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I soccorritori tagliarono con le cesoie i montanti del parabrezza e della portiera, poi aprirono il tetto come fosse una scatola di sardine. Vederli in azione è sempre uno spettacolo emozionante, ma di solito si fa il tifo per chi è intrappolato nelle lamiere. Quella volta, invece, no. Per niente.

Mentre veniva calata dall’alto una catena per sollevare il blocco motore e tirar fuori il nostro amico dallo sguardo vacuo, cercai di farmi raccontare tutto dall’agente del Secret Service con cui avevo parlato poco prima, Clay Findlay.

«Allora, chi sono i due ragazzini rapiti?» chiesi. Per tutta risposta, Findlay scosse la testa. Non aveva nessuna intenzione di dirmelo. Come mai? «Senta» gli dissi. «Ho esperienza di questo genere di cose e...»

«So chi è lei» replicò, senza lasciarmi finire. «Alex Cross, Metropolitan Police.»

Mi capita spesso, ultimamente, di arrivare da qualche parte e scoprire che la mia fama mi ha preceduto. Non sempre è un bene. In questo caso, per esempio, pareva controproducente.

«Abbiamo già allertato l’MPD» continuò Findlay. «Perché non va a chiedere al suo capo? Magari le troverà qualcosa da fare. Io sono molto occupato, come vede. E anch’io ho esperienza di questo genere di cose, ispettore...»

Non mi piace essere snobbato e comunque, per essere uno che sosteneva di avere dell’esperienza, Findlay stava commettendo un errore imperdonabile. Ogni minuto che passava, la distanza tra noi e i due rapiti aumentava. Avrebbe dovuto saperlo. E, se lo sapeva, la sua mancanza di collaborazione era ancora più grave.

«Vede quel tipo?» dissi, indicando il conducente del furgone. I soccorritori nel frattempo gli avevano messo un collare cervicale e si accingevano a tirarlo fuori. «È in arresto, ed è di competenza della Metropolitan Police. Chiaro? Lo interrogherò appena possibile, con o senza di lei. Se preferisce aspettare il suo turno, faccia pure, ma le ricordo che appena arriverà al pronto soccorso verrà sedato e intubato per chissà quanto tempo. Quindi potrebbe volerci un po’, prima che lei riesca a parlargli.»

Findlay mi fissava furibondo, digrignando i denti. Sapeva che l’incidente era avvenuto nella mia giurisdizione e che, volendo, avevo il diritto di tagliarlo fuori.

«Si tratta di Zoe ed Ethan Coyle» disse alla fine. «La notizia si diffonderà presto comunque. Sono scomparsi dalla Branaff School una ventina di minuti fa.»

Rimasi interdetto, ammutolito per lo stupore e per l’enormità delle possibili implicazioni. «Quali provvedimenti avete preso finora?» domandai a bassa voce.

«La scuola è sotto sequestro» rispose Findlay. «Tutti i nostri agenti disponibili sono già là o vi si stanno recando.»

«Pensate che possano essere ancora dentro la scuola?»

Findlay scosse la testa. «A quest’ora li avremmo trovati. No, è impossibile che siano ancora nel campus.»

«Idee su come possano essere stati portati via?»

Findlay rimase un momento zitto. Forse, prima di rispondere alla mia domanda, doveva decidere che cosa rivelarmi e cosa no. Non sapevo ancora che era il capo della scorta di Ethan e Zoe. Avevano rapito i figli del presidente... E la responsabilità era tutta sulle sue spalle.

«Non ancora. È appena successo» rispose. «C’è un passaggio sotterraneo che mette in comunicazione l’edificio principale della scuola con le dépendance. Risale ai tempi in cui la tenuta era di proprietà dei Branaff e adesso è chiuso, ma a volte gli studenti ci vanno lo stesso a fumare una sigaretta di nascosto o a pomiciare. Le assicuro, però, che se anche Ethan e Zoe sono stati in quel tunnel, ora non ci sono più.»

Il conducente del furgone era steso su una barella, con un sondino nel naso e una flebo al braccio. Mentre lo portavano verso l’ambulanza e lo caricavano a bordo, Findlay e io lo raggiungemmo.

Tirai fuori ancora una volta il distintivo, e Findlay il tesserino.

«Ehi!» protestò uno dei paramedici. «Non potete...»

«Veniamo con voi» dissi, salendo sull’ambulanza e chiudendogli la portiera in faccia. Fine della discussione. «Andiamo.»

Uccidete Alex Cross
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