Prima parte

2 – Larderello

 

3 mesi prima – Mattino del 01 febbraio 1899 – Larderello fabbrica del borace

 

Era un accidenti di panorama, impossibile da vedere in qualsiasi altra parte del mondo. Un mondo sfilacciato, impegnato a rincorrere false uguaglianze e nascondere profondi malumori. E l’Italia in quel mondo pareva un crogiuolo bollente ripieno di metalli troppo diversi per sperare in una lega almeno omogenea. Quella fine di secolo non prometteva niente di buono, i mercati languivano, il lavoro scarseggiava e le tasse si facevano sempre più esose. Non era un bel mondo e non sapeva quali sorprese doversi attendere.

Il principe Luigi Anzecchi smise di guardare le colonne del vapore che salivano in alto confondendo il profilo del monte e si incamminò verso le caldaie. Chino sulla breccia chiara della strada, cercò di concentrarsi sulle attività che fervevano intorno a lui; tutte quelle elucubrazioni sui massimi sistemi del mercato, da puri economisti, non si addicevano al suo materialismo terra terra. Servivano solo a innervosirlo e allontanarlo dagli obbiettivi concreti. Raggiunte le vasche in mattoni s’infilò sotto la tettoia spiovente che le ricopriva. Subito le sue orecchie furono assordate dal fischio potente e noioso che aveva sentito avvicinandosi. Cercò di dare una spiegazione a quel rumore e subito pensò ad Armand Thibault. Il direttore glielo aveva detto che probabilmente le tenute di accoppiamento dei tubi non avrebbero retto alla pressione del vapore. Luigi, preoccupato, affrettò il passo per raggiungere il punto esatto dove si trovava la perdita, ma fatti alcuni passi nel corridoio, tra le vasche, vide Frediano che gesticolava come se volesse parlargli. Prima di andare avanti si voltò verso l’esterno dei baraccamenti, indugiando ancora con lo sguardo sui pennacchi del vapore che in quel momento si levavano al cielo sfumando i profili del campanile e delle torrette del palazzo Le Manier. Sentì il vento sfidare l’impomatatura dei pochi capelli chiari, alzò di nuovo lo sguardo verso il pendio fumante e il broncio d’insoddisfazione, sempre stampato sul volto pasciuto, si trasformò in disappunto. Nervosamente si accarezzò i baffetti ricurvi verso l’alto e infilò gli occhi scuri nel punto in cui la terra riarsa presentava ogni sorta di colorazione. Si rese conto che solo la caparbietà e l’ingegno dei Le Manier avevano reso quel luogo vivibile, avviando un colossale affare che lui adesso aveva la responsabilità di mandare avanti a tutti i costi. D’altronde il conte Fiorenzo, dopo avergli concesso la mano della figlia Elisa, aveva richiesto il suo aiuto e lui aveva promesso che avrebbe salvato l’impero dei Le Manier. Lo avrebbe fatto a costo di sputare sangue per il resto dei suoi giorni.

Se la concorrenza del minerale americano stava mettendo a dura prova la sopravvivenza dell’azienda, il rombo potente del vapore che si sprigionava dalle viscere della terra non si poteva ignorare, era un ruggito di forza ed energia e… le sue idee per trasformarlo in lavoro e profitto stavano già prendendo corpo, anche se erano ancora da perfezionare.

Luigi si voltò di nuovo verso Frediano e si rese conto che senza volerlo aveva ripreso a elucubrare sui problemi dell’azienda. Cercò di dissimulare la preoccupazione e, con sacrificio, tornò a interessarsi alle lamentele dell’operaio. Lo vide armeggiare in tutta la sua mole; aveva ripreso a svuotare le centrifughe d’essiccazione. Manovrava la pala come fosse un cucchiaio e nemmeno il trafilamento del vapore riusciva a rallentare la sua lena, nonostante fischiasse fuori dalle tenute come la ciminiera di un treno in partenza. Il nuovo sistema di circolazione delle acque spinto dai pistoni a vapore, messo a punto da Armand Thibault, aveva proprio bisogno di qualche aggiustamento. Vide una smorfia di disagio disegnarsi sul viso squadrato di Frediano, e quella fu l’unica testimonianza dello sforzo di sopportazione che stava facendo.

— Se fosse così semplice sor principe… — disse l’operaio quando Luigi gli fu abbastanza vicino da poterlo sentire.

— Non fare tante storie Frediano. Prima dovevi spingere le pompe a mano… Pensa alla fatica che ti sei risparmiato. E… lo stipendio a fine mese è sempre lo stesso.

— Ma il calore e il rumore sono insopportabili e c’è il rischio di bruciarsi. Thibault sarà anche un genio, ma vorrei vederci lui intorno a questo sputafuoco!

— Stai calmo Frediano e cerca di portare rispetto. Stiamo lavorando a delle tenute più efficienti, vedrai che presto anche questo problema sarà risolto.

— Speriamo. Voi lo sapete sor principe, non è da me lamentarmi o fare polemiche, ma quell’uomo non mi convince e soprattutto… lo dico per mia sorella. È un po’ di tempo che non è più serena. Se Thibault continua con questi modi, con mamma che sta aggravandosi ogni giorno, ho paura che Loretta prima o poi reagisca male. E io… non potrei sopportare.

— Cosa vuoi dire? C’è qualcosa che non so?

— C’è… che Thibault ultimamente non sembra essere molto in forma. Farebbe bene a controllare i nervi.

— Cosa significa… che Loretta ha avuto qualche problema durante il servizio dal Thibault?

— Perché non lo chiedete direttamente a lui sor principe? — sbuffò l’operaio.

Luigi stava per replicare quando la sua attenzione si rivolse verso la caserma dei carabinieri. L’edificio squadrato, con la sua imponenza, dominava da vicino il blocco delle caldaie. In quel momento il maresciallo Sisto Piantini si affacciò all’inferriata e, dopo aver raddrizzato la feluca sulla testa, uscì nel piazzale antistante. Luigi lo osservò incedere con la solita andatura molleggiata, slanciato nella sua bella divisa nera. Lo salutò ma il carabiniere, pur ricambiando il saluto, rimase impassibile nel suo ghigno autoritario. Luigi non si stupì di quella durezza, sapeva che quel piglio burbero faceva parte del ruolo: Piantini lo indossava come la divisa. Era un brav’uomo, ma aveva le sue idee in fatto di disciplina. Quando tornò a occuparsi di Frediano, l’operaio si era spostato sul lato esterno della caldaia e a sua volta stava salutando il militare.

— Chissà cosa ne direbbe lui… — borbottò indaffarato, ammiccando verso il maresciallo.

— Non dirai sul serio Frediano. — Luigi fece una sosta eloquente, poi riprese: — Queste faccende vanno risolte tra gentiluomini. Non ti far prendere dalla rabbia e, soprattutto, non abusare troppo della mia pazienza. Se c’è un problema… bene, cercheremo di risolverlo. Non dubitare.

— Grazie principe e… accettate le mie scuse, ma… mamma ha sempre più bisogno d’aiuto ed è necessario che Loretta possa darglielo senza avere altre preoccupazioni in testa.

— Su questo hai ragione. E non dimenticarti di fare gli auguri a Filomena per una pronta guarigione.

Dopo quelle parole Luigi si fece da parte e aggirò la caldaia cercando di evitare il vapore dello stantuffo che ora sembrava fischiare ancora di più. La storia di Loretta, accennata da Frediano, non lo aveva certamente impensierito. Però l’operaio non era avvezzo a lamentarsi troppo spesso. Se aveva vinto la ritrosia per raccontargliela, qualche problema doveva pur esserci. D’altronde, negli ultimi tempi anche lui si era accorto che Thibault non era nella forma migliore.

Uscito dalla tettoia si guardò in giro. Vide due operai entrare nel blocco di caldaie costruite tra la chiesa e il palazzo. Interessato, scese gli scalini, infilò una mano in tasca e si diresse verso di loro seguendo la strada in discesa.

Giunto a metà del percorso, proprio in prossimità dei magazzini, si sentì chiamare.

— Luigi, scusate Luigi… Sono qua! — La voce di Armand Thibault proveniva dall’interno del magazzino del piombo, uno dei luoghi più preziosi dell’azienda.

— Salve Armand. Che ci fate qui?

— Un controllo sulle lastre, pensavo dovessimo approvvigionarne altre, ma mi sbagliavo.

— Meno male, il piombo è salito di quotazione e ora non è proprio il momento di spendere. Anzi… su quella questione del Lago Boracifero a che punto siamo?

— Ho avuto la relazione del Rinserri. Sembra che Severé faccia sul serio.

— Allora dobbiamo affrontarlo subito. Se Rinserri ha ragione, non c’è un minuto da perdere.

— Mi sono organizzato per andare a vedere.

— Appunto Armand, prendete la vostra giumenta e correte laggiù. Voglio un rapporto completo entro giovedì al massimo.

— D’accordo principe, anticiperò la partenza a domattina.

— Meglio sarebbe se andaste già questa sera. Domattina sarete subito operativo e non perderemo altro tempo prezioso.

Luigi, anche se la penombra del magazzino ne confondeva i lineamenti, osservò il francese: era un uomo alto anche se un po’ ricurvo. Sotto la solita lobbia, i capelli neri si stendevano radi all’indietro e l’ampia fronte s’increspava sugli occhi dalle iridi ossidiana. Nel controluce, il naso rivolto all’insù svettava tra i baffi e la barba scura che, ben curata, si appuntiva sul mento. Fu proprio sotto quella barba che gli parve di scorgere una smorfia, ma non sentì nessun mugugno. Lo vide concentrarsi e dopo qualche attimo di riflessione iniziare ad annuire.

D’accord mon cher… come desiderate. Vado a prepararmi per la partenza. Così il rapporto sarà pronto già domani — dichiarò il francese togliendosi la lobbia in segno di saluto.