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«Questo bailamme non vi ricorda qualcosa?» esordì Nana, in piedi davanti alla sua sedia. «A me sì.» Con quelle poche parole aveva subito ottenuto il silenzio e l’attenzione dell’assemblea, senza neppure bisogno di un microfono. Quasi tutti la conoscevano.

«Che io sappia, questa non è la Camera dei Rappresentanti, né l’aula del Senato» continuò. «È un’assemblea di quartiere, dove è possibile avere più di due posizioni contrapposte, parlare liberamente, ascoltare quello che dicono gli altri e, chissà, magari anche concludere qualcosa di concreto una volta ogni tanto.»

Mia nonna aveva fatto l’insegnante per quarant’anni ed era abituata a fare la predica a classi di ragazzini indisciplinati. Intorno a noi alcuni annuivano in segno di approvazione, mentre altri sembravano non avere ancora un’opinione precisa riguardo alla grintosa vecchietta.

«Suppongo che alcune delle obiezioni avanzate finora siano comprensibili» aggiunse, battendo il bastone per terra. «Sappiamo tutti quanto poco valgano certe promesse a Washington e, come diceva giustamente lei, signora, sono discorsi che abbiamo già sentito. Quindi, se siete scoraggiati, frustrati, o quello che è, sappiate che vi capisco benissimo. Anch’io mi sento molto spesso così.»

«Ma...» bisbigliai all’orecchio di Bree.

«Ma» disse Nana, agitando un dito, «con tutto il rispetto, non siamo qui per parlare di voi.»

Bree mi strizzò un braccio come se i Washington Wizards avessero appena fatto il canestro decisivo.

«Siamo qui per parlare di quell’ottantotto per cento di scolari dell’ottavo anno che, in questa città, non raggiungono la sufficienza in matematica, e di quel novantatré per cento che è carente in lettura. Novantatré per cento! Questa, secondo me, è un’emergenza per la quale vale la pena di provare a fare qualcosa. Una vergogna cui bisogna assolutamente porre rimedio.»

«Brava, Regina!» esclamò qualcuno, mentre da un’altra parte si levavano mormorii di approvazione. Mi piace da matti quando mia nonna «sale in cattedra», come diciamo in famiglia. E la predica non era ancora finita.

«Quindi, se siete venuti qui per un vero scambio di opinioni, parliamone» riprese. «Se invece siete venuti per fare politica, polemica, o per le solite chiacchiere, vi dico che questa città è grande e potete andare tranquillamente a perdere tempo altrove.» Fece una brevissima pausa dalla quale capii che in cuor suo si stava divertendo moltissimo. «La porta è da quella parte!»

La metà dei presenti scoppiò a ridere, applaudì e approvò a gran voce. Un po’ più della metà, forse. A Washington questo è già considerato un risultato positivo.

Quando l’assemblea si sciolse, Sampson venne da Nana, la abbracciò e le diede un bacio su una guancia. Per qualche secondo la sollevò addirittura da terra.

«Non so se sono riuscita a far cambiare idea a qualcuno, ma ho detto quello che mi premeva dire» spiegò lei, prendendomi a braccetto per andare via.

«Grazie» le disse Sampson. «A proposito, Nana: non hai perso un colpo.»

«E perché avrei dovuto?» Nana allungò il braccio e arrivò a dargli uno scappellotto su una spalla. «Pensa a non perderne tu, piuttosto.»

E, naturalmente, nessuno di noi ebbe nulla da obiettare.