PROLOGO
Il vecchio cardinal Galdini stava disteso sul letto, la testa rivolta verso l’icona d’argento della Madonna del Divino Amore appesa alla sua parete. Il viso dolce e pietoso della Santa Vergine guardava verso il ritratto appeso poco più in là: il pontefice.
Il viso sereno di quel vegliardo lo fissava di sfuggita, e quando il cardinale schiudeva gli occhi affaticati gli poteva quasi sembrare di averlo di fronte; e allora si rasserenava sospirando e la morte gli pareva più lontana, anche se solo per quale attimo.
Respirava a fatica il vecchio, le sue labbra si aprivano lente come dei boccioli leggermente inumiditi e poi restavano aperte per alcuni interminabili secondi, quasi ululando un grido soffocato e disperato al nulla. Poi si serravano di nuovo, duramente. Quasi a stringersi per restare definitivamente chiuse. Ma poi di nuovo, il povero uomo, riprendeva a respirare, e ad ansimare ancora.
La polmonite e la febbre altissima lo stavano divorando lentamente. Si sentiva come una nave in tempesta, il cui scafo era stato colpito a morte da centinaia di scogli. La nave imbarcava acqua, sprofondava sempre più verso il suo destino.
Ma resisteva, e non dava segno di iniziare ad affondare.
Regnava una strana aria dentro la stanza e la morte, che da settimane tormentava in veste di malattia il povero cardinale, passeggiava là dentro lentamente, appoggiandosi qua e là su qualche mobile, intenta a fissare il grande orologio a pendolo davanti al letto. Attendeva annoiata e ansiosa che il suo eletto la raggiungesse.
Il cardinale aveva detto di averla vista, la morte. La vedeva nella sua stanza, camminare e guardarlo con aria minacciosa e severa.
“Mi guarda! Mi osserva!” diceva, forse delirando.
Ma gridava quelle parole convulse con tale convinzione che, chi era nella stanza con lui, si azzittiva e guardava nella direzione in cui volgevano gli occhi esasperati ed esausti del vecchio, terrorizzato di vedere spuntare da dietro la tenda lo straccio nero che quel terribile mostro si dice indossi come unica veste. E allora cadeva davvero un silenzio tombale, quasi la morte fosse davvero lì dentro.
“Mi sorride e si prende beffa di me! Ma io sono coraggioso! E Cristo è sempre con me! Non mi abbandona mai!”
La notte capitava poi che l’anziano uomo delirasse in modo ancora più sorprendente e violento, rivedendo in sogno la sorella, la madre, il padre e antichi e vetusti parenti, dissipati e scomparsi ormai nel baratro degli anni trascorsi. A lui, che li osservava, gli ricordavano le piante avvizzite del suo giardino, smunte e smorte. Sbucavano dal terreno come lombrichi eretti, che a stento si reggevano verso il cielo. Ma poi, una luce eterea, meravigliosa e sorprendente sbucava dal cielo. E allora le figure si rianimavano, prendevano corpo e mutavano. Quei parenti avvizziti e bianchi come la morte si coloravano di colori vivi e raggianti, e il sorriso compariva sui loro volti.
“E’ la luce del Cristo! E’ lui che li chiama a risorgere!” urlava il cardinale, e poi si spegneva di nuovo, tramortito dall’enorme sforzo di quell’urlo. Però, quasi che un nuovo vigore lo avesse preso, allora il povero vecchio si alzava dal letto. Sembrava come che un nuovo e irresistibile spirito lo avesse conquistato, afferrato per i capelli e lo stesse strappando via dalla morte. Gli astanti che si prendevano cura di lui osservavano inermi, pronti a gridare al miracolo. Il suo corpo era divenuto magro e secco, la camicia da notte, nonostante gliela si cambiasse anche tre volte al giorno, era zuppa di sudore. Il vecchio era terribilmente meraviglioso da osservare. Sembrava come che tutta la dignità dell’essere umano si raccogliesse in lui in quei momenti.
Nonostante la malattia era retto, e sembrava dominasse le sue membra come mai era stato. Faceva qualche passo verso l’icona della Madonna, poggiava delicatamente le sue gelide labbra sull’immagine casta e poi, quasi che tutto quell’ardore fosse svanito in solo soffio, caracollava di nuovo a terra senza forze.
Ofelia, la sua amata nipote, una dama bella e dalla pelle pallida come la porcellana più fine e dalle forme morbide come le statue di Fidia, era sempre lì con lui. Da ormai tre settimane lo accudiva incessantemente, e quella stanza era divenuta la sua camera da letto, la sua cappella, il suo giardino e la sua anima.
Amava lo zio, come nessuno mai.
Lui la aveva accolta dentro casa sua, la aveva resa principessa e le aveva insegnato tutto ciò che di buono avesse. Era grata allo zio, e lui anche era grato a lei. Lei, infatti, aveva ridato a lui la vita. Gli aveva restituito il sorriso.
Ofelia aveva portato la gioia dentro casa, fin da quando era bambina. Lui, di solito freddo e austero, aveva avuto una nuova giovinezza con quel fiore che passeggiava per le stanze e che lo cercava incessantemente con lo sguardo e con le manine.
Il tempo era passato in fretta, pensò Ofelia. Dio come era passato!
Correva l’anno 1798 quando sua madre era morta, le sembrava fosse ieri! Sua madre, la sorella del cardinale, era sparita in pochi giorni, e lui la aveva accolta dentro casa sua.
Adesso era l’anno 1815, e il mondo era cambiato tanto da quei giorni.
Il corso, l’odiato Napoleone, che con le sue truppe aveva conquistato l’Europa e con il suo spirito la giovane Ofelia, era sconfitto.
Roma era diversa, tutto sarebbe cambiato.
E adesso che la storia stava di nuovo mutando, anche lo zio aveva deciso di cambiare le carte in tavola.
Avrebbe lasciato quel mondo, Ofelia lo sapeva.
E non si sentiva pronta.