23 – Prime considerazioni
Poco dopo – Mattino del 29 aprile 1899 – Pian di San Marco
Luigi, dopo aver visto scattare Guerra in direzione del mulo legato al gancio vicino alle caldaie, si voltò verso il gruppetto di operai che, come inebetiti, erano rimasti ai margini della strada. Riconobbe la stazza di Frediano Onorati che sovrastava tutti gli altri e lo chiamò: — Avvicinati Frediano!
L’operaio, intimorito, fece due passi e inciampando con la lingua disse: — Io… Io… Eccellenza?
— Andiamo… Hai paura!
— No… Ma…
Luigi lo guardò perplesso; Onorati sembrava particolarmente scosso, ma vista la circostanza non si fece domande. Si avvicinò e impartì i suoi ordini: — Corri a palazzo, trova Parrino e digli di informare il conte Fiorenzo. Confermagli che la notizia della morte di Thibault è vera e che io sono rimasto qui ad attenderlo.
— D’accordo eccellenza… corro.
— Aspetta! Appena hai fatto, cerca l’ingegner Fabbretti e fallo venire subito qui.
— Consideratelo già fatto principe — disse Frediano più sollevato e, infilatosi il berretto, s’incamminò di buona lena verso la discesa che portava al palazzo Le Manier.
Luigi guardò l’uomo allontanarsi e solo allora si rammentò della sorella: Loretta Onorati. Ora iniziava a capire la reazione e l’imbarazzo di Frediano; la morte del direttore lo coinvolgeva personalmente. E chissà come avrebbe reagito Loretta. Certo lei non poteva ancora sapere che cosa era successo ad Armand. Ora nella testa un pensiero correva dietro all’altro; come un costone di sassi che si sbriciola nella frana, il mondo stava crollando giù. Il pensiero successivo fu per Luise Thibault. Aveva fatto avvisare tutti e si era dimenticato di far chiamare la moglie. Era un’ambasciata molto delicata da fare e pensò che solo il maresciallo Piantini sarebbe stato in grado di eseguirla con la cura dovuta.
Non aveva ancora finito di pensare al maresciallo quando lo vide arrivare di gran carriera col cavallo lanciato al galoppo.
— Principe! Maledizione… Ma è tutto vero? — gridò il militare scendendo a terra prima che il cavallo avesse terminato la sua corsa.
— È tutto vero Sisto. Gli hanno sparato poco fa. L’ha trovato Guerra. E dice di aver visto un uomo a cavallo fuggire verso Castelnuovo.
Luigi vide il maresciallo guardare il terreno attorno al cadavere per poi interessarsi al tratto di strada che si perdeva oltre la curva, a poche centinaia di metri da dove si trovavano.
— Ma quanta gente c’è stata qua attorno? — domandò contrariato Piantini.
— Abbastanza. — Luigi scosse la testa desolato.
— Avete cercato di individuare le tracce del cavallo del fuggitivo?
— No Sisto, ma credo che su quel tratto di strada non sia ancora passato nessuno.
— Benissimo… — disse Piantini e senza aggiungere altro si allontanò tenendosi in mezzo alla strada, camminando a capo chino.
Luigi lo seguì con lo sguardo, combattuto tra la voglia di andargli appresso e il senso di pietà che gli impediva di abbandonare quel corpo inerme. In fondo davanti a lui giaceva il cadavere di un uomo che, nonostante i suoi difetti, era considerato l’eminenza grigia di quelle terre, lo sperimentatore, l’innovatore. Era l’uomo che gli aveva messo in testa l’idea dell’elettricità, l’idea che non era più solo un’idea; presto si sarebbe trasformata in realtà se non fosse avvenuta la tragedia. Ora era difficile guardare quelle carni dilaniate dal piombo e non sprofondare nella costernazione. La vita, ancora una volta, dimostrava la sua imprevedibilità. Chi aveva compiuto quell’esecuzione, qualsiasi motivo avesse avuto, doveva aver accumulato un tale tormento da non poter più vivere a sua volta. Quel tormento personale si era trasformato inesorabilmente nel tormento di una comunità intera. Gli vennero subito alla mente l’episodio di Monterotondo e il gesto sconsiderato di Ercole Liberati. Anche quell’esecuzione dovuta alla follia di un disperato aveva portato alle stesse conseguenze. Come poteva non confrontare quei due episodi? Erano talmente simili, talmente figli della stessa logica, che pareva evidente attribuirgli lo stesso padre. Era così palese da doversi disperare ancora di più. Perché non avevano pensato a proteggere Thibault? Falcino del resto aveva dimostrato di essere pericoloso e pronto a compiere la sua vendetta fino in fondo.
Il rumore di un calesse che si fermava lo distolse da quei pensieri vorticosi. Luigi guardò verso il bordo opposto della strada e vide il dottor Fiornativi scendere la pedana e afferrare la borsa di cuoio.
— Cosa è accaduto principe?
— Buongiorno dottore. Può constatarlo da sé. Un massacro!
Fiornativi, che era abituato alla concretezza, non ribadì e si avvicinò al corpo di Armand Thibault. Appoggiata la valigetta, si apprestò a tastargli il collo. Il gesto successivo sancì la sua diagnosi. Spostò la mano e, passandola sugli occhi del cadavere, li chiuse definitivamente.
— Povero Armand, che brutta fine che ha fatto — disse il medico facendosi il segno della croce.
— È stata un’atrocità. Una vigliaccata! — si sfogò Luigi.
— L’uomo, principe… — disse allora il dottore come riflettesse a voce alta: — …innegabilmente è l’essere più intelligente del pianeta, ma la considerazione vale solo in senso assoluto; sono tutte le variabili possibili che sfuggono all’ordine delle cose. Solo nostro Signore conosce la logica del creato.
Luigi, che si era fissato a guardare la catenella d’oro che penzolava dalle lenti appoggiate sul naso del dottore, rimase in silenzio, come allibito. Fiornativi era un uomo di scienza e pure un cattolico praticante, cosa avrebbe dovuto dirgli? Che lui adesso di quella filosofia dozzinale se ne sbatteva altamente? Non era proprio il momento di fare polemiche e decise di lasciar perdere; alla fine domandò: — Per voi dottore lo possiamo rimuovere?
— Senza dubbio… se sta bene al maresciallo!
— Eccolo là — indicò Luigi. — Ha appena fatto un primo controllo. Ora attendiamo anche l’arrivo del conte Fiorenzo. Poi, una volta sentite le istruzioni della moglie, provvederemo alla ricomposizione del corpo dove ci verrà indicato.
— D’accordo, allora il mio compito è finito, vi farò avere la mia relazione.
Mentre il dottor Fiornativi si apprestava a risalire sul calesse, il maresciallo Piantini stava tornando dalla sua perlustrazione. Luigi attese che il militare gli fosse arrivato accanto e chiese: — Avete qualcosa da domandare al dottore?
— Buongiorno dottore… anche se non lo è affatto — commentò Piantini, poi aggiunse: — Credo che non ci sia molto da confutare… mi sembra tutto così chiaro, è d’accordo?
— Sono d’accordo maresciallo, sia sul fatto che non è un buongiorno, sia che non c’è niente da approfondire, almeno da un punto di vista medico.
— Allora a presto dottore — salutò Luigi e subito si rivolse al maresciallo: — Avete trovato qualcosa di interessante?
— Se davvero non è passato nessuno sulla strada, c’è la traccia di un cavallo… abbastanza chiara. Si è fermato a poche decine di metri da qui, e il suo zoccolo posteriore destro lascia un’impronta più marcata. Come se il ferro avesse un bordo ripiegato.
— Questo sarebbe già un indizio, ma non possiamo certo controllare tutti i ferri dei cavalli della zona.
— Certo che non possiamo farlo, ma se ragionevolmente sospettassimo di qualcuno in particolare, potremmo controllare gli zoccoli del cavallo in questione.
Luigi cercò di svuotare il cervello, di liberarlo dalla nebbia della costernazione. Era ancora troppo presto per disperarsi. Adesso avrebbe voluto soltanto avere tra le mani l’assassino del direttore. E la prima analisi dei fatti che gli era saltata alla mente sembrava non lasciare molti dubbi.
— Voi Sisto vi siete fatto un’idea sull’identità del colpevole?
— Principe… cosa devo dire? Un uomo a cavallo che spara con una doppietta e fugge… non posso che pensare a Ercole Liberati. Evidentemente dopo aver sparato al barbiere di Monterotondo, ha deciso di portare a termine la sua vendetta uccidendo il direttore, colpevole di averlo licenziato.
Ora aveva la riprova, anche per il maresciallo Piantini quell’ipotesi filava via liscia come l’olio. A commettere quella scelleratezza non poteva essere stato che Falcino. Rimaneva solo da provarlo in modo inconfutabile, ma se non fossero stati capaci di ritrovare il cavallo utilizzato per l’omicidio, non sarebbe stato così semplice dimostrare l’assoluta colpevolezza. Questo fatto Luigi, nel suo intimo, non poteva accettarlo. Se i carabinieri lo avessero finalmente preso, avrebbero potuto interrogarlo e allora, forse, la verità sarebbe venuta a galla.
— Allora maresciallo, ora davvero non abbiamo più tempo, dovete catturare quel Falcino a tutti i costi — disse con durezza. — Possibile che in tre mesi non siate riusciti ad arrestarlo?
— Eccellenza, comprendo la vostra costernazione per quanto è successo, ma vi rammento che non più tardi di ieri sera al “Braccialetto del Sasso” lo avevamo quasi preso. C’è stato anche uno scontro a fuoco, però Falcino e purtroppo anche il suo compagno Floriani sono riusciti a fuggire.
— E voi cosa avete fatto? Li avete inseguiti?
— Ci siamo infilati nel bosco, ma l’oscurità e l’intrigo di rovi hanno permesso a quei due di svignarsela. Però il Liberati era sicuramente ferito.
— Ne siete certo? Era ferito in modo grave?
— Non saprei cosa dirvi eccellenza. So solo che perlustrando i dintorni, a terra, abbiamo trovato del sangue.
— E non poteva essere sangue del Floriani?
— No eccellenza, i due briganti sono fuggiti separandosi e il sangue è stato trovato seguendo le tracce di Falcino.
— Se fosse stato ferito in modo grave, di certo stamani non avrebbe potuto uccidere Armand.
— Su questo non c’è dubbio. Dunque, o la ferita non era grave, oppure… — Piantini esitò un attimo, quasi avesse il timore di dire una fesseria, — oppure l’assassino del direttore potrebbe essere qualcun altro.
La conclusione a cui era arrivato il maresciallo poteva anche rispecchiare la verità. Luigi si soffermò a guardarlo sfilarsi il bicorno per appoggiarlo sul ginocchio. Il carabiniere nel suo inconscio non doveva avere dubbi: per lui il colpevole era Falcino, ma quella frase l’aveva detta, dunque quella possibilità non poteva essere eliminata senza un motivo valido. Le parole di Piantini gli erano suonate come una stonatura nel coro; inaspettata, sgradevole e dunque… inequivocabile. E non poteva far finta di non averla sentita; ora doveva porre rimedio. In fondo Armand Thibault aveva diversi conti in sospeso da regolare e tutti difficili da perdonare.