27 – Mattina dubbiosa
Il giorno dopo – Mattino del 03 maggio 1899 – Palazzo Le Manier
La testa gli pulsava come se uno stantuffo volesse infilarci più di quanto potesse contenere; Luigi in quella notte non aveva più chiuso occhio e ora stava con lo sguardo puntato oltre il vetro a osservare l’albore mattutino illuminare l’orizzonte. Dal basso, il rumore di un carro che si era fermato sotto alla finestra lo convinse a muoversi. Si passò una mano sui capelli arruffati e si sistemò la giacca. Ora la visita di Falcino assomigliava sempre più a un brutto sogno e stentava quasi ad ammettere che fosse avvenuta. Non è che aveva parlato con un fantasma? Nonostante tutto, la figura nascosta dal buio continuava ancora a tormentarlo. Quell’uomo aveva avuto un’enorme forza d’animo affrontandolo lì nel palazzo e gli aveva dimostrato quanto fosse vulnerabile e facile da colpire. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo chiudendo lì la partita. Invece non l’aveva fatto… perché? Forse perché quell’uomo non era un volgare bandito, ma solo un padre di famiglia offeso e umiliato che cercava un po’ di giustizia in quel mondo famelico che non ne aveva.
Luigi, cercando un modo per sfuggirsi, si districò tra i veli dei tendaggi e rivolse lo sguardo allo studio. Indugiò sull’affresco dipinto nella parete opposta e si compiacque di come quelle colline che contornavano il lago rendessero alla stanzetta quell’ampiezza che le mancava. Un senso di secchezza improvviso lo convinse che una tisana avrebbe potuto alleviargli il malessere. Stava per chiamare Parrino, quando apparve nello studio.
— Con permesso signore. È arrivato il maresciallo — disse il maggiordomo.
— Grazie Parrino, fallo passare e… fai preparare velocemente un caffè. Io invece ho bisogno di una tisana, lascia decidere a Marta l’essenza da usare. Ma fai presto.
Vide l’uomo di fiducia allontanarsi e qualche attimo dopo, sulla porta, comparve Sisto Piantini, anche a quell’ora impeccabile nella sua uniforme nera.
— Venite maresciallo… accomodatevi.
— Buongiorno principe. Dormito bene?
— Ecco questa è l’unica domanda che non avreste dovuto farmi — disse scuotendo la testa. Poi, iniziando ad arricciolarsi i baffi verso l’alto, aggiunse: — Questa notte è successo un fatto inquietante e molto preoccupante… Sisto.
— È successo qui… a voi? Oppure fuori… nella fabbrica? — cercò di capire il maresciallo.
— È successo qui. Nella mia camera!
— Nella vostra camera?
Luigi indicò la poltroncina per gli ospiti; Sisto non si fece pregare e si sedette.
— Stanotte è venuto Falcino… — disse Luigi, mentre si lasciava cadere sulla poltrona dietro la scrivania.
— Come avete detto? — chiese esterrefatto il maresciallo: — Liberati stanotte è entrato in camera vostra?
— Esatto! Non sono riuscito a vederlo in faccia; tutto si è svolto nel buio più profondo, ma ciò che è venuto a raccontarmi, se fosse vero, potrebbe spostare di molto le indagini sulla morte di Armand.
Luigi, lentamente e con dovizia di particolari, raccontò il dialogo al maresciallo, alla fine si zittì e riprese ad arrotolarsi le punte dei baffi, che nel parlare si erano disunite.
— Allora eccellenza, a prescindere dalle vostre valutazioni, dobbiamo muoverci e inseguirlo! — si agitò Piantini.
— Dopo il tempo che è già passato e prima che siate riuscito a organizzare la caccia, Falcino sarà già scomparso in chissà quale nascondiglio.
— Non importa, voglio battere la pista finché è calda, se siamo fortunati e troviamo le tracce del cavallo, potremo verificare se ha o non ha il ferro difettoso. Sarebbe già un riscontro di quanto vi ha raccontato.
— Fate come volete maresciallo, ma per me dovete mettere al lavoro i vostri informatori. Prendere Falcino è sempre una priorità assoluta. Ma non dimentichiamoci che se quella che ha raccontato è la verità, abbiamo anche molto altro lavoro da fare.
— E noi, se necessario, raddoppieremo gli sforzi. Dopo questo affronto, Falcino dovrà pagarla.
— D’accordo maresciallo. Ma… intanto, per non perdere tempo, inviate qualcuno, magari quel carabiniere scelto, come si chiama?
— Coricami, principe.
— Ecco sì, quel Coricami. Dovete inviarlo a San Federigo a prendere tutte le informazioni possibili su un caposquadra della ditta Severé, un certo Mario Vinceri. Fate in modo che si accerti dove si trovava la mattina del 29 aprile.
— Posso chiedervi perché vi interessa tanto questo Vinceri? Avete qualche informazione che io non conosco?
— Allora Sisto, partiamo dalla considerazione che Falcino, se fosse stato colpevole, non si sarebbe certo preso il rischio di venire qui a raccontarmi di persona che lui con l’uccisione di Armand Thibault non c’entra nulla, se davvero fosse stato lui l’assassino del francese sarebbe venuto qui per un solo motivo… uccidere anche me, ma non l’ha fatto.
— Penso che abbiate ragione eccellenza. E allora sospettate del caposquadra di Severé? E quale sarebbe la ragione del vostro dubbio?
— È un pensiero che mi è saltato in testa il giorno del funerale, prima non ci avevo mai pensato. Ma quando tra la gente ho visto il Vinceri, mi sono chiesto perché quell’uomo fosse presente.
— Era presente perché tutti erano presenti… principe.
— Sì, ma qualche mese fa, tra Thibault e Vinceri, c’era stato un battibecco per questioni di lavoro. Un alterco spiacevole che aveva coinvolto anche me e Bernardo Severé. Vinceri, vista la sua posizione di subalterno, da quella situazione ne era uscito male. Umiliato e ridicolizzato davanti al proprio principale. Insomma un’onta tale da poter giustificare un omicidio.
— E… pensate che il caposquadra si sia spinto fino a vendicarsi uccidendo Thibault?
— Penso che in questo momento tutto può essere possibile. Anche altre ipotesi sono possibili. Da qualche parte dobbiamo iniziare, quindi per adesso iniziamo a controllare questo Vinceri poi, uno alla volta, ci toglieremo tutti i dubbi che ci verranno.
— Avete ragione eccellenza! Invierò subito Coricami a San Federigo, non dubitate. Mentre io mi occuperò personalmente di Falcino.
— Bene Piantini, allora datevi da fare… Poi, nei prossimi giorni, voglio stilare un elenco di tutti quelli che potevano avere dell’astio nei confronti di Armand.
— Provvederemo di certo — disse il maresciallo facendo il gesto di alzarsi.
Luigi, in quel momento, vide entrare Parrino nello studio. Portava con disinvoltura un vassoio apparecchiato. Con un gesto affabile si accinse a porgere la tazza al maresciallo e subito dopo appoggiò l’altra davanti a lui. Un lieve vapore si levò in aria regalando alle narici un buon odore di finocchio selvatico. Prese la tazza e, accennando un brindisi, la portò alle labbra. Vide Piantini inchinare lievemente la testa apprezzando, poi si accinse a bere.
— Siamo d’accordo così maresciallo, rimango in attesa del vostro resoconto — ribadì Luigi subito dopo aver bevuto.
— Sì, me ne occuperò oggi stesso… — lo rassicurò il carabiniere appoggiando la tazza. Poi si alzò: — Ora cerchiamo di capire dov’è finito Falcino… — s’interruppe, fece un saluto militare e si allontanò.
Un attimo dopo Parrino ricomparve sulla porta e recuperando le tazze disse: — Allora eccellenza, il calesse deve essere pronto per le dieci?
— Il calesse? — domandò Luigi perplesso.
— Sì, il calesse… ieri sera avevate ordinato di prepararlo per le dieci in punto.
— È vero Parrino! — esclamò. — Stavo per dimenticarlo, dobbiamo andare al Bagno a Morbo.
— Appunto eccellenza; la signora Thibault verrà con noi?
— No. Ha detto che arriverà con un vetturino. Avrà bisogno di un barroccio per caricare le cose di Armand.
— D’accordo, allora dovremo essere puntuali… — l’uomo di fiducia s’interruppe e abbassò lo sguardo, come avesse osato troppo.
— Sarà meglio arrivare anche qualche minuto prima — lo assecondò Luigi, facendosi complice di Parrino per quell’allusione.
Tutti s’immaginavano il tipo di rapporto che doveva esserci tra Armand e Loretta, dunque anche Parrino, come Luigi, si stavano preoccupando di non far incontrare da sole Loretta e Luise. La moglie del francese aveva chiesto di recarsi quella mattina all’abitazione del marito per ritirare gli effetti personali. Era un’incombenza incresciosa che Luigi non avrebbe mai voluto vivere, ma doveva per forza essere presente; assecondare e confortare la vedova era un compito al quale non poteva sottrarsi.