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La cattedrale di John il Divino sorgeva sulla Amsterdam Avenue, poco sopra il Central Park, nell’West Harlem.

Era la cattedrale più grande del mondo.

Misurava centoottantatre metri di lunghezza, quarantaquattro di larghezza, trentotto di altezza, e aveva un transetto lungo centoun metri.

Non era mai stata terminata.

Impalcature con su scritto “Lavori in corso” ricoprivano le pareti esterne delle navate laterali.

Sulla facciata si aprivano cinque portali di bronzo che erano considerati i più belli di tutto il continente americano.

Lungo le navate, centocinquanta vetrate multicolori rappresentavano scene religiose, un prototipo della televisione del 1925, George Washington che firma la Dichiarazione d’Indipendenza, Michelangelo che scolpisce il David e uno scheletro seduto in una poltrona davanti al terminale di un computer.

Il rosone centrale, che proveniva dalla chiesetta di Marlengo, un paesino del Sud Tirolo italiano, contava più di diecimila vetri colorati.

Alle pareti vi erano opere d’arte inestimabili, fra cui arazzi rappresentanti gli Atti degli Apostoli fatti nel XVI secolo da Mortlake su disegno di Raffaello, arazzi rappresentanti la vita di Cristo e la mappa della Terra Santa appartenuti all’arazzeria Barberini, istituita nel 1630 da Francesco, nipote di Maffeo che fu eletto papa nel 1606 con il nome di Urbano VIII e fratello di Antonio il Giovane che fu nominato cardinale nel 1623, e sessantaquattro versioni in altrettante sfumature di rosa di un quadro-fotografia di Marilyn Monroe fatte da Andy Warhol nel 1964.

Nell’abside si apriva un deambulatorio romanico con sette cappelle radiali che rappresentavano le sette culture che avevano costruito gli stati Uniti d’America: inglese, tedesca, irlandese, russa, francese, spagnola e italiana.

Ai due lati dell’ingresso di ogni cappella vi erano due juke box, numerati e catalogati, secondo una datazione che andava dall’anno 1950 all’anno 1963, da sinistra a destra.

I juke box e i quadri-fotografia di Andy Warhol contestavano al resto dell’arredamento il primato dello stile ecclesiale post-post moderno, ma in realtà non avevano la più pallida idea dello stile al quale appartenevano, ammesso che ce ne fosse uno.

Al centro dell’abside c’era il coro.

E davanti al coro, al posto dell’altare, troneggiava un maxi-schermo, il quale volgeva decisamente la bilancia in favore dell’interpretazione stilistica dell’insieme come tardo Kitsch-Pop americano, stile sconosciuto ai juke box e ai quadri-fotografia di Andy Warhol per pura ignoranza, ma al quale essi appartenevano a pieno titolo.

Di fronte allo schermo, come il leggio riservato al sacerdote officiante, c’era una colonnina sormontata da una tastiera che faceva le veci di un libro della Messa e non sapeva proprio come prendere la cosa.

Vargas fermò la Viper nel parcheggio davanti ai portali.

Era completamente vuoto.

Dopo un paio di manovre errate, parcheggiò l’auto dentro i segni gialli, un po’ di traverso.

Sopra la macchinetta del parchimetro c’era un cartello con su scritto: “2 dollari all’ora - minimo, 1 ora”.

Mise due dollari nella macchinetta brontolando per l’esosità del pedaggio ed entrò nella cattedrale.

Nell’aria echeggiava, suonata da tutti i quattordici juke box, la canzoncina “Andiam, andiam, andiamo a lavorar”, colonna sonora del film “Biancaneve e i sette nani” di Walt Disney.

Si avvicinò allo schermo.

Sopra di esso, si accese una scritta luminosa che diceva:

 

A volte menzogna e verità

sono la stessa cosa.

R. Sheckley

 

- Maledetti rebus! disse Vargas.

Lo diceva ogni volta.

Andò alla tastiera sul leggio e battè

 

VARGAS DILLON

DIPARTIMENTO DI POLIZIA

MATRICOLA 447592

DIRETTIVA 2/16/2068

242, E 122, 1

265, E 120, 3

336, E 119, 2

NON ESEGUIBILI

 

La scritta persistette sullo schermo per diversi minuti, poi sparì.

Lo schermo rimase spento.

Vargas attese.

La musica di “Andiam, andiam, andiamo a lavorar” continuava a riempire la cattedrale.

Dopo un minuto apparve la scritta

 

PAZIENZA

 

La stessa cosa dell’altra volta.

Valeva la pena di venire fin quassù, perdere una giornata di riposo, pagare due dollari di posteggio, per vedersi rispondere in questo modo?

Pazienza!

La pazienza doveva avercela lui, altro che storie!

Comunque era meglio non farlo incazzare, Lui.

Non si sa mai.

Aspettò che lo schermo si spegnesse ed uscì nel parcheggio.

Controllò l’orario del parchimetro.

Era stato dentro soltanto cinque minuti.

E aveva pagato per un’ora.

Due dollari.

- Carrajo! Altro, che pazienza!

Risalì in auto e ritornò a casa.