Capitolo 7
Maggie
«Scusa, come hai detto che si chiama?», mi chiede Sam arricciando il naso dallo schermo del mio cellulare, mentre le parlo su FaceTime.
Io sospiro e mi sistemo meglio sul letto,
ma senza mettermi troppo comoda. Quando sono al telefono con Sam
chiudo sempre la porta della mia camera per avere un po’ di privacy
e se sono sdraiata sul letto mi bastano anche solo pochi minuti di
quiete per cadere appisolata, in genere. Troppe volte una
telefonata o una sessione su FaceTime sono terminate con
me che crollavo a metà frase. Fortunatamente Sam è
compren-
siva.
Ma non credo che mi addormenterò oggi, non con tutta l’adrenalina che mi scorre nelle vene e le farfalle che si agitano nello stomaco, sensazioni che non sono riuscita a scuotermi di dosso sin da quando ho lasciato lo svedese fuori dall’albergo.
«Si chiama Johan Andersson», ripeto.
«Non credo che mi piaccia questo nome».
«Già, be’, il nome è questo. Anche se io lo chiamo mister Sverige».
«Mister Sverige? Cos’è, ti stai facendo qualche film su uno strano ménage professore-allieva?». Si ferma e inclina la testa come a pensarci su. «Non che ci sia qualcosa di strano su quelle fantasie, in realtà. Dio sa se ne abbiamo avute del genere sul signor Strong. Te lo ricordi Rodney Strong?».
Abbiamo avuto un professore che si chiamava Strong. Non ricordo il suo nome di battesimo, perché lo chiamavamo sempre Rodney, come Rodney Strong, il vino che bevevamo sempre quando passavamo le serate rintanate dentro la mia stanza al college, lamentandoci degli uomini.
Al pensiero dei bei giorni andati sento una fitta al cuore.
«Quando ho visto per la prima volta la sua patente di guida ho creduto che si chiamasse Patente Svedese», gli spiego. «Sverige significa svedese, o Svezia. Comunque, avresti dovuto esserci».
«Sembra di sì. Se non ti conoscessi bene, penserei che ti sia inventata tutto».
«Cosa?»
«Prima ti imbatti in quello che pare un Dio scandinavo nudo assurdamente alto e ben messo, poi lo incontri in un bar, dove peraltro non metti mai piede. Quindi te lo porti a casa in modo che possa smaltire la sbornia. Il mattino dopo lui si sveglia e si ritrova coinvolto in una scazzottata con quello sfigato con cui si vede tua sorella, lo sdraia, tu lo medichi e quello ti invita a cena». Si ferma per spostarsi i capelli da davanti agli occhi. «E in tutto questo lui è esageratamente ricco».
«Mai detto che sia esageratamente ricco», obietto, anche se quando ho raccontato a Pike della sua macchina, ha detto che vale un sacco di soldi. E poi c’è la storia di lui che eredita la compagnia farmaceutica.
«Io parto dal presupposto che lo sia. Maggie, se non ci fai sesso mi arrabbierò parecchio con te».
«Ehi», faccio io ridendo, le guance in fiamme. «E chi ha detto niente sul farci sesso?»
«Oh, falla finita. Vuoi che finga che non è lì che si andrà a parare?».
Io scuoto la testa, ma la mia bocca continua a volersi curvare in un sorriso. Di solito è Sam quella che per prima tana le mie bugie. Non soltanto ci penso dalla prima volta che l’ho visto – insomma, chi può biasimarmi – ma tutti quei pensieri e quelle emozioni non hanno fatto altro che intensificarsi da quando è stato lui ad alludere al sesso.
Perché lui ha fatto allusioni sul sesso, giusto?
Mi ha guardato dritto negli occhi e con
intensità e ha parla-
to di portarmi in camera sua. Se quella non era un’allusione al suo
piano di sedurmi dopo cena, non so cos’altro possa es-
sere.
Non correre troppo.
Ma è così difficile non farlo.
«Wow», mi fa Sam. «Che gattina innamorata».
Alzo gli occhi al cielo sperando che la mia faccia non mi tradisca con qualche espressione speranzosa. «Oh, per niente».
«Cazzo se lo sei. E ne hai ogni diritto. Quand’è stata l’ultima volta che hai avuto un appuntamento? Ecco, esattamente. E l’ultima volta che hai perso la brocca per qualcuno? Mai. Mai, Maggie. Non ti ho mai visto con quella luce negli occhi prima d’ora».
Metto su una faccia seria e cerco di dare ai miei occhi un’aria dura come l’acciaio. «Quale luce?»
«Maggie, non c’è niente di male nel desiderare quel tipo. Io credo che tu dovresti metterti in tiro, sentirti sexy. Depilati le gambe e tutte le tue parti di donna. Truccati. Mettiti un vestito. Tacchi. Esci con questo Dio vichingo e passa una splendida serata. Dimentica fratelli e sorelle. Dimentica April e tutte le sue stronzate. Dimentica tutto eccetto il fatto che stai uscendo con questo tizio che ti vuoi scopare, torna in quell’albergo e scopatelo, cazzo».
Deglutisco a fatica. «Non è così semplice».
«Oh, mio Dio», geme lei, fingendo di cadere all’indietro.
«Cosa? L’ho… l’ho appena conosciuto».
«Ma lo hai già visto nudo», mi ricorda Sam.
«Lo so, ma non c’era niente di sessuale».
«Non fa niente. L’hai visto nudo, lo hai soccorso quand’era ubriaco, gli hai medicato le ferite come una fottuta Florence Nightingale. Adesso va’ a prenderti quelle polpette svedesi, bella!».
Io mi metto a ridere. «Falla finita!».
Anche lei sta ridendo. «Scusa, è che non vedevo l’ora di fare questa battuta. E credimi, ne ho anche una sulle sue bacche svedesi».
«Sam».
«Okay, okay. Non riesco a trattenermi». Sospira, felice. «Ad ogni modo, quel che voglio dire è: smettila di preoccuparti e pensa solo a godertela. Sai bene che non resterà nei paraggi per sempre».
«Lo so. Credo che sia questo a frenarmi. Arriva questo qui, questo stallone figo da morire, sexy, ricco, divertente, brillante, e l’unico motivo per cui è in città è che gli si è rotta la macchina. Presto, magari già domani mattina, partirà per Los Angeles e poi tornerà a casa sua. E io sarò ancora qui».
«Almeno da questa storia avrai rimediato del cibo e degli orgasmi».
«E un cuore spezzato».
«Oh, per favore. Qui c’è di mezzo solo la tua vagina. Non serve che a questa festa si imbuchi anche il tuo cuore».
Ridacchio. A quanto pare sono un’immatura. «Mi manca parlare con te, sai».
«Be’, chiamami più spesso, non solo quando stai per fare sesso, d’accordo?»
«Su questo ho ancora dei dubbi».
«In ogni caso dovresti come minimo prepararti all’eventualità di arrivare al suo cazzo. Lascia perdere tutte queste stronzate di psicologia inversa alla Bridget Jones. Mettiti la lingerie più sexy che hai. Depilati».
«Mi hai già detto di depilarmi».
«Be’, e tu fallo due volte, perché ho la sensazione che hai davanti a te un sacco di lavoro».
Un altro sospiro. «Dio, se davvero ci finisco a letto, quando se ne andrà sarà terribile».
«E allora tu seguilo fino in Svezia. Puoi sempre tirarci fuori un articolo di viaggio e venderlo».
«Come no. Hai presente cos’è adesso la mia vita? Anche se potessi seguirlo, non potrei. Non riesco neanche a convincere il giornale di qui ad assumermi. Non capisco. Sono brava a scrivere. Quel che ho fatto all’università di New York era roba buona».
«Lo era, solo che adesso probabilmente non possono assumerti. La strada migliore è continuare come freelance. Lo stai facendo?»
«Non riesco neppure a scrivere», mormoro. «Non ho per niente ispirazione. Zero tempo. E zero motivazione».
«Trovalo, il tempo».
«Sam», rispondo avvertendo una punta di rabbia. «Non hai idea del tipo di pressione che ho addosso, per ogni cosa».
La sua espressione si intristisce. «Lo so. Scusa. È che vorrei che tu ce la facessi. Non dovresti rinunciare a tutti i tuoi sogni e le speranze solo per quello che è accaduto».
«Già, eppure l’ho fatto», replico sbuffando, sentendomi intrisa di tristezza. Buffo come si possa passare da euforica ed eccitata a sconfitta nel giro di pochi secondi. Benvenuti nel mio mondo.
«Parlando di figaccioni svedesi, hai visto il principe di Svezia?», mi chiede.
«La Svezia è una monarchia?», chiedo, ma proprio mentre lo faccio mi torna in mente la storia di Johan sugli abba e la regina.
«Sì, e il principe è veramente un fico. Erano in due, a dire il vero, ma uno è morto pochi mesi fa, se non sbaglio. Peccato. Era pure giovane, sulla trentina».
Dio, non sono per niente informata. Non che la Svezia fosse in cima ai miei posti da tenere d’occhio.
«Come sai tutte queste cose?»
«Bella, io sono una fan dei reali. Harry e Meghan, Will e Kate. Quei bocconcini dei Casiraghi di Monaco. Sono la mia passione». Aggiunge un attimo dopo: «Mi sa che tutti gli svedesi sono eccezionalmente alti. Il tuo tipo. Il principe. Alexander Skarsgård».
«Sembra che io sia nata nel paese sbagliato».
«Il principe ereditario Viktor della casata di Nordin», dice alzandosi dalla scrivania. «Aspetta, credo di avere la rivista».
«Rivista? Oh, Sam, ti serve un hobby».
Si sente il frusciare di pagine mentre cerca, poi torna davanti allo schermo con in mano una rivista. Nonostante il video sgranato riesco a leggere il titolo: «Royalty Monthly», e la copertina con Harry e Meghan.
«Aspetta», fa lei scorrendo le pagine. «Pensavo di aprire una specie di blog sui monarchici, sai».
«Almeno troveresti uno scopo per quest’ossessione, anche se non lo chiamerei uno scopo utile».
«Ecco qui», dice aprendo la rivista e mostrandomi una pagina interna.
Il titolo dice Il principe Alexander e il principe Viktor in visita all’ospedale pediatrico. Sotto c’è una foto di entrambi.
Sono entrambi alti, almeno quanto il mio svedese. Uno ha i capelli neri e carnagione più chiara e l’altro capelli più chiari e la pelle più abbronzata e…
Wow.
Anche se la foto non è nitida, questo qui sembra proprio Johan.
Sam allontana la rivista. «Te l’ho detto, gli svedesi sono dei fighi».
«Ehi, fammela vedere di nuovo», le dico.
Sorride. «Sapevo che ti sarebbe piaciuta».
Sul mio schermo torna la foto. È sgranata per via della bassa luce nella stanza di Sam e non riesco a distinguere i dettagli, ma cazzo, quanto assomiglia a Johan. Ovviamente non è lui, ma la somiglianza è notevole.
«Contenta?», mi chiede.
Io scrollo il capo. «È strano. Johan è
proprio uguale al prin-
cipe».
«Quale? Quello morto o quello non morto?»
«Quello con i capelli più chiari».
«Quello è Viktor. Il più riservato. Non era lui il principe ereditario, finché non è morto Alex».
«Com’è morto?»
Si stringe nelle spalle. «Non lo so. Qualcosa che ha a che vedere con una ricetta medica sbagliata, forse? O aveva un qualche difetto cardiaco? Ho letto parecchie voci diverse».
«Uhm».
«Cosa?»
«Non so». C’è qualcosa in questa storia che mi lascia una strana sensazione. Non è solo il fatto che si somigliano, è che… che sembrano proprio la stessa persona. Qui i conti non tornano. «Aspetta un momento, Sam, ti metto in background».
«Li stai cercando su internet, vero?»
«Sì, be’, la foto è davvero sgranata e confusa», rispondo distrattamente mentre apro l’app di Google e inserisco le parole “principe Viktor di Svezia”.
La prima cosa che vedo tra i risultati di ricerca è la voce di Wikipedia e un primo piano del volto del principe Viktor di profilo.
Il cuore si ferma. Sento spilli e aghi che mi percorrono tutto il corpo mentre la fisso attonita.
«Oh mio Dio», mormoro.
Oh mio Dio.
È Johan. Sverige. Il signor Patente di Guida Svedese.
«Cosa? Che succede?»
«È lui», dico senza fiato. «È lui».
«Chi?».
Clicco su “immagini” e vengo bombardata da un’intera pagina di sue foto. Scorro e scorro e scorro, le guardo attentamente tutte quante, ma non serve. Lo so che è lui.
Come cazzo è possibile?
«Mi ha detto che il suo nome è…».
«Johan», completa lei la frase.
«Sì, Johan Andersson. C’è scritto così sul documento. L’ho visto».
«Pensi che… aspetta… pensi che lo svedese ricco con il maxi uccello con cui stai per andare a cena sia davvero il principe di Svezia?». Scoppia a ridere. «Maggie! Tu sei fuori di testa!».
«Lo so, lo so che è da matti, ma cazzo, è proprio lui».
«Non può essere».
«Gli farò una foto stasera e te la farò vedere».
Ma ha ragione anche lei, insomma, come può essere lui? Che senso ha?
«Tu vedi quel che vuoi vedere», dichiara. «Ti ho messo io l’idea in testa e ora tu pensi sia lui. La tua mente sta distorcendo la sua immagine per farla corrispondere a quella di Viktor. Non può essere. Quello adesso sta in Svezia».
«E tu che ne sai?»
«Non lo so, ma è così. Senti, rimettimi su schermo. Fatti guardare negli occhi così ti dico quanto sei fuori di testa».
Con un sospiro chiudo Google e torno al volto di Sam. È sincera, questo glielo concedo. «Sei fuori di testa, Mags».
Io faccio di no con la testa, incapace di scuotermi di dosso la sensazione di aver ragione. «È lui».
«Proprio no. Andiamo. Sai che sono la tua più grande fan e ritengo che tu sia un gran bel pezzo di figliola, ma ti garantisco che se per qualche cazzo di ragione il principe di Svezia fosse nella tua città non ci andresti a sbattere contro mentre gira nudo. Mentre è al fottuto La Quinta, poi!», scoppia in una risata che pare un latrato. «E non se ne starebbe tutto solo e sbronzo e drogato in un bar, e di certo non si metterebbe – ripeto: non si metterebbe – a fare a botte con quel teppista del ragazzo di tua sorella. Sei attraente, ma sei povera e vivi in una piccola cittadina americana e lui è un cazzo di principe europeo, okay? Rifletti su tutto quel che ho appena detto».
So quel che ha detto e so che ha tutto perfettamente senso.
Eppure…
«E se fosse lui?», domando speranzosa. Odio avere quell’aria, eppure eccoci qui.
«Non lo è».
«Ma se lo fosse? E se gli scatto una foto e te la mando e tu mi fai: cazzo, è lui? In quel caso?»
«In quel caso non dirgli che lo sai. Tientelo per te. E scrivi un cazzo di pezzo e vendilo alle riviste di gossip. Vendilo a «Royal Monthly». Dimentica il… come si chiama la tua città, dimentica il giornale di lì, punta ai pezzi grossi. Potresti farci una vagonata di soldi con un articolo o un’intervista al principe di Svezia, erede al trono». Una pausa. «Ma non è lui. Chiaro?».
Annuisco lentamente. Il mio cervello rifiuta di accettarlo, ma non posso fare altro che aspettare e vedere. Di sicuro nel momento in cui vedrò il suo volto mi renderò conto di essere in errore.
«Perciò dimentica tutto quanto e vatti semplicemente a divertire, stasera. Fai sesso. Sfrenatamente. Fattela leccare ma niente rick-rolling. Poi domani mattina chiamami e raccontami tutto».
Mi scappa una risatina. «Lo farò. Ciao, Sam».
Chiudo la chiamata e guardo il suo volto scomparire, poi fisso l’armadio pieno di vestiti di seconda mano. Fortunatamente gli uomini non fanno caso alla marca di un abito, e ne ho uno o due che sembrano praticamente nuovi.
Scorro tra le stampelle e tiro fuori un abito nero semplice senza maniche rivestito di pizzo, lo stendo sul letto e comincio a prepararmi per la cena.
Non è il principe, non è il principe, non è il principe, continuo a ripetermi.
Però, Dio santo.
E se lo fosse?