Il primo interrogatorio di Taylor poté cominciare soltanto quando tutti gli uomini della squadra, rientrati a Southampton, si furono pigiati in una stanza senz’aria, grande come un armadio a muro e con la porta color verde ospedale.

Prima di entrare, Sparkes sbirciò dal pannello di vetro della porta. Taylor, seduto con le mani sulle ginocchia come uno scolaretto impaziente, batteva i piedi a un qualche ritmo misterioso.

L’ispettore aprí la porta e prese posizione sul minuscolo palcoscenico. In uno dei manuali di psicologia che teneva sul comodino aveva letto che il linguaggio del corpo è fondamentale. Per dominare un interlocutore bisogna sembrare piú grandi: incombere su di lui, occupare tutto il suo campo visivo. Sparkes restò in piedi un istante piú del necessario, fingendo di riordinare i fogli che aveva in mano, poi si accomodò sulla sedia. Ma Taylor non gli diede neanche il tempo di prendere fiato.

– Ve l’ho detto un mucchio di volte, è tutto un equivoco. Là fuori ci saranno migliaia di furgoni blu, – protestò, battendo i palmi delle mani sul tavolo macchiato di caffè. – Per esempio, che mi dite di Mike Doonan? È un tipo strano, lo sapete? E vive da solo, per giunta.

Sparkes fece un respiro lungo e profondo. Non aveva nessuna fretta. – Benissimo, signor Taylor. Adesso però concentriamoci su di lei e riepiloghiamo i suoi spostamenti del 2 ottobre. Dobbiamo chiarire bene i tempi.

Taylor alzò gli occhi al cielo. – Non c’è niente da aggiungere. Sono andato là, ho fatto la consegna, sono tornato a casa. Fine della storia.

– Bene. Lei dice di essere uscito dal deposito dell’azienda alle due e venti, ma dai fogli di lavoro non risulta. Perché non ha registrato l’uscita?

Taylor si strinse nelle spalle. – Stavo sostituendo Doonan.

– Pensavo non andaste d’accordo, voi due.

– Gli dovevo un favore. Tra colleghi capita spesso di scambiarsi le consegne.

– E quindi dove ha pranzato, quel giorno? – chiese Sparkes.

– Pranzato? – fece eco Taylor, con una risata che somigliava a un latrato.

– Esatto. Si è fermato a mangiare da qualche parte?

– Avrò mangiato una barretta di cioccolato, tipo un Mars. A pranzo preferisco stare leggero, e odio i panini dei supermercati. Preferisco aspettare finché non arrivo a casa.

– E dove l’ha comprato, il Mars?

– Non lo so. A una stazione di servizio, credo.

– Nel viaggio di andata o in quello di ritorno?

– Non ricordo.

– Ha fatto il pieno al furgone?

– Non me lo ricordo. Sono passati mesi.

– E che mi dice del chilometraggio? Di solito si prende nota dei numeri sul contachilometri alla partenza e al rientro, giusto? – chiese Sparkes, pur sapendo benissimo la risposta.

Taylor batté le palpebre. – Sí.

– E quindi se io facessi il suo stesso viaggio la differenza tra le cifre del mio contachilometri e quelle del suo dovrebbe essere la stessa, giusto? – seguitò Sparkes.

Un altro battito di ciglia. – Sí, ma... Ecco, prima di Winchester c’era un sacco di traffico e ho tentato una scorciatoia, ma poi mi sono un po’ perso. Ho girato a lungo prima di ritrovare la tangenziale, e sono anche dovuto tornare indietro perché avevo superato la destinazione.

– Capisco, – disse Sparkes, allungando oltremisura il tempo necessario a prendere nota della risposta sul suo taccuino. – E si è un po’ perso anche al ritorno?

– No, certo che no. Avevo cambiato strada solo per via dell’ingorgo.

– Eppure ci ha messo un sacco di tempo per tornare a casa, no?

Taylor fece spallucce. – No, non direi.

– E allora perché nessuno l’ha vista riportare il furgone in ditta, se è tornato cosí presto?

– Sono passato da casa, gliel’ho detto. Avevo finito il giro e ho fatto un salto a casa, – rispose Taylor.

– Perché? Dai fogli di lavoro risulta che lei di solito va dritto al deposito, – insisté Sparkes.

– Volevo salutare Jean.

– Sua moglie: capisco. Lei è un tipo romantico, giusto? Ogni tanto le piace fare una sorpresina a sua moglie, è vero?

– No, volevo solo dirle che avrei pensato io alla cena.

«Avrei pensato io alla cena». Dunque a casa Taylor non si faceva da mangiare, si pensava alla cena. Gli anni di lavoro in banca gli hanno lasciato una qualche velleità di eleganza, rimuginò Sparkes.

– E non poteva telefonarle?

– Mi era morto il cellulare ed ero di strada. E avevo anche voglia di una tazza di tè.

Ben tre scuse. Si è dato troppo da fare per mettere insieme questa storia, pensò Sparkes. Bisognava controllare il cellulare di Taylor appena finito l’interrogatorio.

– Io credevo che gli autisti dovessero sempre tenersi in contatto con il deposito. Ma lei non ce l’ha, un caricabatterie da auto?

– Sí che ce l’ho, ma l’avevo dimenticato in macchina quand’ero andato a prendere il furgone.

– A che ora si è spenta la batteria del suo telefono?

– Mi sono accorto che era spento solo quando sono uscito dall’autostrada e ho cercato di chiamare Jean. Poteva essere spento da due minuti o da due ore, non so.

– Lei ha dei figli? – chiese Sparkes.

Taylor, che ovviamente non si aspettava la domanda, serrò le labbra e tacque un istante.

– No, perché? – balbettò infine. – Che c’entra se ho dei figli?

– Le piacciono i bambini, signor Taylor? – si impuntò Sparkes.

– Ma certo. A chi non piacciono i bambini? – Aveva incrociato le braccia sul petto, notò l’ispettore.

– Vede, signor Taylor, ci sono persone a cui i bambini piacciono in un modo un po’ diverso. Capisce cosa intendo?

Taylor strinse la presa delle dita intorno alle braccia e chiuse gli occhi per un istante: brevissimo, ma sufficiente perché Sparkes capisse che bisognava insistere.

– Persone a cui i bambini piacciono sessualmente, mi capisce?

– Che animali, eh? – ringhiò Taylor a denti stretti.

– Dunque a lei i bambini non piacciono in quel modo, giusto?

– Ma che schifo: certo che no! Che tipo d’uomo pensa che io sia?

– È quel che stiamo cercando di capire, signor Taylor, – ribatté Sparkes, sporgendosi in avanti per stare piú addosso alla preda. – Quand’è che ha cominciato a fare l’autista? Una strana svolta lavorativa, non le pare? Eppure alla banca aveva un buon impiego, no?

Taylor corrugò la fronte come da copione. – Avevo voglia di cambiare un po’. Non andavo d’accordo col mio capo e volevo mettere su una ditta di consegne. Però mi serviva un po’ di esperienza, e cosí ho cominciato a lavorare per...

– Già, e che mi dice di quella brutta storia con i computer della banca? – tagliò corto Sparkes. – Ci abbiamo parlato anche noi, con il suo ex capo, sa?

Taylor arrossí.

– È vero o no che è stato licenziato per aver fatto un uso improprio dei computer?

– Era tutta una montatura, – ribatté frettolosamente Taylor. – Il capo voleva sbattermi fuori; forse mi temeva perché ero piú giovane e piú preparato di lui. E poi chiunque avrebbe potuto usare quel computer: le barriere di sicurezza erano risibili. Me ne sono andato di mia iniziativa.

Aveva le braccia talmente strette contro il petto che faceva fatica a respirare.

– D’accordo. Capisco, – fece Sparkes, appoggiandosi allo schienale della sedia affinché Taylor, trovandosi piú comodo, avesse modo di infiorettare meglio la sua bugia. – E a cosa si riferiva l’accusa di «uso improprio»? – chiese poi, con finta noncuranza.

– Pornografia. Qualche imbecille ha guardato della roba porno su un computer dell’ufficio, durante l’orario di lavoro. Che razza di idiota, – disse Taylor, dando fiato alle trombe dell’ipocrisia. – Io non farei mai una cosa cosí stupida.

– Quindi lei dove la guarda, la roba pornografica? – chiese Sparkes.

Taylor si fece di pietra.

– Voglio un avvocato, – disse, agitando i piedi sotto il tavolo.

– E lo avrà, signor Taylor. A proposito, stiamo dando un’occhiata al suo computer di casa. Cosa pensa che ci troveremo? C’è qualcosa che vuole dirci fin da subito?

Ormai Taylor era chiuso a doppia mandata. Restò a guardarsi le mani in silenzio, e quando Sparkes gli offrí qualcosa da bere scosse la testa.

L’avvocato di turno quel fine settimana, l’uomo di mezza età con il completo scuro vagamente polveroso che entrò nella stanza un’ora piú tardi con un notes giallo sotto il braccio e la cartella che ciondolava aperta, era Tom Payne.

– Vorrei consultarmi con il signor Taylor, – disse Payne; Sparkes e gli altri sgombrarono il campo.

Uscendo, l’ispettore squadrò lungamente l’avvocato. I due uomini si presero le misure a vicenda, dopodiché il legale tese la mano al suo nuovo cliente.

– Vediamo un po’ cosa posso fare per aiutarla, – disse Payne, premendo il pulsante della biro.

Circa mezz’ora dopo i poliziotti erano tornati nella stanza e stavano riesaminando i dettagli della deposizione di Taylor, come un branco di segugi alla ricerca della minima traccia di menzogna.

– Parliamo un po’ delle sue dimissioni dalla banca, signor Taylor. Sappia però che torneremo presto a far visita ai suoi capi, quindi le conviene raccontarci tutto, – disse Sparkes.

Il sospetto ripeté la sua versione, questa volta con l’avvocato impassibile al suo fianco. Sembrava che fossero tutti colpevoli tranne lui. E poi c’era il suo alibi. I poliziotti provarono ad attaccarlo su tutti i fronti, ma non c’era verso di farlo crollare. Avevano già chiesto ai vicini, ma nessuno l’aveva visto rientrare a casa il giorno della scomparsa di Bella. Nessuno, cioè, eccetto la moglie.

Dopo due ore molto deludenti, mentre Taylor veniva sottoposto al prelievo di tamponi e tracce biologiche e poi condotto in cella, i poliziotti si misero al lavoro per controllare la sua deposizione. Per un breve istante, quando aveva capito che non sarebbe tornato a casa, Glen Taylor era sembrato stranamente giovane e quasi smarrito al cospetto del sergente di custodia che gli chiedeva di togliersi la cintura e svuotare le tasche.

– Avverta mia moglie Jean, per piacere, – chiese all’avvocato con la voce un po’ tremante.

Nel vuoto imbiancato della cella, il sospettato si lasciò cadere su un pancaccio ricoperto di plastica scolorita e chiuse gli occhi.

L’agente di custodia sbirciò attraverso lo spioncino. – Sembra abbastanza tranquillo, – disse al suo collega, – ma teniamolo bene d’occhio. I tipi tranquilli mi mettono l’ansia.