16 – Incontro casuale

 

Il giorno dopo – Mattino del 02 marzo 1899 – Larderello

 

Era uscito presto e la mattina era buia. La cerata indossata sopra la giacca non era sufficiente a ripararlo del tutto. Luigi Anzecchi si frugò in tasca e, trovati i guanti, li indossò. A mani nude non avrebbe potuto tenere il bastone di marasco che portava sempre con sé. Alzò lo sguardo alla piazza e sullo sfondo, la caserma dei carabinieri quasi non si vedeva. La pioggia, attorcigliata dalle raffiche del libeccio, scendeva obliqua e s’infilava fin sotto le tettoie delle caldaie. Pensò subito che quella mattina sarebbe stato più complicato far essiccare i sali di boro. Guardò il vapore che saliva dalle vasche e si addensava nell’aria formando una nebbia fitta e pungente. Con la lancetta del barometro orientata così in basso, il vapore acqueo non poteva asciugarsi e inevitabilmente ricadeva subito in condensa. Luigi decise di attraversare i baraccamenti, ma in quelle condizioni gli parve di incamminarsi tra i gironi dell’inferno. Prima di proseguire s’immaginò l’Alighieri addentrarsi negli inferi e si domandò se fosse il caso di imitarlo. “Versan le vene le fumifere acque; pe’ li vapor che la terra ha nel ventre; che d’abisso li tira suso in alto…” si rammentò i versi del poeta e chissà… da un momento all’altro, in mezzo a quei vapori sulfurei, avrebbe anche potuto trovarsi davanti il Diavolo in persona. Quando sentì lo sbattere ritmato del rasatore sulle grate, fece presto a liberarsi da quei divagamenti; nell’ultimo periodo c’era stato un bel da fare. Il foro Forte aveva sottratto molte energie alle altre attività e non c’era certo il tempo per perdersi in quei romanticismi. Guidato dai rumori metallici che provenivano dalla parte finale delle vasche, si fece avanti camminando in mezzo al vapore; l’uomo che stava lavorando non si sarebbe meravigliato nel vederlo arrivare. La sua presenza sugli impianti era pressoché continua. Tutti lo avevano incontrato almeno una volta sul lavoro. Sbatté il bastone da passeggio contro il bordo metallico per farsi sentire e un attimo dopo vide un tizio corpulento. Nonostante fosse chino sulla vasca, lo riconobbe all’istante.

— Buongiorno Frediano. Come andiamo? Con questa mattinata, credo che per oggi il sole ce lo possiamo dimenticare…

L’uomo reagì con molta calma, smise di svuotare la poltiglia dal canale e lentamente si voltò nella sua direzione: — Buona giornata a voi sor principe — disse il “lagonaio” storcendo la mascella squadrata: — E come volete vada… bisogna prendere quello che viene. Specie quando non ci si può fare nulla.

Luigi percepì in quelle parole una sorta di disappunto, come se Frediano non stesse riferendosi al tempo. Lo guardò dritto negli occhi e intuì il disagio che gli attraversava l’animo.

— Mi sembra che dall’ultima volta che abbiamo parlato la situazione non sia cambiata… o mi sbaglio?

— Non vi sbagliate affatto. Il mondo continua a girare al contrario, anzi, ultimamente sta girando proprio male. — Frediano interruppe la frase e abbassò gli occhi.

— Allora, quello che mi avevi accennato sta peggiorando?

— Voi sapete che l’azienda boracifera è la mia casa, ma così non può continuare! Provate ad andare a far visita al Thibault e salutatemi mia sorella. È vero che quando ha accettato quel ruolo era consapevole dei rischi che correva, ma non certo rischi di questo tipo… — L’operaio interruppe la frase e si chinò di nuovo sul canale, riprendendo a spalare rabbiosamente la poltiglia di borace.

— Per la miseria Frediano… calma! — s’impose deciso: — Proprio stasera avrò l’occasione di far visita ad Armand. Ti prometto che verificherò di persona. Non perdiamo il controllo.

 — Voi lo sapete bene principe, mio padre è morto e io voglio molto bene a mia sorella. È mio dovere proteggerla!

— Hai ragione, proprio per questo devi startene calmo. La rabbia conosce solo strade scoscese e pericolose.

Luigi non sapeva come avrebbe reagito Frediano al suo monito, però era intenzionato a risolvere quella brutta faccenda. Non avrebbe sopportato un altro imbarazzo per colpa del francese. Mentre pensava a come agire per non suscitare malumori, osservò il lagonaio. La reazione che vide non gli piacque per niente. Lo sguardo cupo e le labbra stirate evidenziavano tutta la tensione che quell’uomo cercava di dominare. Doveva curare bene quella vicenda, era scritto anche nel regolamento della fabbrica: tra i doveri del proprietario e dei lavoratori c’era quello di aiutarsi e fornire mutuo soccorso. Frediano, come molti altri operai, era un uomo fedele e volenteroso. Dunque era giusto prendersi a cuore le sue pene. In fondo curare il benessere degli operai significava prendersi cura dell’azienda stessa. Lo avevano sperimentato con Falcino quello che poteva accadere sottovalutando certi valori.

Luigi ripensò alla sera precedente: il conte Fiorenzo aveva organizzato una cena al palazzo in onore dell’attrice Teresa Franchini, arrivata in quel luogo sperduto per “passare le acque” e goderne le proprietà curative e termali. La soubrette aveva bisogno di un periodo di riposo dopo la faticosa tournée all’estero insieme a Eleonora Duse. Alla fine della cena l’attrice aveva ricambiato, invitando il conte e tutti i presenti alle terme del Bagno a Morbo, dove avrebbe interpretato un estratto dall’ultima delle sue “perle”. Partecipare allo spettacolo gli avrebbe fornito l’occasione d’incontrare di persona Loretta per osservarne le condizioni. Avrebbe fatto una visita di cortesia ad Armand Thibault che alloggiava proprio in un appartamento delle terme. Così facendo non avrebbe urtato la sua suscettibilità e avrebbe raggiunto lo scopo.

 

Le attività della giornata erano concluse, l’ombra delle colline aveva già abbracciato la valle del Diavolo. Per fortuna la pioggia aveva smesso di cadere e di addensare i vapori al terreno. Ampie losanghe biancastre salivano intrecciandosi nell’aria come edere avvolte alle nuvole che correvano veloci nel cielo. Parrino, agghindato a festa con tanto di tuba e doppiopetto, sedeva in cocchio sul calesse predisposto con la capote alzata per proteggersi dall’umidità. Luigi Anzecchi attese che Elisa fosse salita a bordo, ne apprezzò il bell’abito panna rifinito con fiori ricamati a mano indossato per l’occasione mondana, quindi la seguì sulla vettura e ordinò a Parrino di muoversi.

Arrivarono alle terme con largo anticipo per l’inizio dello spettacolo. Luigi, che aveva ben calcolato gli orari, sapeva di avere tutto il tempo per fare una visita al direttore. Con agilità scese dal calesse e si fermò ad attendere la moglie. Una volta a terra la osservò sistemarsi il bel vestito lungo, poi le offrì la mano e si avviarono entrambi verso il palazzo. Un grande portone di noce massiccio offriva l’ingresso alla scalinata interna. I gradini in pietra serena salivano ai piani della struttura termale incastonati sotto a volte finemente affrescate con greche floreali. Salirono due rampe e dopo un breve tratto di corridoio si fermarono davanti l’ingresso del direttore. Luigi si piazzò in mezzo e bussò con forza. Attese qualche attimo, sentì dei passi leggeri avvicinarsi dall’altra parte e la porta si aprì. Loretta, tirandosi dietro l’anta, si fece da parte e, abbassando leggermente la testa, si posizionò sull’attenti applicando alla perfezione il protocollo d’accoglienza.

— Ben arrivati signori. Il direttore è nel salotto — disse, controllando la voce.

Subito Thibault comparve nel corridoio e salutò con garbo, invitandoli ad accomodarsi.

Luigi, con passo studiato, si attardò nell’andito e notò l’impaccio della domestica; sembrava non volersi muovere e tantomeno alzare lo sguardo. Si distolse da quella sensazione e si fece avanti nella sala, dirigendosi verso una delle poltroncine damascate stile impero messe di traverso attorno a un tappeto dai disegni orientali. Appena fu seduto, si rivolse al direttore: — Buona sera Armand.

— Mi avete fatto proprio una gradita sorpresa Luigi. E voi Elisa siete magnifica — disse il direttore inchinandosi nel baciamani.

— Grazie dottor Thibault; voi siete un adulatore. — La voce di Elisa era risuonata dolce e melodiosa.

— Allora Armand, credevo di trovarvi in compagnia di vostra moglie; non l’avete fatta venire per lo spettacolo? — chiese Luigi.

— Avrebbe dovuto essere qui già da questa mattina. Purtroppo ha avuto un’indisposizione che l’ha costretta a rinunciare. Una vera scocciatura.

— Me ne duole molto caro mio, spero non si tratti di una cosa fastidiosa!

— No Luigi, niente di grave, solo un malessere passeggero.

— Meno male… allora venite da solo allo spettacolo. Non vi perderete l’interpretazione de “La Gioconda”, è l’ultima fatica di Gabriele D’Annunzio, sapete.

— Certo che verrò. Stavo giusto iniziando a prepararmi. Nel frattempo lasciatemi il piacere di offrirvi qualcosa.

— Oh, grazie. Prenderei una grappa e tu cara… desideri qualcosa?

— Grazie, no. Sto bene così.

— Hai sentito Loretta? Servi una grappa al principe… rapide! — ordinò secco Thibault mentre si defilava verso il guardaroba.

Pochi minuti dopo, Luigi vide la domestica entrare nel salotto e appoggiare il vassoio sul piccolo tavolo rococò. La seguì nei gesti e quando si voltò per porgergli il calice ricolmo di liquore la osservò bene in volto e si accorse del segno scuro che le marcava la fossa dell’occhio sinistro. Ebbe un sussulto, ma non si tradì. “Ecco a cosa si riferiva Frediano”; quell’occhio nero non era certo la causa di un incidente domestico. La sorella doveva essersi confidata con lui e, vista la tristezza che ora le leggeva negli occhi, poteva esserci il rischio concreto che quella situazione imbarazzante esplodesse.

Luigi si avvicinò al vassoio per prendere il bicchiere, lo sollevò in aria dicendo: — Alla salute — poi bevve risoluto. Mandato giù il liquore si rivolse a sua moglie: — Allora, hai sentito? Non avrai il piacere della compagnia di Luise, che peccato.

— Mi spiace proprio per questo contrattempo, ma povera Luise, se non era nelle condizioni per poter venire… Domani mi informerò sulle sue condizioni.

In quel momento Armand Thibault comparve sulla porta del salotto, indossava un completo grigio di eccellente fattura e il farfallino di un grigio più scuro si confondeva con la barba. Nella mano reggeva una mezza tuba di feltro nero: — Allora signori… vogliamo andare? — disse, infilando il cappello e facendo un gesto eloquente verso l’uscita.

— Andiamo a sentire quanto è brava questa Franchini. Certe fortune a Larderello non capitano tutti i giorni — fece notare Elisa, alzandosi.

— Sì, andiamo — disse Luigi, poi aggiunse: — E speriamo che l’aria di festa tranquillizzi un po’ gli animi.

Lo sguardo era indirizzato al direttore che, però, sembrò non aver sentito le ultime parole e, anticipando tutti, aprì la porta e si avviò lungo il corridoio.