Dopo il fallimento del processo Bob Sparkes fu colto da una strana tristezza. Tristezza e rabbia, soprattutto verso sé stesso. Si era lasciato conquistare da quell’idea disastrosa.

Ma cosa gli era venuto in mente? Un giorno, passando davanti a una porta aperta dell’ultimo piano, aveva sentito uno dei suoi superiori parlare di lui come di un uomo «assetato di gloria», ed era morto di imbarazzo. Si era illuso di farlo per Bella, ma forse l’aveva fatto per sé stesso.

«E comunque non è certo di gloria che mi sono coperto», aveva pensato tra sé.

La sentenza, pubblicata a cinque mesi dalla fine del processo, precisava nel consueto linguaggio asettico che la decisione di impiegare un agente sotto copertura per ottenere prove a carico del sospettato era stata «presa dopo ampie consultazioni con esperti e con gli alti gradi delle forze dell’ordine». Tuttavia l’efficacia del piano era stata «minata dalla mancanza di un’adeguata supervisione e dall’inesperienza dell’agente incaricato di condurre l’operazione».

In sintesi, avevano fatto fiasco, come aveva detto Sparkes parlando al telefono con Eileen, dopo un rapido incontro con il suo superiore.

Il giorno dopo, lui e i suoi capi (gli «alti papaveri» della polizia che avevano «affondato» l’indagine) erano diventati il bersaglio preferito della stampa. Persino qualche politico ci aveva messo becco, e c’era gente che scommetteva su quali teste sarebbero «rotolate» per prime; intanto Sparkes, a testa doverosamente bassa, cercava di sopravvivere a quel diluvio di frasi fatte e si preparava a un futuro da ex poliziotto.

Eileen sembrava quasi sollevata all’idea che suo marito deponesse l’uniforme: avrebbe potuto trovarsi un impiego nei servizi di sicurezza, magari per conto di qualche azienda. «Insomma, spera che mi trovi un lavoro pulito», pensò Bob. I suoi figli si comportavano in modo splendido, chiamavano tutti i giorni per incoraggiarlo e farlo sorridere un po’ raccontandogli le loro novità, ma nonostante tutto Sparkes non riusciva a guardare piú in là dell’orizzonte quotidiano.

Aveva ricominciato a correre, nella speranza di ritrovare lo stesso senso di liberazione che aveva provato da giovane padre, quando per almeno un’ora non c’era nulla a occupargli la mente fuorché il ritmo dei suoi piedi sull’asfalto. Ora invece tornava a casa terreo e sudato: le sue ginocchia da cinquantenne lo mettevano in croce. Un giorno Eileen gli disse di smettere, altrimenti rischiava di ammalarsi. Per la corsa, e per tutto il resto.

Alla fine la sua udienza disciplinare fu una faccenda assai garbata, in cui gli vennero poste, con educata fermezza, alcune domande. Le risposte si sapevano già, ovviamente, ma la procedura era la procedura. In attesa del responso lo avevano messo in aspettativa forzata, perciò era ancora in pigiama la mattina in cui ricevette la chiamata del delegato sindacale: avevano deciso di dare la colpa alle alte sfere. Lui si sarebbe beccato un ammonimento, ma non l’avrebbero messo alla porta. Sparkes non sapeva se piangere o ridere.

Eileen scoppiò in lacrime e lo abbracciò forte. – Oh, Bob! È tutto finito! Grazie al cielo hanno messo giudizio.

Il giorno successivo tornò al lavoro e fu assegnato ad altro incarico.

– Ricominciamo daccapo tutti quanti, – gli disse l’ispettrice capo Chloe Wellington durante un colloquio dall’apparente finalità rieducativa. – So che la tentazione è forte, ma lascia che sia qualcun altro a occuparsi di Glen Taylor. Dopo tanto baccano, non puoi piú esporti personalmente. Penserebbero che l’hai preso di mira, e a farne le spese sarebbero le eventuali nuove linee di indagine.

Sparkes aveva annuito, aveva parlato con convinzione dei nuovi casi di cui si stava occupando, dei bilanci preventivi e dei turni di servizio; aveva persino trovato il tempo per due pettegolezzi da ufficio. Ma tornando alla sua stanza si era reso conto di avere un solo nome sulla lista degli indagati; e quel nome era Glen Taylor.

Matthews lo stava già aspettando. Chiusero la porta dell’ufficio e diedero inizio alla riunione strategica.

– Ci terranno d’occhio, capo: vorranno essere sicuri che non ci avviciniamo a lui. Hanno fatto venire un’ispettrice da Basingstoke per seguire le prossime fasi del caso Bella Elliott: sí, una donna, ma è a posto. Si chiama Jude Downing: la conosce?

Qualche ora piú tardi Jude Downing in persona venne a bussare alla porta di Sparkes e propose un caffè. – La mensa è una fossa dei serpenti, – disse. – Andiamo fuori a prenderci un latte macchiato –. E adesso era seduta di fronte a lui, a un tavolino del bar: una ragazza snella, con i capelli rossi, che lo guardava in silenzio.

– È ancora a piede libero, Jude, – disse infine l’ispettore.

– E che fine ha fatto Bella?

– Non lo so, Jude. Quella bambina è la mia ossessione.

– Tu dici che è morta? – chiese lei, e Sparkes non sapeva cosa rispondere. Quando pensava da poliziotto era certo che fosse morta. Ma non riusciva a rassegnarsi.

Nei giorni di notizie scarse usciva ancora qualche intervista a Dawn, e la sua faccia da ragazzina ricompariva dalle pagine dei giornali con il solito cipiglio accusatorio. Sparkes aveva continuato a sentirla, una volta alla settimana o suppergiú. «Niente novità, Dawn, chiamavo solo per sapere come va». Lei lo metteva al corrente. Grazie alla campagna «Ritroviamo Bella!» aveva conosciuto una persona che le piaceva, e si sforzava di arrivare a fine giornata.

«In questo matrimonio siamo in tre», aveva detto una volta Eileen, con quella risata asciutta e finta che teneva da parte per i rimproveri. Lui non si era ribellato, ma aveva smesso di parlarne a casa e aveva promesso di dare il bianco in camera da letto.

Jude Downing gli annunciò che stava ricontrollando tutte le prove, per essere certa che non gli fosse sfuggito niente. – Ci siamo passati tutti, Bob: a volte sei talmente immerso in un caso che non riesci piú a vederlo. Non è una critica, è una constatazione.

Sparkes fissò la schiuma di latte nel suo bicchiere. Ci avevano spolverato sopra del cacao, in forma di cuore. – Hai ragione, Jude. C’è bisogno di uno sguardo fresco, ma posso comunque aiutarti.

– È meglio se per il momento fai un passo indietro, Bob. Non ti offendere, ma vogliamo ricominciare tutto daccapo e seguire le nostre linee di indagine.

– Okay. Be’, grazie per il latte macchiato. È meglio se torno in ufficio, ora.

Eileen gli versò una birra e lo ascoltò con pazienza mentre sfogava la sua rabbia. – Lasciala fare, caro: di questo passo ti verrà un’ulcera. Perché non fai gli esercizi di respirazione che ti ha consigliato il dottore? – Lui bevve un sorso di birra e cercò di visualizzare il proprio abbandonarsi al flusso delle cose, ma era inutile: continuava a nuotare controcorrente.

Si sforzò di dedicarsi alle nuove indagini, ma erano solo un paravento. Un mese piú tardi Ian Matthews annunciò il suo trasferimento a un altro comando. – Avevo bisogno di un cambiamento, Bob, – disse. – Servirebbe a tutti.

La festa di addio di Matthews fu un vero classico. Prima i discorsi dei grandi, poi un’orgia alcolica di aneddoti ripugnanti e storielle melense sui vecchi casi risolti. – È la fine di un’epoca, Ian, – disse Sparkes, divincolandosi dall’abbraccio al malto d’orzo del suo ex sergente. – Sei stato in gambissima.

«Sono l’ultimo uomo rimasto in campo», disse Sparkes a sé stesso. A parte Glen Taylor.

Gli mandarono un nuovo sergente: una ragazza di trentacinque anni, di un’intelligenza spaventosa. – Donna, Bob, – lo corresse lei, – non ragazza. Le ragazze portano i codini.

Lei non li portava, i codini. Capelli castani e lucidi, raccolti in uno chignon talmente stretto e teso che all’altezza delle tempie si vedeva la pelle raggrinzita sotto i capelli fini. Era giovane, risoluta e laureata; sembrava che avesse un percorso professionale tatuato all’interno delle palpebre.

Il sergente investigativo Zara Salmond – «La mamma sarà una fan della famiglia reale», pensò Sparkes – era stata appena trasferita dalla Buoncostume ed era lí, diceva, per rendere la vita piú facile all’ispettore. Detto, fatto.

Nell’ufficio di Sparkes c’era il solito viavai di inchieste: un adolescente morto di overdose, una serie di furti nei quartieri bene, un accoltellamento in un locale notturno. Lui cercava di barcamenarsi come sempre, ma niente riusciva a distogliere la sua attenzione dall’invisibile presenza che occupava una parte del suo ufficio.

Glen Taylor, col suo sorriso da scimmia davanti al portone dell’Old Bailey, baluginava alla periferia delle sue giornate. «È qui, da qualche parte», era il mantra di Sparkes, mentre ragionava a mente fredda su tutti i resoconti della polizia dal primo giorno della scomparsa di Bella, consumando le lettere sulla tastiera del computer.

Un giorno scese in mensa e sentí dire che avevano riconvocato Lee Chambers. Si era fatto i suoi tre mesi per atti osceni, era stato licenziato e non aveva piú una casa, ma non sembrava aver perso un briciolo di faccia tosta.

Si agitò vistosamente sulla sedia, protestò la sua innocenza, ma in cambio dell’immunità da ogni ulteriore procedimento giudiziario forní ai poliziotti qualche altra informazione sul suo commercio di materiali pornografici: orari di apertura del punto vendita, ritrovi preferiti, e cosí via.

– Mettiamogli un uomo alle calcagna, – fu la sentenza della nuova squadra incaricata delle indagini; anche se non erano affatto convinti che Chambers fosse il loro uomo. Lo ributtarono fuori, ma grazie alle sue informazioni il controllo delle stazioni di servizio in cui si svolgeva il commercio si fece un po’ piú preciso, e finalmente le telecamere a circuito chiuso intercettarono alcuni dei suoi clienti. Sparkes era impaziente di sapere se tra loro ci fosse Glen Taylor. – Nessuna traccia, signore, – gli disse Salmond, – ma stanno ancora cercando.

Cerca oggi, cerca domani.

Era affascinante: come guardare un telefilm ispirato alle sue indagini e vedersi impersonato dagli attori. – Mi sembra di essere seduto in platea, – diceva a Kate quando si sentivano al telefono.

– Chi è che fa te? Robert De Niro? Ah, già, mi scordavo: è Helen Mirren, – scherzò lei una volta.

Ma il trovarsi seduto in poltrona come un qualsiasi spettatore, invece che rinchiuso nella bolla dell’indagine, gli permetteva di vedere le cose da una nuova prospettiva. Seguiva la caccia dall’alto, come una specie di deus ex machina; e fu allora che cominciò a notare le crepe, le false partenze.

– Ci siamo concentrati su Taylor, ma siamo stati troppo precipitosi, – disse al sergente Salmond. Ammetterlo prima di tutto con sé stesso gli era costato moltissimo, ma era indispensabile. – Torniamo al giorno in cui Bella è scomparsa. Procediamo con calma.

In segreto, cominciarono a ripercorrere gli eventi del 2 ottobre 2006 fin dalle prime ore del mattino, appiccicando bigliettini sulla superficie interna di un armadietto metallico frettolosamente svuotato, in un angolo dell’ufficio di Sparkes. – Sembra un collage di Art Attack, – scherzava Salmond. – Manca un po’ di colla vinilica, poi possiamo mandarglielo.

Zara avrebbe voluto ricostruire la cronologia al computer, ma Sparkes temeva di essere scoperto. – Di questa roba possiamo liberarci in qualsiasi momento senza lasciare traccia, se è necessario.

Quando Salmond si era offerta di aiutarlo, l’ispettore Sparkes era rimasto un po’ interdetto. Lei non lo prendeva in giro come Matthews, e a volte una battuta era quel che ci voleva per rilassarsi un po’. Con una donna, però, non gli sembrava il caso: troppo confidenziale, troppo da dongiovanni. Ma di sicuro non gli mancavano i disgustosi hot dog intrisi di ketchup di cui Matthews era solito nutrirsi, e neppure le fugaci visioni della sua pancia quando si sistemava la camicia.

Il sergente Salmond era molto sveglia, ma Sparkes non aveva ancora capito se di lei ci si poteva fidare o meno. D’altronde, non aveva scelta. Aveva bisogno del suo sguardo nitido e spassionato per non smarrirsi un’altra volta nel sottobosco.

Bella si era svegliata alle 7.15, secondo Dawn. Un po’ piú tardi del solito, ma anche la sera prima si era addormentata fuori orario. – Perché era andata a letto tardi? – chiese Salmond. Diedero una scorsa alle dichiarazioni di Dawn.

– Erano andate a cena da McDonald’s e avevano dovuto aspettare l’autobus per tornare a casa, – riferí Sparkes.

– Perché? Un regalo? – chiese ancora Salmond. – Non era il suo compleanno: Bella compie gli anni in aprile. E poi non abbiamo detto che Dawn era perennemente in bolletta? Aveva uno scoperto di cinquecento sterline sulla carta di credito, e secondo i vicini non usciva mai.

– Stando a quel che abbiamo qui, nessuno gliel’ha mai chiesto, – disse Sparkes. Salmond aggiunse una voce al suo elenco. La ragazza è una patita delle liste, pensò l’ispettore. Donna, non ragazza. Chiedo scusa.

– E le caramelle comprate all’edicola? Un altro regalo. Cos’era cambiato nella loro vita?

Salmond scrisse SMARTIES su un altro pezzetto di carta e lo incollò all’interno dell’armadietto.

Erano seduti alla scrivania di Sparkes, uno di fronte all’altra, e Salmond occupava la poltrona del capo. In mezzo a loro c’era la stampa del file originale dell’indagine, regalo d’addio di Matthews. L’ispettore stava cominciando a sentirsi sotto interrogatorio, ma si sforzò di restare concentrato: il nuovo sergente era bravissima a scoprire i punti ancora oscuri.

– Magari aveva un fidanzato nuovo? Cosa sappiamo di questo Matt che l’aveva messa incinta? Gli abbiamo mai parlato?

Insomma, l’indagine era piena di buchi, e Sparkes se li sentiva addosso come occhi dall’espressione severa.

– Andiamo a parlargli adesso, – disse Salmond in tutta fretta, vedendo che il capo si rattristava.

Il certificato di nascita di Bella non riportava il nome del padre: non essendo sposata, Dawn avrebbe potuto attribuirgli la paternità della bambina soltanto se anche lui si fosse presentato all’anagrafe. Ma ai poliziotti aveva detto che si chiamava Matt White, abitava dalle parti di Birmingham e lavorava per una società farmaceutica. – Potrebbe avere accesso a tutto il Viagra che vuole, – commentò Salmond.

Le prime ricerche non avevano portato a nessun Matthew White che rispondesse ai requisiti; a quel punto era entrato in scena Taylor, e tutti gli altri erano finiti in fondo a un cassetto.

– Matt potrebbe essere un diminutivo. E chissà, magari le aveva dato un nome falso? Gli uomini sposati lo fanno spesso: cosí l’amante non può contattarli all’improvviso, specialmente se la storia è finita, – disse Salmond, riflettendo a voce alta.

Salmond riusciva a conciliare le nuove indagini e il resto del lavoro con una sorta di tranquilla efficienza, al cospetto della quale lui si sentiva lusingato e un tantino inadeguato. Per non parlare della fluidità con cui entrava e usciva dalla stanza nel giro di pochi minuti, sempre con il documento giusto, la risposta precisa, l’ordine già eseguito, senza intaccare se non con una lievissima increspatura la superficie della sua concentrazione.

Sparkes cominciò a illudersi che avrebbero trovato una nuova pista. Ma la speranza lo distraeva, lo rendeva imprudente, lo induceva ad abbassare la guardia. Di questo passo avrebbero inevitabilmente scoperto la sua indagine parallela.

Il giorno in cui l’ispettrice Jude Downing fece capolino nel suo ufficio senza bussare, Sparkes aveva lasciato la porta dell’armadietto aperta ed era andato alla scrivania per fare una telefonata. Downing era scesa per invitarlo a mangiare un panino ma si trovò di fronte tutta l’indagine alternativa sul caso Bella Elliott, come una mappa dei delitti nel covo di un serial killer.

– Jude, è solo roba che mi è avanzata dall’indagine originale, – disse Sparkes, vedendo indurirsi lo sguardo della collega. Sentí che la scusa era debole anche alle sue orecchie, e che il disastro era inevitabile.

Niente ramanzine, però: Downing fu comprensiva, e questo gli sembrò persino peggio.

– Hai bisogno di una vacanza, Bob, – gli disse il giorno dopo il sovrintendente capo Parker, durante un colloquio ufficiale. – E anche di un aiuto. Dovresti rivolgerti a uno dei nostri psicologi: è gente in gamba, sai?

Sparkes si sforzò di non ridere. Prese due settimane di ferie e la lista dei consulenti, poi chiamò Salmond dalla macchina, per avvisarla.

– Sta’ lontana dall’indagine, Salmond. Sanno benissimo che tu non stai andando fuori di testa, quindi la prossima volta saranno meno gentili. Dobbiamo lasciare il caso alla nuova squadra.

– Capito, – rispose lei in tono secco.

Doveva esserci qualche capo a portata d’orecchio, pensò Sparkes. – Chiamami quando puoi parlare, – disse.