7.

 

 

 

 

 

 

Dopo il breve commiato con Galdini, un sincero scambio di battute e sorrisi con gli amici Oudinot e Murat, l’imperatore fu accompagnato nelle sue stanze, appunto quelle del cardinale.

Lì si chiuse dentro, e di lui non si udì e seppe più nulla per tutta la sera.

Era fatta, pensò allora Galdini. In cuor suo aveva creduto e temuto che la faccenda sarebbe stata molto più complessa. Eppure dovette ricredersi. L’imperatore di Francia aveva dato meno disturbo di tutti gli altri francesi che si trovavano a Roma. Incredibile anche solo ad immaginarsi. C’era qualcosa di nobile in lui, pensò. Sebbene fosse solo un militare divenuto imperatore, c’era più maestà nel suo sguardo che in quello di gran parte dei sovrani d’Europa. Aveva sentito raccontare quanto l’imperatore mettesse a disagio e suscitasse rispetto con il solo movimento degli occhi, ma non vi aveva creduto. Ora doveva ammettere che era tutto vero.

Tutto sembrava adesso più tranquillo, comunque. Daru, incredibilmente, aveva lasciato con la sua carrozza la casa, provocando un inaspettato quanto insperato sollievo. I marescialli Oudinot e Murat avevano rifiutato l’offerta di un letto caldo da parte del cardinale e avevano deciso di passare la notte nel grande salone centrale, dove si sarebbero alternati in veglie di sorveglianza, sempre a disposizione del loro imperatore.

Quindi il pensiero tornò a Napoleone.

Dormirà davvero?, si domandò il cardinale.

Certamente no. Dal giardino la finestra della sua stanza si poteva scorgere illuminata da una fiammella vivace. E lo sarebbe restata per molto.

Ad ogni modo l’incontro era stato breve e cordiale, e Galdini aveva provato fin dal primo istante qualcosa di strano verso quell’uomo. Qualcosa che raramente gli era capitato di provare.

Attrazione? Probabile, si disse. Il corso trasmetteva una grande energia, un vigore inaspettato, ammise a sé stesso. E poi quegli uomini, che lo seguivano ovunque, pronti ad offrire la loro vita per lui, avrebbero messo in soggezione chiunque.

Pensò allora, e fece fatica ad ammetterlo, che forse Napoleone fosse qualcosa di più di un orco, come lo chiamava nelle lettere il suo amico duca Wellesley. E non gli pareva un mostro, come invece lo descrivevano gli amici prussiani ed il Papa stesso.

Cosa mai stava accadendo alla sua povera testa? Si stava forse rammollendo? Si era forse dimenticato che era stato proprio quell’uomo minuto e cordiale a gettare l’Europa nella guerra?

Il cardinale camminò a lungo nel giardino e poi nello studio, osservando la fiamma scoppiettante del camino e domandandosi di fronte a quale prova Dio avesse deciso di metterlo.

Qualcosa d’inaspettato era nell’aria. E anche nel suo cuore.

Ormai era notte mentre Galdini svolgeva tutte queste sue riflessioni, e la casa era spenta, i servi per lo più a letto, i marescialli addormentati sui divani di raso con la testa all’indietro e le sciabole tra le mani, ed i granatieri attorno alla villa in ronde di guardia piuttosto noiose.

Galdini e la principessa, gli unici ancora svegli, rimasero soli. Si erano incontrati quasi per caso. La giovane Ofelia aveva portato dei cuscini per i marescialli, un pensiero che gli era sorto così dal nulla, sentendo i due parlare con la servitù. Non provava simpatia per quegli uomini, ma neppure così tanto odio da costringerli ad un sonno impossibile. E poi, era comunque la padrona di casa. Il suo ruolo e la sua educazione le imponevano di essere cortese. Anche più di tutti loro.

Galdini la soprese proprio in quel momento, e rimase interdetto. Lei spiegò lui tutti quei bei propositi, ma la cosa non gli piacque comunque.

“Un cuscino per il maresciallo Murat?” domandò ridendo l’anziano cardinale. Non era uno sciocco, ed aveva notato come la giovane nipote avesse indugiato a lungo sulla divisa sgargiante dell’uomo e come fosse restata sorpresa al suo arrivo. Proprio come lui, aveva creduto di accogliere dei mostri. Invece, avevano ospitato degli uomini. E come tali, simili a loro.

La principessa Ofelia, a quelle parole e quel riso, si volse verso di lui di scatto. I suoi occhi erano scintillanti, il viso teso, le labbra serrate e scure. Era come se l’anziano zio avesse insinuato qualcosa di orribile.

“Zio...” disse, colma di sdegno. “Voi…”

“Vai a letto…” le comandò quindi Galdini, con voce autoritaria. Prese dalle sue mani i cuscini e li posò stizzito su una poltrona, quasi lanciandoli. Quindi rivolse il suo sguardo di rimprovero verso i due militari, muti innanzi alla scena. “Questi signori…” disse, “se avranno bisogno, se li prenderanno da soli. Vai a letto, anima pia. E’ tardi. E tu sei provata, anche forse più di me.”

La principessa Ofelia scrutò lo zio profondamente negli occhi, cercando di leggere qualcosa nella sua anima. Ma non vi lesse nulla, e ne rimase delusa. Gli occhi erano stanchi, il viso scosso. Nulla più.

Sebbene fosse attratta da quegli uomini, era combattuta. Si aspettava qualcosa, una ribellione o qualcosa di simile. Lo zio le aveva sempre insegnato a non chinare mai la testa innanzi ai soprusi. A combattere la violenza con la forza dei principi. A resistere all’oppressione.

Adesso però era sola, entrambi lo erano.

Poteva davvero sperare che, da un momento all’altro, lo zio anziano afferrasse una pistola, si scordasse dell’abito che portava e premesse il grilletto, mettendo fine alle guerre d’Europa?

Poteva davvero credere che un uomo mite come Galdini potesse compiere un gesto così scellerato? E poi, sarebbe stato davvero corretto? Non era stata anche lei, del resto, affascinata da quegli uomini?

Se lei era debole, si disse, spettava proprio allo zio fare il suo dovere.

Poi però la rabbia scemò, e lo fece mentre osservava il maresciallo Murat sistemare il cuscino dietro la testa e regalarle un sorriso colmo di riconoscenza.

Galdini la guardò nuovamente. Era stanco, e non avrebbe combattuto.

No, quella sera Napoleone avrebbe dormito bene in casa sua. E il giorno dopo sarebbe ripartito sano e salvo alla volta della città. Non spettava a lui uccidere un uomo. Mai.

Ofelia scosse la testa. Era anche lei cosciente di ciò. No, non poteva chiedere allo zio di mutare la propria natura in una notte. Lui era senza dubbio un uomo nobile e un patriota, ma non un assassino.

No, quella sera Napoleone non sarebbe morto.

Almeno non per mano dello zio cardinale.

Alla fine dunque Ofelia ubbidì e lasciò il salone. Giunta in camera, rimase lì immobile a fissarsi allo specchio. Finalmente era sola. Finalmente pronta a portare a termine ciò che si era prefissata fin dal primo istante in cui aveva appreso della visita di Napoleone.

Si mise la mano sul petto e lì sentì il suo giovane cuore battere, rullare all’impazzata come un tamburo.

Timorosa, infilò la mano sotto il lungo abito rosa e lì percepì la sagoma della sua speranza. Il frutto del furto tanto studiato.

Afferrò il calcio della pistola e la poggiò sul suo comodino.

La richiesta dei cuscini da parte dei marescialli era stata un colpo di fortuna, pensò. Ofelia aveva udito il maresciallo Murat chiedere i cuscini alla vecchia Maria, la donna di casa, e subito si era offerta di pensarci lei. Aveva immediatamente fatto caso alle pistole dei marescialli, poggiate assieme alle spade sul divano accanto al camino.

Si era avvicinata mentre i due erano intenti a bere e, senza farsi udire, aveva preso la prima pistola che si era trovata davanti.

E’ pesante, pensò prendendola di nuovo in mano.

Sarebbe stata carica? Certamente, si rispose. I marescialli di Francia non possono girare con le pistole scariche. Almeno così sperava.

Ma la saprò usare? Non seppe rispondersi, e dunque non si pose più quella domanda.

La cosa fondamentale era un’altra: il suo piano era pronto.

Avrebbe liberato l’Italia e l’Europa da quel flagello. L’idea era fatta, il coraggio c’era, non temeva nulla.

Avrebbe ucciso Napoleone.

Le gambe le tremavano a quel pensiero, ma le ignorò, proprio come aveva deciso di ignorare il suo cuore che batteva sempre più forte, mozzandole il respiro.

Avrebbe aspettato che lo zio fosse andato a letto e poi avrebbe agito. Nulla le avrebbe impedito ciò che il suo onore le chiedeva, quello che l’Italia e Roma le ordinavano.

Attese dunque, attese come mai aveva atteso in vita sua. Voleva agire subito, temendo che il sonno o la paura potessero farle cambiare idea. Ma no, quello non sarebbe accaduto. Era determinata come mai era stata in tutta la sua vita.