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William

Ma che diavolo?

Guardo India sbalordito, chiedendomi cosa le sia preso. Si presenta qui in ritardo, come se fosse appena uscita dal letto e poi ha l’audacia di minacciare di licenziarsi? La osservo mentre faccio un passo verso di lei. A suo merito, tiene la testa alta e i suoi occhi non lasciano mai i miei, anche se posso sentire il suo respiro accelerato.

Proprio come il mio dannato battito cardiaco.

«Che cosa mi hai appena detto?». Sento il sangue ribollire dalla rabbia e da qualcos’altro che non ho mai voluto provare per lei, ma che in questo momento non riesco a controllare.

Più mi avvicino, più il suo profumo mi stuzzica le narici. Che sia maledetta. Eppure, inclina la testa all’indietro senza interrompere il contatto visivo.

«Hai sentito. Mi licenzio» dice con tono di sfida. Come osa umiliarmi davanti ai miei clienti? Le passo accanto per aprire la porta del mio ufficio.

«Fuori. Adesso» le dico. Lei incrocia le braccia e fa un mezzo sorriso. Finalmente mi mostra il suo lato ribelle, non avevo dubbi che prima o poi sarebbe successo. Nel peggior momento possibile, però.

«Non sei più il mio capo» risponde, tenendo il broncio. È carina da morire. Mi eccita un po’, il che mi manda in bestia. Ho bisogno di concentrarmi.

«Dobbiamo parlarne. Aspettami nel tuo ufficio.»

Tengo la porta aperta e la faccio uscire. India sembra che voglia protestare, ma dopo qualche istante fa quello che le chiedo. Getta uno sguardo di sfida intorno alla stanza prima di dirigersi verso il suo ufficio. Dietro di me, uno dei miei clienti, Theodore, si schiarisce rumorosamente la gola.

«Sembra che tu abbia per le mani una donna pericolosa» afferma sorridendo. «Non è l’ideale in un’assistente, ma…»

«Scusatemi un momento, signori» lo interrompo. Non sono dell’umore giusto per alcun commento. «Se nel frattempo volete leggere i contratti… torno subito.»

Faccio un respiro profondo, sperando di mantenere la calma mentre vado a parlare con India.

La trovo che cammina in tondo innervosita, il suo viso ha assunto un colorito grigiastro, ma posso dire che è ancora arrabbiata. Lei dà un’occhiata al mio ufficio e mi accorgo che abbiamo degli spettatori. Fantastico. Un pubblico è l’ultima cosa di cui avevo bisogno per questa conversazione. Tuttavia, devo rimettere India al suo posto.

«Siediti, India» esordisco calmo, ma con fermezza. Lei sprofonda nella sua sedia, guardandomi con attenzione.

«India, sei stata una brava impiegata» comincio io.

Sembra sorpresa dal complimento, ma cerca di mantenere un’espressione seria.

Improvvisamente mi sento più nervoso di quando mi trovo di fronte a un esercito di manager, infilo le mani nelle tasche dei pantaloni e cerco di apparire autorevole. «Per questo sono disposto a darti un’altra possibilità. È stato avventato da parte mia minacciare di licenziarti, così come tu sei stata impulsiva a prendere in considerazione l’idea di lasciare il lavoro. Dopo il modo in cui mi hai appena messo in imbarazzo, direi che sei fortunata che mi senta così generoso.»

Il volto di India passa dalla sorpresa alla rabbia.

«Generoso? Parli sul serio, William?»

«Hai mostrato un comportamento piuttosto discutibile oggi, India. Non molte persone ti darebbero una seconda possibilità» rispondo accigliato.

«E tutte le seconde occasioni che invece ti ho dato io?»

«Di che diavolo stai parlando?»

India ride scuotendo la testa. «Certo. Non ne sai nulla. Perché tu non hai la minima idea delle conseguenze delle tue azioni. Mi tratti male e ti aspetti che io abbia rispetto per te? Dovrei essere grata di una seconda possibilità? In passato mi hai urlato contro per essere arrivata cinque minuti in ritardo, William. Cinque. Hai chiamato a casa mia nel cuore della notte solo perché non riuscivi a trovare un foglio che avevo lasciato sulla tua scrivania il giorno prima. Non ti piace quando ti servo il caffè nero e non ti piace quando aggiungo la panna. Niente di quello che faccio sembra essere adeguato alle tue aspettative. E mai e poi mai mi sono sentita motivata a fare di meglio perché, comunque io agisca, per te non è mai abbastanza. Ho chiuso. Ho chiuso con te e con i tuoi modi.»

Ora comincio a innervosirmi seriamente. «Sono sempre stato corretto con te, India. Non ribaltare la situazione ed evita di farne una questione personale.»

India si alza in piedi scuotendo la testa. «Perché sono ancora qui? Perché mi preoccupo di discutere con un uomo che chiaramente non ha idea di quanto sia crudele? Be’, non intendo importi la mia presenza un minuto di più.»

«Non puoi andartene. Sei la mia assistente.»

«Ero la tua assistente, William. Mi sono appena licenziata davanti ai tuoi clienti, quindi ci sono dei testimoni.»

«Non essere ridicola. Non c’è nessun altro che possa svolgere il tuo lavoro.»

India sorride compiaciuta. «Non è più un mio problema, Mr. Walker. Ora, se vuoi scusarmi, io vado a casa.»

«India» ringhio cercando di fermarla. Non sortisco alcun effetto, anzi la vedo raccogliere le proprie cose dalla scrivania. E così, all’improvviso, se ne va. In un attimo.

Sono senza parole e mi sento confuso dalla voglia che ho di inseguirla. Ovviamente non lo farò. La guardo mentre esce dall’ufficio. E una piccola parte di me è sollevata nel vederla andare via. Almeno non avrò più la tentazione di perdermi in quegli occhi grandi e luminosi, né di fare la conoscenza di tutto l’allettante pacchetto che costituisce India Crowley.

La guardo mentre si allontana e so che è troppo brava per questo posto. Troppo intelligente per sopportarmi. Troppo buona per rimanere incastrata con un uomo che la tratta così male. E solo quando se ne va, finalmente capisco tutto quello che ho fatto di sbagliato, al lavoro e nella mia vita sentimentale. Perché ci è voluto qualcosa di così drammatico per capire che sono io il vero problema?

Torno nel mio ufficio in uno stato di stordimento. Mentre apro la porta, i miei clienti ridono della mia espressione. Rimango in piedi, incapace di dire una sola parola.

«Ho cercato di dirglielo, Mr. Walker» commenta Theodore con un sorriso. «Non si scherza mai con una donna di quel valore.»

Per tornare a casa impiego più tempo del solito. C’è un traffico terribile e sono in ritardo di oltre un’ora. Cosa che mi lascia molto tempo per pensare a India.

Come ho potuto essere così stupido? Così crudele, manipolatore e stupidamente inconsapevole del mio comportamento egoistico? Ora ho perso la migliore assistente che abbia mai avuto. E, come se non bastasse, ho perso anche una grande fetta del mio ego. Ma almeno questo credo di meritarlo.

Mi chiedo cosa farà adesso. Mi preoccupa il fatto che non abbia un lavoro su cui ripiegare. Riuscirà a stare al passo con l’affitto? Troverà un impiego simile altrove o si concentrerà su se stessa? Detesto il fatto di domandarmelo, ma dopo che se ne è andata in quel modo non riesco a non pensare a lei. Qualcosa mi dice che non la dimenticherò facilmente.

Finalmente arrivo nel vialetto di casa. Non è la prima volta che mi rendo conto di quanto la mia villa sia troppo grande per una persona sola. Due piani con soffitti a doppia altezza, ampie colonne, enormi finestre su misura, porte in legno spesso e lampadari in ottone. Questo è il prodotto di anni di duro lavoro. Anni di isolamento e di notti in ufficio. Chiudo a chiave la macchina e mi decido a entrare.

L’interno è immacolato. I pavimenti in marmo d’importazione brillano come specchi e le finestre sono così pulite che non sembra esserci separazione con l’esterno. La mia donna delle pulizie - una signora sulla cinquantina che non vedo quasi mai - deve essere passata oggi. Ha eliminato tutti i cartoni del cibo da asporto e ha organizzato gli appunti che avevo lasciato sparsi sulla grande scrivania in quercia del mio studio.

Dopo la giornata che ho avuto, decido che merito di bere qualcosa. In frigorifero trovo una bottiglia di champagne. È lì da più di un anno. Mio padre l’aveva comprata per festeggiare il mio compleanno, ma poi ha annullato il nostro appuntamento per andare a una festa aziendale. Ricordo che anche quella sera trascorsi il tempo immerso nella vasca idromassaggio, dopo avere ordinato l’ennesimo pasto a domicilio. Non avevo amici da invitare. Kit e Alex erano impegnati.

Salgo in terrazza e mi godo il sole che sta tramontando sullo skyline di Chicago. Attivo la vasca e mi spoglio nudo. Tanto quassù non c’è nessuno che mi veda. Scivolo in acqua e chiudo gli occhi ma, nonostante i getti che mi massaggiano la schiena, non riesco a rilassarmi. Mi sento come se dovessi riprendere fiato dopo una lunga corsa. Cerco di concentrarmi sulla sensazione dell’acqua sulla pelle, ma tutto quello che vedo passare nella mia mente è il volto di India. La rabbia nei suoi occhi.

La sua espressione stupita quando finalmente le ho fatto un complimento.

Non mi piace l’idea che qualcuno possa provare un tale rancore nei miei confronti. Sono così perso nei miei pensieri che mi ci vuole un attimo per capire che il mio cellulare sta vibrando.

Dopo un momento di riflessione, raccolgo un asciugamano, prendo il telefono dalla tasca e accetto la chiamata.

«Walker» rispondo senza controllare il nome sullo schermo.

Sento Rosie piangere in sottofondo e Alex che cerca di calmarla.

«Ehi, fratello. Non avevo intenzione di disturbarti. Sinceramente. Ma ho bisogno di te, William. Dobbiamo partire. Al più presto.» dice Kit. Sembra stanco e preoccupato, dal suo tono capisco quanto gli costi questa telefonata.

«E perché mi stai chiamando?»

«Cosa intendi con perché? Sei mio fratello, ecco perché. La sorella di Alex ha avuto un incidente e devo accompagnarla da lei. Alex è sconvolta. Hai davvero intenzione di mollarmi quando ho bisogno di te?»

Prendo un profondo respiro mentre sento un moto di panico stringermi il petto.

Io non so proprio nulla di bambini. Mio fratello è pazzo, o semplicemente disperato? Non mi stupirei se Kit mi stesse mentendo spudoratamente solo per poter andare in luna di miele senza preoccupazioni.

«Senti, Kit, non è che non voglia dare una mano…»

«Bene. Saremo da te domattina.»

Sta per riagganciare quando lo blocco, il panico mi stringe la gola. «Aspetta! Mi stai davvero chiedendo di fare da babysitter a Rosie? Sul serio?»

«Ti sto dicendo che ho davvero bisogno del tuo maledetto aiuto.»

Digrigno i denti pensieroso. Come in un flash ricordo cosa è appena successo con India. Forse è arrivato il momento di cambiare atteggiamento, a cominciare dalla mia vita privata. Penso a mio fratello, silenzioso all’altro capo del filo. Sarebbe davvero così terribile trascorrere un po’ di tempo di qualità con mia nipote?

Guardo il giardino che si stende ai miei piedi. Sto già immaginando i giochi che potrò fare con Rosie seduti sul prato. Le mie serate tranquille stanno per diventare molto più interessanti.

«Bene» rispondo quasi troppo pacatamente.

«Bene?» ripete Kit, ovviamente sbalordito.

Forse sto facendo un errore. Senza un’assistente, la gestione del mio lavoro sarà molto più complicata. E prendermi cura di un bambino è un’attività a tempo pieno. Ma devo farlo. Questa potrebbe essere l’occasione per dimostrare a me stesso e a tutti gli altri che sono più di un lunatico stacanovista che si preoccupa solo di se stesso. Sorseggio lo champagne mentre il sole tramonta, e finalmente cedo.

«Dico sul serio. Vi aspetto qui.»