7 – Lago Boracifero

 

2 giorni dopo – Mattino del 08 febbraio 1899 – Villa di Vecchienne

 

Il rumore improvviso gli fece drizzare le orecchie. Luigi, istintivamente, si avvicinò alla finestra della camera e ne spalancò le ante. Una sferzata di vento gelido lo fece rabbrividire. Senza badarci infilò lo sguardo dentro l’orizzonte. Conosceva bene la natura del fragore che sentiva, per cui non era allarmato. Una volta individuata la colonna di vapore contro il grigio del cielo, rimase deluso; quel punto non poteva corrispondere al foro delle Zuccantine che si trovava proprio dalla parte opposta del lago. Innervosito più di quanto non fosse già, sbatté la finestra e si voltò a guardare l’armadio: era arrivato il momento di vestirsi e agire. Se Severé pensava di intimorirlo con quel colpo di scena, aveva fatto male i suoi calcoli. Spalancò le ante di noce e in pochi minuti indossò dei pantaloni dalle ampie tasche a toppa e una camicia a quadri, poi indugiò un attimo davanti alla cravatta e al panciotto usati la sera precedente e decise di indossarli di nuovo. La cravatta era un accessorio del quale non poteva fare a meno. Infine afferrò il giaccone di velluto che, benché non fosse in tono con la cravatta, avrebbe assolto lo stesso il suo compito. Il gelo che lo aveva aggredito dopo aver aperto la finestra doveva essere combattuto con ogni mezzo.

Scese le scale col tormento di quel brontolio in sottofondo che gli logorava i nervi. Quando arrivò alla fine del corridoio e si affacciò nel salone, vide il direttore Thibault già seduto alla lunga tavola che occupava il centro della stanza da pranzo. Dal soffitto a cassoni in legno, arricchiti dal dipinto dello stemma dei Le Manier, penzolavano due enormi lampadari in ferro e vetro completamente illuminati. Con decisione avanzò sui mattoni disposti a spina di pesce e, una volta raggiunto il chimico, tirò a sé una sedia e gli si accomodò di fronte. Nel medesimo istante la cameriera, reggendo in equilibrio un vassoio, entrò dalla porta della cucina e si soffermò davanti al tavolo in attesa del consenso per poter servire la colazione.

— Prego Viola appoggi pure… siamo affamati — disse Armand Thibault sorridendo alla ragazza.

— Grazie direttore, con permesso e… buon appetito. — Viola con estrema gentilezza posò il vassoio e fece un inchino.

Luigi, che aveva osservato il siparietto in silenzio, appena la ragazza scomparve nella cucina, con ironia domandò: — Dormito bene Armand?

Naturellement. Qui a Vecchienne non si sta poi così male.

— Come… — obiettò con falso rigore, — se appena ieri, arrivando da Larderello, continuavate a lamentarvi per la distanza e la pericolosità della strada. Ora invece…

Pour la misère, Luigi. Dovete ammettere che il viaggio per arrivare qui non è proprio tra i più rilassanti.

— Certo, certo… Ma dopo la cena e il successivo intrattenimento, se così posso definirlo, mi sembrate già abbondantemente rinfrancato. Odoacre Fusini sa fare bene il suo lavoro… non è così? — chiese ammiccando verso la cucina. Era ben consapevole delle incombenze non scritte, richieste alle donne chiamate a servizio alla villa.

— Il buon Fusini è un sensale con i fiocchi. Dalla sua bottega di barbiere riesce a sapere tutto di tutti e… diciamo che sa scegliere le persone giuste da far lavorare alla villa. In fondo, una volta accettate certe regole, qui si riesce a sopravvivere più che degnamente. Anzi, la settimana scorsa abbiamo parlato della sostituta di Olga e spero che riesca a convincere la madre della ragazza che ho visto giù al Lago Boracifero.

— Già… povera Olga, lei purtroppo non ha avuto molta fortuna. Ma vedrete che Odoacre non vi deluderà, se gli avete dato un’incombenza si farà in quattro per accontentarvi, non ne dubitate. Ma venendo al motivo per cui siamo qui, spero che abbiate avuto il tempo di pensare all’incontro di questa mattina. Lo avete sentito il fracasso di poco fa… vero?

— Ho sentito, ho sentito. Quel foro deve avere una bella portata.

— Ecco, appunto, ma non è un nostro foro. Bernardo Severé continua a sfidarci… sapeva che oggi saremmo stati qui e ha fatto in modo di farlo aprire proprio per farci rabbia.

Peut être, ma potrebbe anche essere successo per puro caso.

— Non ci giurerei… intanto loro oggi saranno sicuramente al settimo cielo.

— Ora Luigi non esagerate, hanno poco da gioire; rileggendo gli atti delle cause tra Francesco Le Manier e i Severé, riguardanti proprio lo scavo del primo fosso qua vicino, è evidente che non hanno nessuna possibilità di opporsi alle nostre rimostranze.

— Questo lo penso anch’io, ma dobbiamo sistemare la faccenda di quel capo squadra…

Pour la misère… a quello ci penserò io. D’altronde se la settimana scorsa ho perso le staffe e ne ha fatto di peggio quel bifolco, sono disposto a riparare di persona tirando fuori dalla disputa la Le Manier & C.

— Ma avete agito per fermare un abuso contro la Società, dunque non permetterò che voi dobbiate rimetterci. Questa mattina dovremo fare di tutto per chiudere l’increscioso episodio. E dovrà essere Bernardo Severé a chiedere scusa. È possibile che dopo ben due cause legali già sentenziate a favore dei Le Manier, il vecchio non voglia demordere da quest’impresa.

— Probabilmente la caduta del prezzo del borace ha messo Severé con le spalle al muro e, non riuscendo più a far quadrare i bilanci, si è visto costretto ad adottare tutte le soluzioni possibili, anche quelle più disperate pur di salvare la società.

— Probabilmente avete ragione voi Armand, se procederemo di questo passo, gli americani si mangeranno tutto! — sbottò Luigi ancora più irritato di prima. Poi, per distrarsi da quei pensieri amari, si decise a fare colazione. Il tempo non avrebbe certo aspettato i loro comodi. Dovevano sbrigarsi e mettersi in sella se non volevano arrivare tardi all’appuntamento con Severé.

 

Anzecchi, dall’alto del suo baio, sentì il vento sferzargli la faccia. Alzò lo sguardo al cielo e la preoccupazione si trasformò in certezza: sulla fronte sentì il gelo di sporadici fiocchi di neve e questo non gli piacque. Con impeto si lisciò i baffetti curvandoli verso l’alto, poi si rivolse verso lo sfondo dell’orizzonte alla ricerca di uno spiraglio tra le nuvole. Il cielo era un’unica coltre di batuffoli grigi e i fiocchi di neve svolazzavano leggeri verso il Lago Boracifero. Luigi, masticando un’imprecazione, si tirò sopra i capelli chiari un berretto floscio preso alla svelta dalla bisaccia della sella. Davanti a lui vide il direttore Thibault ondeggiare sull’arcione e affrontare la curva del sentiero in modo maldestro. Pensò che l’intrattenimento del dopocena doveva essersi protratto a lungo.

Cercò d’ignorare quel pensiero e si concentrò sui fiocchi di neve: se si fossero intensificati avrebbero potuto creare un problema serio. L’incontro al quale si stavano recando nascondeva molte insidie e non potevano affrontarlo con il pungolo di doverlo interrompere prima del tempo. Luigi sbatté i tacchi sui fianchi del baio e accelerò l’andatura per avvicinarsi ad Armand. Il conte Fiorenzo Le Manier aveva avuto buon naso nell’affidare a quell’uomo la direzione di tutte le fabbriche. Lui stesso in poco tempo aveva imparato a stimarlo per l’intraprendenza e la determinazione. Anche se spesso il carattere burbero non facilitava le trattative, la sua rapidità nelle decisioni e le sue rare capacità tecniche erano impagabili. Insomma, era l’uomo giusto quando si dovevano togliere le castagne dal fuoco.

Lo raggiunse mentre il chimico stava scuotendosi i pantaloni dalla neve. Lo vide rassettarsi il giaccone di pelle cerata e subito dopo controllare l’orologio a cipolla posto nella sacca della sella.

Quando il francese lo sentì arrivare si voltò e lanciando uno sguardo al cielo grigio scosse la testa: — Non ci farà tornare… — pronosticò sintetico.

— Avete premura per vostra moglie? — chiese Luigi con una punta d’ironia nella voce.

— Mia moglie! — esclamò Thibault, — lasciatela ai suoi salotti a Pomarance. Io dicevo per voi.

— No, non vi preoccupate Armand. Elisa è una donna che sa attendere.

Très bien. In fondo un’altra notte alla Villa non mi dispiacerebbe.

— Potete ben dirlo… se non ho capito male, vi piacciono le viole… e fuori stagione!

Il francese non replicò, si limitò a increspare le labbra in una sorta di sorriso beffardo, prima di colpire il cavallo sui fianchi per incitarlo e riprendersi la precedenza sul sentiero.

I baraccamenti della fabbrica Severé comparvero all’improvviso tra le volute di un vapore così candido e intenso da dare la sensazione di cavalcare sulle nuvole. Luigi guardò le acque bollenti dei lagoni gorgogliare in modo impetuoso. Si rese conto di quanta energia sprigionassero e s’immaginò il magma incandescente, laggiù sotto ai piedi. Si disse che in quel luogo non doveva essere poi così profondo. Il borbottio delle putizze era attutito dal rumore assordante del vapore che fuoriusciva dalla bocca del pozzo sul quale troneggiava imponente la torre di perforazione. Si soffermò qualche attimo ad ammirare quello spettacolo portentoso e, pur conoscendolo benissimo, non poté fare a meno di meravigliarsi ancora una volta. Il getto di vapore usciva dalla bocca del tubo d’acciaio con una tale potenza da creare un dardo trasparente simile all’ogiva di un proiettile, per poi riaddensarsi e sparpagliarsi in una grande nuvola bianca. Abbandonò quel portento e, sentendo acuire il rombo nelle orecchie, frugò nella bisaccia. Trovato il cotone, lo calcò ben bene nel condotto uditivo. Il rumore si smorzò di molto e con rinnovato interesse riprese la ricognizione. Sullo sfondo dello spiazzo vide le tettoie delle caldaie e subito calcolò che Severé, con quel nuovo vapore, avrebbe potuto costruirne almeno un’altra batteria. Questa eventualità prima lo infastidì, subito dopo lo fece riflettere. Si voltò verso Thibault e guardandolo pensò che quella portata sarebbe stata sufficiente anche per azionare uno di quegli stantuffi a vapore che il francese aveva fatto costruire per far circolare l’acqua nelle vasche risparmiando il tempo e la fatica degli operai. Era inutile cercare di nasconderlo, quella concessione aveva potenzialità importanti da sfruttare, se avesse potuto disporne applicando le nuove idee, avrebbe potuto risolvere molti problemi della ditta Le Manier. Una buona proposta di accordo col vecchio Severé sarebbe stata la soluzione migliore da auspicare, ma come avrebbe reagito l’ingegnere?

— Questa potrebbe essere una buona occasione per proporre un accordo! — gridò Luigi ad Armand, tirandolo per la giacca cercando di farlo avvicinare.

Bien entendu sarebbe bello… — sostenne il chimico: — Ma Severé è un vecchio cocciuto. Vuole sfidarci per alzare la posta.

— Chissà… forse sta solo giocando la sua ultima carta — ipotizzò Luigi allontanandosi. Vide il francese scuotere la testa, annuì senza insistere e, con decisione, strattonò le redini dirigendo il cavallo verso la struttura a mattoni che compariva e scompariva tra le folate del vapore. L’ambiente era così caotico da confondere anche le sensazioni più elementari. Prima di scendere dalla sella alzò la faccia al cielo e il freddo dei fiocchi sulla pelle gli confermò che stava ancora nevicando. Abbassando di nuovo lo sguardo tra le volute del vapore, intravide un paio di operai affaccendati alla manovella di un bindolo a secchi. Il suo orgoglio ebbe finalmente una gratificazione: nelle fabbriche Le Manier quei congegni per innalzare le acque erano ormai un ricordo del passato. Con Severé potevano davvero farcela.

Legati i cavalli alla balaustra e attraversata la breve tettoia, entrarono nell’edificio. Il rumore s’attenuò ancora, ma le finestre, nonostante la robustezza, scuotevano di continuo come aggredite da una tempesta.

Luigi Anzecchi, entrando, osservò prima gli uomini seduti al tavolo disposto al centro della stanza poi, prima di sedersi, sbirciò l’ambiente che li circondava. Sul fondo della sala notò subito l’inconfondibile bobina di un apparecchio telegrafico, pensò a quanto aveva dovuto spendere per installarlo a Larderello, ma si rese conto che anche Severé, pur di reggere il confronto con la concorrenza, non aveva esitato a fare quella scelta così costosa. D’altronde, poter dialogare nel più breve tempo possibile con i clienti e i fornitori poteva fare davvero la differenza. Sapeva che il vecchio non era certo un ottuso e anche lui aveva capito che, per combattere la crisi, l’ammodernamento dei processi e dei macchinari era un passaggio inevitabile… anche a costo di indebitarsi. Voltata la testa sul lato sinistro, a ridosso della parete contò quattro scrivanie ben allineate, dotate anch’esse di due macchine per scrivere di ultimo modello. L’unica cosa che stonava in quella modernità era l’illuminazione del locale. Le tre lampade a petrolio che penzolavano dalla trave di mezzeria erano nettamente insufficienti per quello spazio così ampio. Luigi, con passi lenti, si avvicinò finalmente al tavolo. Prima di sedersi si sfiorò la fronte madida; la differenza di temperatura tra quella stanza e l’esterno era enorme. Si guardò attorno e vide che ogni angolo era attraversato dai tubi alettati del vapore. Per non soccombere, si tolse il giaccone e lo appese alla spalliera dell’ultima sedia lasciata libera, proprio accanto a Thibault. Inevitabilmente si trovò di fronte Bernardo Severé che, con sussiego, inclinò leggermente la testa in avanti. Lui ricambiò il cenno di saluto e, prima di parlare, attese qualche attimo.

L’anziano ingegnere, con il suo ghigno austero, se ne stava seduto con le mani strette sul registro di produzione. Al suo fianco, palesemente accigliato, sedeva il ministro della fabbrica: il dottor Cocchio Nicola. Chiudeva la fila, un po’ in disparte, un uomo dal volto cupo, il naso schiacciato e gli occhi distanti tra loro. Indossava un gilet a quadri sgualcito, con qualche rammendo qua e là. Le mani sulla tavola, appoggiate una sull’altra, raccontavano tutta la fatica che dovevano aver fatto nella vita. Luigi non ebbe bisogno di chiedere chi fosse. Era sicuramente il caposquadra che aveva bisticciato con Armand soccombendo.

— Bene arrivati signori… — esordì Severé modulando la voce. — Peccato per la stagione davvero pessima. E… scusate per il rumore, ma proprio questa mattina abbiamo avuto la bella sorpresa.

— I miei ossequi ingegnere. Mi congratulo con voi per questo successo. Mi sembra, a giudicare dal frastuono, che sia un bel risultato — si affrettò a dire Luigi ansioso di chiudere prima possibile quell’argomento; non erano lì per elogiare i successi degli avversari. Al contrario, erano lì per dissuaderli a non proseguire un’attività che li danneggiava. Per non dare la sponda a Severé, domandò: — Aspettiamo ancora qualcuno?

— No, principe, siamo tutti qui — fu costretto a rispondere Severé, che così non poté dilungarsi spiegando ulteriori particolari sulla perforazione. Luigi annuì e Severé, rivolgendosi ai collaboratori, aggiunse: — Il ministro Cocchio lo conoscete. Mentre vi presento il signor Vinceri Mario, caposquadra della fabbrica.

Luigi a quella presentazione accennò un mezzo sorriso, come a compiacersi per l’onore, poi modulando il tono rispose: — È un piacere incontrarvi signori. — E si voltò verso i due dipendenti di Severé. Incrociando lo sguardo del ministro, si rese conto della tensione che stava controllando e capì che quell’incontro non sarebbe stato un concerto di violino.

— Ossequi a voi principe — si sforzò di dire Cocchio.

— Buongiorno signore — mormorò Vinceri abbassando lo sguardo.

Luigi si rese conto che Cocchio fremeva dalla voglia di parlare e pensò di non dargli il vantaggio del primo approccio. Con destrezza si spostò leggermente sulla sedia e colpì con un ginocchio la gamba di Armand.

 

Il francese capì e non si fece pregare: — Bien — scandì, — egregio ingegner Severé vi porgo i miei ossequi e per prima cosa voglio rivolgervi le mie scuse per il comportamento tenuto nei riguardi del vostro caposquadra. È stato un attimo di défaillance e non sono riuscito a trattenermi, ma vi garantisco che in quelle circostanze anche voi…

— Cosa vorreste dirmi direttore Thibault… Che Vinceri vi ha istigato a colpirlo? — chiese Severé aggrottando le sopracciglia intrigate.

— Il vostro caposquadra è un impertinente e un ignorante… — attaccò Thibault squadrando Vinceri. E negli occhi scuri dell’uomo vide lampeggiare un riflesso vitreo da invasato. Non si fece impressionare e proseguì: — Ma non ho intenzione di perdere tempo con questo incidente. Se riterrete di procedere legalmente nei miei confronti, sarò pronto a difendermi nelle sedi opportune — scandì e, senza concedere il tempo di controbattere, riprese: — Oggi siamo qui per capire se la vostra intenzione è quella di perseverare nello scavo di deviazione del fosso e se ritenete nel vostro diritto la possibilità di effettuare quest’opera.

— Voi signor Thibault mi sembrate un po’ troppo sbrigativo nelle valutazioni. Credo che Vinceri stesse facendo solo il proprio lavoro e se anche vi ha mancato di rispetto, non si meritava né quel trattamento, né tanto meno certe parole. Detto questo non credo che dovremo arrivare alle vie legali. Le vostre scuse penso che possano bastare. — Severé guardò Vinceri, ma il caposquadra non si voltò per assecondare quella scelta.

 

Anzecchi, osservata la reazione, si concentrò sugli occhi del Vinceri e vide che puntavano dritti su Thibault. In quello sguardo non esisteva nessun perdono; al contrario, se avesse potuto parlare e intervenire, avrebbe affrontato il francese e probabilmente, non solo con le parole.

Je m’excuse encore — si schermì Thibault — ma ciò che ci preme di più è sapere se riprenderete lo scavo del fosso.

— Nonostante ci siano già stati dei contenziosi tra le nostre società, i diritti riconosciuti ai Le Manier riguardavano principalmente le opere di presa realizzate sul Rio Secco, delle quali non rivendichiamo niente. Ma del famigerato canale di raccolta sul versante di Vecchienne c’è ben poco di scritto sulle sentenze, e i termini del confine non sono poi così precisi da garantire delle certezze.

— Allora voi signor Severé… — intervenne Luigi con eleganza — con questo panegirico vorreste arrogarvi il diritto di aprire il canale in questa direzione, solo perché ritenete i termini che delimitano il confine definiti in modo vago?

— Esatto — tagliò corto il vecchio ingegnere.

Luigi a quell’affermazione s’irrigidì. Lentamente si voltò verso Armand Thibault perché intervenisse. Il gioco delle parti gli aveva assegnato il ruolo del “cattivo” e la discussione in quel momento richiedeva un intervento energico.

Inadmissible! — esclamò il francese attento. — Saremo costretti a denunciare il fatto alle autorità competenti e vi avviso già da adesso ingegnere: provvederemo a presidiare il luogo pronti a far valere il diritto di proprietà privata!

Luigi osservò Armand e vide che il volto stava infiammandosi.

— Non si accalori tanto signor Thibault, che fa… vuole picchiare anche noi? — La provocazione era arrivata come una stilettata dalla bocca del direttore Cocchio che fino a quel momento se n’era stato in silenzio e finalmente era riuscito a prendere la parola.

Luigi a quelle parole così sferzanti sussultò e un secondo dopo si affrettò ad afferrare Armand per un braccio. Lo sentì fremere e per non farlo scattare lo trattenne, evitando così il rischio di una brutta reazione.

— Non dubito di vedervi presto nella polvere signor Cocchio. Voi siete solo un pusillanime! — sbottò allora Thibault inferocito.

— Gli affari devono andarvi a gonfie vele, non è così signor Severé? — chiese lesto Luigi, cercando di riportare la calma a quel tavolo. — Io ve lo auguro vivamente perché… non vorrei che questo vostro goffo tentativo di accaparrarvi risorse non vostre fosse il canto del cigno di questa fiorente attività — aggiunse. Poi si voltò verso il suo direttore lanciandogli uno sguardo infuocato. Solo in quel momento aveva capito che Armand Thibault non riusciva proprio a controllarsi; doveva attraversare un momento davvero difficile.

— Esimio principe Anzecchi, mi scuso per l’indelicatezza del mio direttore, ma consigliate al vostro un profondo esame di coscienza. Non è così che ci si comporta tra gentiluomini. Detto questo, ho deciso di sospendere le attività di riapertura del fosso. Vi chiedo perciò di considerare chiuso l’incidente. — Severé, nel parlare, non aveva degnato di uno sguardo Armand Thibault.

— Bene ingegner Severé, accetto il vostro consiglio e ricambio le scuse. Mi fa molto piacere che abbiate cambiato idea. Per noi la faccenda si chiude qui. Ossequi a tutti voi. — Pronunciate quelle parole, Luigi si alzò e, ascoltato un fugace saluto, si avviò verso l’uscita seguito da Thibault.

Una volta raggiunto il cavallo, puntò lo stivale sulla staffa e saltò in sella. Il rumore assordante era tornato a fargli vibrare lo stomaco. Cercò ugualmente di concentrarsi, voleva stilare un resoconto a caldo dell’incontro appena terminato. Nonostante l’impegno, riuscì solo a constatare che il carattere rissoso di Armand non gli aveva permesso di proporre l’accordo di collaborazione come si era proposto di fare.

Guardò il francese salire in sella e lo affiancò, aspettò che fosse in comodo per partire e poi spronò il cavallo. Niccolò, il caposquadra del cantiere delle Zuccantine, probabilmente era già in attesa del loro arrivo. Fatto qualche passo verso il mulino, si ritrovò a fare di nuovo i conti con la neve che, se pur lentamente, continuava a scendere giù. Infilò la mano nella bisaccia della sella, prese il berretto e lo indossò. Ora aveva solo fretta di raggiungere l’impianto di perforazione per capire a che punto stava la trivella.