9 – L’ambasciata
Il giorno dopo – Mattino del 9 febbraio 1899 – piazza principale di Monterotondo
Odoacre Fusini accostò la porta di bottega e uscì. Guardò la poca neve della sera che nella notte s’era congelata a terra. Era sicuro… nessuno quella mattina avrebbe avuto bisogno del barbiere. Si girò verso la piazza, buttò là un’occhiata e, come aveva previsto, a quell’ora era sempre deserta; la nevicata aveva fatto ritardare tutte le attività. Lui però si era alzato presto e durante la notte aveva anche dormito poco. Era arrivato il momento di fare quell’ambasciata che… avesse potuto… no, non l’avrebbe mai fatta. Ma doveva accontentare il direttore Thibault e non era mai successo che Odoacre Fusini fosse mancato a un impegno comandato dalla Le Manier. Questa volta se l’era presa anche troppo comoda. Era già una settimana che il ministro Rinserri era passato di lì a chiedergli di prendere contatti con Manuela Contini per esaudire la volontà del Thibault di portare alla villa la figlia Amelia. Una settimana… non era mai successo che aspettasse tanto. Sapeva di non poter perdere altro tempo, altrimenti barba e capelli questa volta li avrebbero fatti a lui.
Certo… la ragazzina era ancora molto giovane, non sarebbe stato facile presentarsi da Manuela per proporle quell’opportunità di lavoro. Conosceva bene i suoi trascorsi alla villa e, dunque, chi meglio di lei poteva sapere a quali regole avrebbe dovuto sottostare sua figlia? Certamente non avrebbe gioito per quella proposta, pur valutandola un’opportunità. Alla fine dei conti quel lavoro poteva risolverle tutti i problemi: avrebbe messo al sicuro il bilancio familiare e concesso l’immediata certezza del futuro. Insomma, quella sarebbe stata una vera e propria sistemazione. Di sicuro non avrebbe più avuto bisogno di Falcino, pensò alla fine. Ed eccolo lì, il vero problema che doveva affrontare. Come avrebbe reagito Ercole Liberati una volta venuto a conoscenza di quella proposta? Dopo tutto quello che c’era stato tra di loro… era consapevole di correre un bel rischio.
Odoacre fece un sospiro profondo, non era un compito facile quello che gli si prospettava, ma non poteva pensare di dissuadere Thibault dalla sua idea; la ragionevolezza non era certo una dote del francese.
Era ancora avvolto nei pensieri quando sentì lo sferragliare della corriera che percorreva le curve della provinciale nascoste dal castagneto. Se il postale stava arrivando in orario significava che le strade erano percorribili. Ora non c’erano più scuse per rimandare la visita al Lago Boracifero. Si abbottonò il giaccone e saltò sul calesse. Spinse la stanga e convinse il morello a muoversi per uscire dal paese. Scendendo le curve inghiaiate, lungo il tragitto ammazzò il tempo guardando la neve che ricamava le pieghe dei fossi e orlava i ritagli dei campi ancora in ombra. Prima di entrare nella piazzetta tra le quattro case del villaggio, i suoi pensieri si concentrarono su Falcino. Se le informazioni ricevute erano esatte, quella mattina Ercole Liberati doveva essere di turno alla sonda. Dunque non rischiava di trovarselo tra i piedi, mentre con calma avrebbe cercato di far capire a Manuela tutti i vantaggi che quella proposta avrebbe potuto portarle. Se la donna si fosse convinta… sarebbe stata lei a far digerire la proposta a Falcino. E… accontentare il Thibault, evitando le ritorsioni che non più tardi di otto giorni prima Ercole aveva minacciato, sarebbe stato un lavoro di cesello da veri artisti della mediazione.
Odoacre, spinto da quella determinazione, una volta accostato il calesse guardò lo sfondo della strada, inquadrò la palazzina che gli interessava e atteso qualche minuto, scese. Si avvicinò al cavallo, passò la correggia al morso e lo legò all’anello sul muro. Il freddo del gancio lo fece rabbrividire e sentì che anche i piedi iniziavano a ghiacciarsi. Guardò a terra la poltiglia di fango e neve che imbrattava la strada e storse la bocca. Rapidamente studiò un percorso per cercare di evitarla, ma si rese conto che era impossibile non infradiciare gli stivali.
La casa di Manuela Contini aveva ancora le persiane accostate. Odoacre si avvicinò alla staccionata di canne che delimitava l’orto, cercò di sbirciare all’interno delle stanze per cogliere qualche movimento e approfittarne per controllare la situazione. Tutto era in silenzio. La casa sembrava vuota. Sfilò l’orologio dal taschino del gilet e controllò l’ora… Manuela si svegliava presto la mattina. Un po’ contrariato decise di avvicinarsi all’ingresso, forse la donna era scesa in cantina. Si mosse verso il vialetto e si avvicinò ancora alla finestra del soggiorno. Stava per salire le poche scale verso la porta, quando una voce femminile alle sue spalle lo bloccò: — Sor Fusini avete perso qualcosa?
Sobbalzò e per poco non cadde inciampando nello scalino. Fu lesto nel recuperare l’equilibrio e voltarsi. Manuela Contini era ferma a pochi passi da lui; una tinozza tenuta per un manico le penzolava dalla mano.
— Oh… eccovi qua! Buongiorno Manuela. Cercavo proprio voi.
— Siete sicuro Odoacre? Spero che vi stiate sbagliando.
Lui s’impettì e tornò indietro avvicinandosi di nuovo alla staccionata dell’orto. Guardò la donna e cercò di sorriderle: — No, non ci sono errori. Se mi fate entrare… — E con la testa accennò alla porta.
— Entrare sor Fusini… — Lei fece una pausa: — in questo momento c’è un gran disordine. È una faccenda lunga a dirsi qui?
— Veramente Manuela… qui… in strada.
— Vi toccherà spicciarvi e dirmelo qui. Tanto…
Odoacre la guardò contrariato, ma continuava a sorriderle. Era chiaro che Manuela aveva mangiato la foglia. E malauguratamente non stava reagendo come avrebbe voluto. Pensò di andarsene e lasciarla nel dubbio, poi s’immaginò la reazione del direttore e decise di portare a termine il suo mandato.
— Mi spiace proprio che non possiamo parlare qualche minuto con calma — insisté.
— Andiamo Odoacre… ditemi quello che vi hanno detto di dirmi — sciorinò la donna scocciata.
— Non mi trattate male Manuela, lo sapete quello che faccio. Do solo una mano a quelli della Le Manier. E stamani sono venuto da voi per esprimervi la magnanimità del dottor Thibault. Il direttore, nel passare da queste parti, ha incontrato vostra figlia Amelia e conoscendo la vostra situazione bisognosa, vorrebbe portarla a servizio alla Villa… lo sapete no? La povera Olga… — Odoacre s’interruppe e abbassò la testa in segno di rispetto… per la perdita della povera donna. Poi attese per qualche attimo una risposta, ma questa non arrivò. Alzò di nuovo gli occhi e vide Manuela immobile con lo sguardo svuotato; la tinozza le era scivolata tra le dita e ora stava rovesciata a terra.
Falcino rientrò in casa e appoggiò con rabbia la panierina intatta sull’acquaio. Il Rinserri lo aveva fatto chiamare per comandargli un cambio di turno senza preavviso. Lui non l’aveva mica presa tanto bene, ma cosa avrebbe potuto fare? Nel regolamento era scritto a chiare lettere: il ministro comanda… i lavoratori obbediscono. E pur bollendo come un lagone era tornato indietro, nervoso ma ubbidiente. Nel silenzio cercò Manuela, ma si rese conto che la donna non era in casa. Pensò alle cose che avrebbe dovuto fare e si avvicinò alla finestra. Senza scostare le persiane allungò lo sguardo e vide un calesse fermarsi all’angolo della piazza. Incuriosito, si avvicinò ancora di più alla persiana e iniziò a seguire le mosse dell’uomo che intanto era sceso a terra. Lo riconobbe: Odoacre Fusini… sembrava una faina che, muso a terra, insegue la traccia di sangue della sua preda. Chi stava cercando la faina? Falcino sentì i battiti iniziare a cavalcare. Un presentimento torbido e corrosivo gli stava montando in testa come un uragano. Non poteva essere… no! Non poteva essere. Odoacre non poteva essere lì per Manuela. Cercò di calmarsi, ma istintivamente si appostò dietro la finestra, pronto a qualsiasi evenienza. Seguì Odoacre mentre si avvicinava e quando lo vide fermarsi davanti alla loro porta, sentì la faccia incendiarsi. Ora non aveva più dubbi… Fusini era lì per Manuela e sicuramente sapeva che lui non avrebbe dovuto esserci. Si chiuse il naso con le dita e spinse l’aria così forte da far schioccare le orecchie, era un modo per scaricare la tensione e contenere la voglia di precipitarsi fuori e spiegare al barbiere come si sta al mondo. Stava ancora lottando con se stesso quando vide Manuela arrivare con la tinozza in mano. Vide Odoacre voltarsi verso la donna e iniziare a parlarle. Falcino tese le orecchie, si concentrò e cercò di non perdere nulla di quella conversazione. Voleva sapere quali erano le intenzioni di quel farabutto, ma s’immaginava già che non avrebbe portato buone notizie.
Ascoltò fino all’ultima parola trattenendo anche il respiro, tanto era coinvolto. Poi, colto di sorpresa da quella novità inaspettata, rimase un minuto soprappensiero. “Una bambina alla villa”… Come sentisse di nuovo le parole del Fusini rimbombargli nel cuore, s’infiammò e un terremoto gli scosse le membra. La rabbia s’impossessò di lui e, mentre immaginava quali attenzioni avrebbe riservato il magnanimo direttore alla piccola Amelia, si avvicinò a grandi passi alla porta di uscita. Anche se la ragazzina non era sua figlia, ormai le voleva bene come se lo fosse, e quella che aveva appena immaginato non era certo la vita che avrebbe voluto farle fare. L’ira ormai era giunta al culmine e Falcino la lasciò esplodere in tutta la sua forza. Come il vapore liberato alla valvola si precipitò correndo per la via più breve che lo separava dal Fusini. Senza riferimenti, si ritrovò ad attraversare l’orto e il manico della vanga infitta nel terreno gli si parò davanti come una spada. L’afferrò con raddoppiata veemenza e un attimo dopo fu addosso al barbiere. Senza più ostacoli che potessero fermarlo Falcino brandì la vanga e l’appoggiò di taglio contro la gola del malcapitato. Vide i suoi occhi cambiare colore, un po’ per la sorpresa e sicuramente per la paura. L’uomo non si attendeva certo quell’epilogo. Istintivamente indietreggiò in modo repentino e, andando a sbattere contro la staccionata di canne, l’abbatté cadendo rovinosamente. Falcino lo vide arrancare con le mani per riuscire a rialzarsi. Una volta in piedi lo seguì mentre sgattaiolava più velocemente che poteva in direzione del calesse.
— Da oggi farai bene a scomparire Odoacre. Hai davvero la memoria corta. Ti avevo avvisato! Sappi che io non dimentico! Non posso dimenticare!
— Tu sei pazzo Falcino! Sei completamente pazzo!
— Tu invece… sei un fottuto leccapiedi senza dignità! Sparisci e non provare a ripresentarti a questa porta, o la prossima volta, questa vanga, te la spezzo nei denti.
— Ercole… tu… tu non sai in quale guaio ti sei infilato… io… — farfugliò il barbiere ancora scosso — Ero venuto qui per espressa volontà del dottor Thibault a offrire un’opportunità di lavoro, in modo educato, e tu… guarda qua! — gridò ancora, mentre con la mano si strofinava i pantaloni, per ripulirli dalla poltiglia fangosa appiccicatasi nella caduta.
— Dì al tuo padrone che Amelia deve ancora terminare gli studi e non può accettare il lavoro alla villa. Hai capito bene Fusini? Oggi qui non è successo nessun guaio… ci siamo capiti? Perché se non ti è ancora bastato il male che hai fatto… bada bene a te! Questa potrebbe essere l’ultima volta che ne fai. So bene dove venirti a cercare!
— Cosa sarebbe questa… un’altra minaccia?
— No Odoacre, nessuna minaccia. Questo è quello che ho intenzione di fare.
— Non finisce qui Liberati! Non finisce qui! — replicò il barbiere gridando e, giratosi di scatto, si affrettò a salire sul calesse.
Dopo averlo visto scomparire oltre la curva, Ercole si voltò e incontrò lo sguardo di Manuela. Le sue guance si erano sciolte in una smorfia di preoccupazione e negli occhi le leggeva un tumulto profondo, poteva essere la riconoscenza per aver difeso sua figlia da quell’abuso? Forse, ma non glielo avrebbe mai domandato. Sapeva che anche lei da ragazzina aveva lavorato alla villa di Vecchienne, dunque doveva essere ben consapevole del motivo del suo gesto.