65
Vargas si precipitò nell’ascensore e premette il pulsante.
La porta automatica si chiuse sulle mani dei cadaveri che premevano dall’esterno, troncandole di netto.
Le mani caddero sul pavimento dell’ascensore e continuarono a cercare di ghermirlo, strisciando verso di lui.
Vargas le scalciò, ma quelle rimbalzavano sulle pareti, ricadevano sul pavimento e riprendevano a strisciare verso le sue caviglie.
Premette il pulsante.
L’ascensore prese a scendere verso il basso.
Scendeva molto lentamente e le mani continuarono per tutto il tempo a strisciare verso di lui.
Passò un’eternità.
Finalmente l’ascensore si arrestò.
La porta si aprì e Vargas si precipitò fuori.
Corse lungo il corridoio urlando.
Corse per un tempo infinito.
Minuti, ore, forse persino giorni.
Non lo seppe mai.
Finalmente si fermò, esausto.
Si guardò indietro.
Il corridoio era completamente deserto.
Era costellato di innumerevoli porte, chiuse.
Si lasciò cadere a terra.
Poi si alzò e aprì la porta più vicina.
La poltrona, al centro del cubicolo, era vuota.
Andò alla porta successiva.
Anche quella, era vuota.
Provò diverse porte, da un lato e dall’altro.
Tutti i cubicoli erano vuoti.
Si gettò sull’ultima poltrona, sfinito.
Udì dei passi risuonare nel corridoio.
Erano passi pesanti, lenti ma inarrestabili.
I passi si avvicinavano al suo cubicolo.
Giunsero all’altezza della sua porta.
La porta si aprì.
Un uomo entrò nel cubicolo.
Era vestito completamente di nero.
Aveva un cappuccio nero sul capo.
Vargas vide l’uomo puntargli la pistola alla testa e fare fuoco.
Sentì la pallottola spezzargli l’osso frontale e penetrargli nel cervello. Ne seguì l’itinerario attraverso tutta la massa cerebrale fino all’impatto con l’osso occipitale. Anche quello, fu spezzato dalla pallottola, che uscì dalla parte posteriore della sua testa e penetrò nello schienale della poltrona.
Un chiazza di sangue sprizzò sulla poltrona e sul pavimento.
Il suo, sangue.
L’uomo aprì un grosso sacco di plastica nera, vi infilò dentro il suo cadavere, aprì il portello sulla parete e lo gettò nello scivolo.
Vargas si sentì precipitare nel vuoto, nel buio e nel silenzio più assoluti.
Precipitò per un tempo infinito.
Minuti, ore, forse persino giorni.
Non lo seppe mai.
A mano a mano che il suo cadavere sprofondava nello scivolo, il calore intorno a lui aumentava.
Diventò intollerabile.
Diventò una vampa.
E Vargas precipitò nel forno crematorio.
Le fiamme accolsero il cadavere di Vargas e lo avvolsero in un rosso sudario.
Gli penetrarono nella pelle fino a farla scoppiare in grosse bolle purulente.
Gli si conficcarono nella carne fino a farla prima sciogliere come liquido e poi rinsecchire come frutta asciugata al sole del deserto.
Gli si insinuarono nelle ossa fino a farle diventare nere e fragili come i rami di un albero carbonizzato in un bosco raso al suolo da un incendio devastatore.