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«Alto centosettanta metri, il Washington Monument domina il National Mall. Finito di costruire nel dicembre 1884, l’obelisco è stato inaugurato ufficialmente il...»

Hala cercava di non sentire la fastidiosa propaganda preregistrata e le banalità che venivano propinate ai turisti sul pullman che percorreva Independence Avenue. Dal rumore che facevano gli pneumatici, sembrava che l’asfalto fosse appiccicoso. Per strada c’erano un sacco di cartacce e spazzatura. Tutto le sembrava sporco. Che città schifosa! Eppure, ovunque uno guardasse, c’era l’ennesimo enorme monumento al potere e all’arroganza degli americani.

Paradossalmente, era arrivata a odiare davvero gli Stati Uniti solo dopo esserci venuta a studiare. Quattro anni alla Pennsylvania State University, e che cosa aveva imparato? Solo che gli Stati Uniti erano il più grande esperimento fallito della storia dell’umanità.

«Mentre attraversiamo il ponte in direzione di Arlington, potete ammirare il Tidal Basin e il Jefferson Memorial...»

Invece di girarsi a guardare il panorama, Hala consultò la brochure Tourmobile che aveva sulle ginocchia. L’avevano trovata infilata sotto la porta insieme ad alcune istruzioni. Dovevano scendere dal pullman alla fermata dell’Arlington National Cemetery. Che era la successiva.

Tariq, già in piedi, spostava il peso da un piede all’altro. Hala non era abituata a vederlo sbarbato di fresco e con un berretto dei Baltimore Ravens sulla testa, ma le piaceva anche così. Pure lei aveva cambiato look: aveva i capelli corti, pareggiati sulla nuca, e se li era schiariti il più possibile, tingendoli di un biondo ramato. Non era scontenta del risultato. Ma per lei niente berretto da baseball.

«Attenzione ai gradini nello scendere, e buona visita dell’Arlington National Cemetery.»

Si ritrovarono in mezzo agli altri turisti nel piazzale davanti al Visitors Center del cimitero, in arenaria e intonaco bianco. Hala si guardò intorno un po’ incerta, non sapendo che cosa li aspettava, ma quasi subito vide comparire in mezzo alla folla una faccia nota. Era la ragazza vestita da hippie che avevano incontrato al museo. Aveva la stessa borsa di tela colorata, probabilmente per farsi riconoscere da loro.

Questa volta l’avvicinamento fu più rapido. La ragazza andò subito a mettersi accanto agli Al Dossari, come se stessero aspettando lo stesso autobus.

«Scusi, mi presterebbe un attimo la sua piantina?» chiese.

«Certo. Nessun problema.»

Era proprio in gamba: spontanea, coraggiosa. Hala la osservò attentamente, ma quasi non si accorse che tirava fuori dalla borsa un disco.

Che obiettivo le sarebbe stato affidato questa volta? Un grattacielo nel centro di Washington? Uno dei palazzi del governo? Un altro servizio di pubblica utilità? L’eliminazione di un personaggio importante? Un sequestro?

«Grazie infinite» disse la ragazza.

«Si figuri. Buona giornata.»

Lo scambio durò pochissimo e avvenne senza intoppi. Sulle labbra della ragazza passò l’ombra di un sorriso. La missione stava prendendo consistenza ed entrambe erano emozionate, momentaneamente accomunate dalla speranza.

«Andiamo» disse Hala. Un altro pullman bianco, rosso e blu della Tourmobile stava entrando nel piazzale. Hala prese per mano Tariq e si incamminò nella direzione opposta.

«Dove vai? I pullman sono da quella parte» disse lui.

«A cercare un taxi. Se risalgo su un pullman e sento anche solo un minuto di quella solfa nazionalista, finisce che ammazzo qualcuno.»