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William

È sabato e Alex e Kit stanno arrivando qui da me con Rosie. Giro per casa, cercando di assicurarmi che tutto sia pulito e sicuro. Rosie non riesce ancora a gattonare, ma una parte di me è terrorizzata dall’idea che possa farsi male in qualche modo. Ho nascosto i fili elettrici e ho riposto tutti gli oggetti più fragili con cui potrebbe tagliarsi. Ho anche posizionato dei fermi nei cassetti dei coltelli per assicurarmi che non possa aprirli. Mi rendo conto di quanto siano folli i miei preparativi. È ancora una neonata, ma mi sembra importante organizzare tutto per bene.

Non mi rimane altro da fare se non aspettare il loro arrivo, quindi scendo a sedermi in salotto cercando di non cedere ai nervi. Con il palmo della mano mi strofino la fronte, desiderando di aver preso una pillola per calmare il mal di testa.

Il suono del campanello mi fa sussultare. Faccio un respiro profondo mentre mi dirigo verso la porta. Non mi sentivo così nervoso dalla sera del ballo di fine anno a scuola, quando tentai di dare il mio primo bacio alla ragazza più carina. Speriamo che prendermi cura di Rosie sia più semplice.

Quando apro la porta, Alex è in piedi con Rosie in braccio. Mia cognata non è una che sorrida molto, ma oggi sembra davvero infelice. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che l’ho vista, ed è dimagrita. Ha gli occhi pesantemente cerchiati dalle occhiaie e i suoi capelli, solitamente lucenti, oggi sono flaccidi e opachi.

Sbatto le palpebre due volte, chiedendomi se la donna che mi sta davanti sia la stessa che ho sempre conosciuto. Sarà questo il mio aspetto dopo due settimane con Rosie?

Alex ride della mia espressione. «Non farti ingannare dal suo bel faccino. È tremenda» dice alludendo alla piccola, ma il suo tono è affettuoso. Bacia la fronte della figlia e mi passa davanti per entrare, tenendo la bambina tra le braccia.

Guardo lungo il vialetto di casa e c’è Kit che lotta con un mucchio di roba per bambini. Sto per dare una mano, quando mio padre appare dall’altro lato della macchina. Mi saluta e io mi dirigo verso di lui, chiedendomi cosa ci faccia qui.

«Papà… non mi aspettavo che ci fossi anche tu.»

Mio padre sorride. Come Kit, anche lui sorride facilmente. «Ehi, figliolo. Pensavi davvero che mi sarei perso questa occasione? Vederti alle prese con una neonata?» Ride di cuore. «Dati i tuoi precedenti con le donne, potrebbe volerci un po’ di tempo prima che tu abbia un figlio tuo. Voglio vedere come te la cavi a fare il papà.»

Lui e Kit stanno ridendo di me, mentre io forzo un sorriso tirato, fingendo di trovarli divertenti.

«Prometto di fare un buon lavoro, proprio come te, papà» rispondo e Kit ride ancora più forte, probabilmente ricordando che papà non poteva essere lasciato solo con nessuno di noi due quando eravamo piccoli perché andava nel panico per i pannolini, il vomito e i nostri capricci.

«Be’, se vi state prendendo gioco del mio modo di accudirvi quando eravate piccoli, allora lasciatemi ammettere che sono sollevato che vi stiate occupando della preziosa piccola Rosie e non di me» risponde mio padre.

«Davvero fratello, grazie mille per avere accettato» sostiene Kit quando finalmente smette di ridere. Sembra stanco quasi quanto Alex, anche se un po’ della sua solita energia traspare ancora. «Lo apprezziamo molto, specialmente così all’ultimo minuto. Spero che quando la sorella di Alex si riprenderà, potremo ancora andare in luna di miele. Ma prima vediamo come sta.»

Kit e mio padre cominciano a portare tutto in casa e io li seguo. Posizionano un lettino, un box e un sacco di giocattoli al centro del soggiorno. Alex è sdraiata sul divano con Rosie in braccio, ha gli occhi chiusi e tiene la piccola appoggiata al petto. È uno spettacolo rilassante, anche se non riesco a immaginare quante notti insonni ci siano volute per arrivare a questo momento. Improvvisamente sono felice di dare una mano, anche solo per il bene di Alex. Sembra che ne abbia davvero bisogno.

Nel frattempo mio padre sta controllando la casa. Non viene qui da un bel po’, immagino che ora che è in pensione avrà il tempo di passare a trovarmi più spesso.

Cerco di valutare se è rimasto colpito, ma come al solito la sua espressione è indecifrabile. Dopo poco inizia a disfare le valigie di Rosie.

«Allora, pensi di poter gestire la principessina tutto da solo?» chiede papà, guardando uno dei giocattoli di Rosie. Faccio un cenno con la testa.

«Posso farcela.»

«E sei pronto a lavorare da casa?»

«Sì, papà. Mi sono preparato.» Evito di dire a mio padre che in realtà sto improvvisando, perché improvvisare non è nel mio stile.

Papà mi batte sulla spalla. «Lo so, figliolo. Non ne dubito affatto.»

Sembra che tu lo faccia, vorrei rispondere, ma tengo la bocca chiusa. Non è il momento di essere polemici. Non importa quanto la mia famiglia mi prenda in giro, devo restare calmo. È così che li ho sempre affrontati, e finora ha funzionato.

Mio padre non si capacita del fatto che io non sia un festaiolo come era lui da giovane. Si preoccupa che io lavori troppo, e per questo mi prende in giro senza sosta. Mi diceva sempre che nella vita non c’è solo il lavoro. Mentre la raccomandazione che faceva a Kit era l’esatto opposto: Quando prenderai le cose sul serio, come tuo fratello William?. Quindi immagino che non potrò mai averla vinta con lui.

Alex si alza lentamente, con gli occhi pesanti. Mi passa Rosie.

«Ecco. Dovresti abituarti a tenerla in braccio.»

Sono riluttante a portarla via da Alex. È passato un po’ di tempo da quando ho tenuto in braccio mia nipote, e il pensiero mi rende nervoso. Tuttavia devo fare pratica, quindi sollevo dolcemente la piccola dalle mani di Alex. È più pesante di quanto mi aspettassi, ma è un piacere tenerla tra le braccia e cullarla lentamente. Guardo Alex per avere una conferma e, anche se annuisce, sembra nervosa all’idea di lasciarla sola con me. Mi fa un sacco di raccomandazioni, così velocemente che mi gira la testa e quasi non riesco a starle dietro.

«Bene, abbiamo portato tutto dentro» comunica Kit dopo l’ultimo viaggio dalla macchina al mio soggiorno. «Credo che dovremmo andare. Dobbiamo ancora fare le valigie per prendere il volo.»

Alex chiude la bocca e io annuisco distrattamente, sorridendo a Rosie. È talmente tranquilla mentre dorme. Vorrei che rimanesse così per tutto il tempo. Ora, mentre Alex e Kit si preparano ad andarsene, improvvisamente realizzo che interpreterò il ruolo di padre per le prossime due settimane.

Cosa potrebbe andare storto?

«Divertitevi» dico loro, abbracciando Kit e Alex. Lei si fa una bella risata.

«Non vedo l’ora di vedere mia sorella e di assicurarmi che stia bene. E poi ho bisogno di dormire» dice con un sorriso stanco. «Spero che tu abbia fatto un lungo sonnellino prima del nostro arrivo. Non avrai un’altra occasione.»

Io rido, anche se non mi sembra che Alex stia scherzando. Mio padre mi dà una pacca sulla spalla e mi stringe la mano.

«Se hai qualche problema puoi chiamarmi» aggiunge.

Annuisco, ma so già che non lo cercherò. Non intendo ricorrere all’aiuto di mio padre per nessuna ragione. Questa è una missione in solitaria.

«Grazie, ma no. Me la caverò.»

«E pensi di riuscire a destreggiarti tra il tuo lavoro e la cura di Rosie?» chiede mio padre, alzando un sopracciglio.

«Ti dimostrerò che posso farlo.»

Mio padre ride, dandomi un’altra pacca sulla schiena. «Ecco il mio ragazzo. Sei sempre stato competitivo.»

Solo perché mi hai sempre spinto alla competizione. Anche con me stesso. Non è la prima volta che mi rendo conto che metà delle conversazioni con mio padre avvengono solo nella mia testa. Ma credo che mi piaccia assecondarlo, cercando al contempo di non farmi influenzare da ciò che mi dice.

Forse un giorno avrò il coraggio di dirgli tutto in faccia. Alex bacia Rosie sulla fronte mentre continuo a cullarla.

«Prenditi cura di lei» mormora quasi supplichevole. Sembra che non voglia andarsene e Kit la guida verso la porta tenendole una mano sulla schiena.

«Possiamo contare su William, Alex. Non soffochiamolo.»

«Certamente, ma…»

«Basta, Alex. È ora di andare. Ti aspetto in auto.»

Alex fa un respiro profondo guardando con tristezza verso Rosie. Poi, a malincuore, esce di casa seguita da mio padre. Kit mi sorride, ficcandosi le mani in tasca.

«Non prenderla sul personale, Will. Alex odia lasciare la piccola anche solo per qualche minuto. Ma ha bisogno di staccare per un po’.»

Faccio un cenno con la testa. «Tranquillizzala e dille che posso farcela, ok?»

«Lo farò. Grazie, fratello.»

Sorrido mentre Kit mi saluta e si dirige verso il vialetto. Anche se so che non se ne ricorderà, accompagno Rosie alla porta per salutare i suoi genitori. Mentre la macchina si allontana, sento una fitta di paura.

Ora siamo solo Rosie e io.

La guardo e mi accorgo che si sta svegliando. Le sue manine si muovono libere dalla coperta in cui è avvolta. Sorride per un breve momento e il mio cuore si scalda. La stringo un po’ più forte. Quanto può essere difficile?

È chiaro che sto per scoprirlo. Il viso di Rosie inizia a imbronciarsi, il suo piccolo labbro trema e poi all’improvviso comincia a urlare. È più forte di quanto mi aspettassi. Il suo viso adesso è paonazzo. Lacrime e muco le coprono le guance. La tengo in braccio chiedendomi come un esserino così piccolo possa fare tanto rumore.

Ed è così che inizia l’incubo…

È passata più di un’ora da quando Rosie ha iniziato a piangere, e non sono riuscito a farla smettere. Ho provato di tutto senza risultato. Ho controllato più volte il pannolino, ma è ancora asciutto. Ho tentato di darle da mangiare, ma non è interessata. Le ho mostrato i giocattoli facendoli muovere davanti al suo viso, ma lei li ha completamente ignorati. Ho dovuto abbandonare l’idea di lavorare, come potrei concentrarmi con Rosie che urla così forte da far tremare le finestre?

Comincio a chiedermi se ci sia davvero qualcosa che non va. È normale che un bambino pianga così tanto? Non ne ho idea. Vorrei che Alex mi avesse dato una specie di manuale di istruzioni su come gestire il suo adorabile fagottino. Naturalmente ci sono migliaia di ragioni per cui potrebbe piangere. Solo che non so quali siano.

Poi vedo qualcosa. La bocca di Rosie è spalancata e noto che le sue gengive sembrano un po’ arrossate. La tocco delicatamente dentro la bocca per vedere se i miei sospetti sono fondati.

Come immaginavo. Sta mettendo i denti.

Fantastico. Proprio quello che mi serve. Le due settimane in cui mi prenderò cura di lei coincidono proprio con quello che Kit ha definito il momento più stressante per un bambino. Perché Alex e Kit non me ne hanno parlato? Forse Alex l’ha fatto, ma io l’ho ignorata perché sembrava così stressata che non riuscivo ad ascoltarla. Comunque, Rosie potrebbe essere solo all’inizio, del resto sono quasi certo che i bambini di solito inizino a mettere i denti a sei mesi, non a quattro. A caccia di una soluzione, metto Rosie nella culla e cerco di concentrarmi sulla ricerca di qualche rimedio. Finalmente trovo degli anelli e del gel per la dentizione. Con mio grande sollievo, appena strofino il gel sulle gengive di Rosie, sembra che lei si calmi un po’. Quando la riprendo in braccio e l’aiuto a tenere in bocca l’anello da dentizione, smette di piangere abbastanza a lungo da tranquillizzarsi. Ora che si è calmata la casa è stranamente silenziosa, ma non mi lamento. Qualsiasi cosa è meglio delle sue urla.

Controllo l’orologio. È passata solo mezz’ora e sono esausto. Purtroppo non si può dire lo stesso di Rosie. Ora che non sta urlando, si annoia. Mi siedo sul tappeto del soggiorno con lei, sventolando giocattoli colorati mentre lei applaude con gioia. È sicuramente meglio delle urla, ma sono ancora teso. Vorrei solo che si addormentasse per un po’, così che io possa rimettermi in sesto.

Quando finalmente inizia a dormire sono quasi le undici di sera. Guardo le sue palpebre che cominciano ad abbassarsi e colgo l’occasione prima che possa trovare qualcos’altro per cui urlare. La porto in camera mia, dove ho sistemato il lettino, e la appoggio dolcemente. Dopo qualche minuto dorme profondamente, e io sgattaiolo via dalla stanza senza svegliarla.

Scendo di sotto con l’intenzione di sistemare il corredo di Rosie, ma un attimo dopo essermi seduto mi ritrovo disteso sul divano a occhi chiusi. Come ha fatto un bambino a stancarmi così in fretta? Forse il suo pianto in qualche modo ha consumato tutte le mie energie. Qualunque cosa sia, sono distrutto. Non riesco a immaginare di continuare così per due settimane.

Forse mio padre aveva ragione. Magari non sono tagliato per questo genere di cose. Ma poi mi rendo conto di una cosa: Kit e Alex lo fanno insieme. Occuparsi di un neonato è un lavoro per due. Quindi forse non sarebbe così sbagliato avere qualcuno che mi aiuti.

Devo chiamare i rinforzi. Ma a chi posso telefonare? Non a mio padre. Non così presto. Il problema è che non c’è nessun altro disposto a venire in mio aiuto. I miei amici sono per lo più uomini e stacanovisti come me. Potrei assumere qualcuno, ma come faccio a sapere se posso fidarmi?

La fiducia è esattamente il motivo per cui mi trovo in questa posizione. I genitori di Rosie non si fidano abbastanza per assumere una professionista, quindi se lo facessi, non tradirei i loro desideri?

C’è solo una persona che potrei chiamare. So che è affidabile. Lavora più duramente di chiunque altro io conosca, ed è una delle poche persone di cui mi fiderei davvero per qualsiasi cosa. La mia azienda, le mie esigenze personali, persino Rosie. Il problema è fare in modo che accetti.

Anche se so che è un’ipotesi azzardata, cerco nel mio cellulare il numero di India e, mentre mi preparo per andare a letto, appoggio il telefono sul comodino con il suo numero sullo schermo. La chiamerò domattina come prima cosa.

E mi rifiuto di ascoltare il mio cuore che sembra battere più forte al pensiero di rivederla.