù fino alle labbra. Le strofina e mi apre la bocca, il dito scivola dentro.

Istintivamente lo succhio e lui chiude gli occhi, si lascia sfuggire un basso gemito. «Questa bocca dolce e soffice».

A quel punto un debole sorriso gli attraversa le labbra, e sebbene il timore nei suoi occhi non svanisca, quel sorriso lo ammorbidisce.

«Maggie». La voce è roca, bassa, aspra. Mi provoca un brivido che corre su tutta la pelle.

«Torna insieme a me».

Il cuore rallenta.

Cosa?

Sbatto le palpebre. «A… Los Angeles?»

«In Svezia». Le sue dita continuano a correre sul mio volto e i suoi occhi le seguono, percorrendo il resto del viso, soffermandosi su ogni dettaglio. Adesso ho paura come lui.

Si lecca le labbra, la sua mascella freme come se stentasse a trovare le parole. «Ti ho detto che sarei tornato. Ed eccomi qui. So di non averti dato alcun preavviso». Riderei per quell’eufemismo, ma il cuore batte così forte che non credo che riuscirei neppure a muovermi. «So che potresti aver bisogno di tempo. Ma io non potevo aspettare. Non ho molte occasioni di prendere e partire, e ho preso il primo aereo che ho trovato. Devo tornare domani mattina. Sono venuto solo per chiedertelo di persona».

I miei occhi si riempiono di lacrime. Lacrime di tristezza perché dovrò dire di no, lacrime di frustrazione perché vor-
rei che mi avesse avvertito, perché in tal caso forse avrei detto
di sì.

«Non posso», singhiozzo cercando di mantenermi calma. «Lo sai che non posso».

«Ti prego, dimmi perché».

«Perché?», domando, incredula. «Perché?!»

«Maggie». Sospira, un sospiro tremante, mentre mi guarda negli occhi, mi scruta. «Sai cosa significa quando ti chiamo mitt liv, mitt allt? Min äiskling?».

Mi si forma un groppo in gola e attorno a noi l’aria si fa più densa.

«Cosa?», sussurro dopo un battito di cuore.

Ho tradotto quelle parole.

Lo so.

Ma voglio sentirglielo dire nella mia lingua.

Forse allora finalmente ci crederò.

«Significano che tu sei la mia vita, il mio tutto, e il mio amore», risponde dolcemente. «Mi hai scosso fin nell’anima, hai fatto crollare le sbarre attorno al mio cuore e io sono tuo, Maggie, io sono tuo».

Santo Dio.

Voglio piangere di nuovo. L’emozione cresce dentro, mi sta schiacciando il petto. In testa sento un calore che formicola, mi fa lacrimare, e il cuore si dissolve in polvere di stelle.

Viktor ha appena detto di amarmi.

Non mi sono mai sentita così libera e gioiosa, al tempo stesso sfrenata e costretta. Le sue parole, le sue parole, le sue parole. Mi rombano dentro ancora e ancora finché non sorrido, assaporando le mie lacrime e…

Dio. Voglio andare con lui.

Non può finire così.

«Anche io ti amo», dichiaro con voce tremante. «Non ho avuto scelta. Per tutto questo tempo ho creduto che se ne andasse, che avrei potuto dare la colpa di quello che provavo per te a qualcos’altro, che non ti conoscevo abbastanza per amarti. Ma guardati. Tu sei Viktor. Conoscerti significa amarti».

«Credo che questa sia una canzone», sussurra, ma sta sorridendo.

«Io penso che quando sei innamorato tutto sia una canzone».

«Allora cantiamone una più sfrenata».

Una delle sue mani scompare tra i miei capelli, l’altra corre fino all’interno della mia coscia, morbida e tentatrice, avanza centimetro dopo centimetro sulla pelle sensibile. L’adrenalina prodotta dalle sue parole mi pompa nelle vene e sto già fremendo per il suo tocco, lo anelo come mai prima
d’ora.

Io sono tuo, Maggie, sono tuo.

E io sono sua, io sono sua.

Non importa quel che sarà di noi, io sono sua.

Tiene gli occhi fissi sui miei, li vedo bruciare di una nuova lussuria che sembra accesa da un fiammifero, azzurre fiamme nell’oscurità, e io sono già così eccitata che mi bagno fino alle cosce. All’improvviso lo voglio dentro di me in maniera intollerabile.

«Min persika», grugnisce, la sua mano scivola giù, le dita trovano il clitoride. Mi sfugge un gemito breve e ansioso mentre lui lo stuzzica, e ancora i suoi occhi agganciano i miei. «Torna insieme a me».

Anche se potessi, bisognerebbe avere un sacco di lucidità per capire come, una lucidità che al momento io non ho. La mia mente si sta spegnendo e il mio corpo torna alla vita.

«Non pensare», dice rudemente afferrandomi per i fianchi e divaricandomi le gambe. «Dì di sì in altri modi». Si afferra il cazzo e ne strofina la punta su e giù sul clitoride, s’interrompe per infilarlo dentro di poco, poi lo tira fuori di nuovo. I rumori, gli echi liquidi, sono così forti nella stanza che per un attimo temo che si possano udire da fuori.

Chiudo gli occhi e mi arrendo a questo tormento. Non sta premendo per entrare, scivola lentamente avanti e indietro e basta, però io mi sento lo stesso spalancata; il mio corpo all’inizio era affamato, ma poi ha cominciato a desiderare disperatamente di più. Sono languida e nervosa al tempo stesso, mi sottometto ma pretendo, e lui invece si limita a sfiorarmi, ancora e ancora.

«Torna insieme a me», dice ancora una volta, la voce più aspra di prima, come se il mio silenzio lo facesse infuriare. «Non me ne vado senza di te».

«Viktor», sussurro io, senza smettere di contorcermi. Devo averlo dentro di me. Non si tratta solo della voglia di venire, è che senza di lui mi sento dolorosamente vuota e incompleta. È un altro modo per tenere a bada la paura. La paura che lui se ne vada. La paura che io possa dire di sì.

Dio, e se riuscissi a dire di sì, stavolta?

Deglutisco con forza, un rumore che è il suono della supplica. Comincio a sentire il cuore che rimbomba in testa, la pelle è calda, tesa, i capezzoli sono duri come sassi quando il lenzuolo li sfiora. Sto diventando pazza e non riesco a sopportare più questa tortura. «Ti voglio dentro di me. Ne ho bisogno. Adesso. Ti prego».

«Dimmi che verrai via con me».

«Verrò con te, qui e adesso, su questo letto», ribatto.

Questo sembra soddisfarlo. È febbrile e sfinito quanto me.

Esalando un lento respiro e senza interrompere il contatto visivo, si appoggia sui gomiti e spinge dentro.

Lentamente.

Una lentezza insopportabile.

Giro la testa di lato e annaspo, le mani strizzano le lenzuola perché sento ogni singolo centimetro della sua durezza mentre mi dilata, facendomi sentire così piena che non so come ho fatto a vivere finora senza averlo dentro di me.

Mormora qualcosa in svedese e comincia a prendere velocità, le sue dita si fanno più rudi mentre mi afferrano e strizzano la mia pelle, mi stringono come se non volesse più lasciarmi andare.

«Ti faccio male?», domanda ansimando.

«No», rispondo leccandomi le labbra. Lo guardo, catturata dal calore vibrante del suo sguardo. «Ma se vuoi puoi farlo».

Annuisce e mi osserva intensamente, spingendo con violenza. Le sue labbra si separano, risucchia aria, la fronte si increspa per il piacere e lo stupore, come se non riuscisse a credere a quello che accade, a quanto sia piacevole, al fatto che siamo di nuovo insieme.

«Forse un’altra volta, quando avremo più privacy».

Cioè quando potremo urlare entrambi. Devono esserci stati dei reclami al Roosevelt Hotel.

«Persika», geme facendo scivolare le mani sui seni, pizzicando i capezzoli induriti. «Quanto cazzo è bello, quanto cazzo mi piaci. Dimmi che sei mia, ho bisogno di sentirtelo dire».

«Sono tua, Viktor, sono tua».

Mi sta guardando, e guarda se stesso nel punto in cui il suo cazzo affonda dentro di me, l’asta bagnata dal mio desiderio. Quella vista lo ipnotizza, così come il lento affondo e l’altrettanto lento tirarsi fuori.

È così piacevole. Dio, è davvero tanto piacevole.

Oh… Dio, sì. Proprio così.

A ogni scatto del mio bacino e del suo, lui spinge più a fondo, connettendoci come calamite. E mentre va giù i suoi addominali si tendono, le piccole perle di sudore si fondono nelle pieghe tra i muscoli, l’umidità si raccoglie tra le sue sopracciglia. Allungo le mani e gli stringo il sedere sodo, lo tiro verso di me perché voglio di più, e lui mi penetra così a fondo che l’aria sfugge dai miei polmoni.

«Viktor», ansimo io, sentendo le emozioni vorticare dentro di me, un turbinio che, lo so, mi sconvolgerà di nuovo prima che tutto questo sia finito. Rovescio la testa indietro, lo shock mi fa chiudere gli occhi e io mi arrendo. È dentro di me, completamente, e io non voglio che se ne vada via, mai. Mi sem-
bra la cosa più giusta.

Non posso lasciarlo andare via.

Non lo farò.

Quest’uomo mi appartiene.

Tale pensiero innesca qualcosa dentro di me, un fuoco al centro del mio corpo che cresce lentamente, sempre più caldo. Sta per conquistare tutto, sta per sopraffarmi, non ho mai desiderato tanto venire in vita mia.

«Più giù», mormoro, la voce strozzata dal desiderio. «Più forte. Scopami più forte. Fammi venire».

I suoi occhi quasi scompaiono dietro le orbite e la sua reazione alle mie parole è istantanea.

Con un grugnito gutturale aumenta la forza delle spinte, ha una mano nei miei capelli, stretta a pugno. Si china su di me, preme il torace umido sul mio e mi bacia, baci veloci e roventi che sanno di sudore. La mia bocca si stampa famelica sulla sua, sento il desiderio che mi monta dentro, ineso-
rabile.

E infine troviamo il nostro ritmo, i corpi si muovono all’unisono. Sta pompando freneticamente, ormai non riusciamo più a essere silenziosi, lo so.

Ma adesso non mi importa più.

Questo è il mio principe.

Anzi, ora è il mio re.

Ha i muscoli del collo tesi, rigati di sudore, gli occhi persi in una luce invasata, le pupille grandi e scure, tanto che l’azzurro delle iridi è quasi scomparso. Mi fa venire in mente un animale selvaggio braccato nel cuore della giungla, pronto ad attaccare, i suoni che escono dalla sua bocca sono altrettanto crudi e primordiali.

Il letto cigola, si sposta a ogni violento colpo, per fortuna non c’è nessuno sotto di noi. Il vortice di fuoco dentro di me adesso è un rombo e io non riesco più a controllarlo.

«Vengo», esclamo, la voce roca e strozzata dal desiderio, mentre cerco di restare agganciata al suo sguardo. Lui è agganciato al mio, ha occhi che fissano, carichi di una torrida fa-
scinazione.

Il mio corpo si contorce quando l’orgasmo si abbatte su di me. Tra spasmi e fremiti mi elevo al di sopra di questo mondo, mi perdo nelle stelle, nell’oscurità. Restano solo calore e gioia quando mi areno su una spiaggia distante, e ogni tristezza mi abbandona.

«Helvete», grugnisce Viktor, e con una scarica di esclamazioni in svedese mi riporta indietro dalla mia trance. I suoi ringhi animaleschi, il suono liquido della sua pelle madida di sudore contro la mia, il cigolio del letto: tutti questi rumori riempiono l’aria.

Emette un lungo e rude gemito strozzato che tenta disperatamente di attutire, e mentre viene le sue spalle sono percorse da un tremito.

Poi i suoi colpi di reni rallentano.

La presa sui miei capelli si rilassa.

Crolla addosso a me, i capelli bagnati e attaccati alla fronte, il respiro pesante e irregolare, gli occhi fissi su di me.

«Maggie», riesce a dire dopo un po’ con la voce rauca. È ancora dentro di me e io sto ancora pulsando attorno a lui mentre il torrente che ho dentro rallenta. «L’alce deve farti una domanda».

Il tono scherzoso mi prende alla sprovvista, tanto che mi ci vuole un secondo prima di riuscire a ridere sotto voce.

«Però sono serio», continua, sfiorandomi il viso con la mano e cercando i miei occhi. «Torna insieme a me. Ti prego».

«Lo sai che non posso».

«No», fa scuotendo il capo, con una goccia di sudore che pende dalla punta del suo naso. «Sei tu che non sai di poterlo fare».

Un lungo respiro, e dopo una pausa riprende a parlare.

«Stammi a sentire».

 

«Venite tutti qui», urla Pike. Io e Viktor siamo alle sue spalle, in un angolo della cucina, un po’ nervosi. «Riunione di famiglia!».

Alzo gli occhi su Viktor e lui in risposta mi stringe la mano.

«Non ci sono mucche sul ghiaccio», dice.

Stavolta non ne sono sicura.

Siamo rimasti svegli per molto tempo stanotte. Non è perché abbiamo fatto l’amore tre volte (anche se quello è uno dei motivi), ma perché lui aveva un progetto che mi riguarda.

Riguarda me e i miei fratelli e sorelle.

All’inizio mi è parso tutto un po’ troppo semplice. Un po’ troppo bello per essere vero. Poi più ci pensavo più diventava complicato e impossibile.

Così adesso stiamo improvvisando, tiriamo le cose sul muro e vediamo quello che resta attaccato.

È sabato, quindi per fortuna non lavoro e i ragazzi sono tutti a casa. Quando ci siamo alzati stamattina, la prima cosa che ho fatto è stata andare nella stanza di Pike a fare due chiacchiere con lui, per parlargli del nostro piano. Ha una parte importante e dovevo prepararlo, avevo bisogno che stesse dalla mia parte.

All’inizio non era entusiasta dell’idea, dal momento che comportava del lavoro extra da parte sua. Ma è un bravo fratello e sa quanto Viktor e io teniamo l’uno all’altra. Quanto meno adesso lo sa. E poi anche lui trarrà benefici da tutta questa storia.

L’unica cosa che abbiamo omesso è la questione del principe.

A quella ci arriveremo.

Callum è il primo che viene giù correndo per le scale in pigiama.

«Frittelle? Ci sono le frittelle? Ci sono…».

Resta senza parole e si blocca di colpo quando vede Viktor.

«Il Cuoco Svedese!», urla indicandolo. «Herdy schmerdy bork bork!».

«Sì, herdy schmerdy bork bork è tornato», dice Viktor accentuando il suo accento per imitare il Cuoco. «Piacere di vederti, piccolo amico».

«Ci cucini le frittelle?», domanda, praticamente urlando.

«Callum, stai calmo».

«Forse», risponde Viktor e poi guarda dietro di sé fuori dalla finestra, verso la macchina a nolo ancora parcheggiata. «Se le preparo posso portarne un po’ a Janne, là fuori?»

«Che ne è di Nick?»

«Fanno i turni».

«Che state bisbigliando voi due?», domanda Callum, e adesso Pike guarda la macchina con aria sospettosa.

Mi guarda alzando un sopracciglio e io con un gesto gli faccio capire che tra poco spiegherò tutto.

«Che sta succedendo?», domanda Rosemary sbadigliando, ed entra in cucina seguita da Thyme. Dopo una pausa si siedono al tavolo guardando Viktor. «Che ci fai tu qui?», domandano all’unisono.

«Ci arrivo tra un minuto», dice Pike. «Dov’è April? È a casa, sì?»

«Arrivo», sbotta lei dalle scale, entrando in cucina tutta arruffata. È l’unica che non appare sorpresa nel vedere Viktor. Poi mi ricordo che lei lo ha visto ieri sera e gli ha detto dove
stavo.

E ricordo anche che ha eretto un muro tra noi due.

Con un sussulto distolgo lo sguardo per evitare il suo broncio, mentre lei prende la caffettiera e la prepara. Quattordici anni sembrano un po’ pochi per una dipendenza da caffeina, ma io devo saper scegliere bene le mie battaglie dentro questa casa.

«Okay», dice Pike indicandomi. «Maggie ha delle novità emozionanti da darci».

Così, di punto in bianco, tutta l’attenzione è concentrata su di me.

«Va bene», esordisco mentre Viktor mi stringe più forte la mano. «Okay, le cose stanno così. Ci saranno dei cambiamenti, ma saranno tutti cambiamenti divertenti, d’accordo?»

«Prendiamo un nuovo cane?», domanda Callum.

Io sussulto di nuovo. «No, non è questo».

«Allora un criceto?»

«Le iguane barbute sono fortissime», osserva Thyme.

«No, non prendiamo nessun animale. Ascoltate. Ecco quello che succederà». Faccio un grosso respiro. «Vado in Svezia per qualche settimana».

Tutti mi guardano.

«Tipo in vacanza?», chiede Thyme.

«Esatto, tipo una vacanza. Per stare con Viktor a Stoccolma».

«Chi si prenderà cura di noi?», vuole sapere Callum.

«Lo farò io», risponde Pike. «Con l’aiuto di Rosemary e Thyme, ovviamente».

Tutte e due annuiscono entusiaste. Aspettavano da tempo questa responsabilità, tirando sempre in ballo il fatto che Mallory, nel Club delle Babysitter, ha undici anni quando comincia a lavorare come babysitter.

«E poi», aggiungo con un po’ d’enfasi, «ci sono le vacanze di Natale. Il che vuol dire che tutti voi volerete fino in Svezia per trascorrerle là».

Silenzio.

«Natale in Svezia», ripeto cercando di sembrare più entusiasta.

Grandi sbattimenti di palpebre. Non vola un fiato.

«E se non ci vogliamo andare, in Svezia?», replica April col broncio. Sapevo che potevo contare su di lei per un intervento.

«Sarebbe un vero peccato, perché ci andremo tutti quanti», rispondo io. «E vi prometto che l’amerete, ragazzi. Ve lo pro-
metto».

Callum annuisce lentamente e si tamburella il mento con le dita. «Penso che si può fare». Pausa. Sorriso splendente. «Potrò incontrare abba?».

Ho il sospetto che Callum creda che abba sia una sola persona.

«Forse», dice Viktor.

Gli do un pugno sul braccio. «Non prenderlo in giro, se la legherà al dito».

«Gli abba conoscono mia madre. Sono abbastanza sicuro di poter organizzare la cosa».

«Gli abba conoscono tua madre?», domanda Pike.

«Be’, sì», risponde Viktor. «Tutti conoscono mia madre».

Ci siamo.

«Perché, è famosa?», domanda Callum.

Viktor lo guarda e annuisce.

«E chi è?», chiede April, che adesso sembra più incuriosita che insolente.

«È la regina di Svezia», risponde lui facendo spallucce.

«Ma smettila», fa Rosemary. «Tua madre non è la regina di Svezia».

«Invece sì. E mio padre il re».

«Phhfff», fa April, voltandosi per darci le spalle. «Certo, come no. Saremo pure americani ma non siamo stupidi».

«In tal caso tu saresti un principe», osserva Thyme.

«Lo so. Infatti è così».

«Ma smettila», fa Rosemary di nuovo.

«Rosemary, non trattare in questo modo il principe di Svezia», la rimprovero io.

«Pike, digli di farla finita», esclama April.

Io guardo Pike. Ha le sopracciglia aggrottate e guarda fuori dalla finestra, immerso nei pensieri. Alla fine ci guarda. «Quella macchina là fuori. Amici tuoi?»

«Quello è Janne», spiega Viktor. «È incaricato della mia protezione».

«La tua protezione!», esclama Rosemary.

«Davvero?», chiede Thyme.

Viktor annuisce. «Non sto scherzando».

«Cazzate», sbotta April. «Quando è pronto il caffè me ne vado su, non voglio più ascoltare le vostre assurdità. E non verrò in Svezia».

«Ma avresti la possibilità di soggiornare in un palazzo e conoscere il re e la regina», ribatte Viktor. «Tutti i tuoi desideri verrebbero soddisfatti».

«Sei un bugiardo».

«No», fa Pike guardando il suo telefono. «Non è un bugiardo». Alza l’apparecchio per far vedere a tutti la foto di Viktor presa da Google.

In un attimo tutte le sedie vengono tirate indietro con un rumore raschiante che riempie da cucina, e Callum, Rosemary e Thyme si avvicinano per guardare meglio.

Fissano lo schermo.

Alzano gli occhi su Viktor.

Li riabbassano sullo schermo.

Tornano a guardare Viktor.

«Porca merda», fanno all’unisono Rosemary e Thyme.

«Porca merda!», urla Callum.

«Già, porca…», segue Pike, ma s’interrompe. «Non riesco a credere che tu ce l’abbia tenuto nascosto».

Io mi stringo nelle spalle. «Non spettava a me rivelarlo».

«Non mi piace mentire», spiega Viktor. «Ma la volta scorsa sono stato costretto. Sarebbe stato un problema di sicurezza nazionale se qualcuno avesse saputo la mia identità». Guarda Callum. «Ma sono davvero un buon cuoco. Quello dell’altra volta non è stato un colpo di fortuna».

Adesso April si avvicina lentamente a Pike e gli toglie di mano il cellulare. «Davvero potremo stare nel palazzo?», domanda a Viktor.

«Non vedo perché no». Si guarda intorno. «Allora, cosa dite tutti? Natale in Svezia?».

Si scambiano sguardi eccitati e poi urlano: «Natale in Svezia!».