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Ottenni il permesso di parlare con Ethan e Zoe dall’East Wing, da dove era partito anche il mio ultimo invito alla Casa Bianca. Era passata una settimana dalla liberazione dei figli del presidente e i media erano praticamente impazziti. Non avevo mai visto una simile ressa intorno alla Casa Bianca, il che è tutto dire.

Anche la security all’interno della residenza presidenziale era incredibile. L’assistente della first lady impiegò quarantacinque minuti d’orologio per accompagnarmi dall’East Visitors Gate.

Quando raggiungemmo il primo piano, trovammo la signora Coyle ad aspettarci nel corridoio. Mi venne incontro e mi prese tutte e due le mani.

«Che piacere vederla, Alex» mi disse. «Non sono in grado di esprimere quello che provo. La mia gioia è indicibile.»

«La ringrazio» dissi soltanto. Non era stato facile ottenere l’autorizzazione a parlare con i fratelli Coyle. Non credo che ci sarei riuscito se la first lady non avesse interceduto per me.

Percorremmo il corridoio nella direzione opposta rispetto all’altra volta, seguiti da due agenti del Secret Service a deferente distanza.

«Zoe sarà un po’ reticente» mi avvertì la signora Coyle. «Ethan invece le dirà tutto quello che gli chiederà a proposito del rapimento. A me hanno parlato senza remore, e anche agli psicologi. Penso che gli possa fare tutte le domande che vuole.»

Passammo oltre la famosa Yellow Oval Room ed entrammo in una stanza ariosa e piena di sole, con vista sul South Lawn. Ethan e Zoe erano seduti su un divano a guardare Cattivissimo me su uno schermo gigantesco, montato a parete. Riconobbi la madre del presidente, che sferruzzava accanto alla finestra. Mi sorrise e mi fece un cenno del capo, ma non si alzò.

«Ethan? Zoe?» disse la signora Coyle. «Potete spegnere, per piacere? È arrivato l’ispettore che vi dicevo, Alex Cross.»